ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
 referendum  popolare  di abrogazione del decreto del Presidente della
 Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni  in
 materia  di  accertamento  delle  imposte  sui  redditi" e successive
 modificazioni, limitatamente all'art. 23 e all'art. 25, primo  comma:
 "I  soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono
 a soggetti residenti nel territorio  dello  Stato  compensi  comunque
 denominati,  anche  sotto  forma  di  partecipazione  agli utili, per
 prestazioni di lavoro autonomo, ancorche' non esercitate abitualmente
 ovvero siano rese a terzi o nell'interesse di terzi,  devono  operare
 all'atto del pagamento una ritenuta del diciannove per cento a titolo
 di  acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai
 percipienti, con l'obbligo di rivalsa. La stessa ritenuta deve essere
 operata sulla parte imponibile delle somme di cui alla lettera  b)  e
 sull'intero  ammontare  delle  somme  di cui alle lettere a) e c) del
 terzo comma dell'art. 49 del d.P.R. 29 settembre  1973,  n.  597.  La
 ritenuta  e' elevata al venti per cento per le indennita' di cui alle
 lettere f) e g) dell'art. 12 del decreto stesso. La ritenuta non deve
 essere  operata  per  le  prestazioni  effettuate  nell'esercizio  di
 imprese", iscritto al n. 66 del registro referendum;
   Vista  l'ordinanza  del  30  novembre  1994  con la quale l'Ufficio
 centrale per il referendum popolare presso la Corte di cassazione  ha
 dichiarato legittima la richiesta;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 gennaio 1995 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
    Udito l'avvocato  Gianni  Marongiu  per  i  presentatori  Giuseppe
 Calderisi, Lorenzo Strik Lievers e Elio Vito.
                           Ritenuto in fatto
   1. - L'Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte
 di  cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e
 successive modificazioni, ha esaminato  la  richiesta  di  referendum
 popolare presentato il 3 febbraio 1994 da nove cittadini elettori sul
 seguente  quesito:    "Volete  voi  che  sia  abrogato il decreto del
 Presidente  della  Repubblica  29  settembre  1973,  n.  600  recante
 'Disposizioni  comuni  in  materia  di accertamento delle imposte sui
 redditi' e successive  modificazioni,  limitatamente  all'art.  23  e
 all'art.  25,  primo  comma:  "I  soggetti  indicati  nel primo comma
 dell'art. 2, che corrispondono a soggetti  residenti  nel  territorio
 dello  Stato  compensi  comunque  denominati,  anche  sotto  forma di
 partecipazione  agli  utili,  per  prestazioni  di  lavoro  autonomo,
 ancorche'  non  esercitate  abitualmente  ovvero siano rese a terzi o
 nell'interesse, devono operare all'atto del  pagamento  una  ritenuta
 del diciannove per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito
 delle  persone  fisiche  dovuta  dai  percipienti,  con  l'obbligo di
 rivalsa.  La  stessa  ritenuta  deve  essere  operata   sulla   parte
 imponibile delle somme di cui alla lettera b) e sull'intero ammontare
 delle  somme di cui alle lettere a) e c) del terzo comma dell'art. 49
 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. La ritenuta e' elevata al venti
 per cento per le indennita' di cui alle lettere f) e g) dell'art.  12
 del  decreto  stesso.  La  ritenuta  non  deve  essere operata per le
 prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese"?
    2.  -  L'Ufficio  centrale,  verificata  con  esito  positivo   la
 regolarita'  della  richiesta  e  la  persistente  vigenza  dell'atto
 normativo cui si riferisce, con ordinanza del 30 novembre  1994  l'ha
 dichiarata legittima.
    Ricevuta  comunicazione  dell'ordinanza,  il  Presidente di questa
 Corte ha  fissato  il  giorno  9  gennaio  1995  per  la  conseguente
 deliberazione, dandone regolare comunicazione.
    3.  -  In prossimita' della camera di consiglio, i promotori della
 richiesta  referendaria  hanno  presentato  memoria,  insistendo  per
 l'ammissibilita' della richiesta medesima.
    La difesa ha innanzitutto rilevato che le norme oggetto del refer-
 endum  non  rientrerebbero  fra  quelle  di  cui  all'art.  75  della
 Costituzione in quanto alle somme pagate dal sostituto d'imposta  non
 potrebbe  attribuirsi  natura  tributaria:  e  cio'  sia in quanto il
 relativo obbligo non sarebbe riconducibile al disposto  dell'art.  53
 della  Costituzione, essendo il sostituto un semplice anticipatore di
 somme di denaro che diverranno imposte solo successivamente,  sia  in
 quanto  non  potrebbe  farsi  discendere  la  natura tributaria dalla
 giurisprudenza della Corte di cassazione in  ordine  alla  competenza
 delle  Commissioni  tributarie  a  risolvere  le liti fra sostituto e
 sostituito.
    Osserva infine il comitato  promotore  che  alla  declaratoria  di
 ammissibilita'  della  richiesta referendaria non sarebbe di ostacolo
 quella giurisprudenza costituzionale che ricomprende nella  categoria
 degli  atti  legislativi espressamente non sottoponibili a referendum
 abrogativi anche quelle leggi che producono effetti  giuridici  cosi'
 strettamente  connessi  all'ambito  di  operativita'  delle  suddette
 categorie, in quanto la figura del  sostituto  d'imposta  esisterebbe
 solo  al fine di rendere piu' semplice la realizzazione della pretesa
 tributaria, ne' la sua eliminazione comporterebbe il venir meno,  per
 il datore di lavoro, dell'obbligo di informare il fisco sugli importi
 corrisposti ai lavoratori.
    4.  -  Nel  corso  della  Camera  di consiglio del 9 gennaio 1995,
 l'avvocato  Giovanni  Marongiu,  intervenuto  in  rappresentanza  dei
 promotori  e presentatori del referendum abrogativo, ha insistito per
 l'ammissibilita' della proposta referendaria con argomenti analoghi a
 quelli espressi nella memoria.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La   richiesta   di   referendum   abrogativo,   sulla   cui
 ammissibilita'  la  Corte  e' chiamata a pronunciarsi a seguito della
 ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte  di
 cassazione  del  30  novembre 1994, investe il decreto del Presidente
 della Repubblica 29 settembre  1973,  n.  600  recante  "Disposizioni
 comuni  in  materia di accertamento delle imposte sui redditi" e suc-
 cessive modificazioni, limitatamente agli artt. 23 e 25, primo comma.
    Sulla base di tali disposizioni  i  soggetti  indicati  nel  primo
 comma  dell'art.  2  del  d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  598,  che
 corrispondono  a  soggetti  residenti  nel  territorio  dello   Stato
 compensi  comunque  denominati  per  prestazioni di lavoro dipendente
 (art. 23),  ovvero  di  lavoro  autonomo,  ancorche'  non  esercitate
 abitualmente  ovvero siano rese a terzi o nell'interesse degli stessi
 (art. 25, primo comma), devono operare  all'atto  del  pagamento  una
 ritenuta  a  titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone
 fisiche dovuta dai  percipienti,  con  l'obbligo  di  rivalsa,  nella
 misura stabilita dalle due disposizioni.
    2.  - La richiesta referendaria sottoposta al presente giudizio va
 dichiarata inammissibile.
    Pregiudiziale  all'esame  della  sussistenza  dei   requisiti   di
 omogeneita',   chiarezza   ed   univocita'   del  quesito,  necessari
 all'ammissibilita' del  referendum  abrogativo  secondo  la  costante
 giurisprudenza  di  questa  Corte, e' la verifica se le norme oggetto
 della presente richiesta siano  comprese,  o  meno,  nella  categoria
 delle  "leggi  tributarie"  sulle  quali l'art. 75 della Costituzione
 preclude il ricorso al referendum abrogativo.
     Va premesso in proposito che - come questa Corte ha affermato  in
 sede  di giudizio di ammissibilita' di altri referendum (sentenze nn.
 63/1990 e 26/1982) - gli elementi basilari per la  qualificazione  di
 una legge come tributaria sono costituiti dalla ablazione delle somme
 con  attribuzione  delle  stesse  ad  un  ente  pubblico  e  la  loro
 destinazione  allo  scopo  di  apprestare  mezzi  per  il  fabbisogno
 finanziario dell'ente medesimo.
    3.  -  In ordine alla presente materia, e' sicuramente sussistente
 il primo dei due elementi richiamati,  in  quanto  la  norma  oggetto
 della  richiesta referendaria tende a realizzare l'ablazione di somme
 trattenute da parte del datore di lavoro a titolo di  imposta,  e  da
 costui  successivamente  versate  nelle  casse dell'erario. Parimenti
 puo' dirsi sussistente anche l'altro elemento, dato che  e'  evidente
 la  destinazione  delle somme in questione all'apprestamento di mezzi
 necessari  al  fabbisogno  dello  Stato.  Si  tratta  di  un  obbligo
 tributario  posto  a carico di determinati soggetti (c.d. sostituti),
 la cui violazione e' autonomamente sanzionata.
    Pertanto, sebbene il presupposto  dell'obbligo  in  questione  sia
 riferibile  al  reddito di lavoro del sostituito, verso cui il datore
 di lavoro esercita la rivalsa,  i  rapporti  tra  ente  impositore  e
 sostituto  e  tra  quest'ultimo  ed  il  sostituito  sono  di  natura
 tributaria,   con   tutte   le   conseguenze  anche  in  ordine  alla
 giurisdizione.
    4. - L'inammissibilita' del  quesito  risulta  rafforzata  da  una
 ulteriore  considerazione.  Questa  Corte  ha  affermato il principio
 secondo  cui   l'interpretazione   letterale   dell'art.   75   della
 Costituzione deve essere integrata con un criterio logico-sistematico
 per  cui  devono essere sottratte a referendum abrogativo anche tutte
 quelle disposizioni produttive di effetti  collegati  in  modo  cosi'
 stretto  all'ambito di operativita' delle leggi in esso espressamente
 indicate da far  ritenere  sottintesa  la  preclusione  (sentenza  n.
 16/1978).   Con   riguardo  al  meccanismo  normativo  del  sostituto
 d'imposta, cui  si  riferisce  la  presente  richiesta  referendaria,
 appare  evidente  la  sua  inscindibile connessione con l'imposta sul
 reddito e, di conseguenza, con le  disposizioni  legislative  che  la
 disciplinano.
    Ed infatti, il sistema del sostituto d'imposta, storicamente sorto
 con  maggiori  giustificazioni,  ancora  risponde  sia  all'interesse
 fiscale dell'immediata percezione delle somme (c.d. "tassazione  alla
 fonte"),   sia   a   criteri  di  tecnica  tributaria  per  agevolare
 l'accertamento e la riscossione dei tributi, come affermato da questa
 Corte nelle  sentenze  nn.  92/1972,  128/1986  e  364/1987,  nonche'
 nell'ordinanza  n.  330/1987. Nelle citate pronunce si sottolinea che
 la dichiarazione dei  sostituti  "non  mira  soltanto  ad  assicurare
 all'erario  la  quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma ha
 altresi'  valore  cognitivo,  in  quanto  consente  agli  uffici   di
 apprendere  che  il  sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli
 conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entita' delle
 dichiarazioni che egli e' a sua volta obbligato a rendere".
    Ne' pregio puo' avere, al riguardo, il fatto che con l'ausilio dei
 moderni  strumenti  di  accertamento  e   documentazione   si   possa
 ugualmente  verificare  la  percezione  di  redditi  mediante sistemi
 diversi da quello del sostituto d'imposta, in quanto  cio'  non  vale
 comunque ad escludere la natura tributaria delle disposizioni vigenti
 oggetto del presente quesito referendario.