IL PRETORE
    Sciogliendo  la  riserva  contenuta  nel  verbale di udienza del 2
 marzo 1994.
    Nel procedimento n. 2599/1993, pendente avanti a  questo  pretore,
 Dario Mancini ha proposto opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione
 di  pagamento  della somma di lire 4.018.900, emessa dall'ispettorato
 provinciale del lavoro di Pesaro-Urbino per la violazione degli artt.
 11, 13 e 18 della legge n. 264/1949 (modificata dagli artt. 33  e  34
 della   legge   n.   300/1970   e   legge  n.  56/1987),  richiedendo
 l'irrogazione del minimo della sanzione con il minimo aumento per  la
 continuazione.
    L'opponente   Dario   Mancini,  in  corso  di  causa  ha  eccepito
 l'incostituzionalita' della norma di cui all'art. 8,  secondo  comma,
 della  legge  24  novembre  1981,  n. 689, con riferimento all'art. 3
 della Costituzione, in quanto  prevede  l'applicazione  dell'istituto
 della continuazione alla sola ipotesi di violazione di norme di legge
 in materia previdenziale ed assistenziale obbligatorie con esclusione
 di tutte le altre.
    La  questione  e' senza dubbio rilevante ai fini della definizione
 del  giudizio,  dovendosi  stabilire  in  concreto  l'entita'   della
 sanzione  amministrativa  e,  quindi,  prospettandosi la possibilita'
 giuridica di applicare anche  per  le  violazioni  amministrative  de
 quibus,   il   beneficio   della   continuazione,   attualmente   non
 applicabile.
    La questione e' anche non manifestamente infondata per le seguenti
 ragioni.
    Il d.l. 2 dicembre 1985, n. 688, convertita in legge  31  gennaio
 1986,  n. 11, ha introdotto l'istituto della continuazione ex art. 81
 del c.p. anche in materia di illeciti amministrativi affiancandolo  a
 quello del reato formale gia' previsto all'art. 8, primo comma, della
 legge n. 689/1981;
    Tuttavia   l'istituto   della   continuazione  ed  il  conseguente
 principio  del  cumulo  giuridico  delle  pene  da  applicarsi  nella
 determinazione    del    trattamento    sanzionatorio,    e'    stato
 legislativamente   limitato   alle   sole   violazioni   di   materia
 previdenziale  ed  assistenziale obbligatoria con esclusione di tutte
 le altre, ove pertanto risulta  applicabile  solo  il  principio  del
 concorso formale (art. 8, primo comma).
    Il  predetto  sistema  da'  luogo a perplessita' disomogeneita' di
 tale normativa rispetto ai principi del sistema penale a cui la  pena
 si  ispira  in  generale  e con riguardo alla indagine psicologica in
 particolare; nonche' a disparita' di trattamento tra trasgressori  di
 illeciti.
    Infatti,  sia  nel  sistema  penale  che  in  quello dell'illecito
 amministrativo, per la punibilita' e' richiesto un particolare  stato
 soggettivo  ossia  la soglia minima di punibilita' per entrambi e' la
 colpa (cfr. artt. 42 e 43 del c.p. e art. 3 della legge n. 689/1981),
 per cui (a differenza di quanto  sosteneva  la  Corte  costituzionale
 nella  ordinanza  del  19 novembre 1987, n. 421) sono consentiti anzi
 doverosi, anche in materia di illecito amministrativo, l'accertamento
 e la valutazione dell'elemento psicologico.
    Tale considerazione consente pertanto ed anzi impone la  rilevanza
 del  "disegno  criminoso"  per l'esecuzione del quale taluno commette
 con  piu'  azioni  o  omissioni  ed  anche  in  tempi  diversi,  piu'
 violazioni  della  stessa o diverse disposizioni di legge (siano essi
 illeciti penali o amministrativi).
    Ora, posto  che  il  disvalore  sociale  dell'illecito  penale  e'
 senz'altro  maggiore  di  quello dell'illecito amministrativo, non si
 giustifica come mai il primo, potendosi avvalere dell'istituto  della
 continuazione ex art. 81 del c.p. e quindi del cumulo giuridico delle
 pene, possa godere di un trattamento sanzionatorio piu' mite rispetto
 a   quella   applicabile  all'illecito  amministrativo  punito,  come
 principio generale, attraverso il cumulo materiale delle sanzioni.
    L'incongruita' di cui sopra  da'  luogo  ad  una  vera  e  propria
 disparita'   di   trattamento   ed  a  violazione  del  principio  di
 uguaglianza allorche' si faccia riferimento, in materia  di  illecito
 amministrativo,  all'applicazione  dell'istituto  della continuazione
 alla sola  ipotesi  di  violazioni  di  norme  di  legge  in  materia
 previdenziale  ed  assistenziale obbligatoria con esclusione di tutte
 le altre.
    Il principio di uguaglianza che si assume violato non va ricercato
 nel trattamento sanzionatorio applicabili a tutti i  trasgressori  di
 norme in materia previdenziale ed assistenziale (ove naturalmente non
 vi e' disparita' di trattamento: a trasgressioni identiche o analoghe
 corrisponde  una  sanzione  identica o analoga) bensi' va individuato
 nei criteri di computo  delle  pene  applicabili  a  questo  tipo  di
 trasgressori ed a quelli di altri disposizioni di legge.
    Solo  a questi ultimi si applica il principio del cumulo materiale
 delle  sanzioni  con  la  conseguenza  che  risultano   puniti   piu'
 aspramente  non  solo  dei  trasgressori  di  norme  previdenziali ed
 assistenziali (norme che molto spesso sono  connesse  strettamente  e
 conseguenziali  a  quelle  violate  da  questi)  ma addirittura degli
 autori di reati.
    A prescindere dalla sanzione concretamente irrogata,  il  criterio
 di computo delle sanzioni, applicabile alle violazioni amministrative
 diverse  da  quelle  in  materia  previdenziale  ed assistenziale, e'
 immotivatamente piu' severo di quello applicabile agli altri illeciti
 sia penali che amministrativi.
    E'  superfluo  sottolineare che il principio di uguaglianza di cui
 all'art. 3 della Costituzione si assume violato non solo quando  casi
 identici   vengono  sanzionati  diversamente  ma  anche  quando,  pur
 rimanendo fermo quanto sopra, i criteri, i  principi  applicabili  ai
 vari  "tipi"  di  illecito  siano illogici ed ingiusti tra loro, come
 appunto, avviene nella disciplina de qua.