IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. Sentite le parti, visti  gli
 atti;
                            O S S E R V A:
    1.  -  Sulla rilevanza del rilievo, d'ufficio, della non manifesta
 infondatezza delle questioni di costituzionalita' della normativa del
 c.d. condono edilizio in ordine alla presente fattispecie.
    La questione si pone in primo luogo relativamente alla sospensione
 del procedimento penale in virtu'  della  norma  dell'art.  44  della
 legge  n.  47/1985  applicabile  al  giudizio  attraverso il richiamo
 fattone dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 725.
    Il pretore, aderendo agli  autorevoli  principi  giurisprudenziali
 formatisi  in  occasione dell'emanazione della legge n. 47/1985 (cfr.
 Corte costituzione 31 marzo 1988, n. 369 in F.I. 1989, I, 3383 e ss.;
 Cass.  23  giugno  1987,  Amici  in  F.I.  Rep.  voce  "edilizia   ed
 urbanistica" m. 818; Cass. 10 novembre 1987 D'Ambrosio, in F.I., Rep.
 1989,  voce  cit.  m.  846; Cass. 7 giugno 1988 Zingaro in F.I., Rep.
 1989, voce cit. m. 850; Cass. 2 maggio 1988  Mascolo  in  F.I.,  Rep.
 1989  voce  cit. m. 853; Cass. 30 maggio 1988 Romagnoli in F.I., Rep.
 1989 voce cit., m. 859) che non possono non valere stante la analogia
 dei presupposti anche per l'attuale  normativa,  ritiene  che  l'iter
 corretto  che  il  giudice  penale  deve  adottare, dopo l'entrata in
 vigore della legge n. 725/1994, ed in presenza di un processo  penale
 per fatti di urbanistica, sia il seguente: accertamento relativo alla
 sussistenza o meno di cause di proscioglimento ai sensi dell'art. 129
 del  c.p.p.  (cfr.  in  termini Cass. 9 dicembre 1989 Salvatore F.I.,
 Rep. voce cit. m 839); in caso negativo accertamento dei  presupposti
 che  astrattamente  consentano  l'applicazione della normativa di cui
 all'art.  39  della  legge  n.  725/1994  (in  particolare  data   di
 ultimazione  delle opere, nella accezione di cui all'art. 31, secondo
 comma, legge n. 47/1985, che secondo  quanto  disposto  dall'art.  39
 della  legge  n.  725/1994  non deve essere successiva al 31 dicembre
 1993, salvo che la mancata ultimazione sia  dipesa  da  provvedimenti
 amministrativi o giurisdizionali; dimensioni delle opere in relazione
 a  quanto  prescritto  dall'art. 39 della legge n. 725/1994 ed a tale
 proposito  va  evidenziato  che  in  base  al  combinato disposto del
 sedicesimo comma, dell'art. 39, della legge n. 725/1994  e  dell'art.
 34,  settimo  comma,  della  legge n. 47/1985 solo per le costruzioni
 residenziali valgono i limiti di cubatura di cui al primo  comma  del
 citato  art.  39;  assenza  di  cause  ostative  all'applicazione del
 condono come nel caso di costruzioni abusive realizzate  da  soggetti
 condannati  per  il reato di cui all'art. 416- bis ovvero nel caso di
 costruzioni abusive che creano limitazioni alle proprieta'  finitime,
 cfr.  art.  39 della legge n. 725/1994); e solo nel caso di scrutinio
 positivo (sicche' le opere abusive potrebbero in astratto beneficiare
 delle procedure previste dalla legge n. 725/1994, il che non equivale
 alla possibilita' di ottenere la concessione in sanatoria, cfr.  art.
 39  della  legge  n.  47/1985) sospensione del procedimento penale ai
 sensi dell'art. 44 della legge n.  47/1985  fino  alla  scadenza  del
 termine  utile  per  la presentazione della domanda di concessione in
 sanatoria.
    Dopo  tale  termine  il   mantenimento   della   sospensione   del
 procedimento  penale (art. 38 della legge n. 47/1985) e' condizionata
 da  ulteriori  fattori.  Il  procedimento   penale   dovra'   infatti
 necessariamente  riprendere  il  suo  corso  laddove  non  risulti la
 presentazione tempestiva della domanda di concessione  in  sanatoria,
 la  legittimazione  al  conseguimento  della  sanatoria, il pagamento
 delle somme dovute a titolo di oblazione (e di contributi concessori?
 Cosi' sembrerebbe coordinando la norma  dell'art.  38,  primo  comma,
 della  legge n. 47/1985 con quella del nono comma dell'art. 39, della
 legge n. 725/1994)  nella  misura  prevista,  da  versare  nei  tempi
 previsti  dalla  legge  e  la  cui  prova  del versamento deve essere
 allegata alla domanda di sanatoria, la mancanza  di  omissioni  e  di
 inesattezze  nella  domanda  che  la  facciano  ritenere  dolosamente
 infedele.
    Nel caso in esame, effettuati i  riscontri  necessari  secondo  il
 modulo  procedimentale  teste'  ricordato, il pretore ritiene che non
 possa dubitarsi che il procedimento penale dovrebbe  essere  sospeso,
 in  virtu' dell'art. 44, della legge n. 47/1985, essendo certo che le
 opere sono state ultimate, nell'accezione di cui  all'art.  31  della
 legge  n.  47/1985 e visto anche l'art. 43, ultimo comma, della legge
 n. 47/1985, entro il 31 dicembre 1993 e che le  stesse,  riferite  ad
 immobile  ad  uso  abitativo,  non impegnano una cubatura superiore a
 quella massima consentita dalla legge.
    Si potrebbe obiettare che la dimostrata rilevanza della  questione
 di   costituzionalita'   atterrebbe   solo   alla   disciplina  della
 sospensione  del  processo  prevista  dall'art.  44  della  legge  n.
 47/1985, mentre non sarebbe dato allo stato affermare la rilevanza in
 ordine  alla  intera (e sostanziale) disciplina contenuta nelle norme
 del c.d. condono edilizio, posto che l'imputato  potrebbe  anche  non
 presentare   la  domanda  di  concessione  in  sanatoria  (come  pure
 potrebbero  verificarsi  le  condizioni  negative  impeditive,   alla
 stregua  dei parametri suindicati, all'applicazione della sospensione
 ulteriore, quella ai sensi dell'art. 38 della legge n. 47/1985),  con
 il  conseguente  obbligo  della prosecuzione del giudizio penale e la
 irrilevanza  delle  questioni  di  costituzionalita'  relative   alla
 disciplina sostanziale dettata dalle norme in questione.
    V'e'  per  contro  da  osservare  che  il  ragionamento  pecca per
 difetto.  Ed  invero  se  cosi'  si   opinasse,   neppure   dopo   la
 presentazione  della domanda di concessione in sanatoria (che produce
 una sospensione del procedimento penale di ben piu' ampio respiro) il
 giudice   sarebbe   abilitato   a   sollevare   una   questione    di
 costituzionalita' posto che e' impossibile sapere ex ante quale siano
 gli  esiti  del procedimento amministrativo (ad es. l'interessato, in
 prosieguo,  potrebbe  non  corrispondere  gli  ulteriori  importi  di
 oblazione dovuti).
    Cio' che ad avviso del remittente rileva e' che nel momento in cui
 il  giudice  e'  tenuto  ad applicare la sospensione del procedimento
 penale si e' gia' instaurata, in virtu' dell'applicazione delle norme
 del c.d. condono  edilizio,  una  situazione  processuale  che  (come
 accadra'  nella maggior parte dei casi) non potra' che sfociare nella
 estinzione dei reati contestati all'imputato.
    In ogni caso, quest'ultimo ha chiesto la sospensione del  giudizio
 in   relazione   all'esistenza   della  normativa  in  esame  e  tale
 circostanza e' sufficiente, come condivisibilmente riteneva la stessa
 Corte costituzionale con la sentenza 31 marzo 1988, n.  369  cit.,  a
 radicare  la rilevanza delle sollevate questioni di costituzionalita'
 anche in relazione ad articoli diversi dall'art. 44  della  legge  n.
 47/1985.
    2.  -  Va  precisato  che le eccezioni di incostituzionalita' sono
 dirette nei confronti del condono edilizio di cui all'art.  39  della
 legge  n.  725/1994) e nei confronti delle norme del condono edilizio
 della legge n. 47/1985 nella misura in cui dalla legge n. 725/1994 si
 citano e si fanno proprie (espressamente o meno) le norme di cui alla
 legge n. 47/1985.
    3. - La normativa impugnata, ad avviso del  remittente,  confligge
 con  l'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione per svariati
 profili.
    Come e' noto il primo comma dell'art. 3 stabilisce  che  "tutti  i
 cittadini  hanno  pari  dignita'  sociale  e sono eguali davanti alla
 legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
 di opinioni politiche, di  condizioni  personali  e  sociali"  ed  il
 secondo  che  "e'  compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
 ordine economico e sociale che, limitando di  fatto,  la  liberta'  e
 l'eguaglianza  dei  cittadini  impediscono  il  pieno  sviluppo della
 personalita' umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
 all'organizzazione politica economica e sociale del paese".
    Come e' noto le norme del condono  edilizio  di  cui  all'art.  39
 della  legge  n. 725/1994 non fanno distinzione fra abusi sostanziali
 ed abusi formali (nel senso cioe' che  anche  gli  abusi  sostanziali
 possono beneficiare del condono).
    Cio'  con  eccezioni  (art.  39,  secondo  comma,  della  legge n.
 725/1994 per le opere abusive che creano limitazioni alle  proprieta'
 finitime;  l'art.  33  della  legge  n. 47/1985 che non esclude pero'
 l'estinzione del reato), che non mutano la fondatezza dell'assunto.
    In altre parole, di regola, anche un'opera  in  contrasto  con  le
 previsioni degli strumenti urbanistici puo' beneficiare degli effetti
 del condono edilizio.
    E  cosi',  con  riferimento  alla fattispecie in giudizio, risulta
 come e' stato accertato mediante l'esame del tecnico comunale che  la
 cubatura   del   lotto  era  stata  completamente  esaurita  con  una
 precedente costruzione, sicche' le opere di cui  all'imputazione  non
 avrebbero mai potuto essere ivi lecitamente realizzate in conformita'
 alle  previsioni  degli  strumenti urbanistici ma solo in difformita'
 rispetto a tali previsioni.
    In tal modo il soggetto interessato puo', in base alle  norme  del
 condono edilizio, ottenere una serie di benefici e di vantaggi che ad
 altri  cittadini  che  pur  si  trovano in un'analoga situazione (che
 hanno ad es. un terreno disponibile nella stessa area e delle  stesse
 dimensioni) sono negati.
    Si pensi a concessioni rilasciate per depositi e magazzini in aree
 agricole  dove  sono  invece  state  costruiti  manufatti  per civile
 abitazione; a superfici, altezze, cubature,  destinazioni  d'uso  non
 consentite e via dicendo.
    Tali  opere  potrebbero  essere  realizzate  solo in virtu' di una
 concessione illegittima ovvero di  in  comportamento  abusivo,  senza
 concessione.
    A  tale  stregua  pero'  non  vi  sarebbe  nessuna  violazione del
 principio di eguaglianza, essendo assolutamente evidente a tutti  che
 il  cittadino  onesto,  che si astiene dal realizzare opere abusive o
 con concessione illegittima, non viene in senso proprio  discriminato
 rispetto  alle  predette ipotesi proprio in quanto quelle sono contra
 legem, con tutto cio' di negativo che questo implica.
    Viceversa, a seguito dell'applicazione  delle  norme  in  tema  di
 condono,   la   discriminazione   che   si  determina  e'  palese  ed
 ingiustificata.
    In punto di diritto e' indubbio che  il  soggetto  che  ha  sanato
 l'abuso  si  trova  in  una  condizione  di  piena legittimita' della
 titolarita' e della disponibilita' del bene (puo' ottenere l'allaccio
 di utenze; puo' validamente alienarlo, ecc.).
    Vi sono motivazioni  ragionevoli  (in  termini  costituzionali)  a
 sostegno di tali trattamenti differenziati?
    In  prima  approssimazione  si  potrebbe  opinare  per la risposta
 positiva pensando che  chi  beneficia  del  condono  paga  un  prezzo
 (l'oblazione).
    Ma a ben pensarci non e' questa una differenza che possa escludere
 la  sussistenza  di una irrazionale discriminazione. Quanti cittadini
 onesti (che non hanno commesso abusi edilizi) sarebbero interessati a
 realizzare ville su terreni agricoli, pagando le somme corrispondenti
 all'oblazione?
    La risposta e' intuitiva.
    E perche' invece tali cittadini non possono pagare e costruire?
    Anche qui la risposta, nella sua crudezza, e' ovvia: perche' viene
 valorizzato (se non si vuol dire premiato) l'atto illecito. E' l'atto
 illecito infatti che viene trasformato, merce il pagamento di  somme,
 in situazione secundum ius.
    L'onesto rimane, ancora una volta, al palo ed in lui ardera' amaro
 e forte il sospetto che l'onesta' non paghi.
    L'art.  39  della  legge n. 725/1994, poi, consente di beneficiare
 dei suoi effetti anche a soggetti che hanno gia' usufruito, per altre
 opere abusive, del condono del 1985.
    E' ad avviso del  remittente  difficile  immaginare,  nel  settore
 urbanistico   ed   ambientale,   discriminazione   piu'  bruciante  e
 stridente.
    In  definitiva, cio' che emerge con forza e' la irrazionalita' del
 trattamento differenziato. Non si nega invero che le situazioni  (fra
 chi  ha  commesso  l'abuso e chi non l'ha commesso) siano differenti:
 cio' e' in re ipsa. Quello che e'  irragionevolmente  discriminatorio
 e' il trattamento riservato all'un soggetto e negato all'altro.
    Si  potrebbe  obiettare  che  cio'  che  il  pretore  lamenta come
 discriminatorio  e'  all'incirca  cio'  che  accade  in  presenza  di
 un'amnistia,  ma l'eccezione non apparirebbe fondata sol che si pensi
 che l'amnistia e' prevista, come istituto ad hoc  dalla  Costituzione
 italiana  (oltre che dal codice penale), ed i suoi effetti diretti ed
 indiretti, le sue conseguenze ed implicazioni individuali  e  sociali
 sono  stati  preventivamente  ed  ab origine valutati e accettati dai
 padri costituenti.
    E di cio'  vi  e'  riprova  nel  fatto  che  la  legge  concessiva
 dell'amnistia deve essere approvata dal Parlamento "a maggioranza dei
 due  terzi  dei  componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e
 nella votazione finale".
    L'amnistia,  proprio  per  i  gravi  effetti   che   comporta   e'
 disciplinata  espressamente  dalla  Costituzione che per essa prevede
 una procedura rigorosa ed una larga maggioranza in  modo  da  ridurre
 quanto  possibile gli squilibri che l'istituto, specialmente se usato
 con troppa frequenza e  disinvoltura,  puo'  comportare  nel  tessuto
 sociale del paese.
    Ora,   in  conclusione,  secondo  la  Corte  costituzionale  (cfr.
 sentenza  n.  369/1988  citata)  il  c.d.  condono  edilizio  non  e'
 un'amnistia  cosicche',  se  si  segue  tale tesi, la discriminazione
 (come sopra  illustrata)  che  l'art.  39  della  legge  n.  725/1994
 determina,  non  puo'  neppure  essere  giustificata  nell'ottica del
 bilanciamento fra valori (e precetti) costituzionali che puo'  valere
 per l'amnistia.
    4. - Il c.d. condono edilizio come atto di clemenza.
    Avuti  ben  chiari  i  limiti che deve avere la presente ordinanza
 (che sono quelli di sottoporre al giudizio dell'organo competente  la
 valutazione  dei motivi di sospetta incostituzionalita' che l'ufficio
 remittente nutre) occorre partire proprio  dagli  insegnamenti  della
 Corte  costituzionale  in  materia.  A  tale  proposito  si deve fare
 primario riferimento alla gia' citata sentenza 31 marzo 1988, n. 369.
    In essa la Corte ha escluso che le norme del c.d. condono edilizio
 (quello, ovviamente, di  cui  alla  legge  n.  47/1985)  integrassero
 un'amnistia   e   che   quindi  la  legge  del  1985  potesse  essere
 incostituzionale per non essere stato il provvedimento  adottato  con
 le garanzie di cui all'art. 79 della Costituzione.
    Si  tratta  di  operare un riesame dell'intera questione alla luce
 degli atti e  degli  avvenimenti  successivi  al  1985  che  potrebbe
 portare a conclusioni diverse da quelle a suo tempo assunte dall'alto
 consesso  in  relazione  al condono del 1985: in relazione a cio' non
 pare inutile  sollevare,  formalmente,  come  si  fa',  eccezione  di
 incostituzionalita' anche sotto il profilo della violazione dell'art.
 79  della  Costituzione,  a  maggiore  ragione nell'attuale testo che
 manifesta,  con  la  qualificata  maggioranza  richiesta,  il   vasto
 consenso   sociale   (come   riflesso  dalle  opinioni  espresse  dai
 rappresentanti  del   popolo   nel   Parlamento)   che   si   ritiene
 costituzionalmente   necessario   per  l'emanazione  dell'amnistia  e
 dell'indulto; nonche' degli artt. 3  e  112  della  Costituzione,  in
 relazione  al  vigente  principio  dell'obbligatorieta'  per  tutti i
 cittadini dell'azione penale.
    Orbene, escluso che nel c.d. condono possa  essere  ravvisata  una
 forma  particolare  di  oblazione  extraprocessuale  (per  il  che si
 concorda pienamente con quanto  espresso  nella  citata  sentenza  n.
 369/1988  della  Corte  costituzionale),  sembra  al  pretore  che la
 questione del raffronto fra le ipotesi di amnistia condizionata (cfr.
 art. 151, terzo comma, del c.p. e, fra i casi  concreti,  ad  es.  il
 d.P.R.  9  agosto  1982,  n.  525  "concessione di amnistia per reati
 tributari") e le norme  premiali  del  c.d.  condono  edilizio  debba
 prendere   le   mosse   dalla   stessa  collocazione  di  tali  norme
 significativamente inserite fra le  disposizioni  varie  della  legge
 finanziaria  n.  725/1994  e  quindi  in un ambito che nulla ha a che
 vedere con l'amnistia e l'indulto.
    Occorre allora accertare, al di la' della nomenclatura usata  (non
 basta  attribuire  a  qualcosa un nome per trasformarla in altro che,
 nella sostanza, non e'), quali siano,  realmente,  il  contenuto,  la
 natura e la finalita' delle norme.
    Quanto  al contenuto pare difficilmente contestabile che un titolo
 diverso (appunto di "amnistia ed indulto") che fosse stato attribuito
 alle norme impugnate non avrebbe affatto sfigurato,  come  suggerisce
 ad  es.  il  raffronto  con  il  citato d.P.R. n. 525/1982 in tema di
 amnistia  per  i  reati   tributari,   che   opera   con   meccanismi
 procedimentali  non  dissimili  da  quelli  contenuti nelle norme del
 condono edilizio.
    Questo perche' in entrambi i casi (amnistia condizionata,  condono
 edilizio) l'effetto estintivo del reato dipende nella sostanza, oltre
 che dalla sussistenza di determinati requisiti oggettivi e temporali,
 la  cui sussistenza il giudice deve accertare, fondamentalmente da un
 comportamento positivo e volontario del destinatario delle norme (che
 per il c.d. condono edilizio consiste nel pagamento di tutte le somme
 dovute per legge a titolo di  oblazione  ovvero  dell'esplicarsi  del
 meccanismo  alternativo  previsto  dal  dodicesimo comma dell'art. 35
 della legge n. 47/1985 se ritenuta tale  norma  ancora  vigente  alla
 luce  del  disposto  del  quarto  comma  dell'art.  39 della legge n.
 725/1994).
    D'altra parte se non si puo' negare che con la legge ordinaria  si
 possano  istituire  nuove  forme di estinzione del reato oltre quelle
 gia' previste e codificate nel codice penale, vi e' pero' pur  sempre
 un  limite  assoluto  invalicabile  e  tale limite va individuato nel
 rispetto della Costituzione.
    La Corte costituzionale nella sentenza del 1988 affermava  che  il
 c.d. condono edilizio "costituisce senza dubbio specie d'una generale
 nozione di misura di clemenza".
    Ed  allora, viene da riflettere, se si ammette che il c.d. condono
 edilizio opera nello stesso modo in cui operano (ed hanno in concreto
 operato o possono operare) le amnistie condizionate e se  si  ritiene
 che  il  c.d.  condono  edilizio e' senz'altro una forma di clemenza,
 quali sono le ragioni logiche per negare che necessariamente  debbano
 valere,  anche  per  tale  mezzo,  le  procedure garantistiche di cui
 all'art. 79 della Costituzione.
    La  considerazione,  espressa  dalla  Corte  costituzionale,   che
 determinati  provvedimenti,  come  quelli  del c.d. condono edilizio,
 sono adottati al fine di orientare i comportamenti di chi ha  violato
 la  legge  in  una  determinata  direzione,  non  sembra,  in un tale
 contesto,   con   la   sola   valorizzazione  delle  motivazioni  del
 provvedimento, poter autolegittimare e dare forza  giuridica  propria
 all'atto  di  condono  ne'  poter  mutare  i termini della questione,
 almeno nella misura in cui sia esatto affermare che anche una formale
 amnistia che  fosse  adottata  per  orientare  il  comportamento  dei
 soggetti   devianti  in  una  certa  direzione  dovrebbe  pur  sempre
 rispettare le regole e le garanzie di forma che la  Costituzione  per
 essa impone.
    Ma  v'e'  un  altro  ed  ulteriore  profilo  che  merita di essere
 affrontato.
    La Corte costituzionale nella citata sentenza 31  marzo  1988,  n.
 369  affermava,  fra  l'altro,  che  "il  legislatore  del  1985  nel
 tentativo  di  porre  ordine  nell'intricata,   farraginosa   materia
 dell'edilizia,  preso atto della illegalita' di massa in tale materia
 verificatasi ha inteso chiudere un passato illegale; ed  ha  ritenuto
 con  valutazioni insindacabili in questa sede di indurre autori e non
 di  violazioni  edilizie  a  chiedere  la  concessione  in  sanatoria
 relativa  ad opere realizzate abusivamente". Il legislatore ha usato,
 rilevava la Corte, della "punibilita' in materia autonoma, svincolata
 dalle relazioni con il reato commesso".
    Affermava ancora la Corte che "tutte le  volte  che  si  rompe  il
 nesso costante fra reato e punibilita' e quest'ultima viene usata per
 fini  estranei  a  quelli  relativi  alla  difesa  dei  beni tutelati
 attraverso  la  incriminazione  penale,  tale   uso   puo'   incidere
 negativamente   sul   principio   di  uguaglianza  ex  art.  3  della
 Costituzione  e  deve  trovare  la  sua  giustificazione  nel  quadro
 costituzionale    che   determina   il   fondamento   ed   i   limiti
 dell'intervento punitivo dello Stato".
    "La non punibilita' o la non procedibilita'  dovuta  a  situazioni
 successive  al  commesso  reato,  come nel caso del condono edilizio,
 deve comunque essere valutata in  funzione  delle  finalita'  proprie
 della   pena:  ove  l'estinzione  della  punibilita'  irrazionalmente
 contrastasse  con   tali   finalita',   ove   risultasse   variamente
 arbitraria,  tale, come e' stato esattamente sottolineato, da svilire
 il senso stesso della comminatoria edittale  e  della  punizione  non
 potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima".
    Cio',   in   particolare,  osserva  la  Corte  laddove  "l'effetto
 estintivo debba spiegarsi nei confronti di reati che, direttamente  o
 indirettamente,  violano precetti costituzionalmente sanciti, posti a
 tutela di fondamentali esigenze della comunita'". "La non punibilita'
 e la non procedibilita' di cui  ai  moderni  condoni  penali,  specie
 quando  cancellano  reati lesivi di beni fondamentali della comunita'
 va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema  costituzionale;
 quest'ultimo precisa ed in maniera non generica fondamento, finalita'
 e   limiti   dell'intervento   punitivo   dello  Stato.  Contraddire,
 vanificare,  sia  pure  temporaneamente,  le  ragioni   prime   delle
 punibilita',  attraverso l'esercizio arbitrario della non punibilita'
 equivale non soltanto a violare l'art. 3  della  Costituzione  ma  ad
 alterare  con  il  principio della obbligatorieta' dell'azione penale
 l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale".
    Il significato, di grande valenza culturale oltre  che  giuridica,
 di  quanto  affermato  dalla  sentenza della Corte costituzionale, in
 questi fondamentali passi riportati, e' di una chiarezza cristallina.
    L'estinzione   della   pena   deve   in   qualche  modo  e  misura
 giustificarsi e ricollegarsi in funzione  di  tutela  (e  cio'  anche
 nella  materia  del  territorio e dell'ambiente, che sono beni che la
 Costituzione considera e  valorizza  quali  patrimonio  di  tutta  la
 collettivita'  all'oggetto  delle norme sul cui precetto penale si e'
 inciso.
    Per quanto riguarda il condono  edilizio  del  1985  la  Corte  ha
 scrutinato,  sotto  tale  visuale, favorevolmente la legge n. 47/1985
 ritenendo che con la legge in questione il legislatore avesse "inteso
 chiudere un passato di illegalita' di massa alla  quale  aveva  anche
 contribuito  la  non  sempre  perfetta  efficienza  delle  competenti
 autorita'  amministrative  ed  avesse  mirato  a  porre  sicure  basi
 normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali
 esigenze  sottese  al  governo  del  territorio,  come  la  sicurezza
 dell'esercizio  dell'iniziativa  economica  e  privata,  la  funzione
 sociale  della  proprieta',  la tutela del paesaggio e del patrimonio
 storico ed artistico". Tali beni il  legislatore  del  1985  riteneva
 potessero essere "difesi validamente per il futuro solo attraverso la
 cancellazione  del notevole ingombrante carico pendente relativo alle
 passate illegalita' di massa".
    Orbene  proprio  alla  luce  di  quanto  insegnato   dalla   Corte
 costituzionale vanno svolte alcune considerazioni.
    Il  punto fermo, l'a'ncora di costituzionalita' delle normative di
 condono edilizio riposa dunque in una  qualche  forma  di  tutela  di
 ritorno  (del  territorio e dell'ambiente) che deve essere prodotta o
 favorita dalle normative stesse.
    Invero, e gia' in linea di principio, e' lecito  dubitare  che  il
 bilancio definitivo di siffatti condoni edilizi possa essere attivo a
 favore dei beni protetti (territorio-ambiente).
    Ed  infatti,  anche  in  presenza  di un qualche effetto positivo,
 appare  assai  piu'  probabile,  come  conseguenza  del  condono,  la
 conseguente caduta di credibilita' del precetto penale che assiste la
 normativa  urbanistica,  nonche'  il  diffondersi  della  convinzione
 (fondata,  come  l'intera  vicenda   dei   condoni   edilizi   citati
 esemplarmente  dimostra) che ad un condono ne seguira' un'altro e che
 l'abuso nell'urbanistica, in definitiva ed  alla  lunga,  paghi  piu'
 dell'osservanza della legge.
    In  ogni  caso  si  puo' senza'altro opinare che la legge del 1985
 (pur avendo delle non lievi ambiguita' e lacune, si pensi, per tutte,
 alla  timida  disciplina  delle  modifiche  di  destinazione   d'uso)
 contenesse  (specialmente  per  l'assetto  normativo  dell'epoca) una
 corpo di norme, non soltanto premiali, che rielaborando e riordinando
 (almeno in parte) la materia edilizia, dettava  nuovi,  importanti  e
 forti principi di disciplina e di tutela del territorio.
    Si  puo',  a  poco meno di dieci anni di distanza da quella legge,
 considerare costituzionalmente l'art. 39  della  legge  n.  725/1994,
 alla luce delle considerazioni fin qui svolte?
    Affermare  questa  volta  che vi e' la possibilita' di ancorare le
 norme  impugnate  a  ragioni  (anche)  di  tutela  ambientale  appare
 francamente impresa ardua.
    Con  l'art.  39  della  legge  in  questione  si  traccia una riga
 continua (almeno per quanto riguarda la sanzione penale e nei  limiti
 delle  cubature  previste)  su  tutti  gli  abusi  edilizi, formali e
 sostanziali (contrariamente a quanto il  legislatore  aveva  promesso
 con  l'art.  13  della  legge n. 47/1985, per il futuro), commessi ed
 ultimati dai temi passati ad oggi.
    Con la conseguenza di creare le migliori condizioni, soggettive ed
 oggettive, per la realizzazione di altri  abusi  e  altri  reati  (si
 pensi, in una sorta di "dejavu'" di quanto accaduto in un passato non
 remoto,  al  prevedibile  e  gia' da molti sindaci d'Italia lamentato
 aumento dei casi di abusivismo; agli innumerevoli casi di atti notori
 falsi in cui si assevereranno come ultimate entro il 31 dicembre 1993
 opere che ultimate non erano a quella data; e cio' sulla convinzione,
 fondata su cio' che e' accaduto con il precedente condono, che  assai
 difficilmente  i  comuni  saranno  in grado di far fronte nel termine
 indicato dal  decreto  alle  incombenze  di  natura  burocratica,  ai
 controlli  sul  campo ed a quant'altro occorrerebbe per una effettiva
 seria applicazione delle  norme.  E  di  cio',  per  il  passato,  e'
 lapidaria  testimonianza  la  procedura  introdotta con il dodicesimo
 comma dell'art. 35 della legge n. 47/1985).
    Il presente condono  e'  la  esatta  e  completa  negazione  della
 filosofia  attribuita  alla legge n. 47/1985. Con la legge n. 47/1985
 si affermava in modo che piu' chiaro non potrebbe che per  il  futuro
 abusi  sostanziali,  vale  a  dire violazioni edilizie contrarie alle
 previsioni degli strumenti urbanistici, non sarebbero stati mai  piu'
 perdonati    con   la   inesorabile   applicazione   delle   sanzioni
 amministrative e penali, come pure delle severe conseguenze  previste
 sul piano negoziale dalla legge.
    Questo  e  non  altro  e'  il  significato,  spogliato  del freddo
 tecnicismo giuridico, dell'art. 13 della legge n. 47/1985.
    In tale ottica il condono del  1985  poteva  quindi  avere  quella
 giustificazione  costituzionale  indispensabile affinche' non fossero
 vulnerati,  con  l'offesa  al   principio   di   eguaglianza   e   di
 obbligatorieta'  della  legge penale, i beni (territorio ed ambiente)
 oggetto della norma penale urbanistica.
    Il condono del 1994 invece va  in  senso  diametralmente  opposto:
 smentendo in modo clamoroso le promesse e gli impegni del legislatore
 del  1985  vengono  ammessi  a sanatoria abusi formali ma anche abusi
 sostanziali (fino al dicembre 1993) cosicche' viene a cadere  proprio
 il  salvifico sostegno costituzionale che la Corte con la sentenza n.
 369/1988 aveva individuato.
    Poche altre considerazioni da esporre sul punto.
    Qual'e' la giustificazione (nei termini costituzionali cui  si  e'
 fatto riferimento) di questo nuovo condono?
    E' lecito chiedersi se l'effettiva e malcelata motivazione non sia
 solo  o  prevalentemente  quella di reperire fondi per le casse dello
 Stato, cfr. pure quanto argomentato al paragrafo  7  infra  circa  la
 portata logica degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 per il caso
 di  opere  non  sanabili  e  che  pure  merce'  pagamento  di  denaro
 conseguono la estinzione del reato.
    Potrebbe essere questo un valido sostegno costituzionale?
    Al remittente, proprio in base all'autorevole  insegnamento  della
 Corte, non sembra proprio.
    Si puo' forse ipotizzare che vi siano nuove "illegalita' di massa"
 da chiudere?
    E  pur  ipotizzando  una  risposta  positiva  e' accettabile, alla
 stregua dello scrutinio  costituzionale  richiesto  dalla  Corte  nei
 termini  sopra  ricordati,  un  nuovo  condono  e piu' specificamente
 quello contenuto nella legge n. 725/1994?
    A tale domanda solo la Corte costituzionale puo' dare adeguata  ed
 autorevole risposta.
    Il  remittente  puo' solo esporre alcuni dubbi relativi alle norme
 impugnate.
    L'art.  39,  che  e'  la  fonte  diretta  dell'attuale   normativa
 premiale,   e'  collocato  nelle  "disposizioni  varie"  della  legge
 finanziaria 23 dicembre 1994. Come e' noto a tutti, per essere  stato
 ripetuto  in  ogni  occasione e sede dagli ispiratori del condono, la
 sua ragion d'essere  riposa  nella  necessita'  di  reperire  cespiti
 finanziari attraverso vie diverse dalla tassazione diretta.
    Se  cosi'  fosse,  v'e'  da  temere  una  disordinata svendita del
 territorio, nel senso che, con l'unico  reale  obiettivo  di  reperir
 soldi, si rinuncierebbe da parte dello Stato alla tutela dei beni che
 le norme urbanistiche sono deputate a proteggere.
    Abusivismo  significa,  fra l'altro, costruzioni fatte dai privati
 con la massimizzazione del profitto, con lo  sfruttamento  esasperato
 dei  lotti  disponibili,  con  immobili  vicini  fra  loro,  senza il
 rispetto degli standards urbanistici, con assenza di  spazi  adeguati
 per  strade, parcheggi, parchi e giardini, servizi pubblici in genere
 e quant'altro caratterizza il vivere  in  un  contesto  ambientale  a
 misura  d'uomo.  In  tale  ambito  vengono  spesso a mancare o essere
 carenti luoghi e occasioni di lecita aggregazione per i giovani e  si
 crea un favorevole terreno per lo sviluppo della delinquenza.
    Non si vede proprio in qual modo le norme censurate possano avere,
 anche  indirettamente,  un  effetto  positivo per il territorio e per
 l'ambiente.
    Qualsiasi tentativo di individuare un qualche effetto positivo  di
 ritorno  per  il territorio e l'ambiente da tali norme e' destinato a
 naufragare sol se si considera che, non operando le  leggi  premiali,
 di  regola,  distinzioni  fra  abusi  sostanziali  e abusi formali e'
 impedito  agli  enti  territoriali  di  adottare  qualsiasi  efficace
 manovra  di  intervento  e  di governo del territorio, dovendosi essi
 nella sostanza limitare a prendere atto degli abusi perpetrati.
    Non vi e' quindi il controllo da parte degli organi pubblici dello
 sviluppo del territorio, ma piuttosto e' il contrario, e' lo sviluppo
 del territorio, anche quello arbitrario disordinato e abusivo che  si
 impone  agli  organi pubblici, impedendo l'attuazione delle scelte di
 programmazione degli usi e degli insediamenti del territorio.
    Posto che nella legge n. 725/1994  la  normativa  del  condono  e'
 riassunta  nell'art.  39  senza  che  vi siano altre norme in tema di
 edilizia ed urbanistica, c'e' da chiedersi se a salvare,  in  termini
 di  costituzionalita',  vale  a  dire  di  benefici per il territorio
 nell'accezione  offerta  dalla   ricordata   sentenza   della   Corte
 costituzionale,  la  normativa in tema di condono possano intervenire
 altre norme, contenute in altre fonti.
    Sono infatti note le vicende dei decreti-legge 26 luglio 1994,  n.
 468,  27 settembre 1994, n. 551 e del successivo 25 novembre 1994, n.
 649.
    In via preliminare v'e' da dubitare che  una  siffatta  operazione
 sia  consentita, posto che cosi' opinando il termine di raffronto (in
 punto di ricerca delle norme che dovrebbero manifestare  l'attenzione
 posta  dal  legislatore  al bene tutelato dalla norma su cui opera il
 condono)  di  una  certa  normativa  premiale diventa del tutto vago,
 generico, diluibile in una moltitudine indeterminata  nell'oggetto  e
 nel tempo di provvedimenti.
   In  ogni  caso, diversamente opinando, vale allora ricordare quanto
 osservato da questo pretore nella  eccezione  di  incostituzionalita'
 sollevata nel procedimento penale avverso Luciani Bruna con ordinanza
 del  6  ottobre  1994  (pubblicata  in  Gazzetta Ufficiale - 1a serie
 speciale n. 49 del 30 novembre  1994)  in  merito  alle  altre  norme
 contenute  nel  decreto-legge  n. 551/1994 (ed in quelli successivi),
 cui va aggiunto il rilievo che solo per le opere abitative  e'  stato
 posto  un limite di cubatura, in ogni altro caso qualsiasi dimensione
 dell'abuso non rilevando.
    6. - La violazione delle autonomi locali.
    Gli artt. 117 e 118 della  Costituzione  prevedono  che  lo  Stato
 detta   in   materia  urbanistica  principi  fondamentali  mentre  la
 normazione diretta e primaria compete alla Regione, che  esercita  le
 funzioni   amministrative   in   questa   materia   direttamente  e/o
 delegandole ai comuni.
    I comuni (come le province) "sono enti  autonomi  nell'ambito  dei
 principi   fissati   da   leggi  generali  della  Repubblica  che  ne
 determinano le funzioni" (art. 128 della Costituzione).
    Nella materia urbanistica con il d.P.R.  n.  616/1977  sono  state
 delegate alle Regioni le relative funzioni amministrative dello Stato
 e degli enti pubblici, salve le eccezioni di cui all'art. 80.
    Ad  avviso  del remittente e' forte il sospetto che il condono del
 1994  violi  tali  norme  laddove,  anche  in   presenza   di   abusi
 sostanziali,  ne  consente  egualmente e come regola la sanatoria. In
 primo luogo va evidenziata la rilevanza della questione.
    Gli abusi consistenti  nella  mancanza  della  concessione,  nella
 totale  difformita'  e  nelle  variazioni  essenziali  comportano  le
 conseguenze previste dall'art. 7 della legge n. 47/1985.
    L'abuso contestato all'imputato, e' per la ragione supra spiegata,
 di carattere sostanziale.
    Si tratta  cioe'  di  violazione  urbanistica  ordinariamente  non
 sanabile,  nel  senso  che  gli  strumenti  urbanistici del comune in
 questione non consentono in nessun modo ed a  nessuna  condizione  la
 realizzazione  di  un'opera  siffatta  che  se esistente non puo' che
 essere e rimanere abusiva ed esposta  alle  sanzioni  previste  dalla
 legge (art. 7 della legge n. 47/1985).
    Le  ragioni  di  cio' sono evidenti: il governo del territorio, se
 non vuole essere una parola priva di senso,  presuppone  la  presenza
 (ed  il  rispetto) di precise programmazioni dell'uso del territorio,
 il rispetto di standards (cfr.  sul  punto  il  fondamentale  d.m.  2
 aprile  1968),  la  sussistenza  o  la  previsione  di infrastrutture
 adeguate al tipo di insediamenti (opere di urbanizzazione primaria  e
 secondaria), etc.
    Con  la  sanatoria  degli  abusi sostanziali si impongono da parte
 dello  Stato  all'ente  territoriale  scelte  altrui  (in   tema   di
 zonizzazione,  di  cubature,  di  standards etc.) confliggenti con le
 regole  autodettate  dal  comune  stesso  in  tema  di  governo   del
 territorio.
    Non si tratta, in questo caso, di principi fondamentali in materia
 urbanistica,  per  i  quali  lo  Stato avrebbe competenza, poiche' e'
 invece l'esatto contrario. Con il condono  si  impone  al  comune  di
 accettare   e   di  inserire  nella  programmazione  futura  del  suo
 territorio la piu' irrazionale casualita' edilizia di  opere  abusive
 di ogni genere e collocazione.
    E  cosi'  ad es. una zona che era stata destinata all'agricoltura,
 la legge dello Stato, mediante il condono  dei  manufatti  di  civile
 abitazione  realizzati  illecitamente  sul  quell'area,  destinata ad
 altro e diverso uso.
    Puo' tale normativa trovare giustificazione costituzionale in  una
 (piu' o meno vera) inerzia del comune nell'adozione dei provvedimenti
 tesi al rispetto della legalita'?
    L'assunto,  la  cui  rispondenza  al vero (specialmente in termini
 quantitativi) e' tutta da dimostrare, come pure da dimostrare  e'  la
 sua  rilevanza ai fini di parare la eccezione di incostituzionalita',
 non ha comunque pregio  posto  che  neanche  la  dimostrata  concreta
 esistenza  di  una  positiva  attivita' di controllo e di repressione
 dell'abusivismo da parte del  comune  serve,  secondo  la  legge,  ad
 impedire  la  sanatoria  (cfr.  art.  43, primo e quinto comma, della
 legge n. 47/1985 e art. 39,  comma  diciannovesimo,  della  legge  n.
 725/1994).
    7. - L'area e l'immobile oggetto del giudizio sono interessati dal
 vincolo  di cui alla legge n. 1497/1939 in riferimento al decreto del
 Ministero dei beni  culturali  ed  ambientali  del  23  ottobre  1960
 ("Dichiarazione  di  notevole  interesse pubblico riguardante la zona
 dei laghi di Bracciano e di Martignano")  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 266 del 29 ottobre 1960.
   Tale  vincolo e' stato confermato e fatto proprio dal decreto dello
 stesso Ministero in data 22 maggio  1985  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale 27 luglio 1985, n. 176, ai sensi del d.m. 21 settembre 1984
 (c.d.  decreto  Galasso).  L'area  e l'immobile sono quindi vincolati
 sotto tale secondo profilo anche ai sensi dell'art. 1-quinquies della
 legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso)  che  richiama,  ai  fini  del
 vincolo,  anche  le aree individuate ai sensi del "decreto Galasso" e
 dei successivi c.d. "galassini", fra i quali rientra il  citato  d.m.
 del 1985.
    L'area  e'  infine normata dal Piano territoriale paesistico della
 regione Lazio ai sensi degli artt. 1 e 1- bis della citata  legge  n.
 431/1985.
    L'art.  9  della  Costituzione tutela il paesaggio e il patrimonio
 storico e artistico della Nazione.
    Ad avviso del remittente le norme del condono che hanno ad oggetto
 opere edilizie realizzate in zone vincolate ed  in  particolare  agli
 artt.   32   e   33   della   legge   n.   47/1985  sono  viziati  da
 incostituzionalita'.
    Ed invero premesso che l'unico (in termini di effettiva rilevanza)
 vero limite assoluto e non  discrezionale  alla  sanatoria  di  opere
 realizzate in aree vincolate e' costituito dalle ipotesi dell'art. 33
 della  stessa  legge,  non  si  puo'  non rilevare come il vincolo di
 inedificabilita' ivi  presupposto  e'  fattispecie  notoriamente  non
 frequente da riscontrare nella realta'.
    Nei  casi  previsti dall'art. 33 mentre e' esclusa la possibilita'
 di concessione in sanatoria, la  estinzione  del  reato  e'  comunque
 conseguibile  merce'  il  semplice pagamento della oblazione: poiche'
 questo vale anche per i processi in corso o piu' in genere per i casi
 in  cui  all'entrata  in vigore delle norme del condono l'abuso fosse
 stato gia' in precedenza scoperto dalle pubbliche autorita' vi e'  la
 testimonianza  incontrovertibile,  non  valendo  in  tal caso neppure
 l'argomento  della  funzione  che  le  norme  premiali  avrebbero  di
 spingere  i  privati a denunciare e sanare gli abusi, che l'obiettivo
 delle norme sul condono e' esclusivamente quello di  reperire  denaro
 per le casse dello Stato.
    La  stragrandissima  maggioranza  degli  abusi  comunque, riguarda
 ipotesi di vincoli relativi dove la possibilita' di edificare non  e'
 del  tutto  esclusa bensi' condizionata dal rilascio di nulla osta ed
 autorizzazioni (cosi' ad es. per le fattispecie previste dalla  legge
 n.  431/1985  nonche' per tutti i decreti ministeriali e regionali di
 vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939).
    In tali casi la sanatoria e'  condizionata  al  parere  favorevole
 degli enti preposti alla gestione del vincolo.
    In  caso di parere (definitivo) negativo il pagamento della intera
 oblazione comunque estingue  il  reato,  sicche'  valgono  le  stesse
 considerazioni espresse poc'anzi a proposito dell'art. 33.
    Secondo  il remittente le norme impugnate ed in particolare l'art.
 32 solo apparentemente riservano ai  beni  sottoposti  a  vincolo  un
 trattamento  normativo  differenziato  rispetto ai beni che vincolati
 non sono; consentendo nella generalita' dei casi e per forza di  cose
 la sanatoria degli abusi commessi nelle zone vincolate.
    Ed  invero  la  legge  non  prevede  per  i pareri (preliminari al
 condono)  di  competenza  degli  organi  tutori  alcun  parametro  di
 riferimento predeterminato e obiettivo.
    Come  si puo', in tale contesto, legittimamente concedere o negare
 un parere? Secondo quale criterio?
    Si deve forse valutare se il territorio avrebbe avuto un  migliore
 assetto  senza  l'abuso in esame con il rischio in tal caso di negare
 ogni parere  favorevole?  Ovvero  bisogna  valutare  se  l'abuso  non
 deturpa  affatto o deturpa si' l'ambiente ma fino a un certo punto? E
 qual'e' questo punto? E i piani paesistici (che costituiscono  com'e'
 noto  il  riferimento  d'obbligo  per  le amministrazioni preposte al
 rilascio degli ordinari nulla osta ambientali) che ruolo svolgono  in
 tal  contesto?  Vi  si  puo' derogare da parte degli organi tutori? E
 laddove non si tratta di valutazioni  in  termini  estetici  ma  alla
 stregua di altri parametri (si pensi ad un vincolo di uso civico dove
 e'  improprio fare riferimento alla bellezza dei luoghi) quali sono i
 parametri da adottare?
    La assenza totale piu'  che  la  indeterminatezza  di  criteri  di
 riferimento  per un parere che quindi assomiglia ad un mero passaggio
 burocratico maschera  in  realta'  la  pretermissione  di  una  reale
 attenzione  alla  tutela  dei  beni  vincolati  (destinati,  come  la
 precedente esperienza  del  condono  edilizio  del  1985  insegna,  a
 sanatorie  di  massa  direttamente  o  indirettamente anche a seguito
 della infinita  durata  dei  giudizi  di  impugnazione  dei  silenzi-
 rifiuto)   ed   in   cio'   si   sospetta   annidarsi   la   eccepita
 incostituzionalita' delle norme in questione.
    8. - L'art.  41  della  Costituzione  prescrive  che  l'iniziativa
 economica  privata  non  puo'  svolgersi  in contrasto con l'utilita'
 sociale o in modo di recare danno alla sicurezza, alla liberta'  alla
 dignita' umana.
   Se  si  ritiene  che le norme del condono abbiano un supporto nella
 volonta' di contribuire, tramite esse, allo sviluppo della economia e
 della iniziativa privata (rilancio del settore dell'edilizia) occorre
 chiedersi se per tutte le ragioni espresse nell'ordinanza non vi  sia
 un  vulnus  nella assenza, nelle norme in questioni, di attenzione ai
 beni cui l'art. 41 della Costituzione fa' riferimento.
    Non v'ha dubbio infatti che nei concetti di utilita' sociale e  di
 liberta'  e  di  dignita'  umana  sia  ricompreso  il diritto di ogni
 cittadino di vivere in un ambiente non  degradato  e  di  godere  del
 territorio  in  un  contesto  di  sviluppo dello stesso conforme alle
 leggi ed agli strumenti urbanistici.
    Questo vale per i cittadini che non hanno commesso abusi edilizi e
 che si trovano a dovere  sopportare  il  peso  delle  conseguenze  di
 illeciti  da  altri  commessi,  ma  in  definitiva vale anche per gli
 autori degli illeciti ai quali vanno  imposti,  anche  a  prescindere
 dalle  loro  volonta'  trattandosi  di  beni  indisponibili, regole e
 modelli di sviluppo territoriale accettabili in quanto conformi  alle
 leggi ed alle norme urbanistiche.
    Ne'  varrebbe  osservare che le norme del condono tendono anche ad
 assicurare  l'urbanizzazione  ed  i   servizi   che   proprio   negli
 insediamenti abusivi difettano.
    Cosi' operando ci si immette, ad avviso del remittente nell'aporia
 di  una  assurda  e  paradossale  spirale  in  cui  si  adattano e si
 conformano le scelte dei  pubblici  poteri  ai  comportamenti,  anche
 devianti,  dei  privati  quando  invece  dovrebbero accadere l'esatto
 inverso ossia  che  siano  i  privati  a  dovere  conformare  i  loro
 comportamenti  alle  leggi. E che gli abusi debbano essere perseguiti
 in tutte le forme ed i modi previsti dalle leggi.
    Tali    rilievi    sembrano    dar    forza    alla     sospettata
 incostituzionalita'  delle norme del condono oltre che in riferimento
 all'art. 41 della Costituzione anche in relazione agli artt.  2  e  3
 della  Costituzione  nel  senso  che nella materia in cui trattasi le
 norme  impugnate  confliggono  con  la  necessaria  tutela  di   beni
 (diritti) di rango costituzionale, favorendo irrazionalmente condotte
 illecite dei privati.