IL CONSIGLIO DI STATO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  in appello
 proposto dalla signora Licia Rita Morsolin, residente in  Monfalcone,
 rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Genovese, domiciliata in Roma,
 via  Germanico,  198,  presso  l'avv.  Franco  Di  Maria, contro Gian
 Giuseppe  Tomarelli,  residente  in  Monfalcone,  non  costituito  in
 giudizio, e nei confronti del comune di Monfalcone, non costituito in
 giudizio,  per l'annullamento della sentenza 22-23 settembre 1993, n.
 490, con la  quale  il  tribunale  amministrativo  regionale  per  il
 Friuli-Venezia  Giulia ha respinto il ricorso contro la proclamazione
 degli eletti al consiglio comunale di Monfalcone del 22 giugno 1993;
    Visto il ricorso in appello, notificato  il  10  novembre  1993  e
 depositato il 22 novembre 1993;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza  del 6 maggio 1993 la relazione del
 consigliere Raffaele Carboni, nessuno comparso per l'appellante;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Il  22  giugno 1993, in esito all'elezione svoltasi nei giorni 6 e
 20 giugno 1993, l'ufficio elettorale centrale comunale di  Monfalcone
 proclamo' eletto alla carica di sindaco il sig. Adriano Persi, la cui
 candidatura  era collegata con le due liste Partito democratico della
 sinistra e Cittadini per Monfalcone. Alle predette due  liste  furono
 attribuiti complessivamente, ai sensi dell'art. 7, sesto comma, della
 legge 25 marzo 1993, n. 81, 12 seggi di consigliere comunale, pari al
 60  per  cento  dei  20  consiglieri  da eleggere. I restanti 8 seggi
 furono attribuiti: 2 alla lista Lega Nord, 2  alla  lista  Democrazia
 cristiana,  2  complessivamente  alle liste Popolari per Monfalcone e
 Partito socialista democratico  italiano,  che  si  erano  presentate
 collegate  con  lo  stesso  candidato  alla carica di sindaco, 1 alla
 lista Movimento sociale italiano, e 1 alla lista  Partito  socialista
 italiano.
    La  signora  Licia  Rita  Morsolin,  che  si  era  presentata come
 candidata alla carica di sindaco collegata con la lista  Rifondazione
 comunista,  ha impugnato la proclamazione degli eletti con ricorso al
 tribunale amministrativo  regionale  per  il  Friuli-Venezia  Giulia,
 sostenendo  che,  nella  ripartizione  degli  8 seggi, non si sarebbe
 dovuto tener conto del fatto che le due liste Popolari per Monfalcone
 e Partito socialista democratico italiano erano state  collegate  con
 la  medesima  candidatura alla carica di sindaco, bensi' soltanto dei
 voti riportati da ciascuna delle due liste. In tal modo, considerando
 cioe' separatamente i voti ottenuti da  ciascuna  lista,  anziche'  2
 seggi  alle  due  liste  Popolari per Monfalcone e Partito socialista
 democratico  italiano  e  nessun  seggio  alla   lista   Rifondazione
 comunista,  sarebbero  spettati  1  seggio  alla  lista  Popolari per
 Monfalcone, che  aveva  ottenuto  1750  voti,  1  seggio  alla  lista
 Rifondazione comunista, che aveva ottenuto 1183 voti, e nessun seggio
 alla  lista  Partito socialista democratico della sinistra, che aveva
 ottenuto 982 voti.
    In via subordinata, per il caso in cui  la  legge  dovesse  essere
 interpretata,  invece,  nel  senso di dare rilevanza al collegamento,
 effettuato da piu' liste con un medesimo  candidato  alla  carica  di
 sindaco,  anche  in  sede  di  ripartizione  dei  seggi del consiglio
 comunale restanti dopo l'attribuzione dei seggi alle liste  collegate
 al    candidato   eletto   sindaco,   la   ricorrente   ha   eccepito
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, quarto, quinto, sesto  e
 settimo  comma,  della  legge 25 marzo 1993, n. 81, per contrasto con
 gli artt. 3, 48, 49 e 51 della Costituzione.
    Il ricorso e' stato  respinto  dal  tribunale  amministrativo,  il
 quale  ha  osservato  che  la  disposizione dell'art. 7, sesto comma,
 della legge n. 81/1993 non lascia dubbi circa il fatto che il calcolo
 dei quozienti elettorali, anche  per  l'attribuzione  dei  seggi  non
 attribuiti  alle  liste collegate con il candidato eletto alla carica
 di sindaco, debba essere effettuato  con  riferimento  ai  gruppi  di
 liste  collegate con il medesimo candidato alla carica di sindaco. Il
 giudice di primo grado ha poi ritenuto  manifestamente  infondata  la
 questione  di legittimita' costituzionale sollevata dalla ricorrente,
 osservando che la Costituzione non vincola il legislatore ad adottare
 uno piuttosto  che  un  altro  sistema  elettorale,  proporzionale  o
 maggioritario   o   misto,  e  che  anche  un  sistema  proporzionale
 difficilmente puo' evitare qualche differenza di peso tra  i  singoli
 voti  ovvero  tra  le  liste,  penalizzandone  qualcuna e favorendone
 qualcun'altra; pertanto non appaiono irragionevoli le  finalita'  che
 si e' prefisso il legislatore del 1993, di stabilita' e riduzione dei
 partiti  tramite  un sistema elettorale diverso dal proporzionale. Il
 tribunale amministrativo  ha  altresi'  osservato  che  il  principio
 dell'uguaglianza  dei  voti,  sancito dalla Costituzione, riguarda il
 voto al momento della sua espressione, e non  il  momento  successivo
 del  suo peso una volta espresso, il quale dipende dal modo in cui il
 singolo voto concorre con gli  altri  alla  formazione  degli  organi
 elettivi.
    Appella la signora Morsolin, riproponendo la censura di violazione
 dell'art.  7  della  legge  n. 81/1993, e in subordine l'eccezione di
 illegittimita'  costituzionale   sopra   riferita.   In   particolare
 l'appellante,  a  sostegno della propria interpretazione dell'art. 7,
 sesto comma, della legge, sottolinea il fatto che  la  corrispondente
 disposizione   sull'elezione   dei  consigli  provinciali,  contenuta
 nell'art. 9, fa riferimento, per l'attribuzione dei seggi - una volta
 assegnati quelli spettanti al gruppo di candidati o  alla  pluralita'
 di  gruppi  di  candidati  collegati con la candidatura della persona
 eletta presidente della provincia -  ai  voti  riportati  da  ciascun
 gruppo  di  candidati  collegati,  e  non  piu' ai voti riportati dai
 collegamenti di gruppi di candidati collegati.  Per  quanto  riguarda
 l'eccezione di illegittimita' costituzionale, l'appellante sottolinea
 che,  una  volta  soddisfatto  lo  scopo che la legge si prefigge, di
 garantire la stabilita' degli  organi  elettivi  dell'amministrazione
 comunale  attraverso  il "premio di maggioranza" alle liste collegate
 con la candidatura della persona eletta sindaco,  l'ulteriore  deroga
 al  principio  di  proporzionalita'  a  favore  di  altre  liste  non
 corrisponde  a  nessuna  finalita',  e   costituisce   pertanto   una
 irragionevole  alterazione  della  volonta'  degli  elettori, i quali
 votano per singole liste e giammai per una pluralita' di liste aventi
 il medesimo collegamento con candidature alla carica di sindaco.
                             D I R I T T O
    Nell'elezione del consiglio comunale di  Monfalcone  svoltasi  nei
 giorni 6 e 20 giugno 1993, una volta attribuiti alle liste, collegate
 con  la  candidatura  della persona eletta alla carica di sindaco, 12
 seggi, pari al  60  per  cento  dei  seggi  del  consiglio  comunale,
 restavano  da attribuire 8 seggi alle altre liste; tra queste ultime,
 i  Popolari  per  Monfalcone  e  il  Partito  socialista  democratico
 italiano,  che  avevano  ottenuto rispettivamente 1750 e 982 voti, si
 erano presentate collegate con il medesimo candidato alla  carica  di
 sindaco.  L'ufficio  elettorale  centrale comunale determino' i seggi
 spettanti a ciascuna lista considerando le  due  liste  Popolari  per
 Monfalcone  e Partito socialista democratico italiano come se fossero
 un'unica  lista  con  2732  voti  (1750+982)  e  assegnando  a   tale
 coalizione,  in  base  all'ordine  dei quozienti ottenuti da ciascuna
 lista o gruppo di liste, 2 seggi. Piu' precisamente, distinguendo con
 lettere dell'alfabeto le  diverse  liste  minoritarie  e  ponendo  in
 ordine decrescente le rispettive cifre elettorali, i risultati furono
 i  seguenti:  (A)  Lega Nord 3201, (B) Democrazia cristiana 2850, (C)
 Popolari per Monfalcone 1750, (D) Movimento  sociale  italiano  1629,
 (E)  Partito  socialista  italiano  1557,  (F) Rifondazione comunista
 1183, (G) Partito socialista democratico italiano 982. Applicando  il
 sistema  dell'art.  7, cioe' dividendo la cifra elettorale conseguita
 da ciascun gruppo di candidati successivamente per 1, per 2, per 3, e
 cosi'  via,  fino al divisore corrispondente al numero di consiglieri
 da eleggere, ponendo poi in  ordine  decrescente  i  quozienti  cosi'
 ottenuti e formando con gli stessi una graduatoria di tanti quozienti
 quanti  erano  i  consiglieri  da  eleggere,  i  risultati ottenuti e
 proclamati dall'ufficio elettorale furono i seguenti: (A)  3201,  (B)
 2850,  (C+G)  2732,  (D)  1629, (A) 1600,5, (E) 1557, (B) 1425, (C+G)
 1366, con conseguente assegnazione di 2 seggi alle due liste Popolari
 per   Monfalcone   e   Partito   socialista   democratico   italiano,
 unitariamente considerate, e di nessun seggio alla lista Rifondazione
 comunista.  I  2 seggi assegnati alle due liste furono poi ripartiti,
 assegnandone 1 al candidato alla  carica  di  sindaco  collegato  con
 entrambe le liste, e 1 alla lista Popolari per Monfalcone.
    Secondo  la tesi dell'appellante, cioe' tenendo conto soltanto dei
 quozienti elettorali delle singole liste e non anche dai collegamenti
 con le liste effettuati dai candidati  alla  carica  di  sindaco,  si
 ottiene  invece  il seguente risultato: (A) 3201, (B) 2850, (C) 1750,
 (D) 1629, (A) 1600,5, (E) 1557, (B) 1425, (F) 1183,  con  conseguente
 assegnazione  di 1 seggio a Rifondazione comunista e di nessun seggio
 al Partito socialista democratico italiano.  Va  da  se'  che  questo
 secondo  risultato,  ottenuto  considerando  solo le cifre elettorali
 delle liste, rispecchia maggiormente le  preferenze  date  dal  corpo
 elettorale  appunto  alle  diverse  liste,  dal  momento che la cifra
 elettorale di Rifondazione comunista, coincidente con  il  suo  primo
 quoziente  (1183:1),  e'  superiore alla cifra elettorale del Partito
 socialista democratico italiano (982).
    Si pone dunque la questione se, nel sistema elettorale  introdotto
 dalla  legge  25 maggio 1993, n. 81, una volta assegnato non meno del
 60 per cento dei seggi del consiglio comunale alla lista con la quale
 era collegato il candidato eletto sindaco, ovvero alla pluralita'  di
 liste  con  le  quali  era collegato de'tto candidato, si debba tener
 conto o meno, per l'assegnazione dei restanti seggi, del fatto che un
 medesimo candidato alla carica di sindaco,  tra  quelli  non  eletti,
 avesse  dichiarato di collegarsi con piu' di una lista, e considerare
 queste ultime liste, aventi in comune tra loro il collegamento con lo
 stesso candidato alla carica di sindaco,  come  se  fossero  un'unica
 lista.
    La  sezione  ha gia' risolto, con decisione 31 marzo 1994, n. 247,
 la corrispondente questione presentatasi a proposito  delle  elezioni
 dei  consigli  provinciali,  nel  senso  che  la  circostanza  che un
 medesimo candidato alla carica di presidente  della  provincia  abbia
 espresso  il collegamento con piu' gruppi di candidati alla carica di
 consigliere provinciale, non esplica effetti sulla  attribuzione  dei
 seggi  restanti, una volta attribuiti quelli spettanti ai gruppo o ai
 gruppi di candidati collegati con la candidatura della persona eletta
 presidente della provincia; e che, pertanto, de'tta attribuzione  dei
 seggi  residui  debba  essere  effettuata  con  riguardo  alla  cifra
 elettorale dei singoli gruppi di candidati.  A  tale  conclusione  la
 sezione  e'  pervenuta, nella decisione n. 247/1994, considerando che
 l'art. 9 della legge n. 81/1994 fa  riferimento,  per  l'attribuzione
 dei  seggi  residui,  ai  quozienti  spettanti  "a  ciascun gruppo di
 candidati collegati", mentre per l'attribuzione dei seggi al gruppo o
 alla pluralita'  di  gruppi  di  candidati  collegati,  ai  quali  e'
 collegato il presidente della provincia, la legge menziona "il gruppo
 o  i gruppi" di candidati collegati; ed ha osservato altresi' che non
 vi e' ragione testuale o logica  per  ritenere  che  anche  i  gruppi
 minoritari  debbano  essere  considerati  unitariamente, alterando la
 volonta' del corpo elettorale, senza che sussista piu'  lo  scopo  di
 assicurare  l'appoggio  di  una  maggioranza consiliare al presidente
 della  provincia   e   la   conseguente   stabilita'   di   indirizzo
 amministrativo dell'ente locale.
    La  disposizione sui consigli comunali con piu' di 15.000 abitanti
 - come quello di Monfalcone; per i  comuni  con  popolazione  fino  a
 15.000  abitanti  la  questione non si pone, perche' ogni candidatura
 alla carica di sindaco e' collegata con una sola  lista  -  e'  pero'
 diversamente formulata. L'art. 7, sesto comma, della legge n. 81/1994
 recita,  infatti:  "Qualora  un  candidato alla carica di sindaco sia
 proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste  ad
 esso  collegate  che  non  abbia gia' conseguito, ai sensi del quarto
 comma, almeno il 60 per  cento  dei  seggi  del  consiglio  ma  abbia
 superato  il  50 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per
 cento dei seggi. Qualora un candidato  alla  carica  di  sindaco  sia
 proclamato  eletto  al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste
 ad esso collegate che non abbia gia' conseguito, ai sensi del  quarto
 comma,  almeno  il  60  per  cento  dei  seggi  del  consiglio, viene
 assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreche' nessuna altra lista o
 altro gruppo di liste collegate abbia gia' superato nel  primo  turno
 il  50  per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati
 alle altre liste o gruppi di liste  collegate  ai  sensi  del  quarto
 comma".  Il  riferimento  ai  "gruppi  di liste collegate", contenuto
 nell'ultima proposizione,  non  lascia  dubbi,  come  giustamente  ha
 affermato  il  tribunale amministrativo, sul fatto che, anche in sede
 di ripartizione dei seggi di minoranza, debba  aversi  riguardo  alle
 pluralita'  di  liste  aventi  collegamento con il medesimo candidato
 alla carica di sindaco, considerandole come una sola lista, salva  la
 successiva ripartizione dei seggi, loro complessivamente assegnati, a
 ciascuna di esse.
    Il  collegio  ritiene,  invece,  che  la questione di legittimita'
 costituzionale sollevata  dalla  ricorrente  non  sia  manifestamente
 infondata.
    E'  vero  che  il  principio  di  uguaglianza  del  voto,  sancito
 dall'art. 48, secondo  comma,  della  Costituzione,  di  per  se'  e'
 diretto  a  vietare un diverso peso del voto a seconda delle qualita'
 personali dell'elettore (divieto che, peraltro, discende  gia'  dalla
 regola  della  segretezza  del  voto, ove non si ipotizzino votazioni
 separate per categorie di elettori); tuttavia, sembra che esso non si
 esaurisca in quel divieto, e che  comporti  invece  un  principio  di
 maggioranza, in definitiva coincidente con il principio di sovranita'
 popolare  sancito  dall'art.  1, secondo comma, della Costituzione, e
 che, secondo il sistema elettorale e  l'oggetto  dell'elezione,  puo'
 atteggiarsi  come  principio  di  proporzionalita'. L'uguaglianza del
 voto si risolve, in definitiva, nell'ovvia regola che e'  eletto  chi
 ha piu' voti.
    Va premesso che la proporzionalita', propriamente intesa, consiste
 nella   relazione  tra  due  grandezze  misurabili,  tale  che,  alla
 variazione dell'una, corrisponda una variazione dell'altra, e che  il
 rapporto  tra le due grandezze rimanga sempre uguale. E' naturale che
 in materia elettorale il concetto di proporzionalita'  venga  assunto
 in  modo  improprio.  Un  sistema proporzionale "puro" non e' neppure
 ipotizzabile,  dal  momento  che  delle  due  grandezze,   il   corpo
 elettorale da una parte e l'organo da eleggere dall'altra, la seconda
 e' composta da un numero di unita' non frazionabili, cioe' di persone
 fisiche,  enormemente piu' piccolo che la prima. La proporzionalita',
 anche nei sistemi elettorali congegnati in  modo  da  avvicinarsi  il
 piu'  possibile  a  un risultato propriamente proporzionale, consiste
 nel far corrispondere una unita'  dell'organo  da  eleggere  ad  ogni
 insieme  di  voti,  corrispondente  al  quoziente tra il numero delle
 unita' del corpo  elettorale  e  il  corpo  da  eleggere,  e  percio'
 comporta  grandi approssimazioni, che si aggiungono, eventualmente, a
 quelle derivanti dalla necessita' di suddividere il  territorio,  nel
 quale  l'elezione  deve svolgersi, in circoscrizioni a ciascuna delle
 quali   viene   assegnata,   con   proporzionalita'   necessariamente
 approssimata,  l'elezione  di  una  parte  dei  componenti  del corpo
 elettivo. Non vengono percio' in discussione, a differenza di  quanto
 e' stato ritenuto in primo grado, le inevitabili "differenze di peso"
 dei  singoli voti dovute alle approssimazioni di un qualsiasi sistema
 proporzionale a voto di lista; ma appunto si tratta di "differenze di
 peso"  tra  i  singoli  voti,  cioe'   di,   sia   pur   inevitabili,
 disuguaglianze.  Non viene neppure in discussione la legittimita' dei
 sistemi elettorali  detti  "maggioritari",  intendendo  per  tali  le
 elezioni  nelle  quali  l'organo da eleggere sia composto da una sola
 persona, ovvero nelle quali il  territorio  interessato  all'elezione
 sia  diviso  in  circoscrizioni  uninominali;  in tali casi, non puo'
 neppure parlarsi di proporzionalita', e il principio  di  uguaglianza
 del  voto si fonde con il principio di maggioranza, secondo cui viene
 eletto il candidato  che  ha  ottenuto  la  maggioranza,  relativa  o
 qualificata, dei voti. La questione sollevata dalla ricorrente non e'
 neppure  quella  della legittimita' di un "premio di maggioranza" che
 venga dalla legge previsto a favore della lista che  abbia  riportato
 la  maggioranza,  relativa  o  qualificata, dei voti; in tal caso, la
 proporzionalita' viene alterata per la  finalita'  specifica  che  il
 legislatore  si  prefigge,  di  assicurare  la  stabilita'  di azione
 dell'organo, e inoltre, si tratta di una attribuzione di seggi  "piu'
 che proporzionale", nella quale il rapporto tra voti e seggi, pur non
 rimanendo  uguale con il variare dei voti, mantiene pero' l'identita'
 di segno, nel senso che la lista, che ottiene un  maggior  numero  di
 seggi  rispetto ad un'altra, ha pur sempre ottenuto un numero di voti
 maggiore di quella. Infine, non viene in  considerazione  neppure  il
 premio  di maggioranza previsto dall'art. 7 della legge n. 81/1993, a
 favore  di  piu'  liste,  unitariamente  considerate,  che  si  siano
 presente   collegate   con   il  candidato  eletto  poi  sindaco.  In
 quest'ultimo caso,  ben  puo'  verificarsi  che  una  lista,  che  ha
 ottenuto  meno  voti  di  un'altra,  ottenga  piu'  seggi  di quella;
 tuttavia, l'alterazione della volonta' popolare rispetto alle  liste,
 che  indubbiamente si verifica quando una lista con meno voti ottenga
 piu' seggi, trova una spiegazione  nell'intento  del  legislatore  di
 garantire  una stabile maggioranza consiliare in appoggio al sindaco,
 a favore della cui nomina, principalmente, si e'  espresso  il  corpo
 elettorale.
    La  questione  sollevata  dall'appellante  e',  invece,  se  in un
 sistema proporzionale a liste concorrenti, quale e' pur sempre quello
 per l'elezione del consiglio comunale, il  principio  di  uguaglianza
 del  voto,  ovvero  di  sovranita'  popolare  o  di  maggioranza o di
 proporzionalita',  possa  essere  alterato al punto di consentire che
 una lista, che ha ottenuto meno voti, ottenga piu' seggi,  senza  che
 cio'   consegua   alle  inevitabili  approssimazioni  di  un  sistema
 elettorale, ne' corrisponda a una specifica finalita', come quella di
 assicurare  una  stabile  maggioranza  o  di  evitare  un   eccessivo
 frazionamento dell'organo.
    A   quest'ultimo   proposito,   non  sembra  che  sussista,  nella
 denunciata  disposizione,  la  finalita'   di   evitare   l'eccessivo
 frazionamento  dell'organo  riducendo i partiti in esso presenti; non
 si tratta, infatti, di una disposizione che  stabilisca  un  successo
 elettorale  minimo  come  condizione  per  conseguire seggi, e sembra
 evidente che, nel caso in esame, il numero dei partiti  presenti  nel
 consiglio  comunale  sarebbe  lo  stesso,  tanto assegnando il seggio
 contestato  al  Partito  socialista  democratico   italiano,   quanto
 assegnandolo a Rifondazione comunista.
    Al  dubbio  di  violazione  della  regola di uguaglianza del voto,
 sancita  dall'art.  48,  secondo  comma,   della   Costituzione,   si
 accompagna  quello  di violazione del diritto di tutti i cittadini ad
 accedere alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza,  sancito
 dall'art.  51,  primo  comma,  della  Costituzione: la prospettazione
 costituisce il risvolto di quella relativa all'art.  48,  poiche'  al
 principio  maggioritario e di uguaglianza del voto corrisponde quello
 del pari trattamento dei candidati, che puo' essere limitato solo per
 realizzare altri interessi  costituzionali  fondamentali  e  generali
 (Corte  costituzionale,  3 maggio 1988, n. 235 e 14 dicembre 1990, n.
 539) e purche' le diversita' di trattamento si ispirino a criteri  di
 razionalita' (Corte costituzionale, 23 maggio 1985, n. 158).
    Non   sembra   manifestamente   infondato  neppure  il  dubbio  di
 violazione dell'art. 49 della Costituzione, da cui puo' desumersi  la
 regola   del  pari  trattamento  delle  liste  elettorali,  le  quali
 null'altro sono che i partiti politici nel momento elettorale, se per
 partiti  politici  si  intendono  le  aggregazioni,   piu'   o   meno
 contingenti  o stabili, mediante le quali i cittadini concorrono alla
 vita politica.
    Per  quanto  riguarda  l'individuazione  delle   disposizioni   da
 sottoporre  al  giudizio di legittimita' costituzionale, l'appellante
 da una  parte  argomenta  che  il  quarto,  quinto  e  settimo  comma
 dell'art. 7 della legge n. 81 del 1993 - che prevedono l'attribuzione
 di  un  seggio  al  consiglio  comunale,  con priorita' sui candidati
 consiglieri, al candidato sindaco  non  eletto,  collegato  con  piu'
 liste - non contraddicono alla tesi, secondo cui le liste minoritarie
 debbono  essere  prese  in  considerazione separatamente; dall'altra,
 solleva questione di legittimita' costituzionale anche  relativamente
 a  quelle  disposizioni.  Il  collegio  osserva  che  la questione di
 legittimita'  costituzionale  rilevante  nel  presente  giudizio   e'
 limitata  alle  parole  "o  gruppi di liste collegate", contenuta nel
 sesto comma, ultima proposizione, dell'art. 7, tanto nel caso in  cui
 le  altre  disposizioni  dell'art.  7  siano  neutrali  rispetto alla
 questione degli effetti del  collegamento  delle  liste  minoritarie,
 quanto  nel  caso  che  esse  confermino il disposto del sesto comma,
 sospettato di illegittimita' costituzionale,  e  che  ad  esse  possa
 estendersi un'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale.
    La  rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale nel
 presente giudizio non ha bisogno di essere ulteriormente illustrata.