ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 8, commi 1, 2,
 3,  4 e 5; 9, comma 3; 21, commi 1 e 5; 22, commi 1, 2 e 3; 23, commi
 3 e 4; 30, comma 1, lett. b) e c) della legge 5 gennaio 1994,  n.  36
 (Disposizioni  in  materia  di risorse idriche), promossi con ricorsi
 delle  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  notificati  il  18
 febbraio,  depositati  in  cancelleria  il  22  e 26 febbraio 1994 ed
 iscritti ai nn. 22 e 23 del registro ricorsi 1994;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore
 Francesco Guizzi;
    Uditi  gli  avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia
 di Bolzano, l'avvocato Valerio Onida per la  Provincia  di  Trento  e
 l'avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  La Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato, con ricorso
 in via  principale,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dei
 seguenti  articoli della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in
 materia di risorse idriche): art. 8, commi 1, 2, 4 e 5; art. 9, comma
 3; art. 21, commi 1 e 5; art. 22, commi 1, 2 e 3; art. 23, commi 3  e
 4; art. 30, comma 1, lett. b) e c), in riferimento all'art. 8, nn. 5,
 17,  19 e 24, all'art. 9, nn. 9 e 10, agli artt. 12, 13, 14 secondo e
 terzo comma, 16 primo comma, 68 e 107 dello Statuto speciale  per  il
 Trentino-Alto  Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e alle relative
 norme di attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115, art. 8, comma  1,
 lett.  e);  d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, come modificato dal decreto
 legislativo 16 marzo 1992, n. 267, art. da 5 a 14;  d.P.R.  28  marzo
 1975,  n.  474,  come modificato dal d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 e
 dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267, artt. 1 e 3).
    1.2. - La  Provincia  ha  competenza  legislativa,  esclusiva,  in
 materia  di  acquedotti  e  lavori  pubblici di interesse provinciale
 (art. 8, n. 17), assunzione e gestione di servizi pubblici  (art.  8,
 n.  19), urbanistica (art. 8, n. 5), opere idrauliche (art. 8, n. 24,
 Statuto); per l'utilizzazione delle acque  pubbliche,  e  l'igiene  e
 sanita',  ha  invece competenza concorrente (art. 9, n. 9, e art. 10,
 Statuto).  In  attuazione  di  quanto  previsto  dall'art.  68  dello
 Statuto,  il  d.P.R.  20  gennaio  1973,  n. 115, ha quindi disposto,
 all'art.  8,  il  trasferimento  del  demanio   idrico-statale   alla
 Provincia,  si'  che  tutte  le  acque,  superficiali  e sotterranee,
 rientrano oggi nel  demanio  provinciale  e,  conseguentemente,  essa
 esercita  tutte  le  attribuzioni  inerenti  alla titolarita' di tale
 demanio (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 5).
    La ricorrente afferma che l'art. 8, commi 1, 2, 4 e 5 della  legge
 impugnata,  nel prevedere una partizione territoriale della fornitura
 dei servizi idrici diversa da  quella  determinata  dalla  Provincia,
 lede la sua competenza in materia di servizi pubblici (art. 8, n. 19,
 Statuto),   nell'ambito   della   quale  rientrano  le  modalita'  di
 erogazione dei servizi e l'individuazione delle categorie di soggetti
 che li possono gestire. Soltanto la Provincia puo' dunque  modificare
 l'assetto  territoriale  della gestione, mentre l'art. 8, al comma 1,
 detta criteri specifici per la modificazione strutturale; il comma 4,
 che impone l'aggiornamento del piano  di  utilizzazione  delle  acque
 pubbliche  al  di  fuori dei termini e delle procedure previste dalle
 norme di attuazione statutaria (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381), e'  in
 contrasto   anche   con   l'art.  107  dello  Statuto;  il  comma  5,
 nell'affidare alla Provincia l'elaborazione  di  normativa  meramente
 integrativa,  lede inoltre la sua competenza in materia di acque e di
 igiene e sanita'.
    1.3. - La Provincia impugna l'art. 9, comma 3, (che le fa  obbligo
 di disciplinare, entro sei mesi, le forme e i modi della cooperazione
 tra  gli  enti  locali  per  l'organizzazione  del  servizio  idrico,
 privandola delle modalita' di scelta) e i commi 1 e 5  dell'art.  21,
 che  le  sottraggono  la  vigilanza  sull'utilizzazione delle acque e
 sulla gestione dei servizi idrici, affidandola al comitato,  statale,
 ivi  previsto.  Essa  viene  relegata  a  ente  del quale si richiede
 l'intesa, mentre e' l'unico titolare della competenza  sancita  dalle
 norme  di  attuazione  statutaria  (artt. 5 e 8 del d.P.R. n. 381 del
 1974), con conseguente violazione dell'art.  107  dello  Statuto.  La
 ricorrente  impugna,  altresi',  l'art.  22,  commi  1,  2  e  3, per
 violazione della propria competenza, perche' demanda a  un  organismo
 statale  (l'osservatorio  dei servizi idrici) un ruolo essenziale per
 la vigilanza  e  repressione  delle  violazioni,  con  riguardo  alle
 attivita' svolte nel territorio provinciale.
    1.4.  -  L'art.  23,  commi  3 e 4, introduce una disciplina sulla
 pubblicita' dei progetti  concernenti  le  opere  idrauliche  che  in
 realta'  non  opera  immediatamente  nella  Provincia (art. 2 decreto
 legislativo 16 marzo 1992, n. 266), ma pretende  illegittimamente  di
 vincolare il legislatore provinciale.
    1.5.  -  L'art. 30, sull'utilizzazione delle acque destinate a uso
 idroelettrico, fa si' che organismi statali (il CIPE  e  il  Comitato
 interministeriale  di  cui all'art. 4, comma 2, della legge 18 maggio
 1989, n. 183) possano intervenire, senza l'intesa con la Provincia  e
 al  di  fuori  del  piano generale provinciale. Eventuali esigenze di
 coordinamento fra lo Stato e la Provincia trovano sede idonea nel pi-
 ano generale, ex art. 14 dello Statuto e artt. 5 e 8  del  d.P.R.  n.
 381 del 1974.
    2.  - La Provincia autonoma di Trento impugna, della citata legge,
 l'art. 8, commi 3, 4, e 5; l'art. 9, comma 3;  l'art.  21,  comma  5;
 l'art. 23, comma 3.
    L'impianto sistematico della legge n. 36 - si sostiene nel ricorso
 -  appare  fondato  sul presupposto di una piena disponibilita' della
 materia da parte dello Stato;  mentre  invece  le  Province  autonome
 della   Regione  Trentino-Alto  Adige  sono  titolari  di  competenze
 primarie per l'urbanistica, gli acquedotti, i lavori  pubblici  (art.
 8,  nn.  5,  17,  19,  Statuto),  e  di  competenze  concorrenti  per
 l'utilizzazione delle acque pubbliche, in base all'  art.  9,  n.  9,
 dello  Statuto, che disciplina altresi' le modalita' di coordinamento
 fra lo Stato e le Province autonome prevedendo il piano  delle  opere
 idrauliche  (art.  14,  secondo comma, seconda parte, e terzo comma).
 Ferma la  competenza  statale  per  le  grandi  derivazioni  a  scopo
 idroelettrico  (v.  il  d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) le Province, in
 base alle norme di attuazione  (d.P.R.  20  gennaio  1973,  n.  115),
 esercitano  tutte  le  attribuzioni  inerenti  alla  titolarita'  del
 demanio idrico, ivi comprese la polizia idraulica e la  difesa  delle
 acque  dall'inquinamento. Nel territorio provinciale, inoltre, il pi-
 ano generale per  l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche  (art.  14
 Statuto)  sostituisce  interamente il piano regolatore generale degli
 acquedotti (art. 10, comma 2, d.P.R. n. 381 del 1974).
    Va poi considerato  che  gli  strumenti  di  pianificazione  e  di
 coordinamento  previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non
 sono  sostituiti  dagli  strumenti  di  pianificazione   territoriale
 introdotti  dal  legislatore  statale,  e in particolare dai piani di
 bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio  1989,  n.  183.  Come
 chiarito  dalla  Corte  nella sent. n. 85 del 1990, i piani di bacino
 non comportano una nuova ripartizione di materie fra Stato e Regioni,
 ma fissano solo gli obiettivi. I piani in  questione  possono  dunque
 incidere  nelle  materie  di  competenza  provinciale  esclusivamente
 "entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e  coordinamento".
 In  ogni  caso,  il  decreto  legislativo n. 267 del 1992, integrando
 l'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974, statuisce che i piani di  bacino
 di rilievo nazionale valgano quali strumenti di coordinamento, sempre
 che  lo  Statuto  e  le  norme di attuazione non prevedano specifiche
 modalita' di coordinamento, ribadendo  cosi'  il  principio  generale
 posto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
 266,  sull'efficacia  degli  atti  di  indirizzo  e coordinamento del
 Governo.
    2.2. - La Provincia di Trento impugna l'art. 8, nei commi 2,  4  e
 5,  ritenendolo  lesivo  della  sua  sfera  di  autonomia. Il comma 2
 vincola la Provincia non solo a delimitare  gli  ambiti  territoriali
 per  la  riorganizzazione  di  tutti  i  servizi  idrici,  ma anche a
 sottostare alle determinazioni dell'Autorita' di bacino.  Quella  che
 nell'art.  35  della  legge n. 183 del 1989 era una mera possibilita'
 (come rilevato dalla Corte nella  gia'  citata  sentenza  n.  85  del
 1990),  qui sembra divenire un precetto vincolante, con la preminenza
 delle attribuzioni dell'Autorita' di bacino su quelle provinciali.  A
 sua volta, il comma 4 dell'art. 8 sposta la competenza programmatoria
 dal  piano delle acque (formato d'intesa fra lo Stato e la Provincia)
 al piano di bacino, che e' predisposto dall'Autorita'  anzidetta,  in
 palese  violazione dell'art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del
 d.P.R. n. 381 del 1974. Il comma 5 dell'art.  8  contempla  solo  una
 competenza  normativa  integrativa della Provincia, che ha invece, in
 materia di utilizzazione delle acque, competenza concorrente (art. 9,
 n. 9, Statuto).
    2.3.  -  L'art.  9  concerne  la  gestione  del  "servizio  idrico
 integrato"  che,  secondo  la legge in esame, dovrebbe essere gestito
 dai comuni e dalle province. Il comma 3 di detto  articolo  contempla
 un intervento delle Regioni e delle Province autonome per "le forme e
 i  modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo
 ambito ottimale".  Tale  norma  e'  illegittima  -  ad  avviso  della
 ricorrente  -  se  intesa  nel  senso  che  essa  possa  disciplinare
 direttamente le funzioni degli enti locali  delle  due  Province.  Le
 funzioni  che nel resto del territorio nazionale sono assegnate dalla
 legge statale direttamente ai comuni (o trasferite  a  questi  ultimi
 dal  d.P.R.  n.  616 del 1977) sono conferite ai comuni del Trentino-
 Alto Adige soltanto qualora non rientrino nelle materie di competenza
 della Regione o delle Province: in tale ipotesi e' la legge regionale
 che provvede all'attribuzione su concorde  richiesta,  se  del  caso,
 delle  Province  autonome.  Comunque,  la  legge dello Stato non puo'
 imporre alla Provincia di disciplinare le forme di  cooperazione  fra
 gli enti locali del suo territorio.
    2.4.  -  La  Provincia di Trento impugna, poi, l'art. 21 (Comitato
 per la vigilanza sull'uso  delle  risorse  idriche)  perche'  prevede
 un'attivita' amministrativa di intervento e vigilanza posta in essere
 da  un  organo statale in materia di competenza provinciale, con cio'
 violando l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del  1992.
 Impugna altresi' l'art. 23, comma 3, che detta minuziose norme, anche
 di tipo procedimentale, vulnerando l'autonomia provinciale in tema di
 organizzazione amministrativa, fino al punto di stabilire le concrete
 modalita'  con cui si dovrebbe realizzare la pubblicita' dei progetti
 di opere.
    3.1. - Si e' costituito in entrambi i giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza  di  entrambi  i
 ricorsi.
    La  legge  n.  36  del  1994  contiene  disposizioni che valgono -
 secondo quanto statuito  dal  primo  periodo  dell'art.  33  -  quali
 principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, come
 gia'  la  legge  18  maggio 1989, n. 183, di cui essa e' svolgimento.
 Nella  legge  impugnata  vi  e',  infatti,  l'espressa  clausola   di
 salvaguardia  delle  competenze  spettanti  alle  Regioni  a  statuto
 speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano  ai  sensi  dei
 rispettivi  statuti  e  delle  norme  di attuazione (art. 33, secondo
 periodo): di qui,  un'intrinseca  delimitazione  della  normativa  in
 esame,  che  esclude  ogni  sua potenziale lesivita' delle competenze
 provinciali, per cui  tutte  le  doglianze  sarebbero  improponibili,
 ancor prima che infondate.
    I  ricorsi  investono,  inoltre,  anche  disposizioni  che  non si
 riferiscono specificamente alle Province autonome (come quelle  degli
 artt.  8  comma  3, 21 comma 1, 22 commi 1 e 3, 30 comma 1), rispetto
 alle quali la prospettata lesione di competenza andrebbe  esclusa  in
 nuce.  Le  altre  disposizioni che riguardano le due Province (ma non
 solo  esse,  in  realta')  non  sottraggono  competenze,  bensi'   ne
 valorizzano  l'esercizio al fine di perseguire, in modo ottimale, gli
 obiettivi della legge n. 36 del 1994.
    3.2. - L'Avvocatura generale dello Stato si sofferma, in  memoria,
 sulla  razionalizzazione che la legge n. 36 ha operato nel settore in
 esame; e sottolinea che  non  sarebbe  pertinente  il  richiamo  alle
 competenze  primarie  di  cui  all'art.  8  dello Statuto, perche' si
 tratterebbe di richiami "di maniera", eccezione fatta per  il  n.  19
 dell'art. 8, che riguarda, pero', aspetti ordinamentali che non hanno
 attinenza  alcuna  con  l'art. 8 della legge n. 36. Tale disposizione
 concerne  profili  funzionali  sulla  riorganizzazione  dei   servizi
 idrici,  al  fine  di "ottimizzare" l'utilizzazione delle acque, e su
 tale materia le Province hanno soltanto competenza  concorrente.  Nei
 limiti,  dunque, dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art.
 9, n. 9, Statuto).
    Le disposizioni contenute negli artt. 8 (commi 2, 4, 5), 9  (comma
 3),  21  (comma 5), 22 (commi 1 e 2), 23 (commi 3 e 4) della legge n.
 36 sottendono "principi guida" per l'organizzazione territoriale  del
 servizio  idrico integrato, che resta pur sempre demandata alle Prov-
 ince. Esse, tuttavia, non precludono l'elaborazione - d'intesa tra lo
 Stato e la Provincia - del piano annuale di coordinamento delle opere
 idrauliche di  cui  all'art.  14  dello  Statuto,  ne'  inficiano  la
 validita'  dei  piani  di bacino, di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 381
 del  1974, o del piano generale di utilizzazione delle acque previsto
 dall'art. 8 del medesimo decreto. Per quanto  attiene  specificamente
 al  comma  1  dell'art. 8 della legge impugnata, l'Avvocatura ritiene
 che esso non sarebbe invasivo  delle  attribuzioni  provinciali,  dal
 momento  che  la definizione degli "ambiti ottimali" avviene mediante
 il provvedimento di delimitazione, che e'  riservato  alla  Provincia
 autonoma.
    Sulla  scia  della legge quadro sulla difesa del suolo (n. 183 del
 1989, art. 1, comma 3,  e  art.  12  comma  1),  le  norme  impugnate
 confermano  il governo delle acque per bacini idrografici: il comma 1
 dell'art. 8 introduce, in particolare, criteri flessibili per  super-
 are l'attuale "polverizzazione" gestionale. In ordine ai rapporti con
 l'Autorita' di bacino, si nega la denunciata erosione di attribuzioni
 provinciali,  non  apportando la legge n. 36 modifiche alla struttura
 di  detto  organo,   al   quale   e'   affidata   la   programmazione
 dell'utilizzazione delle risorse idriche, secondo i canoni della pre-
 via  intesa  e della leale collaborazione. Riguardo all'aggiornamento
 del piano regolatore generale degli acquedotti (art. 8 comma  4),  si
 riconosce  che,  in  base all'art. 10 del d.P.R. n.  381 del 1974, la
 funzione del piano regolatore generale e' assorbita,  nelle  Province
 di  Trento  e  Bolzano,  dal piano generale per l'utilizzazione delle
 acque pubbliche; e si rileva, nel contempo, che la legge n. 36  (art.
 32)  non ha abrogato le disposizioni richiamate dalle ricorrenti, che
 prevalgono  su  quelle  della  legge   impugnata.   Il   riparto   di
 attribuzioni  tra  lo Stato e le Province autonome non risulta dunque
 modificato dall'art. 8, commi 2, 4, e  5,  della  legge  n.  36,  con
 riferimento all'art. 12 della legge n. 183 del 1989.
    Si   sostiene,   poi,   che  nell'art.  8,  comma  5,  l'aggettivo
 "integrativo"  non  va  interpretato  in  senso  tecnico:  esso   non
 degraderebbe  le  attribuzioni  esclusive  o  concorrenti a meramente
 integrative, ma indicherebbe  l'attitudine  delle  norme  emanande  a
 completare  la  legislazione  statale,  con  un  "livello di cogenza"
 definito dalla tipizzazione delle potesta' legislative delle  singole
 Regioni  a  statuto  ordinario  o  differenziate.  A  proposito della
 paventata imposizione di criteri specifici, cui la Provincia dovrebbe
 attenersi nella modificazione  della  gestione  del  servizio  idrico
 integrato  (art.  9  della  legge),  si  osserva che le forme di tale
 riorganizzazione  sono  gia'  tutte  presenti  nell'ordinamento.   La
 disciplina  dei  modi della cooperazione tra gli enti locali (comma 3
 dell'art. 9) non  contrasta  infatti  con  l'art.  4  dello  Statuto,
 poiche'  nell'ipotesi  in  cui  tale  cooperazione  dovesse implicare
 modifiche dell'ordinamento degli enti locali,  le  stesse  dovrebbero
 essere attuate con legge della Regione.
    L'art.  21,  comma  1,  istituisce  il  comitato  per la vigilanza
 sull'uso delle risorse idriche: organo a composizione mista,  la  cui
 operativita' richiede - ed e' un'evidente garanzia - la previa intesa
 con le Regioni e le Province autonome interessate.
    L'art. 22, comma 1, prevede un'attivita' informativa centralizzata
 (Osservatorio  dei  servizi idrici): attivita' ineludibile, poiche' -
 tranne che per le grandi isole  -  quasi  tutti  i  principali  corpi
 idrici  superficiali  hanno  un  interesse  che  travalica  i confini
 amministrativi della Regione e della Provincia dove  nascono  o  dove
 sfociano.  L'acquisizione  di  maggiori conoscenze e', quindi, misura
 propedeutica a un razionale governo delle acque.
    Quanto  ai poteri del CIPE sull'utilizzazione delle acque invasate
 a scopi idroelettrici (art. 30), la disposizione non invaderebbe,  di
 per  se',  le  competenze  provinciali:  un eventuale vulnus potrebbe
 derivare, semmai, dai successivi provvedimenti del CIPE,  in  ipotesi
 lesivi del principio della previa intesa e della leale collaborazione
 fra Stato e Regioni. In materia di derivazioni a scopo idroelettrico,
 la  Provincia  ha  competenza concorrente e ben puo' lo Stato dettare
 norme di principio sull'utilizzazione delle acque  destinate  a  tali
 scopi, in relazione alle esigenze di protezione della loro qualita' e
 di conservazione della loro quantita'.
    4. - Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memoria anche le
 ricorrenti,   insistendo   sull'indebita   compressione   delle  loro
 competenze.
    La Provincia di Trento osserva che - a seguito della sent.  n.  85
 del 1990 - i commi aggiunti all'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974 dal
 decreto  legislativo  n.  267  del  1992  ribadiscono  che i piani di
 bacino, di cui alla legge n. 183,  possono  coordinare  le  attivita'
 provinciali  solo  se lo Statuto e le norme di attuazione non dettano
 modalita' specifiche. Ora, per  cio'  che  attiene  all'utilizzazione
 delle  acque  e  alle opere idrauliche, lo Statuto speciale, all'art.
 14, prevede, in sostituzione del piano regolatore  degli  acquedotti,
 il  piano  annuale  di  coordinamento  (v.  anche l'art. 10, comma 2,
 d.P.R. n. 381 del 1974).  La Provincia di Bolzano sottolinea, d'altro
 canto, che la citata sentenza n. 85  conferma  l'efficacia  (e  sotto
 alcuni  aspetti la prevalenza) degli strumenti di pianificazione e di
 coordinamento dell'uso delle risorse idriche previsti dallo Statuto e
 dalle norme di attuazione. Soggiungendo come - proprio  con  riguardo
 ai  piani  di  bacino  - la Corte abbia riconosciuto che essi possono
 incidere nelle materie di competenza  regionale  e  provinciale  solo
 entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e di coordinamento.
 Sul   raccordo  fra  la  legge  n.  183  del  1989  e  le  competenze
 provinciali, si richiama il d.P.R. n. 381 del 1974, art. 5, commi 3 e
 4, modificato dal decreto legislativo n. 267 del  1992,  in  coerenza
 con il principio, posto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo
 n.   266   del   1992,  sull'efficacia  nel  territorio  regionale  e
 provinciale degli atti di  indirizzo  e  coordinamento  del  Governo.
 Tanto  la  sentenza invocata dall'Avvocatura generale, che le succes-
 sive norme di attuazione, hanno precisato i criteri di  delimitazione
 delle  competenze  statali  e provinciali: le norme impugnate violano
 percio' tali limiti, e  le  modalita'  di  coordinamento  contemplate
 dalle  norme  di attuazione - conclude la Provincia di Bolzano - sono
 state disattese.
                        Considerato in diritto
    1. - I due ricorsi presentati dalle Province autonome di Trento  e
 Bolzano  per  la  dichiarazione  d'illegittimita'  costituzionale  di
 alcuni articoli della legge 5 gennaio 1994, n.  36  (Disposizioni  in
 materia di risorse idriche) muovono dalla comune rivendicazione della
 loro  competenza  primaria  in  materia  di urbanistica, acquedotti e
 servizi pubblici (art. 8, nn. 5, 17 e 19, Statuto) e  concorrente  in
 materia  di  utilizzazione  delle  acque pubbliche, escluse le grandi
 derivazioni a scopo idroelettrico, oltre che d'igiene e sanita' (art.
 9, nn. 9 e 10 Statuto): e muovono, altresi', dalla previsione, sempre
 ad opera dello Statuto (art. 14, secondo e terzo comma), di peculiari
 modalita' di coordinamento con lo Stato, attraverso  il  piano  delle
 opere idrauliche.
    Le  disposizioni  della  legge  n. 36 impugnate dalle due Province
 autonome, perche' lesive  delle  loro  attribuzioni,  coincidono  per
 larga parte, ma non integralmente.
    Per  quanto  attiene all'art. 8, la Provincia di Bolzano impugna i
 commi 1, 2, 4 e 5; quella di Trento i commi 3, 4 e 5.
    L'art. 9, comma 3, e' impugnato da entrambe.
    L'art. 21 e' impugnato nei commi 1 e 5 dalla Provincia di Bolzano,
 solo nel comma 5 da quella di Trento.
    L'art. 22, commi 1, 2 e 3, e' impugnato solo  dalla  Provincia  di
 Bolzano.
    L'art. 23 e' impugnato nei commi 3 e 4 dalla Provincia di Bolzano,
 solo nel comma 3 da quella di Trento.
    L'art.  30,  comma  1,  lett.  b)  e  c),  e' impugnato solo dalla
 Provincia di Bolzano.
    Sono dunque all'esame di questa  Corte  gli  articoli  di  seguito
 elencati:
      art.   8   (Organizzazione   territoriale  del  servizio  idrico
 integrato), commi 1, 2, 3, 4 e 5.
      art.  9  (Disciplina  della   gestione   del   servizio   idrico
 integrato), comma 3.
      art.  21  (Comitato  per  la  vigilanza  sull'uso  delle risorse
 idriche), commi 1 e 5.
      art. 22 (Osservatorio dei servizi idrici), commi 1, 2 e 3.
      art. 23 (Partecipazione, garanzia e informazione degli  utenti),
 commi 3 e 4.
      art.   30   (Utilizzazione   delle   acque   destinate   ad  uso
 idroelettrico), comma 1, lettere b) e c).
    2. - Per vagliare le singole censure mosse dalle  due  ricorrenti,
 e'  necessaria  una verifica preliminare sulle attribuzioni conferite
 alle Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 8, nn.
 5, 17, 19, dell'art.  9,  n.  9,  Statuto,  nonche'  delle  norme  di
 attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115) che hanno trasferito alle
 Province  non  soltanto  gli acquedotti (art. 4), ma tutto il demanio
 idrico,  conferendo  loro  le  attribuzioni  inerenti  alla   polizia
 idraulica  e  alla  difesa  delle  acque  dall'inquinamento, ferma la
 competenza statale per le grandi derivazioni a  scopo  idroelettrico.
 Nel  territorio  provinciale,  il  piano generale per l'utilizzazione
 delle acque pubbliche, di cui all'art. 14 Statuto, sostituisce,  poi,
 il  piano  regolatore  generale  degli  acquedotti (art. 10, comma 2,
 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381).
    Questa Corte ha chiarito che gli strumenti di pianificazione e  di
 coordinamento  previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non
 sono resi inefficaci dagli strumenti di  pianificazione  territoriale
 introdotti  dal  legislatore  statale,  e in particolare dai piani di
 bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio  1989,  n.  183:  tali
 strumenti  programmatori  incidono  nelle competenze provinciali solo
 entro i limiti imposti alla funzione di  indirizzo  e  coordinamento.
 Piu' in generale, la Corte ha ricordato come la legge n. 183 del 1989
 -  alla quale la legge qui in esame si ricollega - non stabilisca una
 nuova ripartizione di competenze fra lo Stato  e  le  Regioni  (e  le
 Province  autonome),  essendo  una  legge di obiettivi: la difesa del
 suolo e' finalita' il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie
 assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella  regionale  e
 provinciale,  e richiede momenti di cooperazione fra tutti i soggetti
 pubblici interessati (sent. n. 85 del 1990). Considerazioni,  queste,
 che  ben si confanno alla nuova disciplina delle risorse idriche, che
 realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in  cura  a
 diversi livelli istituzionali.
    Gli  strumenti  di  coordinamento  introdotti  dalla  legislazione
 nazionale  valgono  in  via  suppletiva,  nell'ipotesi  in   cui   la
 disciplina  statutaria  non  configuri  meccanismi  speciali.  Ma  le
 fondamentali  esigenze  di  cooperazione  non  legittimano   indebite
 appropriazioni di competenze, e sotto questo profilo e' significativo
 che  il decreto legislativo n. 267 del 1992 (successivo, dunque, alla
 citata sentenza n. 85), nell'integrare l'art. 5 del d.P.R. n. 381 del
 1974, abbia riconosciuto l'efficacia dei piani di bacino  di  rilievo
 nazionale  quali  strumenti di coordinamento, sempre che lo Statuto e
 le norme di attuazione non stabiliscano modalita'  di  coordinamento,
 ribadendo  cosi' il principio posto dall'art. 3, comma 1, del decreto
 legislativo 16 marzo 1992,  n.  266,  sull'efficacia  degli  atti  di
 indirizzo e coordinamento del Governo.
    3.  - Richiamato il quadro delle competenze, anche alla luce delle
 norme di attuazione statutaria, occorre chiedersi, in primo luogo, se
 sia sufficiente -  ai  fini  della  salvaguardia  delle  attribuzioni
 provinciali  -  la  clausola posta dall'art. 33 della legge n. 36 del
 1994, che fa salve "le competenze spettanti alle  Regioni  a  statuto
 speciale  e  alle  Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dei
 rispettivi statuti  e  delle  relative  norme  di  attuazione".  Tale
 clausola,   che   ha  carattere  generale,  impone  di  intendere  le
 precedenti statuizioni  della  legge  in  modo  da  salvaguardare  le
 competenze  provinciali,  risolvendo  eventuali  dubbi interpretativi
 secondo  una  lettura  rispettosa  dell'assetto  delle   attribuzioni
 delineato  dalle  norme  statutarie  e da quelle di attuazione, senza
 necessariamente procedere a caducazione delle disposizioni impugnate.
 Ma siffatta interpretazione correttiva non puo' spingersi al punto di
 superare l'evidenza letterale, come si vedra' esaminando in dettaglio
 i singoli articoli impugnati.
    4. - L'art. 8 concerne l'organizzazione territoriale del  servizio
 idrico  integrato,  ed  e' impugnato nei commi da 1 a 5. Esso farebbe
 obbligo alle Province di  seguire  criteri  specifici  per  la  nuova
 articolazione   territoriale  della  fornitura  dei  servizi  idrici,
 vincolandole ad aggiornare il  piano  di  utilizzazione  delle  acque
 pubbliche  al  di  fuori  delle  procedure  fissate  dalle  norme  di
 attuazione (d.P.R. n. 381 del 1974), e demandando  loro  l'emanazione
 di  normativa  meramente  integrativa  (comma  5),  con lesione delle
 competenze in materia di acque e d'igiene e sanita'.
    Le censure sono fondate.
    La  ricognizione  delle  competenze  statutarie   rende   evidente
 l'illegittimita'  delle disposizioni impugnate, nella parte in cui si
 estendono anche  alle  due  Province  autonome.  Le  modalita'  della
 riorganizzazione  dei  servizi  idrici,  secondo  ambiti territoriali
 ottimali, non tengono affatto conto del  complesso  quadro  normativo
 che  si  e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso
 le norme di attuazione. Non basta, qui, evocare la generale  clausola
 di  salvaguardia,  introdotta  dall'art.  33  della  legge,  per dare
 un'interpretazione correttiva dei commi impugnati  dell'art.  8,  che
 alterano,  invero,  il quadro organizzatorio minuziosamente delineato
 dall'ordinamento  provinciale e spostano la competenza programmatoria
 dal piano delle acque - formato d'intesa fra lo Stato e la  Provincia
 - al piano di bacino, che e' predisposto dalla speciale Autorita', in
 violazione  dell'art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del d.P.R.
 n. 381 del 1974. Quanto al comma 5, non e' possibile seguire la linea
 interpretativa suggerita dall'Avvocatura generale, che  ne  prospetta
 una  lettura  atecnica, fonte pero' di confusione e di incertezze ap-
 plicative,  laddove  va  invece  affermata  la   salvaguardia   delle
 competenze  di  vario  livello (proprie delle due ricorrenti) che non
 possono certo  essere  declassate  a  meramente  integrative  (v.  in
 particolare l'art. 9, n. 9, Statuto).
    5.  -  L'art.  9  della  legge  n.  36  disciplina la gestione del
 servizio idrico integrato. Di esso - perche' potenzialmente  invasivo
 delle attribuzioni provinciali relative alle funzioni dei comuni - e'
 impugnato  il comma 3, che prevede l'intervento delle Regioni e delle
 Province autonome circa le forme e i modi della cooperazione fra  gli
 enti  locali  che ricadono nel medesimo "ambito ottimale". La lettera
 della  norma  ben  si  concilia,  qui,  con  la  salvaguardia   delle
 attribuzioni  conferite  alle Province, si' che bisogna escludere che
 il legislatore abbia innovato il sistema di rapporti fra la Provincia
 e i comuni che operano nel  suo  territorio:  anche  se  le  Province
 autonome  appaiono, nel testo, accomunate alle Regioni ordinarie, non
 per questo ne risultano livellate le rispettive attribuzioni,  ragion
 per cui la censura si rivela infondata.
    6. - E' altresi' impugnato l'art. 21, commi 1 e 5, che istituisce,
 presso il Ministero dei lavori pubblici, il comitato per la vigilanza
 sull'uso  delle  risorse  idriche:  la  disposizione  - si dolgono le
 ricorrenti - prefigura l'intervento  e  la  vigilanza  di  un  organo
 statale in materia di competenza provinciale, in violazione dell'art.
 4,  comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992. Questo comitato
 svolge una funzione  programmatoria  generale  a  salvaguardia  degli
 interessi  degli  utenti, per l'efficienza, efficacia ed economicita'
 del servizio; e a tal fine persegue la  cooperazione  con  organi  di
 garanzia  eventualmente  istituiti  dalle  Regioni  e  dalle Province
 autonome (v. in special modo il comma 5). In cio'  non  si  intravede
 lesione  alcuna  delle  attribuzioni  provinciali;  anche  perche' si
 tratta di  un  organo  a  composizione  mista,  la  cui  operativita'
 richiede  la  previa  intesa  con  le  Regioni e le Province autonome
 interessate, onde un'ulteriore garanzia per queste ultime.
    La doglianza e' dunque infondata.
   7. - L'art.  22  prevede  un'attivita'  informativa  centralizzata,
 affidata   all'Osservatorio   dei  servizi  idrici:  le  attribuzioni
 conferite a detto organo (che ha struttura servente nei confronti del
 Comitato istituito dall'art. 21) sono legate  alla  razionalizzazione
 del governo delle acque, che e' il vero motivo ispiratore della legge
 n.  36.  Trattandosi  di  attivita' informativa e di elaborazione dei
 dati, deve escludersi il temuto vulnus alle attribuzioni provinciali,
 tanto piu'  che  l'Osservatorio  dovra'  costituire,  e  gestire,  la
 propria  "banca  dati" in connessione con i sistemi informativi delle
 Province autonome, le cui funzioni non vengono quindi ridimensionate.
 In  quest'ottica,  va   confermato   quanto   gia'   chiarito   dalla
 giurisprudenza  di  questa  Corte,  e  cioe'  che  l'acquisizione  di
 elementi  informativi  non  determina,  di  per   se',   lesione   di
 attribuzioni  (v., fra le varie, le sentt. nn. 342 del 1994 e 497 del
 1992); si giustificano quindi i poteri di acquisizione di notizie, ai
 fini  dell'eventuale proposizione innanzi agli organi giurisdizionali
 competenti - da parte del Comitato per  la  vigilanza  -  dell'azione
 avverso atti in violazione della legge.
    8.  -  Infondata  deve dirsi anche la censura mossa ai commi 3 e 4
 dell'art. 23, che introducono norme sulla pubblicita' dei progetti di
 opere idrauliche, a tutela di un generale interesse alla  trasparenza
 e senza che neppure si possa eccepire un'eccessiva minuziosita' della
 disciplina:   i  commi  impugnati  dettano  criteri  generali,  fermo
 restando che ulteriori prescrizioni e  specificazioni  saranno  poste
 dalle due Province autonome nell'ambito delle rispettive competenze.
    9.  -  Quanto  ai  poteri  del CIPE sull'utilizzazione delle acque
 invasate a  scopi  idroelettrici  (art.  30),  va  ricordato  che  la
 Provincia  ha  competenza, ex art. 9, n. 9, dello Statuto, in materia
 di utilizzazione delle acque pubbliche, con esclusione per le  grandi
 derivazioni   a   scopo   idroelettrico.   Deve   percio'  affermarsi
 l'illegittimita'  della  disposizione  nella  parte  in  cui  prevede
 l'intervento   di   organismi   statali   (il   CIPE  e  il  Comitato
 interministeriale di cui all'art. 4, comma 2, della legge n. 183  del
 1989)  senza  ricorrere  all'intesa con le Province e al di fuori del
 piano generale provinciale, anche quando  non  si  tratti  di  grandi
 derivazioni   a  scopo  idroelettrico.  Le  conseguenti  esigenze  di
 coordinamento troveranno sede idonea nel piano generale  delle  acque
 pubbliche  (art.  14  dello  Statuto  e  art. 8 del d.P.R. n. 381 del
 1974).