IL PRETORE Letti gli atti del procedimento n. 28/94 r.g. pretura di Modena, sezione distaccata di Vignola, pendente nei confronti di Masetti Andrea; Considerato che quest'ultimo e' imputato dei reati previsti dall'art. 21, primo e terzo comma, della legge n. 319/1976 per avere, quale legale rappresentante della ditta "I Palladiani S.r.l.", effettuato uno scarico, attraverso una conduttura non riconosciuta dal comune, nel rio Schiaviroli, senza essere in possesso della prescritta autorizzazione e violando i limiti imposti dalla tabella A annessa alla legge quanto ai parametri relativi ai materiali sedimentabili e in sospensione; Considerato che all'udienza del 9 marzo 1994 l'imputato ha chiesto l'applicazione, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., della pena di L. 400.000 di ammenda per il reato dell'art. 21, primo comma, e della pena di mesi uno di arresto per l'ipotesi di cui all'art. 21, terzo comma, sostituita quest'ultima con la corrispondente pena pecuniaria; Atteso che, al fine di giustificare la richiesta della pena detentiva sostituita, il difensore dell'imputato ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689/1981 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive al reato previsto dall'art. 21, terzo comma, della legge Merli; Considerato che il p.m. si e' associato all'eccezione della difesa ed ha prestato il consenso sulla misura della pena, ovviamente subordinato all'accoglimento della questione di costituzionalita'; O S S E R V A L'art. 60, secondo comma, della legge n. 689/1981 stabilisce che le sanzioni sostitutive non si applicano ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) e dagli artt. 9, 10, 14, 15, 18 e 20 della legge n. 615/1966 (provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico). Il legislatore del 1981 aveva escluso dal beneficio delle sanzioni sostitutive tutti i reati a tutela dell'ambiente previsti dalle leggi all'epoca vigenti, ritenendo che cio' fosse opportuno per le esigenze di prevenzione generale e per la particolare importanza del bene tutelato, appartenente alla collettivita'. Dopo il 1981 sono state emanate numerose leggi di rilievo penale a tutela dell'ambiente (d.P.R. n. 915/1982, d.P.R. n. 203/1988, legge n. 475/1988) ed altre a tutela dello specifico settore interessato dalla norma impugnata, cioe' l'inquinamento idrico (d.P.R. n. 217/1988, poi abrogato, decreti legislativi nn. 132 e 133 del 1992). Per tutte le fattispecie di reato introdotte dalla legislazione ambientale successiva al 1981 e' possibile il ricorso alle sanzioni sostitutive, secondo la disciplina generale dell'art. 53 della legge n. 689/1981. Dal confronto tra la normativa generale (art. 53 della legge n. 689/1981) e quella derogatoria dettata dall'art. 60 della legge n. 689/1981 per i reati di cui all'art. 21 della legge Merli emerge un'ingiustificata disparita' di trattamento. L'art. 53 della legge n. 689/1981 e' applicabile, in assenza di qualsiasi esclusione oggettiva, ai reati introdotti dal decreto legislativo n. 133/1992. Tale decreto da' attuazione (in maniera del tutto acritica e assolutamente non coordinata alla legislazione nazionale) a sette direttive CEE in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque. L'art. 18 del decreto riproduce, con i necessari adattamenti, gli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976. Lasciando da parte le problematiche relative al rapporto tra la nuova disciplina e la legge Merli nonche' ogni valutazione in ordine alla maggiore o minore pericolosita' delle condotte incriminate dal decreto n. 133 (inspiegabilmente esso punisce con pena piu' severa, rispetto a quella dell'art. 21 della legge n. 319/1976, lo scarico senza autorizzazione e con pena meno grave nel minimo edittale lo scarico in violazione dei limiti tabellari), puo' senz'altro rilevarsi come i due gruppi di norme tutelino non solo lo stesso bene, cioe' l'ambiente, ma lo stesso settore dell'inquinamento idrico, attraverso ipotesi contravvenzionali certamente assimilabili e per struttura e per il tipo di sanzioni inflitte. La possibilita' di applicare le sanzioni sostitutive a tutti i reati introdotti dal decreto n. 133/1992 e l'esclusione dal suddetto beneficio dei reati di cui all'art. 21 della legge n. 319/1976 costituisce una violazione del principio di uguaglianza e di coerenza dell'ordinamento giuridico. In particolare, non riesce in alcun modo a giustificarsi la sostituibilita' della pena dell'arresto fino a tre anni prevista dall'art. 18, primo comma, del d.-lgs. n. 133, posto che questa fattispecie riveste maggiore gravita', collegata al tipo e all'entita' della pena inflitta, rispetto alla corrispondente ipotesi descritta dall'art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976. Analogamente, appare privo di ragionevolezza il diverso trattamento riservato al reato di cui all'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 rispetto a quello previsto per l'art. 18, quarto comma, che oltre a comminare una sanzione identica nel massimo edittale (due anni di arresto), concerne scarichi di sostanze che lo stesso decreto definisce pericolose. La violazione dell'art. 3 della Costituzione risulta in maniera altrettanto netta qualora si adoperi, come termine normativo di confronto, la disciplina generale dettata in tema di smaltimento dei rifiuti. Il d.P.R. n. 915/1982 e la legge Merli appaiono omologhi per valori costituzionali difesi (l'ambiente) e per la tipologia dei reati previsti. I due testi normativi si sovrappongono in piu' punti: l'art. 1, lett. a), della legge n. 319/1976 nel descrivere l'oggetto della legge si riferisce agli scarichi anche sul suolo e nel sottosuolo e l'art. 1 del d.P.R. n. 915 impone che nell'attivita' di smaltimento dei rifiuti debba essere evitato ogni rischio di inquinamento dell'acqua. Lo smaltimento dei liquami e dei fanghi residuati dai cicli di lavorazione e dai processi di depurazione ricade sotto la previsione del d.P.R. n. 915 o dalla legge n. 319 a seconda che si tratti o meno di rifiuti tossici e nocivi (art. 2 della legge n. 319 e art. 2, penultimo comma, del d.P.R. n. 915). Il rischio di un concorso apparente di norme ha indotto il legislatore ad escludere espressamente l'applicabilita' delle disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti agli scarichi regolati dalla legge n. 319/1976 (vedi art. 2, ultimo comma, del d.P.R. n. 915). Lo stesso legislatore, in altri settori dell'ordinamento, ha riservato ai reati in materia di inquinamento idrico e di smaltimento dei rifiuti un indentico trattamento, ad esempio escludendoli entrambi dal beneficio dell'amnistia. Quanto detto rende fondato il dubbio che la disciplina derogatoria dettata dall'art. 60 della legge n. 689 per i reati previsti dall'art. 21 della legge Merli sia contraria al principio di eguaglianza. Su tale principio si fonda l'obbligo del legislatore di non trattare difformemente le situazioni da esso stesso considerate assimilabili. Come affermato da un'attenta dottrina, ogni norma giuridica deve essere applicata a tutte le fattispecie in cui ricorrono le esigenze da cui e' sorta e solo ad esse, una differente regolamentazione e' giustificata solo da diversita' reali adeguatamente ponderate e considerate. Se essa e' frutto di disattenzione, di scarsa conoscenza della realta' normativa, di mancata coordinazione, deve ritenersi contraria all'art. 3 della Costituzione. Non puo' ragionevolmente sostenersi che se la norma impugnata disponeva e dispone di un'adeguata ragione giustificativa, cio' e' sufficiente a farla ritenere rispettosa del principio generale d'uguaglianza, quand'anche il legislatore abbia omesso di estenderla ad altre fattispecie, meritevoli di sottostare alla stessa disciplina. La diversita' di trattamento, qualora non sia sorretta da alcuna razionale giustificazione (di cui dovrebbe trovarsi traccia almeno nei lavori preparatori delle leggi), costituisce comunque una violazione del canone di coerenza che, nel campo delle norme di diritto, e' l'espressione del principio di eguaglianza, inteso come norma di chiusura ed ultima garanzia del sistema. Poiche' la Corte costituzionale ha sempre ritenuto inammissibili iniziative dirette a sollecitare pronunzie additive in materia penale (vedi ordinanza n. 261 del 10 dicembre 1986), non potrebbe ravvisarsi una incostituzionalita' per la mancata estensione dell'art. 60 della legge n. 689 ai reati a tutela dell'ambiente introdotti dopo il 1981. L'unica strada da percorrere e' quindi quella che mira a provocare una pronuncia della Corte nel senso della illegittimita' della disciplina derogatoria. Peraltro, l'esame della normativa emessa dopo il 1981 rende fondato il dubbio che il legislatore abbia completamente perso di vista lo scopo originariamente perseguito attraverso la disposizione dell'art. 60. Il legislatore ha consentito il ricorso alle sanzioni sostitutive per tutti i reati a tutela dell'ambiente introdotti con leggi successive al 1981 (d.P.R. n. 915/1982, d.P.R. n. 203/1988, legge n. 475/1988, d.lgs. n. 133/1992); non si e' attivato per eliminare le inevitabili discrasie che si sono verificate in seguito all'aumento di competenza del pretore disposto dal nuovo codice di procedura penale (vedi sentenza della Corte costituzionale n. 249 del 5-19 maggio 1993); con la legge n. 296/1993 ha notevolmente elevato il limite di applicabilita' delle sanzioni sostitutive portandolo fino ad un anno ed ha addirittura esteso le sanzioni di cui all'art. 53 ai reati di competenza del tribunale. Appare quindi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689/1981 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive per il reato di cui all'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, per violazione del principio di eguaglianza. La questione e' inoltre rilevante ai fini del giudizio in corso. Dall'accoglimento o dal rigetto della stessa dipende la possibilita' di applicare all'imputato la sanzione sostitutiva richiesta in sede di patteggiamento. Allo stato non pare vi siano elementi per l'immediata declaratoria di cause di non punibilita' ai sensi dell'art. 129 del c.p.p. L'accusa formulata dal p.m. e' sorretta dal verbale di prelievo ove non e' annotata alcuna autorizzazione per quel tipo di scarico, nonche' dal certificato di analisi, da cui emerge un valore dei materiali sedimentabili e in sospensione superiore al limite tabellare. L'impegno dimostrato dalla ditta al fine di evitare il ripetersi di episodi di inquinamento (come dimostrato dal preventivo per la fornitura di un impianto di depurazione allegato all'istanza di dissequestro presentata dall'imputato il 22 febbraio 1992) e l'incensuratezza del Masetti potrebbero rendere congrua l'applicazione della sanzione sostitutiva richiesta. Non si ritiene rilevante l'eccezione in ordine all'art. 21, primo comma, della legge n. 319 poiche', sulla base degli atti, appare congrua l'applicazione della pena pecuniaria, prevista dalla legge come alternativa a quella detentiva.