ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26,  quarto
 comma,  del  d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
 materia di accertamento delle  imposte  sui  redditi),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  4  giugno 1992 dalla Commissione tributaria di
 primo  grado  di  Sassari  sul  ricorso proposto dal Fondo aggiuntivo
 pensioni del  personale  dipendente  del  Banco  di  Sardegna  contro
 l'Ufficio  Distrettuale delle Imposte Dirette di Sassari, iscritta al
 n. 30  del  registro  ordinanze  1994  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima serie speciale, dell'anno
 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 giugno 1994 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Commissione tributaria di  primo  grado  di  Sassari,  sul
 ricorso   proposto   dal  Fondo  aggiuntivo  pensioni  del  personale
 dipendente del Banco di  Sardegna  avverso  la  iscrizione  a  ruolo,
 operata  dal  locale  Ufficio distrettuale delle imposte dirette, con
 riferimento all'esercizio  1985,  della  tassazione  degli  interessi
 attivi  su  obbligazioni,  assoggettati, a norma dell'art. 26, quarto
 comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a ritenuta alla fonte  a
 titolo  di  acconto,  con ordinanza del 4 giugno 1992, pervenuta alla
 Corte costituzionale  il  19  gennaio  1994  (R.O.  n.  30/1994),  ha
 sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale del citato art.  26,  quarto
 comma,  del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui prevede che la
 ritenuta sugli interessi prodotti da obbligazioni e  titoli  similari
 e' applicata a titolo d'imposta nei confronti delle persone fisiche e
 delle societa' di persone, ed a titolo di acconto nei confronti delle
 societa'  ed  enti  indicati  nelle lett. a), b) e c) dell'art. 2 del
 d.P.R. n. 598 del 1973, e cioe', oltre alle societa'  per  azioni  ed
 enti commerciali, agli enti non commerciali. Il giudice a quo lamenta
 anzitutto  che  questo  trattamento fiscale riservato ad enti che non
 hanno per oggetto l'esercizio di attivita' commerciali, quale appunto
 il fondo aggiuntivo pensioni - che si prefigge  scopi  esclusivamente
 previdenziali  -  risulta  discriminatorio  rispetto  a  quello  piu'
 favorevole previsto per le persone fisiche,  e  per  le  societa'  di
 persone, assimilate alle prime pur se svolgano attivita' commerciale.
 Cio'  in  violazione  del  principio di uguaglianza tributaria di cui
 all'art. 3 della Costituzione, ove si tenga conto che il legislatore,
 in via di principio, ha equiparato, in relazione alla  percezione  di
 redditi di capitale, le persone fisiche agli enti non commerciali.
    La commissione remittente ravvisa, altresi', nella norma impugnata
 un  vulnus  all'art.  53 della Costituzione, secondo il quale tutti i
 cittadini sono tenuti a concorrere alle spese  pubbliche  in  ragione
 della   propria   capacita'   contributiva,   in  quanto,  a  parita'
 dell'ammontare della base imponibile, l'ente non commerciale verrebbe
 colpito in maniera piu' gravosa rispetto a quanto non avvenga per  le
 persone fisiche e per le societa' di persone.
    Infine,  nella  formulazione della norma censurata, il legislatore
 si sarebbe posto in contrasto con l'art. 76 della  Costituzione,  non
 rispettando i limiti e i criteri imposti dalla legge di delega n. 825
 del 9 ottobre 1971 in base al cui art. 9, secondo comma, si sarebbero
 dovuti   assoggettare  alle  medesime  modalita'  di  tassazione,  in
 relazione alla percezione di redditi  di  capitale,  sia  le  persone
 fisiche che gli enti non commerciali.
    2.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso  per  la  infondatezza  della  questione, osservando, quanto
 all'asserito contrasto con l'art. 76 della Costituzione, che la legge
 delega  si  limita  ad  assoggettare  ad   una   ritenuta   d'imposta
 sostitutiva  delle  normali  Irpef  ed  Ilor  i redditi delle persone
 fisiche  derivanti  da  depositi  e  conti  correnti  bancari  e   da
 obbligazioni e titoli similari.
    Infondato  sarebbe,  altresi', il sospetto di violazione dell'art.
 53 della Costituzione, rispondendo esattamente la ritenuta  d'acconto
 al principio della capacita' contributiva.
    Quanto  al  presunto  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione,
 l'Avvocatura rileva la impossibilita' di un  raffronto  tra  soggetti
 passivi dell'Irpef e dell'Irpeg, e la ragionevolezza della scelta del
 legislatore  in  ordine  ai  casi  in  cui  applicare  la ritenuta di
 imposta.
    Del resto, il principio di uguaglianza non trova applicazione  con
 riferimento a casi che si concretano in eccezioni alle regole.
    L'Avvocatura  osserva, infine, che la discriminazione lamentata e'
 venuta meno, in epoca successiva al d.P.R. n. 600 del  1973,  ma  nel
 senso  opposto a quello sostenuto dal giudice remittente: infatti, il
 d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, nella  legge
 27 aprile 1989, n. 154, all'art. 32, terzo comma, ha stabilito che le
 ritenute  sugli  interessi e sui redditi di capitale sono applicate a
 titolo d'acconto anche nei confronti delle societa' di persone.
                        Considerato in diritto
    1. - La Commissione tributaria di primo grado  di  Sassari  dubita
 della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26, quarto comma, del
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui esso prevede che
 la  ritenuta  sugli  interessi  prodotti  da  obbligazioni  e  titoli
 similari  si  applica agli enti non commerciali a titolo di acconto e
 non a titolo di imposta. A tale titolo  la  ritenuta  viene,  invece,
 applicata alle persone fisiche, alle quali, a questi effetti, vengono
 equiparate   le  societa'  di  persone,  pur  se  svolgono  attivita'
 commerciale, con conseguente produzione di un reddito d'impresa.
    Ad avviso della commissione remittente, la  predetta  disposizione
 violerebbe  gli  artt.  3,  53  e 76 della Costituzione, ponendosi in
 contrasto con il principio di uguaglianza tributaria, con quello  del
 concorso  di  tutti i cittadini alle spese pubbliche in ragione della
 propria capacita' contributiva, e con i principi  e  criteri  fissati
 dalla  legge  delega  n.  825  del 1971, in base ai quali il Governo,
 nell'emanare le  disposizioni  per  la  riforma  tributaria,  avrebbe
 dovuto   assoggettare  alle  medesime  modalita'  di  tassazione,  in
 relazione alla percezione di redditi di capitale, le persone  fisiche
 e gli enti non commerciali.
    2.  -  La  questione,  sollevata  in  riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, e' inammissibile.
    L'art. 26, quarto comma, del d.P.R. 29  settembre  1973,  n.  600,
 dispone,  nella  parte  censurata,  che  le  ritenute,  operate dalle
 societa' ed enti sugli interessi, premi ed altri  frutti  corrisposti
 su obbligazioni e titoli similari, sono applicate a titolo di imposta
 nei  confronti delle persone fisiche e delle societa' ed associazioni
 di cui all'art. 5 del d.P.R. 29  settembre  1973,  n.  597  (societa'
 semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice), ed a titolo
 di  acconto  nei  confronti delle societa' e degli enti indicati alle
 lettere a), b) e c) dell'art. 2 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  598
 (societa'  per  azioni e in accomandita per azioni, a responsabilita'
 limitata, societa' cooperative e di mutua assicurazione, e altri enti
 pubblici e privati aventi o non per oggetto  esclusivo  o  principale
 l'esercizio di attivita' commerciale).
    Il  giudice  a quo ravvisa un vulnus all'art. 3 della Costituzione
 nella mancata assimilazione degli enti  non  commerciali,  quanto  al
 trattamento  tributario  di  cui e' questione, alle persone fisiche e
 alle societa' di  persone,  avuto  riguardo  alla  equiparazione  che
 invece  il  legislatore  avrebbe,  in  via  di principio, operato, in
 relazione alla percezione di redditi di  capitale,  tra  le  medesime
 categorie.
    Al riguardo, deve osservarsi che il regime della ritenuta a titolo
 d'imposta,  sostitutiva  di  Irpef  ed  Ilor, la quale si applica con
 aliquota proporzionale, unica, sul reddito cui si  riferisce  -  che,
 quindi, non si cumula con gli altri redditi di cui lo stesso soggetto
 e'  titolare  -  ha carattere derogatorio in un sistema d'imposizione
 diretta, fondata su imposte personali.
   In quanto si pone come eccezione alla regola generale, in  base  ad
 esigenze   di   opportunita',   e,   tra   l'altro,   come   rilevato
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  tendenzialmente  piu'  favorevole  al
 contribuente,  la  scelta di tale regime (che non potrebbe, comunque,
 essere assunta quale valido tertium comparationis, alla  cui  stregua
 valutare  la  legittimita'  costituzionale  della disciplina di altre
 ipotesi, nelle quali non siano state ravvisate  le  medesime  ragioni
 giustificatrici  del trattamento derogatorio) costituisce espressione
 di una discrezionalita' legislativa non censurabile  (v.  sentt.  nn.
 143  del  1992  e 494 del 1991; ordd. nn. 113 del 1989, 28 del 1988 e
 543 del 1987), se non esercitata in modo palesemente irragionevole.
    E  che  non  sia  irragionevole  la  scelta  del  legislatore   di
 assoggettare  a  ritenuta  a  titolo di imposta i redditi di capitale
 percepiti  dalle  persone  fisiche  e  dalle  societa'  di   persone,
 escludendo,  invece,  tale regime, in favore di quello della ritenuta
 d'acconto, per societa' di capitali ed enti, anche se non  esercitino
 attivita' commerciali, emerge dallo stesso confronto tra le categorie
 di  contribuenti,  soggetti  rispettivamente  ad  imposta sul reddito
 delle persone fisiche  e  delle  persone  giuridiche,  nonche'  dalla
 differente natura delle due imposte, Irpef ed Irpeg.
    Rileva,  in  proposito,  esattamente  la difesa dello Stato che il
 sistema della ritenuta d'imposta si giustifica,  con  riferimento  ai
 redditi  di  capitale  percepiti dalle persone fisiche, per l'elevato
 numero di partite reddituali, spesso d'importo esiguo, che, anche  in
 considerazione   dell'anonimato  dei  percettori,  sarebbe  difficile
 colpire in altro modo.
    Tali ragioni non sussistono per le persone giuridiche,  le  quali,
 anche  quando  non esercitano attivita' commerciali, sono soggette ad
 una serie di adempimenti  contabili,  che  rendono  piu'  agevole  il
 normale prelievo tributario sul reddito complessivo.
    Del   resto,   ed   a  riprova  della  variabilita'  delle  scelte
 legislative in funzione del momento storico ed economico  in  cui  si
 concretano  e  delle  diverse esigenze che in quel momento presiedono
 alla  disciplina  dei  vari  settori  dell'ordinamento,  il   sistema
 delineato  dall'art.  26, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 ha
 subito  una  modifica, peraltro di segno contrario a quella auspicata
 nella ordinanza di rimessione.
    Ed infatti, l'art. 32 del d.l. 2 marzo 1989,  n.  69,  convertito,
 con modificazioni, nella legge 27 aprile 1989, n. 154, al terzo comma
 ha  disposto, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto
 stesso,  l'assimilazione  delle  societa'  di  persone  a  quelle  di
 capitali  e  agli enti pubblici e privati di cui alle lettere b) e c)
 dell'art. 2 del d.P.R. n. 598 del  1973,  sotto  il  profilo  che  le
 ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale di cui al predetto
 art.  26  del  d.P.R.  n.  600  del  1973, sono applicate a titolo di
 acconto anche nei confronti delle societa' di persone.
    3. - Infondata e' poi la censura  dello  stesso  art.  26,  quarto
 comma,  del d.P.R. n. 600 del 1973, per violazione dell'art. 53 della
 Costituzione.
    Tale precetto appare, invero, compiutamente realizzato  attraverso
 il  sistema  della ritenuta di acconto di cui e' questione, calcolata
 su di un reddito effettivamente percepito, e poi riferita all'imposta
 sul reddito complessivo del contribuente.
    E', dunque, garantito il  rispetto  del  principio  costituzionale
 richiamato  dal  giudice  a quo, sia sotto il profilo del concorso di
 ciascuno alle spese pubbliche  in  ragione  della  propria  capacita'
 contributiva,  sia sotto quello della progressivita' dell'imposizione
 tributaria, cui invece  non  si  ispira  l'eccezionale  regime  della
 ritenuta a titolo d'imposta, come gia' rilevato dalla Corte (sent. n.
 44 del 1992).
    4.  -  Parimenti  infondato e' il sospetto di illegittimita' della
 norma in questione per contrasto con  l'art.  76  della  Costituzione
 sotto  il  profilo  di  una  presunta violazione dei limiti e criteri
 posti dalla legge di delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971,
 n. 825.
    Il giudice a quo rileva, al riguardo, che, a  norma  dell'art.  9,
 secondo  comma,  della  citata  legge  delega,  si  sarebbero  dovuti
 assoggettare alle medesime modalita' di tassazione, in relazione alla
 percezione di redditi di capitale, sia le  persone  fisiche  che  gli
 enti non commerciali.
    Il  rilievo  non  e'  condivisibile,  costituendo  il frutto della
 inesatta estensione alla ipotesi in questione del n.  2  dell'art.  9
 della  legge  n.  825  del  1971,  che  dispone che sono esclusi "dal
 computo del reddito complessivo ai fini  delle  imposte  sul  reddito
 delle  persone  fisiche  e delle persone giuridiche ed esentati dalla
 imposta locale sui redditi gli interessi, i premi e gli altri  frutti
 dei  titoli  del  debito  pubblico,  dei buoni postali di risparmio e
 delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse  dalla  Cassa
 depositi  e  prestiti,  nonche'  quelli  delle  obbligazioni e titoli
 similari emessi da  amministrazioni  statali  anche  con  ordinamento
 autonomo,  da  regioni, province, comuni e da enti pubblici istituiti
 esclusivamente  per  l'adempimento  di   funzioni   statali   o   per
 l'esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio".
    La  norma  in esame e' da collegare, invece, al criterio direttivo
 di cui al n. 3 dello stesso art. 9, che prevede per i  redditi  delle
 persone  fisiche  (e, dunque, solo di queste) derivanti da depositi e
 conti  correnti  bancari  e  postali  e  da  "obbligazioni  e  titoli
 similari"  -  come  e'  il  caso di specie - l'assoggettamento ad una
 ritenuta di imposta sostitutiva di Irpef ed Ilor.