ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso del Tribunale di Napoli -  Collegio
 per  i  procedimenti  relativi  ai  reati previsti dall'art. 96 della
 Costituzione, notificato il 13 giugno 1994, depositato in Cancelleria
 il 23 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito delle
 deliberazioni del 23 febbraio 1994 e del 18  dicembre  1993,  con  le
 quali la Camera dei deputati restituiva al Collegio gli atti relativi
 alla  domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dell'on. le
 Luigi Ciriaco De Mita e dei coindagati  ed  iscritto  al  n.  22  del
 registro conflitti 1994;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  ottobre  1994  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Udito l'avv. Federico Sorrentino per la Camera dei deputati;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ricorso depositato in data 23 marzo  1994  il  Collegio
 istituito  presso il Tribunale di Napoli per i procedimenti aventi ad
 oggetto i reati  (c.d.  ministeriali)  previsti  dall'art.  96  della
 Costituzione,  al  quale  il  Procuratore  della Repubblica presso lo
 stesso tribunale aveva trasmesso  gli  atti  relativi  all'on.  Luigi
 Ciriaco De Mita, gia' Presidente del Consiglio dei ministri, ed altri
 per  il compimento delle indagini preliminari di cui all'art. 7 legge
 16 gennaio 1989, n. 1, ha sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra
 poteri  dello  Stato,  ai  sensi  dell'art.  134 della Costituzione e
 dell'art. 37 legge 11 marzo 1953, n. 87, nei confronti  della  Camera
 dei  deputati, in relazione alle deliberazioni del 23 febbraio 1994 e
 del 18 dicembre 1993,  con  le  quali  la  Camera  ha  restituito  al
 Collegio gli atti relativi alla domanda di autorizzazione a procedere
 nei confronti dell'on. Luigi Ciriaco De Mita e dei coindagati.
    1.2. - In particolare con nota del 21 dicembre 1993, il Presidente
 della  Camera  dei  deputati comunicava che l'Assemblea, nella seduta
 del 18 dicembre 1993, aveva deliberato  di  restituire  gli  atti  al
 Collegio  affinche'  quest'ultimo  avesse la possibilita' di rivedere
 l'interpretazione delle norme attributive dei suoi poteri  d'indagine
 e  quindi,  ove  ne  ravvisasse l'opportunita', di compiere tutti gli
 atti che la legge gli consentiva. Il Collegio,  acquisito  il  parere
 del   Procuratore   della   Repubblica,   disponeva  nuovamente  (con
 provvedimento del 16 febbraio 1994) la trasmissione degli  atti  alla
 Camera  dei  deputati  per  le  valutazioni e la deliberazione di cui
 all'art. 9, comma 3, legge costituzionale n. 1 del 1989 sulla domanda
 di autorizzazione a procedere cosi' come gia' proposta in precedenza.
    Per quanto atteneva ai suoi poteri d'indagine il  Collegio  -  pur
 ritenendo  l'utilita' o la necessita' di procedere all'interrogatorio
 dei coindagati laici e ad eventuali confronti -  sosteneva  che  tali
 atti  di indagine preliminare non fossero consentiti; e cio' perche',
 fino a quando l'autorizzazione non fosse  stata  concessa,  gli  atti
 indicati  dall'art.  343,  comma 2, c.p.p. (e tra gli altri, appunto,
 gli atti di interrogatorio e di confronto) non  sono  consentiti  (in
 particolare)  nei  confronti  delle  persone  concorrenti  nel  reato
 ministeriale che non siano ne' Ministro, ne' parlamentare, atteso che
 dal dato testuale dell'art. 5 legge costituzionale n. 1  del  1989  e
 dell'art.  4,  secondo  comma,  della  legge  n.  219  del  1989 deve
 necessariamente desumersi che anche per tali  persone  e'  necessaria
 l'autorizzazione prevista dall'art. 96 della Costituzione.
    Con  successiva  nota  del  23  febbraio 1994, il Presidente della
 Camera dei deputati comunicava che l'Assemblea, in  conformita'  alla
 proposta  della  giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere, aveva
 deliberato (in pari data) di restituire nuovamente  al  Collegio  gli
 atti  relativi  alla  domanda  di  autorizzazione  a procedere con la
 motivazione analoga a quella della delibera precedente.
    Con  riferimento  a  tali  due  delibere  il  Collegio,  acquisito
 nuovamente  il  parere del Procuratore della Repubblica, ha sollevato
 conflitto tra poteri dello Stato chiedendo di: a) dichiarare  che  e'
 riservata in via esclusiva al Collegio ex art. 7 legge costituzionale
 n. 1 del 1989 la valutazione circa la sussistenza dei presupposti per
 l'adozione del provvedimento di archiviazione ovvero per la richiesta
 di   autorizzazione   a   procedere   ai  sensi  dell'art.  96  della
 Costituzione; b) dichiarare che, ai  fini  di  tale  valutazione,  e'
 altresi'   riservata   in   via   esclusiva  al  Collegio  la  esatta
 determinazione  dei  poteri  di   indagine   e   quindi   l'esercizio
 discrezionale di detti poteri; c) dichiarare che rientra invece nelle
 attribuzioni  della  Camera  competente  concedere l'autorizzazione a
 procedere, ovvero negarla ove reputi la ricorrenza delle esimenti  di
 cui  all'art.  9, comma terzo, legge costituzionale n. 1 del 1989, in
 relazione  al  fatto-reato  cosi'  come   ipotizzato   dall'autorita'
 giudiziaria,   senza  poter  in  alcun  modo  sindacare  il  concreto
 esercizio del  potere  d'indagine  e  le  conseguenti  determinazioni
 adottate  dal  Collegio  nell'ambito  delle  attribuzioni allo stesso
 riservate; d) di annullare la deliberazione della Camera dei deputati
 del 23 febbraio 1994, e se del caso anche la precedente deliberazione
 del 18 dicembre  1993,  per  violazione  degli  artt.  8  e  9  legge
 costituzionale  16  gennaio  1989 n. 1 e degli artt. 96, 101, secondo
 comma, 104, primo comma, e 112  della  Costituzione  con  conseguente
 rinvio  degli  atti  alla  Camera  per la definitiva deliberazione ai
 sensi dell'art. 9 cit.
    1.3. - Nel merito della questione controversa (necessita', o meno,
 dell'autorizzazione a procedere anche per i coindagati laici e quindi
 possibilita', o meno, di compiere atti di  indagine  preliminare  nei
 loro   confronti  prima  della  autorizzazione  stessa)  il  Collegio
 sostiene  l'inammissibilita',  in   assenza   dell'autorizzazione   a
 procedere, di quegli atti di interrogatorio o confronto richiesti dal
 Procuratore della Repubblica e sollecitati dalla Camera dei deputati,
 trattandosi  di  atti  vietati  dalla  legge,  che, ove mai compiuti,
 risulterebbero inutilizzabili ai sensi del quarto comma dell'art. 343
 c.p.p.
    A sostegno di tale convincimento il Collegio argomenta che  l'art.
 1  della  legge  n.  219  del  1989  rinvia  alle norme del codice di
 procedura penale sia attribuendo al collegio i poteri che secondo  il
 codice  spettano  al pubblico ministero ed al giudice per le indagini
 preliminari (comma secondo), sia stabilendo in via generale che,  per
 quanto  non diversamente previsto dalla legge costituzionale n. 1 del
 1989 e dalla legge n. 219 del 1989, nello svolgimento delle  indagini
 preliminari  si  osservano  le  disposizioni  del  codice,  in quanto
 compatibili (comma quinto); quindi in particolare trova  applicazione
 l'art.   343,  comma  2,  c.p.p  .  Ne'  all'applicabilita'  di  tale
 disposizione e' di ostacolo l'art. 10 legge costituzionale n.  1  del
 1989  che  e' diretta ad attuare un maggiore favore per l'indagato di
 reato ministeriale che sia  Presidente  del  Consiglio,  Ministro,  o
 membro del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati.
    Viceversa  la  Camera - diversamente interpretando le disposizioni
 citate - da un lato  con  le  impugnate  deliberazioni  ha  di  fatto
 vanificato  e  resa priva di effetto la richiesta di autorizzazione a
 procedere, cosi' esonerandosi dall'obbligo della pronunzia  ai  sensi
 dell'art.  9,  terzo  comma,  legge  costituzionale  n.  1  del 1989;
 dall'altro pretende che il Collegio si adegui alla interpretazione di
 essa Camera circa i poteri  di  indagine  di  cui  all'art.  8  legge
 costituzionale  n.  1 del 1989 e comunque pretende l'espletamento, da
 parte del Collegio, di ulteriori indagini, cui dovrebbe  seguire  una
 nuova  valutazione  sul  punto  se  si debba disporre l'archiviazione
 ovvero se debba essere chiesta l'autorizzazione a procedere.
    Invece - prosegue il Collegio - l'art. 8 legge costituzionale n. 1
 del 1989 riserva all'autorita' giudiziaria  l'attivita'  di  indagine
 preliminare  in  ordine  ai  reati  ministeriali e, conseguentemente,
 soltanto a tale autorita' compete la valutazione  dei  limiti  legali
 entro  i  quali l'attivita' medesima deve svolgersi; mentre la Camera
 competente, una volta investita della richiesta di  autorizzazione  a
 procedere,  puo'  solo concedere l'autorizzazione ovvero negarla, ove
 reputi che l'inquisito abbia agito per  la  tutela  di  un  interesse
 dello  Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento
 di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione  di
 Governo,  ma  non  puo'  sindacare l'attivita' d'indagine preliminare
 svolta dall'autorita' giudiziaria  sulla  base  del  potere  ad  essa
 riconosciuto  dalla  norma costituzionale. Quindi il provvedimento di
 restituzione  degli  atti  al  Collegio  esorbita  dalla   sfera   di
 attribuzioni  della  Camera  in  quanto  invasivo di quelle riservate
 dalla  legge  costituzionale  all'autorita'  giudiziaria,  mentre  la
 Camera  - senza pretendere di indicare a tale autorita' la necessita'
 del  compimento  di  ulteriori  attivita' d'indagine - avrebbe dovuto
 unicamente prendere atto delle risultanze delle indagini esperite.
    2. - Con ordinanza n. 217 del  1994  la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato ammissibile il conflitto.
    3.  -  Con atto depositato il 23 giugno 1994, il suddetto Collegio
 per i procedimenti relativi ai  reati  previsti  dall'art.  96  della
 Costituzione  presso  il  Tribunale  di  Napoli  si  e' costituito in
 giudizio insistendo per l'accoglimento del ricorso.
    4.1. - Con atto depositato il 4 luglio 1994 si  e'  costituita  in
 giudizio  la Camera dei deputati a seguito di delibera dell'Assemblea
 del 16 giugno 1994, chiedendo che il ricorso sia respinto.
    4.2. - Preliminarmente in rito la difesa della Camera fa  presente
 che  l'on.  De  Mita,  non  essendosi  candidato alle elezioni per il
 rinnovo delle Camere del 27 e 28 marzo 1994 ha cessato di  far  parte
 della   Camera   dei   deputati  con  effetto  dal  15  aprile  1994.
 Conseguentemente, non essendosi  ancora  pronunciata  la  Camera  dei
 deputati  in ordine all'autorizzazione a procedere e quindi in ordine
 alle  c.d.  esimenti   previste   dall'art.   9,   comma   3,   legge
 costituzionale  n.  1  del  1989,  la  relativa  competenza,  dopo la
 decisione di merito della Corte, non potra' che  spettare  al  Senato
 della  Repubblica. Si ha quindi che - pur permanendo l'interesse alla
 decisione  sia  del  Tribunale  ricorrente  sia  della  Camera  -  la
 risoluzione  del  conflitto finira' per interessare, delimitandone le
 attribuzioni, anche il Senato, al quale spettera' di pronunciarsi,  a
 seconda   dell'esito   del   giudizio,   sull'originaria  domanda  di
 autorizzazione ovvero su una nuova richiesta. Sul  piano  processuale
 cio'  comporta  che  deve  ordinarsi al ricorrente l'integrazione del
 contraddittorio nei confronti del Senato  della  Repubblica,  le  cui
 attribuzioni  costituzionali sono suscettibili di essere incise dalla
 pronuncia che la Corte e' chiamata a rendere.
    4.3. - Nel merito la Camera non  contesta  l'esclusiva  competenza
 del   Collegio   a   valutare  la  sussistenza  dei  presupposti  per
 l'archiviazione  ovvero   per   la   richiesta   di   autorizzazione,
 trattandosi  di accertamenti e di valutazioni che la nuova disciplina
 costituzionale dei reati  ministeriali  ha  indubbiamente  rimesso  a
 detto  organismo.  Pero'  alla  Camera  spetta un'ulteriore e diversa
 valutazione, definita "insindacabile" dall'art.  9  cit.,  in  merito
 alla  richiesta  autorizzazione dovendo essa accertare se l'inquisito
 abbia  agito  per   la   tutela   di   un   interesse   dello   Stato
 costituzionalmente  rilevante  ovvero  per  il  perseguimento  di  un
 preminente  interesse  pubblico  nell'esercizio  della  funzione   di
 governo.  Cio' comporta che se da una parte al Collegio spetta in via
 esclusiva  la  valutazione  dei  presupposti   per   l'adozione   del
 provvedimento   di   archiviazione   ovvero   per   la  richiesta  di
 autorizzazione  a  procedere  e  ad  esso  e'  riservata  la   esatta
 determinazione  dei suoi poteri d'indagine e quindi il loro esercizio
 discrezionale, d'altra parte la Camera ha diritto di essere investita
 di una richiesta di autorizzazione a procedere non in forma del tutto
 ipotetica, ma in maniera sufficientemente precisa e con  il  conforto
 di approfonditi elementi probatori, si' da essere posta in condizione
 di  affermare  l'eventuale  interesse  dello Stato costituzionalmente
 rilevante ovvero  il  preminente  interesse  pubblico  nell'esercizio
 della funzione di governo.
    Quindi  il Collegio non puo' limitarsi ad una mera delibazione dei
 fatti-reato, ma deve esperire tutte le indagini che, secondo il nuovo
 codice, sono di competenza del  g.i.p.  (recte:  e  del  p.m.),  onde
 pervenire alla formulazione di precisi e comprovati addebiti a carico
 del  ministro e degli altri coindagati. E nel compimento di tali atti
 di indagine preliminare il Collegio erroneamente non tiene conto  del
 fatto  che  la  disposizione  dell'art.  343  c.p.p.  deve  ritenersi
 derogata dalla legge n.  1/89,  che  prevede  specifiche  ipotesi  di
 autorizzazioni  per  singoli  atti  nei  confronti del Presidente del
 Consiglio, dei Ministri e dei membri del Parlamento (art.  10,  comma
 1),  senza  peraltro  distinguere  tra  la  fase  anteriore  e quella
 successiva alla concessione dell'autorizzazione a  procedere.  Questa
 disposizione  dimostra  che,  fuori di tali ipotesi, e' consentita al
 Collegio ogni attivita' istruttoria di competenza del g.i.p.  (recte:
 e  del  p.m.), senza le limitazioni dell'art. 343 c.p.p., in modo che
 il Parlamento abbia un'approfondita conoscenza dei fatti per i  quali
 si  procede  e  possa verificare se essi furono compiuti in vista dei
 supremi interessi dello Stato.
    A conferma della specialita' dell'autorizzazione  a  procedere  la
 difesa  della  Camera ricorda che il termine per svolgere le indagini
 preliminari non e' perentorio; che comunque e' piu' ampio  di  quello
 previsto  dall'art. 344 c.p.p. (novanta giorni invece di trenta); che
 il  Procuratore   della   Repubblica   puo',   prima   dell'eventuale
 archiviazione,  chiedere  al  Collegio di svolgere ulteriori indagini
 con conseguente prolungamento delle stesse oltre  il  termine  di  90
 giorni.  In  particolare  la  maggior durata del termine non puo' non
 correlarsi con la maggior ampiezza delle indagini e quindi dei poteri
 istruttori  riservati  al  Collegio   prima   dell'autorizzazione   a
 procedere.
    In  conclusione  - secondo la difesa della Camera - la circostanza
 che il Collegio ricorrente, pur avendone i poteri, non abbia  aderito
 alle  richieste  del  p.m.  di  procedere  agli  interrogatori  degli
 inquisiti ed ai confronti tra  di  essi,  onde  verificare  tanto  il
 fondamento  delle ipotesi accusatorie nei confronti dell'On. De Mita,
 quanto la connessione, costituzionalmente necessaria  ai  fini  della
 sua  competenza,  tra  le ipotesi accusatorie stesse e la funzione di
 Presidente del Consiglio dei Ministri, dimostra la correttezza  e  la
 legittimita'  delle impugnate delibere della Camera, che non e' stata
 posta in grado di valutare i fatti addebitati agli indagati.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Collegio  inquirente  per  reati  ministeriali,  istituito
 presso  il  Tribunale di Napoli, sollevando conflitto di attribuzione
 tra poteri dello Stato ex art. 37 legge 11  marzo  1953,  n.  87,  ha
 investito  la  Corte  della  questione  se  la  Camera dei deputati -
 esercitando  il  potere  (di   sua   esclusiva   ed   "insindacabile"
 competenza)  di  valutare  l'esistenza,  o meno, delle circostanze di
 fatto previste dall'art. 9, comma 3, legge costituzionale  n.  1  del
 1989 al fine dell'eventuale concessione o diniego di autorizzazione a
 procedere  ed  in  particolare  nella  specie restituendo al Collegio
 inquirente (con deliberazioni del 18 dicembre 1993 e del 23  febbraio
 1994)   la   richiesta   di   autorizzazione  a  procedere  affinche'
 quest'ultimo, rimeditata la interpretazione delle  norme  attributive
 dei   suoi  poteri  di  indagine,  compisse,  ove  ne  ravvisasse  la
 opportunita', tutti gli atti  che  la  legge  gli  consentiva  ed  in
 particolare,   quindi,   quelli   gia'   inizialmente  richiesti  dal
 Procuratore  della  Repubblica (interrogatorio dei coindagati laici e
 confronto fra gli stessi) e non  effettuati  ancorche'  dal  Collegio
 ritenuti utili - abbia interferito nel potere di esclusiva competenza
 del Collegio stesso di compiere le indagini preliminari (art. 9 legge
 costituzionale  n.  1  del  1989)  ed  in particolare nella specie di
 valutare autonomamente l'esistenza  (ritenuta  dal  Collegio)  di  un
 impedimento   giuridico   al  compimento  degli  atti  richiesti  dal
 Procuratore della Repubblica, e richiamati dalla Camera,  impedimento
 rappresentato  (secondo  il Collegio) dall'impossibilita' di svolgere
 le attivita' processuali previste dall'art. 343, comma 2, c.p.p.  nei
 confronti dei coindagati laici senza la preventiva concessione, anche
 nei  loro  riguardi,  dell'autorizzazione  a procedere di cui al cit.
 art. 9.
    2.  -  Sussistono  i  presupposti  soggettivi  ed  oggettivi   del
 conflitto,   come  gia'  ritenuti  con  ordinanza  n.  217  del  1994
 dichiarativa dell'ammissibilita' del conflitto stesso; ammissibilita'
 che quindi va definitivamente affermata.
    3. - Preliminarmente va esaminato  il  rilievo  della  Camera  dei
 deputati  la  quale osserva che, dopo la proposizione del ricorso per
 conflitto di attribuzioni da parte del Collegio inquirente, ma  prima
 della  ordinanza  della  Corte che ha dichiarato l'ammissibilita' del
 conflitto, l'on. le De Mita, non essendosi  candidato  alle  elezioni
 del  27  e  28  marzo 1994, ha cessato di fare parte della Camera dei
 deputati con effetto dal 15 aprile 1994. E ne trae la conseguenza che
 la  competenza  a  decidere  sulla  richiesta  di  autorizzazione   a
 procedere  avanzata  nei  suoi confronti (dopo la decisione di merito
 della Corte) non potra' che spettare al Senato della Repubblica  alla
 stregua  del  criterio  di  riparto di competenza dettato dall'art. 5
 legge costituzionale, n. 1 del 1989. Donde, ad avviso  della  Camera,
 la  necessita'  di  integrare  il  contraddittorio  nei confronti del
 Senato della Repubblica.
    4. - Premesso che spetta a questa Corte identificare  gli  "organi
 interessati"  alla  risoluzione del conflitto (quarto comma dell'art.
 37  cit.)  e  non  tacendo  che  improprio  appare   il   riferimento
 all'istituto   dell'integrazione   del   contraddittorio  atteso  che
 comunque il potere di  negare  l'autorizzazione  a  procedere  spetta
 alternativamente  (e non gia' congiuntamente) alla Camera o al Senato
 (art. 5 legge costituzionale n. 1/89), neppure puo'  dubitarsi  della
 persistente legittimita' della Camera a resistere nel conflitto.
    Ed infatti la turbativa o interferenza, che il Collegio inquirente
 assume  essere  di ostacolo all'esercizio del suo potere (di svolgere
 indagini preliminari) e costituire conseguentemente  ragione  di  una
 insuperabile   situazione   di   stallo,   e'   identificabile  nella
 restituzione degli atti ad opera della Camera (con deliberazioni  del
 18  dicembre  1993  e del 22 febbraio 1994) senza alcuna pronuncia in
 ordine al diniego o alla concessione dell'autorizzazione a procedere.
    Cio' comporta, da una parte, che legittimata a resistere era ed e'
 la Camera perche' la sopravvenuta perdita dello  status  di  deputato
 dell'on.  le De Mita (pur ammesso che possa incidere sulla competenza
 ex art. 5 cit.) non ha certo  l'effetto  (automatico)  di  porre  nel
 nulla  le  suddette  deliberazioni  della  Camera  stessa e quindi di
 rimuovere l'ostacolo che il Collegio  inquirente  assume  sussistere;
 con  la  conseguenza  che  persiste  l'interesse  alla  soluzione del
 conflitto sia della Camera (come del resto sostenuto  dalla  medesima
 nelle  sue  difese)  sia del Collegio inquirente (che, insistendo per
 l'accoglimento del ricorso, non ha neppure ipotizzato il  superamento
 della ragione del conflitto).
    5. - Nel merito il ricorso non e' fondato.
    Va preliminarmente rilevato che il quadro normativo di riferimento
 e'  stato  profondamente innovato prima dalla legge costituzionale 16
 gennaio 1989 n. 1 e poi dalla legge ordinaria 5 giugno 1989, n.  219,
 che  ha  completato  il  disegno riformatore. Superando il precedente
 regime della messa in stato d'accusa da parte del  Parlamento  e  del
 giudizio innanzi alla Corte Costituzionale integrata, la citata legge
 n.  1/89  ha  diversamente cadenzato l'iter procedimentale, che muove
 dalla notitia criminis presentata od  inviata  al  Procuratore  della
 Repubblica  presso  il tribunale del capoluogo del distretto di Corte
 d'appello competente per territorio (art. 6). Questi, senza  compiere
 alcun  atto  di  indagine,  deve  limitarsi  ad investire il Collegio
 inquirente previsto dal successivo art. 7  trasmettendogli  gli  atti
 con  le  sue richieste entro il termine di quindici giorni. E' invece
 il Collegio che compie le indagini preliminari entro  il  termine  di
 novanta   giorni,  all'esito  delle  quali  (salva  la  richiesta  di
 ulteriori indagini da parte dello stesso Procuratore della Repubblica
 da effettuarsi nel termine,  cosi'  prorogato,  di  sessanta  giorni)
 adotta   le  sue  determinazioni  disponendo  l'archiviazione  ovvero
 inviando  gli  atti  con  relazione  motivata  al  Procuratore  della
 Repubblica  per  la  loro  immediata trasmissione al Presidente della
 Camera  competente.  Quest'ultima,  cosi'  investita,   puo'   negare
 l'autorizzazione   a   procedere   (prevista   dall'art.   96   della
 Costituzione,   come   novellato)   ove   reputi,   con   valutazione
 insindacabile,  che  l'inquisito  abbia  agito  per  la  tutela di un
 interesse dello Stato  costituzionalmente  rilevante  ovvero  per  il
 perseguimento  di  un  preminente  interesse  pubblico nell'esercizio
 della funzione di Governo (art. 9, comma 3), finalita' queste assunte
 quali  condizioni  di  procedibilita'  dell'azione   penale   secondo
 l'espresso  disposto  dell'art.  4,  comma 1, legge n. 219/89. In tal
 caso l'Assemblea deve indicare a  quale  concorrente,  anche  se  non
 Ministro, ne' parlamentare, si riferisce il diniego (art. 4, comma 2,
 cit.).
    6.   -  Cio'  premesso,  deve  considerarsi  che  la  turbativa  o
 interferenza denunciata dal Collegio ricorrente e' originata  da  una
 mancata concordanza (tra il medesimo e la Camera) nell'individuazione
 dell'esatta  portata  (e  quindi  dei  confini)  dei  due  poteri  in
 conflitto, attribuiti rispettivamente dall'art. 8 legge  n.  1/89  al
 Collegio inquirente (ossia il potere di compiere indagini preliminari
 e  all'esito  -  ove  non  ritenuti  sussistenti  i  presupposti  per
 l'archiviazione - quello di chiedere l'autorizzazione a procedere)  e
 dal successivo art. 9 all'Assemblea legislativa e quindi nella specie
 alla  Camera  (ossia il potere di negare l'autorizzazione a procedere
 ove ricorra una delle due specifiche  finalita'  indicate  nel  terzo
 comma del medesimo art. 9).
    In  particolare  e'  l'attribuzione  del  primo  potere  ad essere
 controversa  nel  senso  che  il  Collegio  inquirente   ritiene   di
 individuare  una  linea  di  confine  piu'  restrittiva di quella che
 viceversa e' riconosciuta dalla Camera. La quale - pur non vertendosi
 in un vero e proprio conflitto negativo di attribuzioni, perche' cio'
 che il Collegio inquirente ritiene di non poter compiere  non  e'  in
 via  complementare  (nella prospettazione di quest'ultimo) attribuito
 alla Camera, ne' da quest'ultima rivendicato - ben puo' dolersi di un
 (assertivamente erroneo) atteggiamento abdicativo del Collegio;  cio'
 perche'  i  due poteri sono funzionalmente coordinati di guisa che il
 mancato pieno dispiegarsi del primo comunque incide  sull'altro,  nel
 senso  che  - come risultera' piu' evidente in seguito - quest'ultimo
 viene privato, in tutto o in parte, di elementi  di  valutazione  che
 altrimenti  avrebbe  avuto disponibili come risultanze delle indagini
 preliminari.
    Ed  allora  e'  determinante,  al  fine  della   risoluzione   del
 conflitto, operare la ricognizione del potere del Collegio inquirente
 per  stabilire  se  comprenda,  o  meno, gli atti di interrogatorio e
 confronto dei coindagati laici concorrenti nel reato ministeriale.
    E' ben chiaro cosi' che il conflitto verte esclusivamente su  tale
 ricognizione  del  potere  e  niente  affatto sulla completezza delle
 indagini, di cui la Camera in realta'  non  si  duole  (ne'  potrebbe
 dolersi  se  non  sotto  il  piu'  radicale  profilo  della non leale
 cooperazione  tra  poteri)  essendosi  limitata   a   richiamare   la
 valutazione operata dal Collegio stesso, il quale (nella richiesta di
 autorizzazione  a  procedere)  ha  ben  evidenziato l'opportunita' (e
 l'intenzione) di compiere gli atti di interrogatorio e confronto  dei
 coindagati  laici,  se  soltanto  non fossero impediti dai (ritenuti)
 limiti del proprio potere.
    7. - Orbene, il potere del Collegio inquirente ha  ad  oggetto  il
 compimento  delle  indagini  preliminari  alle  quali  procede  (dopo
 l'entrata in vigore del nuovo  codice  di  procedura  penale)  con  i
 poteri  che  spettano  al  pubblico ministero (art. 1, comma 2, legge
 219/89). A questi si aggiungono i poteri del giudice per le  indagini
 preliminari; ed infatti il secondo comma dell'art. 1 cit. prevede che
 il  collegio  puo'  disporre  anche  d'ufficio  incidente probatorio,
 provvedendo direttamente allo stesso che si considera ad ogni effetto
 come espletato dal g.i.p.; inoltre il Collegio  puo'  compiere  anche
 d'ufficio tutti gli atti di competenza del g.i.p.
    Si  tratta  quindi  di  poteri  eccezionalmente ampi, giustificati
 dalla specialita' di questa fase procedimentale che - inscritta in un
 sufficiente  arco  di   tempo,   discrezionalmente   apprezzato   dal
 legislatore  in  90  giorni,  prorogabili di ulteriori 60 giorni - e'
 prodromica  ad   una   doppia   (ancorche'   profondamente   diversa)
 valutazione  (di merito): quella dello stesso Collegio inquirente (di
 archiviare o di  richiedere  l'autorizzazione  a  procedere);  quella
 della Camera di negare o concedere l'autorizzazione a procedere.
    Entrambe  tali  valutazioni (che rispettivamente concernono per il
 Collegio  inquirente  anche  l'infondatezza  della  notitia  criminis
 ovvero  l'estraneita'  dell'indiziato  al  fatto  e  per la Camera il
 riscontro delle  finalita'  di  cui  all'art.  9,  comma  3)  debbono
 necessariamente  fondarsi sulle risultanze delle indagini preliminari
 compiute.
    Il  potere  del  Collegio  inquirente  -  al  cui   esercizio   e'
 condizionata  l'acquisizione  di tali risultanze - finisce quindi per
 incidere  indirettamente  sul  potere  della  Camera  nel  senso  che
 l'eventuale  abdicazione  del  Collegio  ad  esercitare il suo potere
 priva la Camera di elementi di fatto la cui  rilevanza,  o  meno,  al
 fine  del  riscontro  delle  finalita' di cui all'art. 9, co. 3, cit.
 essa sola puo' apprezzare. Cio' mostra come  l'esercizio  del  potere
 del  Collegio  inquirente  si  atteggia  anche  come obbligo di leale
 collaborazione (sent. n. 379/92) non essendo  nella  discrezionalita'
 del  Collegio  procrastinare a dopo l'autorizzazione a procedere atti
 di indagini preliminari che potrebbero essere compiuti prima.
    La ragionevole ampiezza del termine (ancorche' non previsto a pena
 di decadenza) testimonia il bilanciamento operato dal legislatore che
 -  pur  non  richiedendo  il  completo  esaurimento  delle   indagini
 preliminari   -   neppure   arresta   il   procedimento   in   attesa
 dell'autorizzazione a procedere  come  viceversa  tendenzialmente  fa
 l'art.  346  c.p.p.  che  in  generale  limita  gli  atti di indagini
 preliminari a quelli resi necessari per assicurare le fonti di  prova
 o perche' vi e' pericolo nel ritardo.
    8.  -  La  diversa  ampiezza  del  termine (prevista dall'art. 344
 c.p.p. in 30 giorni  e  dall'art.  8  legge  n.  1/89  in  90  giorni
 prorogabili  fino  a 150) e l'esistenza del passaggio obbligato della
 doppia valutazione del Collegio  stesso  (in  ordine  ai  presupposti
 dell'archiviazione)   e   della  Camera  (in  ordine  ai  presupposti
 dell'improcedibilita' dell'azione penale)  concorrono  a  significare
 che  la  iniziale  fase  delle  indagini  preliminari,  precedente la
 particolare autorizzazione a procedere per i reati  ministeriali,  e'
 del  tutto  speciale  e ben diversa da quella che precede in generale
 l'autorizzazione a procedere in altre fattispecie.
    Questa specialita' comporta anche una diversita' di limiti  quanto
 al  tipo  di  atti  che possono essere compiuti, diversita' possibile
 perche' il quinto comma dell'art. 1 legge n. 219/89, se  in  generale
 prevede  che si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del
 vigente codice di procedura  penale,  fa  pero'  salve  le  eventuali
 diverse  prescrizioni  dettate  dalla  legge  n.  1/89 che prevalgono
 quindi su quelle ordinarie. E nella fattispecie si ha che, mentre  in
 generale  l'art. 343, comma 2, c.p.p. prescrive che fino a quando non
 sia stata concessa l'autorizzazione a procedere e' fatto  divieto  di
 disporre  il fermo o misure cautelari personali nonche' perquisizioni
 personali   o   domiciliari,   ispezioni   personali,   ricognizioni,
 individuazioni,  confronti,  intercettazioni  di  conversazioni  o di
 comunicazioni e che, inoltre, si  puo'  procedere  all'interrogatorio
 soltanto   se   l'interessato  lo  richiede,  invece  nello  speciale
 procedimento per i reati ministeriali l'art.  10,  comma  1,  prevede
 soltanto  che il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, e
 gli altri inquisiti parlamentari  non  possono  essere  sottoposti  a
 misure   limitative   della  liberta'  personale,  a  intercettazioni
 telefoniche o sequestro  o  violazione  di  corrispondenza  ovvero  a
 perquisizioni  personali  o  domiciliari senza l'autorizzazione della
 Camera competente.
    Tra le due citate disposizioni  sussiste  quindi  un  rapporto  di
 specialita'  reso  ancor piu' evidente (oltre che dalla simmetria del
 contenuto precettivo, anche) dal fatto che  l'art.  343  c.p.p.  pone
 limiti  (ulteriori)  in  una  fase in cui gia' di per se' le indagini
 preliminari sono limitate dal  disposto  dell'art.  346  c.p.p.  (che
 infatti  esordisce facendo salva la prescrizione dell'art. 343 cit.),
 mentre l'art. 10 pone limiti in una fase in cui viceversa in generale
 ogni atto di indagine preliminare puo' essere compiuto ed  anche  per
 gli  atti  tipici  dalla medesima disposizione elencati non vi e' una
 preclusione  assoluta  essendo  possibile  l'autorizzazione  ad  acta
 (nient'affatto  contemplata  dall'art. 343 c.p.c.); diversita' queste
 che  rendono  peraltro  anche  ragione della disciplina differenziata
 senza che sia sospettabile alcuna disparita' di trattamento.
    9. - In conclusione tale  rimarcata  specialita'  fa  si'  che  il
 potere  del  Collegio  inquirente di compiere indagini preliminari e'
 limitato (quanto alla tipologia degli atti) dall'art. 10 e  non  gia'
 dall'art. 343, non applicabile nella specie (al pari dell'art. 346).
    E'  quindi  infondata la tesi del Collegio inquirente che vuole il
 suo potere limitato dall'art. 343 c.p.p., norma che esclude gli  atti
 di  interrogatorio  e  confronto  di  qualsiasi indagato per il quale
 occorra l'autorizzazione a procedere.  Viceversa  trova  applicazione
 l'art.  10  che  si  riferisce soltanto a Ministri e parlamentari nel
 prevedere alcune  limitazioni  al  compimento  di  atti  di  indagini
 preliminari  senza  la  preventiva  autorizzazione  ad  acta  con  la
 conseguenza  che  per  i  coindagati  laici  concorrenti  nel   reato
 ministeriale  (anche  ove si ritenga - come ritiene il Collegio - che
 per essi occorra l'autorizzazione a procedere al  pari  che  per  gli
 indagati  che  siano  Ministri o membri del Parlamento) il potere del
 Collegio non soffre (e non soffriva) limitazione alcuna; quest'ultimo
 aveva il potere  di  procedere  a  quegli  interrogatori  e  atti  di
 confronto  ritenuti utili o necessari (dal Collegio medesimo) al fine
 di chiarire l'oggetto e le circostanze dell'imputazione.
    Ne' alcuna limitazione puo'  indirettamente  dedursi  dal  secondo
 comma  dell'art.  6 legge n. 1/89 e dal terzo comma dell'art. 1 legge
 n. 219/89 che - nel prevedere (entrambi) che i "soggetti interessati"
 possono presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati
 - introduce una facolta' per i medesimi  (a  prescindere  dall'esatto
 significato  da  attribuire  alla locuzione "soggetti interessati") e
 non gia' prescrive un divieto di interrogatorio.
    Una volta identificata la linea di confine del potere del Collegio
 inquirente  di   compiere   atti   di   indagine   preliminare   puo'
 conseguentemente  ritenersi  che l'autolimitazione di quest'ultimo ha
 privato la Camera - per la gia' rilevata incidenza dell'esercizio del
 potere dell'uno su quello spettante all'altra - delle  risultanze  di
 ulteriori  atti  di indagine preliminare che altrimenti avrebbe avuto
 disponibili ove il Collegio avesse rettamente operato la ricognizione
 del suo potere e quindi legittimamente la  Camera  ha  deliberato  la
 restituzione degli atti al Collegio perche' esercitasse pienamente il
 suo  potere  erroneamente  da  quest'ultimo ritenuto piu' limitato di
 quanto in realta' non fosse; restituzione questa che - operandosi una
 retrocessione del procedimento  a  seguito  dell'esito  del  presente
 conflitto  - comporta altresi' che il Collegio - compiuti gli atti di
 indagine preliminare che assumeva  essergli  preclusi  e  sempre  che
 persista  nel  ritenere  di  non  disporre  l'archiviazione  -  possa
 investire nuovamente l'Assemblea competente perche' conceda  o  neghi
 l'autorizzazione a procedere.