ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 269,  comma  2,
 ultima  proposizione,  del  codice  di procedura penale, promosso con
 ordinanza emessa il 28  aprile  1994  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  Pretura  di Torino nel procedimento penale a
 carico di Stefani Giulio, iscritta al n. 368 del  registro  ordinanze
 1994  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26,
 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento penale per minacce e molestie  a
 mezzo  del telefono instaurato a carico di Giulio Stefani, il giudice
 per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino ha  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 269 c.p.p., in
 riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione.
    Nel dare conto delle vicende processuali precedenti l'incidente di
 costituzionalita', il giudice a quo ricorda di aver  autorizzato,  su
 istanza  del  pubblico  ministero, l'effettuazione di intercettazioni
 telefoniche sull'utenza dell'indagato e,  successivamente,considerato
 l'esito  negativo  delle  operazioni  disposte,  di  aver  accolto la
 richiesta di archiviazione del pubblico ministero, rigettando, con lo
 stesso provvedimento,  la  contestuale  istanza  di  distruzione  del
 materiale di registrazione raccolto.
    Nell'opporsi alla parte del provvedimento sfavorevole alle proprie
 richieste, il pubblico ministero, dopo aver proposto un primo ricorso
 per  cassazione,  ritenuto inammissibile dalla Corte di cassazione in
 base al principio di inoppugnabilita' dei  provvedimenti  emessi  "de
 plano", e dopo aver presentato una istanza di fissazione dell'udienza
 camerale  ai  sensi  dell'art.  127  c.p.p.,  che veniva respinta dal
 giudice per le indagini preliminari, proponeva contro tale decreto un
 nuovo ricorso per cassazione, che, questa  volta,  la  Corte  suprema
 accoglieva,  assumendo  il carattere abnorme del provvedimento emesso
 dal giudice per le indagini preliminari,  in  quanto  non  rispettoso
 della  procedura  camerale  prescritta dall'art. 269 c.p.p., comma 2,
 ultima proposizione.
    Essendo stati restituiti dalla Corte  di  cassazione  gli  atti  a
 seguito  dell'annullamento  del  decreto  di  rigetto  di  fissazione
 dell'udienza  camerale,  il  giudice  per  le  indagini  preliminari,
 ritenendosi  vincolato  all'interpretazione  fornita  dalla  Corte di
 cassazione   -  secondo  la  quale  l'istanza  di  distruzione  delle
 registrazioni delle intercettazioni telefoniche,  anche  se  proposta
 dal   pubblico  ministero  per  motivi  diversi  dalla  tutela  della
 riservatezza degli interessati, obbliga il giudice competente per  la
 decisione  a  fissare  la  camera di consiglio ai sensi dell'art. 127
 c.p.p., in modo da assicurare il contraddittorio delle parti  nonche'
 il  successivo controllo sulla decisione -, ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 269 c.p.p., cosi' interpretato,
 per contrasto con gli artt. 3 e 76 della Costituzione.
    Per quanto riguarda il parametro dell'art. 76 della  Costituzione,
 il  giudice  rimettente  osserva  che  l'art.  269,  comma  2, c.p.p.
 rappresenta l'attuazione della direttiva espressa nell'art. 2, n. 41,
 lettera e), della legge 16 febbraio 1987, n. 81  (Delega  legislativa
 al  Governo  della  Repubblica  per  l'emanazione del nuovo codice di
 procedura penale), nella  quale  non  solo  non  si  fa  alcun  cenno
 dell'udienza   camerale  in  questione,  ma  si  fissa  il  principio
 dell'obbligatorieta'   della   conservazione   della   documentazione
 integrale  delle  intercettazioni,  con la contestuale previsione che
 quest'ultimo puo' esser derogato soltanto a tutela della riservatezza
 degli interessati ove questi lo richiedano. Questa previsione conduce
 il giudice a quo tanto a sostenere  la  rigorosa  tassativita'  della
 disciplina dell'art. 269 c.p.p. sulla distruzione dei verbali e delle
 registrazioni  richiesta prima della formazione del giudicato, quanto
 a  ritenere  che  la  celebrazione  dell'udienza  camerale  ai  sensi
 dell'art.  127  c.p.p.  sia prevista dal legislatore delegato al solo
 fine di assicurare il contraddittorio  in  una  decisione  assunta  a
 tutela della riservatezza degli interessati.
    A  suo avviso, pertanto, contrasterebbe con i principi della legge
 delega imporre la trattazione in  camera  di  consiglio  dell'istanza
 presentata  dal  pubblico  ministero  -  peraltro  non legittimato ad
 avanzare simili richieste in quanto non  ricompreso  nella  categoria
 degli  "interessati"  -  tutte  le  volte che la predetta istanza sia
 vo'lta, come nel caso, alla realizzazione di finalita' diverse  dalla
 tutela della riservatezza. A tale riguardo, l'ordinanza di rimessione
 considera  che  la pur ragionevole esigenza di non gravare gli uffici
 giudiziari del compito di conservare registrazioni inutili - esigenza
 tanto piu' comprensibile per i  numerosi  procedimenti  definiti  con
 decreto  di  archiviazione  per i quali non potra' essere pronunciata
 una sentenza  non  piu'  soggetta  a  impugnazione  -  imporrebbe  di
 demandare  la  soluzione  ad  una piu' approfondita valutazione delle
 contrapposte esigenze da parte del legislatore, dal momento che  essa
 non potrebbe essere raggiunta attraverso un'interpretazione estensiva
 delle norme contenute nell'art. 269 c.p.p..
    Infine,  l'eccesso di delega dell'interpretazione resa dalla Corte
 di cassazione, risulterebbe ancor piu' evidente ove si abbia presente
 anche la direttiva espressa dall'art. 2, n. 1, della legge delega  n.
 81  del  1987,  la  quale  fissa al legislatore delegato il principio
 "della massima esemplificazione nello svolgimento  del  processo  con
 eliminazione  di  ogni  atto  o  attivita' non essenziale", principio
 ribadito con  particolare  vigore,  in  riferimento  al  procedimento
 pretorile, dall'art. 2, n. 103, della stessa legge.
    In  relazione alle censure di costituzionalita' attinenti all'art.
 3 della Costituzione, il giudice a quo, nell'esaminare il caso che ha
 dato occasione alla questione in oggetto, nel quale la  richiesta  di
 distruzione    del    materiale    raccolto   e'   stata   presentata
 contestualmente all'istanza di archiviazione,  afferma  che  in  tale
 evenienza  l'interpretazione dell'art. 269 c.p.p. accolta dalla Corte
 di cassazione sarebbe fonte di  disparita'  di  trattamento,  poiche'
 imporrebbe,   alla   chiusura   per   archiviazione   delle  indagini
 preliminari, una trattazione in camera di  consiglio  altrimenti  non
 prescritta.   Sebbene   la   prospettata   disparita'   non  riguardi
 direttamente  l'istituto  dell'archiviazione,  in  quanto   l'udienza
 camerale  di  cui  si  discute  potrebbe  essere fissata in tempi non
 coincidenti con il provvedimento  di  archiviazione  e  comunque  non
 sarebbe    influente    sulla   relativa   decisione,   tuttavia   la
 ingiustificata e illegittima discriminazione dovuta  all'obbligatoria
 fissazione dell'udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127
 c.p.p. viene lamentata con riferimento a soggetti che, pur trovandosi
 in  situazioni  processuali analoghe, per essere stati interessati da
 indagini  conclusesi  con  una   richiesta   di   archiviazione,   si
 troverebbero  ad  essere  informati  delle  indagini  compiute a loro
 carico, in conseguenza di un'evenienza del tutto occasionale, come la
 contestuale richiesta di distruzione dei nastri  registrati  avanzata
 dal  pubblico  ministero  (al quale, peraltro, verrebbe accordata una
 facolta' discrezionale  circa  l'adozione  del  rito  camerale).  Ne'
 sarebbe ragionevole portare a conoscenza delle parti e, in particolar
 modo    dell'indagato,    nonostante   l'intervenuta   archiviazione,
 l'esistenza  di  una  denuncia  a  suo  carico  e   l'esecuzione   di
 intercettazioni sulla sua linea telefonica.
    2.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri si e' costituito in
 giudizio per chiedere una pronuncia di inammissibilita' o,  comunque,
 di    infondatezza    della   dedotta   questione   di   legittimita'
 costituzionale.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato,  il   giudice   a   quo
 chiederebbe  a  questa Corte di risolvere un contrasto interpretativo
 in ordine all'art. 269 c.p.p. e, pertanto,  la  questione,  posta  in
 questi  termini, sarebbe inammissibile, in forza del principio per il
 quale il giudice  rimettente  e'  tenuto  a  seguire,  tra  le  varie
 interpretazioni    possibili,    quella    conforme    ai    principi
 costituzionali. A questa conclusione non sarebbe di ostacolo, secondo
 l'Avvocatura dello Stato, l'interpretazione affermata dalla Corte  di
 cassazione,   in  sede  di  annullamento  dell'istanza  del  pubblico
 ministero, interpretazione che sarebbe vincolante nel caso  concreto,
 ma non in via di principio.
   Ulteriore   profilo   di   inammissibilita'   della   questione  di
 legittimita' costituzionale deriverebbe,  poi,  dalle  argomentazioni
 della  ordinanza  di  rimessione, che, nel lamentare l'illegittimita'
 dell'obbligatoria fissazione dell'udienza camerale ai sensi dell'art.
 127 c.p.p., non chiarirebbe  se  questa  abbia  ad  oggetto  la  sola
 delibazione  sulla  richiesta  di  distruzione  dei nastri registrati
 ovvero la decisione  sull'archiviazione.  Se  quest'ultimo  fosse  il
 caso,   si   renderebbe   irrilevante   il   dubbio  di  legittimita'
 costituzionale sulla norma applicabile nel giudizio a quo, dove e' in
 gioco esclusivamente la disciplina della  distruzione  dei  documenti
 relativi alle operazioni di intercettazione telefonica.
    Infine,  premesso  che  gli  argomenti  esposti  nell'ordinanza di
 rimessione appaiono in  gran  parte  pertinenti  a  giustificare  una
 soluzione  di  merito  da  parte dello stesso giudice a quo (peraltro
 gia' adottata dal giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 Pretura    di    Torino    e   giudicata   largamente   condivisibile
 dall'Avvocatura  dello  Stato),  la  difesa  erariale   osserva   che
 l'interpretazione della Corte di cassazione vincolerebbe il giudice a
 quo  nella  scelta  del  rito,  non anche nella decisione del caso in
 esame.
                        Considerato in diritto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso la  Pretura  di
 Torino  solleva  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art.
 269, comma 2, ultima proposizione, c.p.p. in riferimento agli artt. 3
 e  76  della   Costituzione,   nella   parte   in   cui   alla   luce
 dell'interpretazione  seguita  dalla Corte di cassazione allorche' ha
 annullato il  provvedimento  di  rigetto  dell'istanza  del  pubblico
 ministero  di fissazione dell'udienza camerale, impone il rito di cui
 all'art.  127  c.p.p.  per  la  decisione  sulla  distruzione   della
 documentazione  delle  operazioni di intercettazione telefonica anche
 quando la relativa richiesta sia stata avanzata, insieme  all'istanza
 di  archiviazione  del  procedimento, dal pubblico ministero in vista
 della tutela di beni  giuridici  diversi  da  quelli  attinenti  alla
 riservatezza degli interessati.
    Nel suo atto di costituzione l'Avvocatura dello Stato ha formulato
 due  distinte  eccezioni  d'inammissibilita'. Con la prima, la difesa
 erariale sospetta  che  questa  Corte  sia  stata  investita  di  una
 questione  meramente interpretativa, che, peraltro, lo stesso giudice
 a quo avrebbe potuto risolvere seguendo l'interpretazione conforme ai
 principi costituzionali,  dal  momento  che  tale  giudice  non  puo'
 ritenersi  vincolato  dall'interpretazione data alla norma contestata
 dalla Corte di cassazione in sede di annullamento  del  provvedimento
 negativo  del  giudice  per  le  indagini preliminari. Con la seconda
 eccezione, l'Avvocatura dello Stato deduce la mancanza  di  chiarezza
 della  questione o, quantomeno, il difetto di rilevanza della stessa,
 argomentando  sulla  base  della  considerazione  che,   poiche'   la
 fissazione dell'udienza camerale ai sensi dell'art. 127 c.p.p. sembra
 esser   diretta   anche   alla   decisione   sull'archiviazione   del
 procedimento,  quest'ultimo  oggetto  escluderebbe   che   la   norma
 applicabile  nel  giudizio  a  quo sia quella contenuta nell'art. 269
 c.p.p..
    2. - Vanno innanzitutto respinte le eccezioni d'inammissibilita'.
    Relativamente alla prima  eccezione,  occorre  ribadire  che,  per
 aversi   una   questione   di   legittimita'  validamente  posta,  e'
 sufficiente  che  il  giudice  a  quo  riconduca  alla   disposizione
 contestata  un'interpretazione  non  implausibile della quale egli, a
 una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo,
 possa fare applicazione nel giudizio principale e  sulla  quale  egli
 nutra   dubbi  non  arbitrari  di  conformita'  a  determinate  norme
 costituzionali (v. sentt. nn. 117 del 1994, 51 del 1992, 64 del  1991
 e  41  del  1990).  Poiche' nel caso il giudice rimettente ritiene di
 dover applicare l'art. 269 c.p.p. nell'interpretazione fornita  dalla
 Corte  di  cassazione  in  sede  di  annullamento  del  provvedimento
 negativo del giudice per le indagini preliminari relativo all'istanza
 del pubblico ministero per la fissazione  dell'udienza  camerale,  ai
 sensi dell'art. 127 c.p.p., e poiche' lo stesso giudice a quo ritiene
 che  quell'interpretazione  possa  contrastare  con  due disposizioni
 costituzionali puntualmente indicate  nell'ordinanza  di  rimessione,
 tanto basta per dire che sia stata validamente sottoposta al giudizio
 di   questa   Corte   una   determinata   questione  di  legittimita'
 costituzionale.
    Del tutto priva di fondamento si rivela, poi, la seconda eccezione
 di  inammissibilita',  poiche'  dalla   lettura   dell'ordinanza   di
 rimessione  risulta  chiaramente che l'eventuale contestualita' della
 richiesta  di  archiviazione  del  procedimento  con  l'istanza   del
 pubblico  ministero  vo'lta  alla  distruzione  della  documentazione
 relativa alle registrazioni telefoniche  viene  considerata  soltanto
 come   una   premessa  circa  l'allegata  disparita'  di  trattamento
 comportata dall'art. 269 c.p.p.  nell'interpretazione  accolta  dalla
 Corte di cassazione e sottoposta al giudizio di questa Corte.
    3. - La questione non e' fondata nei sensi di cui in motivazione.
    Innanzitutto, si deve escludere che l'art. 269 c.p.p., nella parte
 in  cui  prescrive il rito camerale ai sensi dell'art. 127 c.p.p., si
 ponga in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, sotto il profilo
 dell'"eccesso di delega" rispetto alla direttiva contenuta  nell'art.
 2, n. 41, lettera e), della legge 16 febbraio 1987, n. 81, secondo la
 quale  il  legislatore  delegato  e'  tenuto  a stabilire, oltre alla
 "conservazione  obbligatoria,  presso  la  stessa  autorita'  che  ha
 disposto  l'intercettazione,  della  documentazione  integrale  delle
 conversazioni e delle altre forme di comunicazione intercettate",  la
 "determinazione  dei  casi  nei  quali,  a  garanzia del diritto alla
 riservatezza, tale documentazione deve essere distrutta".
    Nell'attuare tale principio direttivo,  il  legislatore  delegato,
 dopo  aver  fissato la norma secondo la quale, "salvo quanto previsto
 dall'art. 271, comma 3, le registrazioni sono  conservate  fino  alla
 sentenza  non piu' soggetta a impugnazione" (art. 269, comma 2, prima
 proposizione, c.p.p.), ha disposto subito dopo che "gli  interessati,
 quando  la  documentazione  non  e'  necessaria  per il procedimento,
 possono chiederne la distruzione, a  tutela  della  riservatezza,  al
 giudice  che  ha  autorizzato  o  convalidato  l'intercettazione". Lo
 stesso  giudice  -  dispone  infine  l'art.  269,  comma  2,   ultima
 proposizione - "decide in camera di consiglio a norma dell'art. 127".
    E'  ben  vero  che  la  norma  delegata  fa  riferimento solamente
 all'ipotesi  che  siano  i  soggetti  interessati  a  richiedere   la
 distruzione   della   documentazione  relativa  alle  intercettazioni
 telefoniche che li riguardino, una volta che nel corso  del  processo
 siano  venuti  a  conoscenza dell'esistenza di tali intercettazioni e
 queste ultime non siano considerate necessarie  per  il  procedimento
 stesso.  Ed  e',  altresi',  vero  che la distinta ipotesi che sia il
 pubblico ministero a richiedere  la  distruzione  di  quel  materiale
 all'atto   della  istanza  di  archiviazione  del  procedimento,  pur
 frequente nella prassi applicativa,  non  e'  espressamente  prevista
 dall'art.  269,  comma 2, c.p.p., come non ha mancato di osservare il
 giudice rimettente. Tuttavia - ed e'  ancora  il  giudice  a  quo  ad
 ammetterlo - la disposizione contestata puo' essere interpretata - e,
 di  fatto,  e' stata interpretata dalla Corte di cassazione - in modo
 tale da comportare l'applicabilita' del  rito  camerale  disciplinato
 dall'art.  127  c.p.p.  alla decisione sulla richiesta di distruzione
 del materiale documentale relativo alle  intercettazioni  telefoniche
 anche  nell'ipotesi  in  cui tale richiesta sia avanzata dal pubblico
 ministero, anziche' dagli interessati, contestualmente all'istanza di
 archiviazione  del procedimento. Contrariamente a quel che suppone il
 giudice a quo, siffatta interpretazione, non solo  non  e'  contraria
 alla  Costituzione,  ma,  in dipendenza del fatto che nell'ipotesi in
 esame vengono in considerazione valori e  interessi  non  diversi  da
 quelli  coinvolti  nell'ipotesi  espressamente  contemplata nell'art.
 269,  comma  2,  seconda  proposizione,  c.p.p.,  e'   anzi   l'unica
 compatibile con la salvaguardia dei principi costituzionali.
    E' indubbio, infatti, che la decisione giudiziale sulla richiesta,
 da  chiunque  formulata,  relativa  alla  distruzione  del  materiale
 documentale attinente a intercettazioni telefoniche  incide  in  ogni
 caso sopra un diritto costituzionale - quello alla riservatezza delle
 proprie  comunicazioni - che e' stato dichiarato piu' volte da questa
 Corte  come  un  diritto  inviolabile  ai  sensi  dell'art.  2  della
 Costituzione   e,   in   quanto  tale,  restringibile  dall'autorita'
 giudiziaria  soltanto  nella  misura  strettamente  necessaria   alle
 esigenze  di  indagine  legate  al  compito  primario  concernente la
 repressione dei reati (v. sentt. nn. 63 del 1994, 81  del  1993,  366
 del 1991 e 34 del 1973).
    Ed  e'  proprio  per  salvaguardare  tale  diritto  costituzionale
 essenziale di fronte  a  un  intervento  fortemente  intrusivo,  come
 quello   realizzato   con  le  intercettazioni  telefoniche,  che  il
 legislatore ha stabilito all'art. 269, comma 2, c.p.p.  due  principi
 fra  loro  complementari, e non gia', come pretende il giudice a quo,
 due norme legate da un rapporto di  regola  (principio)  a  eccezione
 (deroga):  nella  prima proposizione ha disposto che le registrazioni
 delle intercettazioni ritenute necessarie per il procedimento debbono
 esser conservate fino alla sentenza non piu' soggetta a  impugnazione
 (regola,  questa,  la  quale presuppone che le parti abbiano avuto la
 facolta'  d'interloquire,  durante   le   fasi   processuali,   sulla
 necessarieta'   delle   intercettazioni   telefoniche   rispetto   al
 procedimento); nelle  restanti  proposizioni  ha  statuito  che,  per
 quanto  riguarda  le  intercettazioni  ritenute non necessarie per il
 procedimento, gli interessati possono richiederne  la  distruzione  a
 tutela  della  loro  riservatezza  e,  in  tal  caso, il giudice deve
 decidere con le garanzie processuali inerenti ai diritti della difesa
 - in particolare quella del contradittorio -  previste,  in  ipotesi,
 nell'ambito del rito camerale disciplinato dall'art. 127 c.p.p..
    La  prospettata  illegittimita' costituzionale dell'applicabilita'
 di tale rito all'ipotesi relativa alla istanza di  distruzione  delle
 documentazioni relative a intercettazioni telefoniche, presentata dal
 pubblico  ministero  contestualmente  alla richiesta di archiviazione
 del  procedimento,  porterebbe  ad  accostare,   sotto   il   profilo
 esaminato,  questa  ipotesi a quella concernente la distruzione della
 documentazione non piu' soggetta a conservazione per essere  divenuta
 non   piu'   impugnabile   la   sentenza   conclusiva   del  relativo
 procedimento.  Ma,  in  realta',  l'ipotesi  qui  in   considerazione
 differisce sostanzialmente da quella da ultimo menzionata.
    Ribadito  in  via  generale  che,  qualunque  sia  in  concreto la
 motivazione  addotta  dal  pubblico  ministero  per   richiedere   la
 distruzione   della   documentazione  relativa  alle  intercettazioni
 telefoniche, si  e'  comunque  in  presenza  di  ipotesi  comportanti
 l'incisione  sul  diritto inviolabile alla riservatezza delle proprie
 comunicazioni, occorre  preliminarmente  rilevare  che,  ove  non  si
 applicasse  all'ipotesi  considerata il rito camerale di cui all'art.
 127 c.p.p., si potrebbe verificare, come in effetti e'  avvenuto  nel
 giudizio  a  quo,  il  caso  di una decisione che, mentre archivia il
 procedimento, rigetta l'istanza di distruzione delle  intercettazioni
 telefoniche: in tal caso la conservazione di un materiale probatorio,
 acquisito  con  sacrificio  di  un  diritto  personale  di  carattere
 inviolabile, verrebbe disposta con una decisione  ingiustificatamente
 svincolata dalla valutazione in contradittorio con le parti tanto del
 legame    di    necessarieta'    rispetto   al   procedimento   delle
 intercettazioni di cui e'  stata  richiesta  la  distruzione,  quanto
 dell'incidenza  della decisione stessa sulle esigenze di tutela della
 riservatezza degli interessati.
    E, invero, l'interesse delle parti ad essere sentite in  relazione
 alla  richiesta  del  pubblico  ministero di distruggere il materiale
 documentale relativo ad intercettazioni telefoniche, che, a  giudizio
 dello  stesso  pubblico ministero, siano state effettuate senza esito
 positivo, dev'esser valutato soprattutto  in  relazione  alla  natura
 della  decisione  di  archiviazione del procedimento: quest'ultima, a
 differenza della sentenza non piu' soggetta a impugnazione,  e',  per
 un  verso,  priva  di  stabilita'  nei  suoi  effetti,  i  quali sono
 vanificabili  da  un  eventuale  provvedimento  di  riapertura  delle
 indagini,  e,  per  altro verso, costituisce l'atto conclusivo di una
 fase del procedimento caratterizzata dalla segretezza delle  indagini
 eseguite.  Questi  elementi  -  considerati alla luce degli interessi
 costituzionali protetti, che la direttiva n. 41 contenuta nell'art. 2
 della legge delega n. 81 del 1987 ha inteso salvaguardare -  inducono
 ragionevolmente  a preservare in capo alle parti il diritto di essere
 sentite, in applicazione dell'art. 127 c.p.p., riguardo all'eventuale
 utilita' di uno strumento probatorio, acquisito con sacrificio  della
 propria  sfera  di  riservatezza,  sul  quale  in  futuro, in caso di
 riapertura delle indagini, potrebbe fondarsi, ad avviso  delle  parti
 medesime, un giudizio di non colpevolezza a proprio vantaggio.
    Sotto  questo  profilo,  l'art. 269, comma 2, ultima proposizione,
 c.p.p., interpretato nel senso di  imporre  l'applicazione  del  rito
 camerale  disciplinato  dall'art.  127  c.p.p.  alla  decisione sulla
 richiesta   del   pubblico   ministero,   formulata   contestualmente
 all'istanza   di   archiviazione  e  vo'lta  alla  distruzione  della
 documentazione relativa alle intercettazioni  telefoniche  effettuate
 senza  esito  positivo,  non risulta in contrasto con la direttiva n.
 41, lettera e), contenuta nell'art. 2 della legge delega  n.  81  del
 1987 e, pertanto, non lede l'art. 76 della Costituzione.
    4.  -  Ne' puo' fondatamente sostenersi che, interpretata nel modo
 appena detto, la stessa norma comporti  una  violazione  dell'art.  3
 della  Costituzione,  per  il  fatto  che creerebbe un'ingiustificata
 disparita' di  trattamento  all'interno  della  stessa  categoria  di
 persone,  quelle  sottoposte  ad  indagini  preliminari, distinguendo
 irragionevolmente l'ipotesi di coloro che non hanno notizia, per  non
 aver  subi'to  intercettazioni  telefoniche,  dell'archiviazione  del
 procedimento iniziato nei loro confronti, dall'ipotesi di coloro che,
 essendo stati  sottoposti  ad  intercettazioni  telefoniche,  vengono
 conseguentemente  informati  delle  indagini avvenute a loro carico e
 hanno anche la possibilita' di interloquire al riguardo. In proposito
 basta osservare che l'incisione nella sfera  privata,  tutelata  come
 diritto  costituzionale  inviolabile,  e'  un  elemento sufficiente a
 giustificare  il  diverso  trattamento  delle  ipotesi  in  cui  tale
 incisione sia avvenuta rispetto a quelle  in  cui  non  sia  occorsa,
 considerato  che  la differenziazione del trattamento e' strettamente
 limitata alla decisione sul predetto elemento.