LA CORTE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico  di
 Capogrosso Leonardo nato ad Ancona il 30 dicembre 1939;
    Rilevato  che  Capogrosso Leonardo e' stato condannato, in esito a
 giudizio di primo grado, per il reato previsto e punito dall'art. 21,
 terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, per avere effettuato
 scarichi da insediamento produttivo contenenti sostanze in  eccedenza
 ai  parametri  di  accettabilita'  di  cui alla tabella C; l'imputato
 chiede, con tempestivo appello, in principalita' la integrale riforma
 della pronuncia di condanna e in subordine la esclusione  della  pena
 pecuniaria erroneamente erogata insieme a quella detentiva;
    Il medesimo imputato chiede, piu' specificamente, che ove la Corte
 ritenga   di  non  poter  accedere  all'istanza  di  assoluzione  sia
 sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   norma
 contenuta nell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la quale
 vieta   la   sostituzione   di   pene  detentive  relativamente  alla
 fattispecie  di  reato  per  cui  e'  processo;  dall'istanza  si  e'
 dissociato  il  p.g. di udienza il quale ha eccepito la non rilevanza
 della questione; sentite le parti e rilevato che, nella materia degli
 inquinamenti idrici, mentre e' preclusa la  sostituzione  delle  pene
 detentive per i reati previsti dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, in
 forza  dell'espresso  divieto  fatto  dall'art.  60  della  legge  n.
 689/1981, risultano suscettibili di  sostituzione  i  reati  previsti
 dalla   normativa   successiva,   ai   quali   quel  divieto  non  e'
 espressamente riferibile.
                             RITENUTO CHE
    Esiste  indubbia  contraddizione  nel  fatto  che  in  una  stessa
 materia,  per  la  quale  il legislatore ha apprestato norme punitive
 penali, condotte che comportano il medesimo effetto di  pericolo  per
 l'ambiente  (segnatamente,  quello  idrico)  configurano reati la cui
 pena detentiva  non  puo'  o  puo'  essere  sostituita  con  sanzioni
 alternative  unicamente  in  dipendenza  del  fatto che tali condotte
 rientrano  nella  previsione  di  norme  che,  rispettivamente,  sono
 anteriori  o successive all'entrata in vigore della legge 24 novembre
 1981, n. 689.
    Non si dubita, infatti, della possibilita' di sostituire  le  pene
 detentive  disposte dal d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 133, di attuazione
 di direttive CEE in materia di scarichi di  sostanze  pericolose,  in
 quanto  si  riconosce  che  tale provvedimento, posteriore alla legge
 depenalizzatrice, non puo' essere ricondotto ad un anteriore  divieto
 (quale  quello  contenuto  nell'art.  60  legge  n.  689/1981) che va
 interpretato secondo principii di tassativita' e in bonam partem.
    Sussiste,  pertanto,  una  effettiva  disparita'  di   trattamento
 rispetto  alle  dette  situazioni,  ugualmente offensive dei medesimi
 beni collettivi, la quale non trova altra giustificazione se  non  il
 diverso  dato  temporale  dell'entrata in vigore della norma punitiva
 penale rispetto al divieto di applicazione  di  sanzioni  sostitutive
 imposto dall'art. 60 legge n. 689/1981.
    La  medesima  disparita' di trattamento non puo' trovare soluzione
 sistematica in una  interpretazione  che  consenta  di  estendere  il
 divieto  di  sostituire  le pene detentive per i reati previsti dalla
 legge 10 maggio 1976, n. 319, anche alle pene per  illeciti  previsti
 da  leggi  successive,  non  contemplate  nell'art.  60  della  legge
 depenalizzatrice  n.   689/1981,   perche'   come   accennato,   cio'
 comporterebbe  un'ipotesi  di  interpretazione  in  malam partem, non
 consentita nel diritto penale.
    Tale disparita' di trattamento  e'  certamente  irragionevole,  in
 quanto  non  basata  sulla  intrinseca  offensivita'  delle  condotte
 illecite ma, anzi, comportante l'inaccettabile conseguenza secondo la
 quale meritano sanzioni sostitutive i comportamenti che, per avere ad
 oggetto le sostanze specificamente pericolose di  cui  al  d.P.R.  n.
 133/1992,  sono piu' gravi sul piano sia degli effetti per l'ambiente
 sia degli effetti penali (pene edittali piu' severe nel minimo e  nel
 massimo).
    La   detta  disparita'  di  trattamento  si  traduce  in  evidente
 irragionevolezza del sistema,  perche'  non  giustificata  da  scelte
 politiche  insindacabilmente rimesse alla discrezione del legislatore
 ne'  dalla  diversa  offensivita'  dei  reati,  e  pertanto  comporta
 violazione  del  principio  di uguaglianza sancito dall'art. 3, primo
 comma, della Costituzione.
    L'unico modo per superare la cennata irragionevole  disparita'  di
 trattamento e' quello di sospettare di incostituzionalita' il divieto
 di  sostituzione  di  pene  detentive imposto dal ricordato art. 60 a
 proposito dei reati di inquinamento idrico previsti  dalla  legge  n.
 319/1976,  cosi'  che,  in questa materia, la sostituzione delle pene
 detentive sia sempre consentita, senza distinzioni fondate  sul  dato
 temporale di cui sopra.
    Tale  sospetto  di  costituzionalita' non sembra avere particolari
 conseguenze "eversive" del sistema, esulanti dai compiti rimessi alla
 Corte costituzionale, posto che e' lo  stesso  legislatore  ad  avere
 dimostrato  come  il  detto  importante  divieto  oggi  sospettato di
 illegittimita' potesse essere trascurato a proposito di una normativa
 posteriore alla legge n. 319/1976 che veniva  a  sanzionare  in  modo
 piu'  rigoroso  proprio  comportamenti  maggiormente  pericolosi  per
 l'ambiente,   secondo   valutazioni,   oltre   tutto,   conformemente
 obbligatorie ai Paesi della Comunita' economica europea.
    La  questione  di  costituzionalita'  e'  rilevante  ai  fini  del
 decidere nel presente processo di appello, sotto il  duplice  rilievo
 che  il  punto  di  sentenza  concernente  la pena e' stato impugnato
 dall'imputato relativamente alla legalita'  della  pena  in  concreto
 inflitta,  circostanza questa che legittima la richiesta proposta nei
 motivi aggiunti e al dibattimento e che la  sostituzione  della  pena
 puo'  essere  effettuata  anche  d'ufficio  in ogni stato e grado del
 giudizio.