IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  679/1992,
 proposto  da  Danesin Giuliano, rappresentato e difeso dagli avvocati
 Ivone  Cacciavillani  e  Primo  Michielan,  domiciliato   presso   la
 segreteria  del t.a.r. ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924,
 n. 1054, come da mandato a margine del ricorso, contro il  comune  di
 S.  Biagio  di  Callalta  in  persona  del  sindaco  pro-tempore, non
 costituito  in  giudizio,  per   l'annullamento   del   provvedimento
 sindacale  prot.  n.  15617  del  10 dicembre 1991 recante diniego di
 autorizzazione o concessione per parziale cambiamento di destinazione
 d'uso  di  un  immobile  agricolo   (da   destinazione   agricola   a
 produttiva);
    Visto  il  ricorso,  notificato  il  24 febbraio 1992 e depositato
 presso la segreteria il 6 marzo 1992, con i relativi allegati;
    Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente a sostegno  delle
 proprie difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza  del 5 maggio 1994 la relazione del
 consigliere Italo Franco e udito altresi'
 l'avv. Cacciavillani per il ricorrente;
    Nessun comparso per il comune, non costituito;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Proprietario di un capannone eretto nel 1987 quale annesso rustico
 con vincolo di destinazione costituito ai  sensi  dell'art.  6  della
 legge  regionale  5  marzo  1985,  n. 24, il sig. Danesin chiedeva al
 comune di S. Biagio di  Callalta  l'autorizzazione  al  mutamento  di
 destinazione  d'uso solo funzionale (da agricolo a produttivo) vale a
 dire senza opere edilizie, per circa la meta' della superficie,  pari
 a mq 464 su mq 928. Il comune respingeva l'istanza, con atto prot. n.
 15617  del  10  dicembre  1991, ritenendola in contrasto con l'art. 6
 della legge regionale n. 24/1985 e del vincolo costituito con atto di
 notaio in data 14 ottobre 1987.
    L'interessato impugna il diniego, deducendo a sostegno del gravame
 i seguenti motivi:
      1) violazione e falsa applicazione dell'art.  6,  ultimo  comma,
 della  l.r.  n.  24/1985  ed  eccesso  di potere per travisamento del
 fatto.
    Si assume che l'obbligo del vincolo di destinazione, di  cui  alla
 disposizione  invocata,  riguarda  il  mutamento  di destinazione con
 opere edili, in conformita' a Corte costituzionale 11 febbraio  1991,
 n.  73, e che inapplicabile e' anche l'art. 12.4 stessa legge perche'
 a sua  volta  si  riferisce  ad  ipotesi  di  variazioni  con  opere.
 Diversamente  interpretando, sarebbero illegittime entrambe le norme,
 siccome attributive alla regione del potere di sostituirsi ai  comuni
 invece  di  dettare  i  criteri  generali  per  valutazioni di ordine
 urbanistico, che spettano ai comuni, violando cosi' l'art.  25  della
 legge n. 47/1985 oltre che l'art. 5 della Costituzione;
      2)  eccesso  di  potere  per difetto di istruttoria e carenza di
 motivazione (in  via  subordinata).  Si  assume  che  l'ultimo  comma
 dell'art.  6  sarebbe  interpretabile  anche  nel senso che il comune
 avrebbe il potere di accordare il  mutamento  di  destinazione  anche
 senza procedere a variazione dello strumento urbanistico.
    Ma dall'accoglimento di tale tesi consegue che il diniego andrebbe
 congruamente   motivato,   in  relazione  alla  situazione  di  fatto
 esistente nella specifica area; tanto piu' doverosa era una  puntuale
 motivazione  nel caso di specie, visto che era stata rappresentata la
 collocazione del manufatto in zona atta all'insediamento  produttivo.
 Il  comune  si  e',  invece,  limitato  al mero richiamo dell'art. 6,
 ultimo comma, e della esistenza del vincolo.
    Con memoria conclusionale il patrocinio  ricorrente  riprende  con
 dovizia  di argomentazioni la questione del mutamento di destinazione
 d'uso senza opere, e dei poteri connessi dei comuni alla  luce  della
 giurisprudenza   costituzionale   e   amministrativa,   ribadendo  le
 conclusioni nel senso dell'annullamento, ovvero della rimessione alla
 Corte costituzionale.
    Non si e' costituito il comune intimato.
    All'udienza  il  patrono   comparso   ha   insistito   sulle   sue
 conclusioni, chiedendo che la causa fosse spedita in decisione.
                             D I R I T T O
    Le questioni sottoposte al collegio attengono alla vexata quaestio
 del  mutamento  di  destinazione d'uso di immobili senza opere a cio'
 preordinate (c.d. mutamento funzionale) con particolare riguardo alla
 normativa regionale vigente nella regione  Veneto,  di  cui  si  sono
 occupati  non poche volte i giudici amministrativi di primo e secondo
 grado, e la stessa Corte costituzionale.
    Nel caso di specie e' stata negata  l'autorizzazione  al  parziale
 cambiamento  di  destinazione di un fabbricato qualificato in origine
 annesso rustico, per una superficie  inferiore  alla  meta',  da  uso
 agricolo  a uso artigianale. Il diniego e' motivato con richiamo alle
 disposizioni poste con la l.r. 5 marzo 1985, n.  24,  in  particolare
 con  l'art. 6, ultimo comma, il quale prescrive che il rilascio della
 concessione edilizia per la costruzione di  manufatti  agricoli  (nel
 senso  definito,  per  i vari tipi, dai precedenti commi dello stesso
 art. 6) e' soggetto alla costituzione di un vincolo  di  destinazione
 d'uso  da  trascrivere  sui registri immobiliari fino alla variazione
 dello strumento urbanistico della zona. Un siffatto vincolo era stato
 costituito,  nel  caso  di  specie,  con  atto  di  notaio  all'epoca
 dell'assenso della costruzione, nel 1987.
    Quanto  meno  ad  una  prima lettura, l'imposizione del vincolo di
 destinazione appare generale, nel senso che esso sembra impedire ogni
 variazione  di  destinazione  d'uso  -  fino   a   che   non   venga,
 eventualmente,  variato  lo  strumento  urbanistico  della  zona (con
 diversa classificazione di questa) - anche nel caso  in  cui  avvenga
 senza opere edili.
    La norma va letta insieme con un'altra della stessa legge, come fa
 il  patrocinio  ricorrente,  vale  a  dire  l'art. 12.4 della l.r. n.
 24/1985, il quale non ammette  variazioni,  nemmeno  parziali,  della
 destinazione   d'uso,   salva   diversa  previsione  dello  strumento
 urbanistico. Cio' in modo difforme dagli artt. 92 e 97 della l.r.  27
 giugno  1985,  n.  61,  che  ammettono  la  sanabilita' a determinate
 condizioni anche di mutamenti di destinazione d'uso.
    Entrambe le disposizioni  prescindono,  nel  loro  dato  testuale,
 dalla  presenza,  o  meno,  di  opere  preordinate  al  mutamento  di
 destinazione.  Cio'   significa   che,   secondo   un'interpretazione
 letterale,  i  fabbricati qualificati agricoli ai sensi della l.r. n.
 24/1985 sono indefettibilmente legati a mantenere la loro  originaria
 destinazione  al  servizio  dell'agricoltura.  Un  mutamento potrebbe
 essere  consentito  solo  mediante  una  variante   dello   strumento
 urbanistico, che l'ammettesse esplicitamente.
    Una  simile interpretazione, peraltro, si pone in aperto contrasto
 con le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza circa il  mutamento
 di  destinazione  d'uso  senza opere o interventi edilizi che, mentre
 veniva ritenuto non soggetto a regime autorizzatorio o concessionario
 prima  della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47,  viene   preso   in
 considerazione  da questa legge all'art. 25, contenente la previsione
 di  autorizzazioni  in  casi  eventuali  o  limitati.  Cio'  si  dice
 chiaramente  nella  sentenza  della  Corte costituzionale 11 febbraio
 1991, n. 73, che sara' richiamata ancora piu' avanti.
    Onde superare l'interpretazione contrastante con norme statali  di
 principio   -   quale   e'  quella  appena  richiamata  -  e  con  la
 Costituzione, e' stata prospettata una  tesi  interpretativa  diversa
 dal  Consiglio  di  Stato  (sezione  quinta,  18 gennaio 1988, n. 8),
 sentenza diffusamente ripresa nella memoria conclusionale, secondo la
 quale  sia  l'art.  6,  ultimo  comma,  che l'art. 12.4 della l.r. n.
 24/1985 andrebbero riferiti ai soli mutamenti con opere.  Il  vincolo
 di  destinazione, secondo detta tesi ermeneutica non in contrasto con
 la  Costituzione,  deve  ritenersi  non  assoluto,  anzi   derogabile
 mediante autorizzazione del Sindaco, investito di un potere di ordine
 generale  circa  l'uso  del territorio e gli insediamenti su di esso,
 inerente  all'autonomia  costituzionalmente  garantita   ai   comuni.
 Dovevano, cioe', ritenersi vietate solo le variazioni di destinazione
 non autorizzate dal comune.
    L'argomento  portante  a sostegno di tale interpretazione e' stato
 ravvisato nell'art. 76.1, n.  2,  della  legge  regionale  veneta  n.
 61/1985  (che  prevede  un'autorizzazione  onerosa per i mutamenti di
 destinazione senza interventi edilizi a cio' preordinati)  dichiarato
 incostituzionale dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale
 per  contrasto  con  l'art.  117 della Costituzione, nell'assunto che
 l'anzidetta norma regionale si pone in  contrasto  con  il  principio
 fondamentale  della  materia, posto dall'art. 25, ultimo comma, della
 legge statale n. 47/1985, secondo  cui  la  modificazione  funzionale
 della  destinazione  d'uso di un immobile puo' essere assoggettata al
 regime dell'autorizzazione solo dopo che la regione  abbia  stabilito
 criteri  e  modalita'  cui  devono attenersi i comuni, all'atto della
 predisposizione   di   strumenti   urbanistici,    per    l'eventuale
 regolamentazione,  in  ambiti  determinati del proprio territorio, di
 tale destinazione d'uso, nonche' dei casi in cui per la variazione di
 essa, sia richiesta la preventiva autorizzazione.
    Ora, dopo l'anzidetta dichiarazione di incostituzionalita', e  non
 essendo  intervenuta la regolamentazione di cui sopra, da parte della
 regione   Veneto,   a   maggior   ragione    e'    sospettabile    di
 incostituzionalita' la previsione generalizzata, da parte della legge
 regionale  veneta, dell'impossibilita' di attuare nelle zone agricole
 mutamenti di destinazione d'uso  puramente  funzionali,  cioe'  senza
 alcun intervento edilizio.
    In   definitiva,   va  posta  la  questione  di  costituzionalita'
 dell'art. 12.4 della legge regionale veneta n. 24/1985, in quanto  il
 vincolo  di  destinazione  d'uso  imposto  in  sede  di  rilascio  di
 concessione  edilizia  per  la  costruzione  di  manufatti   agricoli
 impedisce, finche' permanga la destinazione agricola della zona, ogni
 mutamento  di  destinazione  d'uso anche nel caso in cui esso avvenga
 senza opere, e che  ha  portato,  nel  caso  di  specie,  al  diniego
 sindacale  di  cambiamento  di  destinazione  d'uso  da  agricolo  ad
 artigianale di un immobile nato come annesso rustico  e  soggetto  al
 vincolo  di  destinazione  costituito  ai  sensi  dell'art. 6, ultimo
 comma, della l.r. n. 24/1985.
    L'anzidetta questione e' dunque rilevante e pregiudiziale ai  fini
 della risoluzione della medesima controversia.
    Infatti,  ove  le  stesse  norme  fossero  ritenute  conformi alla
 Costituzione,  il  diniego  impugnato  sarebbe   legittimo,   laddove
 nell'ipotesi  contraria lo stesso, essendo motivato unicamente con la
 vigenza delle norme in questione, dovrebbe essere annullato,  con  la
 conseguenza che l'amministrazione dovrebbe riesaminare la domanda del
 ricorrente e fondare su altri elementi le sue determinazioni.
    Quanto   alla   non   manifesta   infondatezza,   questa   risulta
 indirettamente dalla ricostruzione fatta addietro della  vicenda  del
 mutamento  di  destinazione d'uso senza opere nella regione Veneto, e
 dalle pronunce ivi richiamate, in  particolare  dalle  considerazioni
 svolte  in  ordine alla precedente pronuncia della Corte (sentenza n.
 73/1991).
    Sul punto si puo' aggiungere che ai Comuni  spetta  certamente  il
 potere   di   disciplinare   e  controllare  l'ordinato  insediamento
 abitativo e non sul proprio territorio, e che le relative  competenze
 rientrano   nell'ampia   accezione  di  autonomia  locale,  garantita
 dall'art. 5 e, altresi', dall'art. 128 della Costituzione.
    Certamente, i poteri  in  materia  urbanistica  (segnatamente  per
 quanto  attiene  all'adozione  e  approvazione  dei  piani regolatori
 generali e di altri  strumenti  urbanistici)  sono  in  certa  misura
 ripartiti  con le regioni (cui per la stessa materia l'art. 117 della
 Costituzione  riconosce  competenza  legislativa).   Tuttavia   detta
 competenza  e'  riconosciuta  alle  regioni  nei  limiti dei principi
 fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.  Ora,  come  ha  gia'
 rilevato  la  ripetuta sentenza n. 73/1991, l'art. 25 che della legge
 n. 47/1985 ha posto dei limiti al potere legislativo regionale, prev-
 edendo, con norma di principio, che le regioni dettino solo criteri e
 modalita' per la variazione  della  destinazione  d'uso.  Ai  comuni,
 invece,  spetta  -  nel  rispetto  di tali criteri e modalita' in via
 generale con legge regionale - decidere  se  assoggettare  o  meno  i
 mutamenti   di   destinazione   d'uso   (con   o   senza   opere)  od
 autorizzazione, individuando nel contempo (sempre con  gli  strumenti
 urbanistici)  gli  ambiti  territoriali che intendono disciplinare in
 ordine a detti mutamenti di destinazione.
    Pertanto,  la  legge  statale  ha  previsto  che  i  mutamenti  di
 destinazione  d'uso  vengano  disciplinati  mediante detta competenza
 ripartita, di ordine, rispettivamente, legislativa e  pianificatoria.
 Consegue  che  le  norme  che  impediscono  tout-court  il  richiesto
 cambiamento di destinazione d'uso (tanto piu' se non accompagnato  da
 interventi  edilizi  a  cio'  preordinati),  come gli artt. 6, ultimo
 comma, e 124 della l.r. n. 24/1985 in considerazione del  vincolo  di
 destinazione  sono  sospettabili di incostituzionalita' per contrasto
 con gli artt. 5, 128 e 117 della Costituzione.  Le  norme  denunciate
 sembrano   impedire   all'autonomia   comunale  di  esplicarsi.  Tale
 autonomia  sembra  imbrigliata  da  norme  di  legge  regionale   non
 rispettose dei limiti posti con l'art. 117 della Costituzione e dalle
 altre leggi statali di principio.
    Su  un  piano piu' generale, nel ribadire l'esigenza che, in linea
 di massima, vi sia corrispondenza fra le destinazioni individuate con
 gli strumenti urbanistici (desunte dalle classificazioni di zona) e i
 singoli insediamenti, e che i poteri locali garantiscano un  ordinato
 e  razionale  uso  del  territorio  non  si  puo'  non  sospettare di
 irragionevolezza un  sistema  che  ancori  rigidamente  e  pressoche'
 automaticamente   (in   relazione   alle   classificazioni  di  zona)
 destinazioni di zona e destinazioni d'uso dei singoli immobili. Detta
 compatibilita' andrebbe, invece, valutata caso per caso, con  attenta
 valutazione, secondo i principi di buona amministrazione, pur tenendo
 ferme le finalita' di tutela dell'agricoltura perseguiti dalla l.r. 5
 marzo 1985, n. 24.
    Le    norme   in   questione   sono,   dunque,   sospettabili   di
 incostituzionalita'  anche  per  contrasto  con   l'art.   97   della
 Costituzione.
    Tutto  cio' premesso e considerato, va disposta la sospensione del
 giudizio e  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
 affinche' questa si pronunci sulla proposta questione.