LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha emesso la seguente decisione sul ricorso prodotto da La  Camera
 Maria Rosa res. a Carrosio, via Odino 18, avverso avvisi di rettifica
 ufficio IVA di Alessandria per gli anni 1985/1986/1987;
    Letti gli atti:
                             O S S E R V A
    In  sede  di  discussione  il  rappresentante  del  ricorrente  ha
 sollecitato la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,
 comma  ventinovesimo, della legge n. 17/1985 per contrasto con l'art.
 53 della Costituzione.
    La Commissione Tributaria si e' riservata di decidere.
    Il disposto dell'art.  2,  ventinovesimo  comma,  della  legge  n.
 17/1985   -   sul  quale  si  basa  l'acceramento  induttivo  operato
 dall'Ufficio   I.V.A.   -   appare    viziato    da    illegittimita'
 costituzionale.
    La norma autorizza gli uffici a desumere i ricavi dei contribuenti
 in  regime  forfettario anche da uno solo dei seguenti dati (o "fatti
 indice"):  dimensioni  o  ubicazione  dei  locali,  beni  strumentali
 impiegati, numero, qualita' e retribuzione degli addetti, acquisti ..
 consumi  di  energia  ecc.,  assicurazioni  stipulate,  nonche' altri
 elementi che potranno essere indicati dal Ministro delle finanze.
    Sembra evidente che i dati predetti non consentano  l'accertamento
 dei   ricavi   e   dei   corrispettivi,  tanto  piu'  se  considerati
 separatamente come la legge prevede ("uno o piu'").
    L'"ubicazione dei locali destinati all'esercizio"  dell'impresa  o
 della   professione  non  e'  certo  idoneo  a  dimostrare  introiti,
 variabili da caso a caso e in generale del tutto  indipendenti  dalla
 sede di esercizio dell'attivita'.
    Altrettanto  dicasi  dei "beni strumentali impiegati", che da soli
 non valgono ad assicurare un guadagno certo e costante;  del  "numero
 dei  dipendenti", che talora puo' costituire piu' un onere che un in-
 dice di prosperita' aziendale; dei consumi energetici, relativi  piu'
 che  altro  alla  collocazione  territoriale  ed all'esposizione alla
 luce, o meno, dei locali di esercizio, ecc.
    Trattasi  di  dati  astratti,  che  prescindono  dalla  situazione
 economica  peculiare  di  ciascuna  impresa e non tengono conto delle
 differenze tra imprenditori piu' o meno capaci  o  "avviati",  tra  i
 diversi comuni, tra centro e periferia, ecc.
    La  legge  consente  altresi'  al Ministro di introdurre ulteriori
 elementi indiziari, ampliando ancora la  possibilita'  di  sostituire
 un'astratta  predeterminazione alla valutazione obiettiva del caso di
 specie.
    Cio' comporta, anzitutto, uno stravolgimento  dell'istituto  della
 presunzione.
    La  disposizione in esame sembra da inquadrare tra le "presunzioni
 semplici" (art. 2729 del c.c.), dato che la ricostruzione dei  ricavi
 e  dei  corrispettivi  non  consegue  direttamente dalla legge, ma e'
 demandata ad organi amministrativi: in  tal  caso  sono  prima  facie
 esclusi  i  requisiti di gravita', precisione e concordanza richiesti
 dalla legge. E' pacifico che "ai fini dell'accertamento induttivo  le
 presunzioni  debbano  essere  suffragate  dai  requisiti  di gravita'
 precisione  e  concordanza",  come   concordemente   ritenuto   dalle
 commissioni  tributarie,  e  che  "il fatto ignoto deve rappresentare
 l'univoca conseguenza logica di determinate e certe  premesse  e  non
 gia'  il  risultato  di  una  deduzione  che  ..  lascia sopravvivere
 l'ipotizzabilita'  di  conclusioni  diverse  od  opposte"  (Cass.  n.
 3448/73).
    La  presunzione in esame, invece: A) non e' grave, perche' fondata
 su elementi che non costituiscono sufficiente motivo per disattendere
 la contabilita' e ricostruire i ricavi; B) non  e'  precisa,  essendo
 fondata su indizi non univoci;
  C)  non  e'  concordante,  potendo  derivare  da  un  unico dato non
 raccordato ad altri.
    I ricavi cosi' determinati non sono quelli reali ma il  frutto  di
 una mera congettura, per di piu' generalizzata, senza alcun riscontro
 con la situazione concreta.
    Se  poi,  come  sostiene  l'Ufficio,  si  trattasse di presunzione
 legale, ancora piu' manifesta ne sarebbe l'incongrunenza, dato che:
       a) i dati noti non sono in rapporto di causalita' con il  fatto
 che  si  vorrebbe  provare:  i  ricavi  non  sono infatti conseguenza
 necessaria e neanche probabile dei c.d. "fatti indice";
       b) la legge, anziche' trarre direttamente le conseguenze da  un
 determinato  fatto  per  risalire  a  quello  ignorato, demanda ad un
 organo amministrativo di desumere i ricavi di un  contribuente  sulla
 base  di  generiche  circostanze  che,  per  di piu', un altro organo
 amministrativo (il Ministro) puo' liberamente accrescere;
       c) la Corte costituzionale ha precisato che "le presunzioni  in
 materia,  fiscale  per  potere  essere  considerate in armonia con il
 principio della capacita' contributiva (art. 53 della  Costituzione),
 debbano  essere  confortate da elementi concretamente positivi che le
 giustifichino razionalmente" (sent. 28 luglio 1976, n. 200).
    Nella  motivazione  di  altra  sentenza  (26  marzo  1980) leggasi
 testualmente: "questa Corte ha  piu'  volte  chiarito  (sent.  103  e
 109/1967;  99/1968;  200/76)  che  le  presunzioni tributarie debbono
 fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza,  ovvero  su
 fatti reali .. affinche' l'imposizione non abbia una base fittizia".
    La  norma  in  esame invece consente, "indipendentemente da quanto
 stabilito nell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.  600  e  negli
 artt.  54  e  55  del  d.P.R.  26  ottobre  1972" (quindi anche se la
 contabilita' appaia regolare) di determinare induttivamente i  ricavi
 del  contribuente  in  base  ad  elementi  estrinseci  e  di  per se'
 insignificanti.
    Quanto precede e'  reso  evidente  dall'applicazione  della  legge
 operata  dall'Ufficio  I.V.A.  di  Alessandria: invocato uno solo dei
 presupposti  di  cui  all'art.  2,  ventinovesimo  comma,  e'   stato
 effettuato  un calcolo generale per un'intera categoria (nella specie
 i parrucchieri) che e' poi stato applicato  ai  singoli  contribuenti
 prescindendo dall'effettiva situazione di ciascuno di essi.
    Non  solo, ma, scelto uno dei presupposti, non ne sono stati presi
 in considerazione altri; con  la  conseguenza  che  un  parrucchiere,
 purche'  abbia  tot dipendenti, otterrebbe identici ricavi, secondo i
 calcoli dell'Ufficio, cosi' nelle vie  centrali  come  in  periferia,
 cosi'  nel capoluogo come in uno sperduto villaggio, sia che gestisca
 una "bottega" di lusso, con scelta clientela, che se  abbia  il  piu'
 modesto esercizio.
    Nessuna  considerazione  per  l'avviamento,  per  l'abilita',  per
 l'eta' dell'artigiano, per l'attrezzatura piu' o meno  completa,  per
 il genere di clientela, ecc.
    Si   sostituisce   dunque   alla   prova  presuntiva,  cosi'  come
 disciplinata  dal  diritto,  un  amplissimo   potere   discrezionale,
 consentendo  in  linea  di  fatto agli uffici di determinare i ricavi
 senza alcun riscontro con la  situazione  concreta  propria  di  ogni
 artigiano,  traendo  da  un  singolo  dato conseguenze indimostrate e
 senza cercare conferma in altri, ne' dare rilevanza  alle  risultanze
 contabili    ne'   fare   riferimento   all'effettivo   reddito   del
 contribuente.
    Il  presunto  ricavo  e'  ricostruito  con  calcolo   aprioristico
 riferito  ad  un'intera  categoria. Anche se tale calcolo (di per se'
 opinabile) fosse "mediamente" accettabile, resterebbe  ingiustificata
 l'applicazione  ai  singoli  di  un  dato  statistico:  se uno ricava
 quattro e l'altro due, il dato medio (tre) non vale per il primo, ne'
 per il secondo.
    Sotto un profilo piu' strettamente giudirico la norma in esame  si
 pone in contrasto con il dettato costituzionale.
    1.  -  Viola anzitutto l'art. 53, primo comma, della Costituzione,
 posto che la "capacita' contributiva", diviene da base  concreta  per
 determinare   l'imposizione   fiscale  un  elemento  artificiosamente
 costituito a priori.
    Lettera e ratio della norma  costituzionale  richiedono,  infatti,
 per  l'imposizione  di  un  tributo,  un fatto espressivo di concreta
 "capacita'" e non una ricostruzione di ricavi eseguita per  un'intera
 categoria, senza tener conto delle condizioni soggettive ed oggettive
 variabili  di  caso in caso. La giurisprudenza costituzionale ha piu'
 volte  sottolineato  "l'esigenza  di  garantire  che  ogni   prelievo
 tributario  abbia  causa  giustificatrice  in indici .. dai quali sia
 razionalmente  deducibile  l'idoneita'  soggettiva  dell'obbligazione
 d'imposta" (sent. 200/1976).
    2. - Stravolge il principio della "progressivita'" (art.  53  cpv.
 della  Costituzione),  in  quanto  applicando  i  parametri  generali
 adottati dall'Ufficio I.V.A. risultano tassate in misura uguale  -  a
 parita'  di personale - le botteghe piu' avviate al pari di quelle in
 crisi. Inoltre, le ditte che non dichiarano  la  cifra  astrattamente
 calcolata  per  l'intera  categoria vengono ritenute colpevoli di non
 aver annotato la differenza tra l'importo risultante sul registro dei
 corrispettivi e quello  generale  calcolato  dall'Ufficio:  cosicche'
 contribuenti che hanno percepito uno scarso utile vengono gravati, in
 assenza  di  accertate  irregolarita',  da una maggiore differenza di
 imposta e da fortissime pene pecuniarie.
    Cio' in contrasto col principio, affermato da questa stessa Corte,
 secondo cui "la produzione dei redditi e' un fatto economico legato a
 determinate condizioni oggettive e soggettive di natura variabile".
    3. - Viola l'art. 24, primo e secondo  comma  della  Costituzione,
 data  l'estrema difficolta' di fornire una prova contraria (negativa)
 di fronte a una presunzione appoggiata a dati estrinseci e generici.
    Se  un  accertamento  induttivo  scatta,  ad  esempio,   in   base
 all'indicazione  della sede dell'impresa - che non costituisce un in-
 dice certo  ma  che  di  per  se'  non  puo'  essere  smentito  -  il
 contribuente   viene   di   fatto   privato  del  diritto  di  difesa
 costituzionalmente riconosciuto.
    La giurisprudenza della Corte e' pacifica nel senso che il diritto
 di agire per la tutela dei proprii diritti o interessi legittimi, non
 puo' essere resa a tal punto difficile da pregiudicare  completamente
 la domanda di giustizia.
    Secondo  la dottrina e la giurisprudenza, l'art. 24 Cost. sancisce
 un diritto alla prova quale indispensabile accessorio al  diritto  di
 difesa ed anche al diritto di azione.
    Nel  caso  in esame l'ancorare il ricavo ad un dato generico, come
 tale inoppugnabile, ma irrilevante per le singole situazioni vanifica
 ogni possibilita' di prova.
    La norma contrasta dunque con l'art. 24  nonche'  con  l'art.  113
 cpv. Cost.
    4.  - Discrimina i lavoratori autonomi - e in specie gli artigiani
 - in contrasto con l'art.  3,  comma  primo  della  Costituzione  che
 sancisce  l'uguaglianza di tutti i cittadini "senza distinzione di ..
 condizioni personali".
   L'accertamento induttivo senza tener conto delle  risultanze  delle
 scritture  contabili  e,  quindi,  disattendendole  a  priori,  rende
 particolarmente gravosa la situazione di alcuni contribuenti non solo
 rispetto a tutti gli altri cittadini ma anche nei confronti di coloro
 che possono tenere altra specie di  contabilita'.  Sussistono  dunque
 "l'arbitrarieta'  e l'irrazionalita' della norma" che giustificano il
 controllo di legittimita' ex art. 3 della Cost. (sent. 144/1973; 96 e
 151/1982).
    Ne' dicasi che  cio'  e'  giustificato  da  "pericoli  conseguenti
 all'introduzione  del  regime  forfettario".  Tale  regime  e'  stato
 introdotto dalla legge ed e' quindi perfettamente lecito: non si puo'
 punire qui jure suo utitur.
    5.  -  Si  potrebbe, infine, profilare un dubbio di illegittimita'
 costituzionale anche  rispetto  all'art.  4  della  Costituzione  che
 riconosce  il  diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
 effettivo tale diritto, mentre la norma in esame costringe coloro che
 non possono conseguire  i  ricavi  indiscriminatamente  ritenuti  per
 un'intera categoria ad abbandonare l'attivita' o a subire imposte non
 dovute e gravi sanzioni.
    Cio' e' tanto piu' grave nei confronti degli artigiani, disponendo
 l'art.  45  cpv. della Cost. che la legge provvede alla tutela e allo
 sviluppo dell'artigianato.