IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 6578/1993 r.g. n. 2083/1993 r.s., proposto da Rosario Valenti rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Silvestri e domiciliato per legge presso la segreteria della Sezione, contro l'U.S.L. n. 35 di Catania in persona del legale rappresentante pro-tempore e l'assessorato regionale alla sanita' in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi, il primo dall'avv. Giuseppe Tamburello e con domicilio elettivo nel suo studio in Catania, via Ventimiglia n. 117, e il secondo dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania presso la quale e' ex lege domiciliato. Per l'annullamento del provvedimento n. 88 del 22 ottobre 1993 e della deliberazione n. 3146 del 22 ottobre 1993 adottate dall'amministratorestraordinario della U.S.L. intimata che hanno disposto la sanzione disciplinare della destituzione dall'impiego, nonche' degli atti presupposti ivi compresi gli atti e i verbali del procedimento disciplinare; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della U.S.L. intimata nonche' quello dell'avvocatura dello Stato per l'assessorato regionale; Vista la propria ordinanza n. 236 del 17-24 gennaio 1994; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore il referendario dott. Francesco Brugaletta per la camera di consiglio del 17 gennaio 1994; Uditi l'avv. E. Silvestri per il ricorrente, l'avv. G. Tamburello per la U.S.L. e l'avvocato dello Stato G. Genovese per l'assessorato intimato; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Con il ricorso in epigrafe il signor Rosario Valenti esponeva: il ricorrente, farmacista coadiutore della U.S.L. intimata, veniva sottoposto a procedimento penale che si concludeva con sentenza del 1$ febbraio 1993 della Corte di cassazione che rigettava il ricorso proposto dal ricorrente e confermava la sentenza n. 993/1991 del 10 luglio 1991 della Corte di appello di Catania che lo aveva condannato a anni due e mesi undici di reclusione per concussione continuata, con pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata, con condono ex d.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, per anni due di reclusione e per la pena accessoria temporanea. Successivamente il ricorrente e' stato sottoposto a procedimento disciplinare. La commissione di disciplina, in piu' sedute tenutesi l'8 ottobre 1993 e il 18-19 ottobre 1993 ma con diversa composizione, ha proposto con la deliberazione n. 9 del 19 ottobre 1993 la sanzione della destituzione dall'impiego, sanzione irrogata con i provvedimenti in epigrafe. Avverso tali provvedimenti il ricorrente propone il predetto ricorso deducendo le seguenti censure: 1. - Violazione dell'art. 112 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e dei principi generali sul procedimento disciplinare. Assume il ricorrente che la commissione di disciplina si e' riunita in diverse composizioni nelle sedute svoltesi, di talche' la decisione finale e' stata assunta da soggetti diversi da quelli che hanno partecipato alla trattazione. Cio' violerebbe la garanzia di difesa del ricorrente rendendo invalido il provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare. 2. - Violazione dell'obbligo della previa contestazione dell'art. 114 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Sarebbero illegittimi i provvedimenti impugnati perche' adottati in difformita' dalla contestazione e dalla proposta della commissione. 3. - Violazione dei principi in materia di adeguatezza e proporzionalita' della sanzione. Assume, infine, il ricorrente l'invalidita' dei provvedimenti impugnati perche' non proporzionati all'illecito commesso. Si e' costituita in giudizio la U.S.L. intimata contestando il ricorso avversario, sostenendone l'infondatezza e chiedendone il rigetto. Si e' costituita in giudizio altresi' l'avvocatura dello Stato, per conto dell'assessorato regionale, chiedendo il rigetto del ricorso e della domanda di tutela cautelare assumendone l'infondatezza. Nella camera di consiglio del 17 gennaio 1994 questo tribunale, con ordinanza n. 236/1994, ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato ed ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61, quarto comma, della legge d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, rinviandone l'esame alla presente ordinanza. D I R I T T O Il collegio ritiene di sottoporre al giudizio di costituzionalita' per contrasto con gli artt. 24, 76 e 97 della Costituzione, l'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui prevede che "per la validita' delle riunioni della commissione e' necessaria la maggioranza qualificata di due terzi". La questione e' rilevante e non manifestamente infondata. Per quanto riguarda la rilevanza, da un lato non sussiste dubbio sulla applicabilita' alla fattispecie in esame del predetto art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, dall'altro, allo stato, il collegio non ritiene che possano accogliersi le censure prospettate dal ricorrente nei confronti dei provvedimenti impugnati. Non la prima relativa alla lamentata diversa composizione della commissione di disciplina nelle sedute dedicate rispettivamente alla trattazione ed alla decisione perche' proprio l'art. 61 in questione dispone come unica regola per la validita' delle sedute la presenza dei due terzi dei componenti con cio' legittimando e consentendo la partecipazione alle sedute di soggetti diversi purche' nel rispetto del numero previsto. Non la seconda perche' non si evidenzia la denunciata difformita' fra i fatti posti a base della contestazione e quelli contenuti nella proposta e nei provvedimenti finali. Non la terza perche' i provvedimenti adottati si appalesano immuni dai denunciati vizi di violazione dei principi in materia di adeguatezza e proporzionalita' della sanzione. Sicche' si appalesa rilevante, a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il dubbio di costituzionalita' che investe l'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (emanato ai sensi dell'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, contenente delega al governo per la disciplina dello stato giuridico del personale delle U.S.L.), nella parte in cui prevede che "per la validita' delle riunioni della commissione e' necessaria la maggioranza qualificata di due terzi". La questione si rivela, inoltre, non manifestamente infondata. Infatti ritiene il Collegio che la commissione di disciplina tenuta a valutare l'esistenza o meno di infrazioni disciplinari e la colpevolezza del dipendente, nonche' la gravita' e l'entita' della sanzione da adottare, assume tale importanza da richiedere necessariamente l'intervento di tutti i membri chiamati a farne parte; cio' in quanto dovrebbe sussistere l'esigenza fondamentale di immutabilita' dei membri del medesimo collegio imposta dalla particolare natura della funzione, dal valore della pronuncia concernente gli addebiti contestati all'incolpato e dalle conseguenze afflittive che le punizioni determinano a carico delle persone riconosciute responsabili delle trasgressioni. Tant'e' che il d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, all'art. 148, quinto comma, prescrive (in via generale e introducendo una vera e propria norma di principio) che "per la validita' delle riunioni e' necessaria la presenza di tutti i componenti" prevedendo percio' il collegio perfetto per realizzare le indispensabili garanzie nei confronti dell'incolpato. Ebbene il soddisfacimento di questa stessa esigenza nel comparto sanitario viene reso impossibile dalla previsione contenuta nell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui prevede che "per la validita' delle riunioni della commissione e' necessaria la maggioranza qualificata di due terzi" in quanto introducendo il collegio imperfetto permette che alcuni componenti possano partecipare alle sedute di trattazione ed altri, diversi dai primi (sia pure in parte), possano assumere, in un secondo momento, la decisione, senza avere partecipato alle fasi preliminari del procedimento e senza avere una conoscenza diretta delle questioni esaminate. Ne' appare chiaro il motivo per cui la deroga al principio generale sia stata introdotta con il citato art. 61 esclusivamente per il comparto sanitario. Non c'e' dubbio, pertanto, che la norma in questione sia in contrasto con gli artt. 24, secondo comma, 76 e 97, primo comma, della Costituzione. L'art. 76 della Costituzione, infatti, fissando i limiti del potere normativo delegato contiene una preclusione di attivita' leg- islative cosi' che ove la legge delegata incorra in una non conformita' con la legge delega, viola sicuramente il precetto dell'art. 76 della Costituzione (cfr., fra le tante: Corte costituzionale 12 giugno 1991, n. 260). L'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (legge delega), a sua volta, cosi' recita: "Lo stato giuridico ed economico del personale delle unita' sanitarie locali e' disciplinato, salvo quanto previsto espressamente dal presente articolo, secondo i principi generali e comuni del rapporto di pubblico impiego. In relazione a quanto disposto dal secondo comma dell'art. 13, la gestione amministrativa del personale delle unita' sanitarie locali e' demandata all'organo di gestione delle stesse, dal quale il suddetto personale dipende sotto il profilo funzionale, disciplinare e retributivo. Il Governo e' delegato ad emanare, entro il 30 giugno 1979, su proposta del Presidente del Consiglio, di concerto con i Ministri della sanita' e del alvoro e della previdenza sociale, previa consultazione delle associazioni sindacali delle categorie interessate uno o piu' decreti aventi valore di legge ordinaria per disciplinare, salvo quanto previsto dall'ottavo comma del presente articolo, lo stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: 1) assicurare un unico ordinamento del personale in tutto il territorio nazionale; 2) disciplinare i ruoli del personale sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo; 3) definire le tabelle di equiparazione per il personale proveniente dagli enti e dalle amministrazioni le cui funzioni sono trasferite ai comuni per essere esercitate mediante le unita' sanitarie locali e provvedere a regolare i trattamenti di previdenza e di quiescenza, compresi gli eventuali trattamenti integrativi di cui all'art. 14 della legge 20 marzo 1975, n. 70; 4) garantire con criteri uniformi il diritto all'esercizio della libera attivita' professionale per i medici e veterinari dipendenti dalle unita' sanitarie locali, degli istituti universitari e dei policlinici convenzionati e degli istituti scientifici di ricovero e cura di cui all'art. 42. Con legge regionale sono stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di tale attivita'; 5) prevedere misure rivolte a favorire particolarmente per i medici a tempo pieno l'esercizio delle attivita' didattiche e scientifiche e ad ottenere, su richiesta, il comando per ragioni di aggiornamento tecnico scientifico; 6) fissare le modalita' per l'aggiornamento obbligatorio professionale del personale; 7) prevedere disposizioni per rendere omogeneo il trattamento economico complessivo e per equiparare gli istituti normativi aventi carattere economico del personale sanitario universitario operante nelle strutture convenzionate con quelli del personale delle unita' sanitarie locali. Ai fini di una efficace organizzazione dei servizi delle unita' sanitarie locali, le norme delegate di cui al comma precedente, oltre a demandare alla regione il potere di emanare norme per la loro attuazione ai sensi dell'art. 117, ultimo comma, della Costituzione, dovranno prevedere: 1) criteri generali per la istituzione e la gestione da parte di ogni regione di ruoli nominativi regionali del personale del servizio sanitario nazionale addetto ai presidi, servizi ed uffici delle unita' sanitarie locali. Il personale in servizio presso le unita' sanitarie locali sara' collocato nei diversi ruoli in rapporto a titoli e criteri fissti con decreto del Ministro della sanita'. Tali ruoli hanno valore anche ai fini dei trasferimenti, delle promozioni e dei concorsi; 2) criteri generali per i comandi o per i trasferimenti nell'ambito del territorio regionale; 3) criteri generali per la regolamentazione, in sede di accordo nazionale unico, della mobilita' del personale; 4) disposizioni per disciplinare i concorsi pubblici, che devono essere banditi dalla regione su richiesta delle unita' sanitarie locali, e per la efficacia delle graduatorie da utilizzare anche ai fini del diritto di scelta i posti messi a concorso; 5) disposizioni volte a stabilire che nell'ambito delle singole unita' sanitarie locali l'assunzione avviene nella qualifica funzionale e non nel posto. I decreti delegati di cui al terzo comma del presente articolo prevedono altresi' norme riguardanti: a) i criteri per la valutazione, anche ai fini di pubblici concorsi, dei servizi e dei titoli di candidati che hanno svolto la loro attivita' o nelle strutture sanitarie degli enti di cui all'art. 41 o in quelle convenzionate a norma dell'art. 43 fatti salvi i diritti acquisiti ai sensi dell'art. 129 del decreto del Presidente della Repubblica n. 130 del 26 marzo 1969; b) la quota massima dei posti vacanti che le regioni possono riservare, per un tempo determinato, a personale in servizio a rapporto di impiego continuativo presso strutture convenzionate che cessino il rapporto convenzionale nonche' le modalita' ed i criteri per i relativi concorsi; c) le modalita' ed i criteri per l'immissione nei ruoli regionali di cui al n. 1) del precedente comma, previo concorso riservato, del personale non di ruolo addetto esclusivamente e, in modo continuativo, ai servizi sanitari in data non successiva al 30 giugno 1978 ed in servizio all'atto dell'entrata in vigore della presente legge presso regioni, comuni, province, loro consorzi e istituzioni ospedaliere pubbliche". Alla luce della suesposta normativa e' evidente che l'intento del legislatore era quello di disciplinare lo stato giuridico ed economico del personale delle unita' sanitarie locali secondo i principi generali e comuni del rapporto di pubblico impiego, salvo le deroghe espressamente previste dallo stesso art. 61 sopra visto. E come e' agevole desumere tra le deroghe consentite non vi e' il procedimento disciplinare. Pertanto tale materia doveva essere disciplinata in conformita' ai principi generali e comuni contenuti nell'art. 148, quinto comma, del d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, che, come detto sopra, prescrive (introducendo una vera e propria norma di principio) che "per la validita' delle riunioni e' necessaria la presenza di tutti i componenti" (cd. collegio perfetto). Conseguentemente e' affetta da eccesso di delega rispetto all'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e viola l'art. 76 della Costituzione la previsione contenuta nell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui prevede che "per la validita' delle riunioni della commissione e' necessaria la maggioranza qualificata di due terzi". Sotto altro profilo, l'introduzione di una disciplina per il comparto sanitario, peggiorativa nei confronti dell'incolpato, differenziata (per quanto riguarda il punto considerato) da quella generale e da quella di tutti gli altri comparti, si appalesa in mancanza di una valida giustificazione (che non esiste) palesemente irragionevole e incongruente (cfr.: Corte costituzionale n. 37 del 22 gennaio-7 febbraio 1991). In ogni caso l'art. 61 in questione si appalesa, pur sempre, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione in quanto determina la lesione del diritto inviolabile di difesa che deve sussistere in ogni stato e grado di ogni procedimento (ancorche' disciplinare) in cui si e' in presenza di un incolpato e che verrebbe violato ove si consentisse (attraverso l'"escamotage" del collegio imperfetto) a un componente che non ha preso parte alla trattazione (nella quale il diritto di difesa dell'incolpato si esplica al massimo e decisivo livello) di partecipare alla decisione finale. Infine lo stesso art. 61 si rivela in contrasto con l'art. 97 della Costituzione in quanto viola i principi di imparzialita' e buon andamento che devono ispirare l'attivita' della pubbliche amministrazioni. Infatti la particolare natura assunta dal giudizio disciplinare fa si' che debbano essere disposte dal legislatore sufficienti garanzie di imparzialita' e di serieta' del giudizio e tra tali garanzie assumono valore fondamentale quelle relative alla stessa commissione di disciplina, quale condizione imprescindibile per il corretto e imparziale esercizio della funzione sanzionatoria. In conclusione, va riconosciuta la rilevanza ai fini della decisione del ricorso in epigrafe e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui prevede che "per la validita' delle riunioni della commissione e' necessaria la maggioranza qualificata di due terzi" per contrasto con gli artt. 24, 76 e 97 della Costituzione. Conseguentemente deve disporsi la sospensione del presente giudizio e la remissione della questione all'esame della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.