IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
 promosso  da  Alma s.r.l., con sede in Ventimiglia, via Martiri della
 Liberta',  20,  in  persona  del  suo   rappresentante   pro-tempore,
 elettivamente  domiciliata in Genova, viale IV Novembre, 6.6 presso e
 nello studio del dott.  proc.  Paolo  Canepa  che  la  rappresenta  e
 difende  unitamente all'avv. Franco Cotta del foro di Ventimiglia per
 mandato  a  margine  dell'atto  di  citazione,  attrice,  contro   il
 Ministero   delle   finanze,  in  persona  del  Ministro  in  carica,
 rappresentato e difeso per legge dell'Avvocatura  distrettuale  dello
 Stato  di  Genova,  legale  domiciliaria  in  Genova,  viale  Brigate
 Partigiane, 2, convenuto.
                         C o n c l u s i o n i
    Per  l'attrice:  piaccia  al  tribunale  ill.mo;   respinta   ogni
 contraria  istanza  eccezione  e  deduzione;  previa declaratoria del
 contrasto tra le normative nazionali citate nella parte  narrativa  e
 la  normativa comunitaria ricordata; disapplicata la norma nazionale,
 dichiarare tenuto e condannare il Ministero delle finanze al rimborso
 degli  importi  versati  per  gli  anni  1988-1991  ammontanti  a  L.
 14.400.000 per la s.r.l. Alma. Con gli interessi legali della domanda
 al saldo.
    Con vittoria di spese competenze ed onorari del giudizio.
    Clausola concessa.
   Per   il   convenuto:   voglia   il   tribunale  ill.mo  dichiarare
 pregiudizialmente la propria incompetenza territoriale,  riconoscendo
 quella   funzionale  del  tribunale  di  Roma.  In  subordine  voglia
 respingere nel merito le domande attoree siccome infondate o comunque
 in gran parte soggette a decadenza ex art.  13,  secondo  comma,  del
 d.P.R. n. 641/1972. Vinte le spese.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con  atto  di  citazione  in  data  20  settembre 1993 ritualmente
 notificato  la  Alma  s.r.l.,   in   persona   del   proprio   legale
 rappresentante,  conveniva  in giudizio dinanzi a questo tribunale il
 Ministero delle finanze per sentir dichiarare dovuto il  rimborso  in
 proprio  favore  dell'importo  complessivo  di L. 14.400.000 che essa
 aveva versato negli anni 1988, 1989, 1990, 1991  a  titolo  di  tassa
 sulle  concessioni governative sull'iscrizione di vari atti presso il
 registro delle societa' di questo tribunale in applicazione di quanto
 disposto  dal  d.P.R.  n.  641  del  26  ottobre  1972  e  successive
 modifiche.
    Eccepiva,  al  riguardo,  l'illegittimita'  del tributo siccome in
 contrasto con gli artt. 10 e 11 della direttiva del  Consiglio  delle
 comunita'   economiche  europee  17  luglio  1969,  n.  355  i  quali
 escludevano, come e' noto, l'applicazione  di  qualsiasi  imposizione
 per  l'immatricolazione  delle societa' fatta eccezione per l'imposta
 sui conferimenti e  per  i  diritti  di  carattere  remunerativo;  ed
 osservava  che  nessuna  remunerativita'  poteva  ravvisarsi  in  una
 controprestazione di danaro di entita'  non  certo  proporzionata  al
 servizio reso, tra l'altro assoggettato ad altra apposita tassa.
    Nel  costituirsi  in  giudizio  il  Ministero  convenuto  eccepiva
 preliminarmente l'incompetenza territoriale del tribunale adito, ogni
 controversia giudiziaria al  riguardo  dovendo  radicarsi  presso  il
 tribunale  di  Roma  ove aveva sede l'ufficio finanziario liquidatore
 della tassa.
    In via gradata eccepiva la decadenza di gran parte  della  domanda
 ai sensi dell'art. 13 del d.P.R. n. 641/1972.
    Nel  merito  contestava  la fondatezza delle opposte pretese delle
 quali chiedeva il rigetto, sostenendo che la contestata tassa  doveva
 rientrare nei diritti di carattere remunerativo espressamente esclusi
 dal divieto comunitario.
    Quindi la causa, senza necessita' di particolare istruzione, sulle
 conclusioni  come  sopra trascritte, e' stata trattenuta in decisione
 all'udienza collegiale del 17 novembre 1994.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Nell'ordine  logico  delle  questioni  sottoposte  all'esame   del
 Collegio  carattere  assorbente assume la questione di decadenza e di
 improponibilita'  della  domanda  attorea   siccome   non   preceduta
 dall'esperimento  della  fase  amministrativa  dei ricorsi secondo il
 disposto dell'art. 11 del d.P.R. n. 641/1972; questione non sollevata
 dalla difesa erariale ma pur sempre rilevabile di  ufficio  da  parte
 del  Collegio  siccome  costituente  un presupposto processuale della
 domanda.
    Il problema presenta evidenti aspetti di  similitudine  con  altre
 fattispecie,   rimesse   all'esame  della  Corte  costituzionale  con
 ordinanza 27 gennaio 1994 e 24 novembre 1994, per cui analoghe devono
 essere le conclusioni anche per il presente giudizio.
    Come e' noto questo tribunale ha rilevato di ufficio la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12 del d.P.R. 26 ottobre
 1972, n. 641 (disciplina delle tasse sulle concessioni  governative),
 secondo  cui nelle controversie relative all'applicazione delle tasse
 e soprattasse previste  in  tale  decreto  l'esperimento  dell'azione
 giudiziaria  e'  subordinato  alla  previa  presentazione dei ricorsi
 amministrativi,  previsti  dall'art. 11 dello stesso decreto, ed alle
 relative  decisioni  definitive  dell'intendente  di  finanza  o  del
 Ministro  delle finanze oppure, in mancanza delle relative decisioni,
 al  decorso  del  termine  di  centottanta  giorni  dalla   data   di
 presentazione  del ricorso per manifesta infondatezza con riferimento
 agli artt. 24 e 3 della Costituzione.
    L'art. 13, secondo comma, del d.P.R. n. 641/1972,  stabilisce  che
 il   contribuente   puo'   chiedere   la   restituzione  delle  tasse
 erroneamente  pagate  nel  termine  decadenziale  di  tre  anni   dal
 pagamento  o  in  caso di rifiuto dell'atto sottoposto a tassa, dalla
 data della comunicazione del rifiuto. Il comma successivo non ammette
 il rimborso delle tasse pagate in modo straordinario.
    L'art.  11  dello  stesso  d.P.R.  n.  641   stabilisce   che   le
 controversie  sull'applicazione  delle  tasse e soprattasse, previste
 dal decreto, sono decise in  via  amministrativa  dall'intendente  di
 finanza  con  provvedimento  che puo' essere impugnato con ricorso al
 Ministro per le finanze nel termine di trenta giorni, se  l'ammontare
 delle tasse superi le L. 100.000.
    Il ricorso al Ministro puo' essere proposto, decorso il termine di
 centottanta  giorni dalla presentazione del ricorso, se al ricorrente
 non sia stata notificata la relativa decisione.
    Il successivo art. 12 del decreto stabilisce, infine, che "avverso
 le decisioni definitive, di cui al precedente articolo, e' esperibile
 l'azione giudiziaria nel termine di  novanta  giorni  dalla  data  di
 notificazione  della  decisione".  La contestazione della pretesa dei
 contribuenti  ad  ottenere  la  restituzione   delle   tasse   cc.gg.
 costituisce   controversia   relativa  all'applicazione  delle  tasse
 medesime e, quindi, e' soggetta  alle  norme  sul  contenzioso  sopra
 richiamate   con   la   conseguenza  che  la  domanda  giudiziale  di
 ripetizione delle imposte indebitamente pagate  proposta  davanti  al
 giudice  ordinario in mancanza dei ricorsi gerarchici dovrebbe essere
 dichiarata improponibile.
    Dal sistema descritto risulta  infatti  che  l'azione  giudiziaria
 puo'  essere  esperita  solo  se i ricorsi amministrativi siano stati
 proposti e solo dopo la  notifica  delle  decisioni  intendentizie  o
 ministeriali  definitive ovvero dopo il decorso di centottanta giorni
 dalla data di presentazione del  ricorso  senza  alcuna  notifica  di
 decisione.
    E',  quindi,  incontestabile  che  il legislatore con la normativa
 riferita ha inteso creare uno "sbarramento" all'esercizio dell'azione
 giudiziaria  che  si  configura  giuridicamente  come  condizione  di
 proponibilita'  della  stessa,  posto  che  il  contribuente non puo'
 avvalersi  del  diritto  di  difesa  garantito  dall'art.  24   della
 Costituzione   senza   aver   prima   percorso  la  via  dei  ricorsi
 amministrativi.
    Ora, codesta Corte, pur avendo  costantemente  affermato  che  gli
 artt.  24  e  113  della  Costituzione non impongono una correlazione
 assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilita', la  quale
 puo' essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze
 di  ordine  generale  e superiori finalita' di giustizia, tuttavia, a
 proposito di una disciplina parallela a questa  in  esame  (art.  33,
 d.P.R.  20  ottobre  1972,  n.  642  sulla disciplina dell'imposta di
 bollo) ha ritenuto che, anche nel concorso di queste circostanze, "il
 legislatore  e'  sempre  tenuto  ad  osservare  il   limite   imposto
 dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente
 difficoltosa,  in  conformita'  al  principio  della piena attuazione
 della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali"  (Corte
 costituzionale  23  novembre  1993,  n.  406),  e  ne  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale per  violazione  dell'art.  24  della
 Costituzione.
    Tali principi valgono indubbiamente anche per l'art. 12 del d.P.R.
 n.  641/1972,  contenente la disciplina delle tasse sulle concessioni
 governative, essendo  certo  che  esso  comporta  una  ingiustificata
 compressione  del  diritto  di  difesa del contribuente ostacolandone
 l'esercizio, in particolare comminando la decadenza  per  il  mancato
 esperimento dei ricorsi amministrativi.
    Non vi e' alcuna ragione che giustifichi il defatigante ed inutile
 percorso del contenzioso amministrativo, come premessa indispensabile
 per l'accesso alla via giudiziaria, in controversie in cui si discute
 di diritti soggettivi e, quasi sempre, di questioni di diritto.
    Per le considerazioni che precedono si ritiene che vi siano motivi
 piu'  che  sufficienti  per  ritenere  la  questione  di legittimita'
 costituzionale non manifestamente infondata, con riferimento all'art.
 24 della Costituzione nella parte in cui  l'art.  12  del  d.P.R.  n.
 641/1972   non   prevede   in   materia   di   rimborsi   di  imposta
 l'esperibilita'  dell'azione  giudiziaria  anche  in   mancanza   dei
 preventivi ricorsi amministrativi.
    La  denunciata questione di legittimita' costituzionale appare non
 manifestamente   infondata   con   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione   ove   si   consideri   che   in  materia  di  rimborsi
 l'Amministrazione, essendo priva di poteri  discrezionali  e  dovendo
 verificare  soltanto la sussistenza dei presupposti del diritto fatto
 valere dal  contribuente,  si  trova  con  questo  in  una  posizione
 paritaria  e,  quindi,  in una situazione con la quale non e' affatto
 compatibile la compressione della tutela giurisdizionale del privato.
    Ne' vi sono dubbi sulla rilevanza della questione.
    La societa' attrice, nel caso concreto, ha proposto la domanda  di
 rimborso a questo giudice omettendo di adire integralmente - o quanto
 meno  (il che e' lo stesso) omettendo di dimostrare di aver battuto -
 la previa via  gerarchica  al  Ministero  delle  finanze  avverso  il
 silenzio  rifiuto  serbato  dall'Intendenza  di  finanza.  E'  certo,
 quindi, che la decisione della causa in un senso o nell'altro dipende
 dalla definizione della questione  di  costituzionalita'  con  questa
 ordinanza proposta.
    Questo   tribunale,   infatti,   ha  delibato  sfavorevolmente  la
 questione di incompetenza funzionale sollevata dalla difesa  erariale
 secondo  cui, ai sensi dell'art. 8 del t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611,
 funzionalmente competente sarebbe il  tribunale  di  Roma  nella  cui
 circoscrizione  si trova l'Ufficio del registro cc.gg. di Roma che ha
 riscosso i tributi di che trattasi.
    Il  collegamento  con  il  tribunale  di  Roma   dovrebbe   essere
 costituito  dalla  liquidazione del tributo in quella circoscrizione;
 ma  e'  certo  che  la  tassa  di  cc.gg.  viene  autoaccertata   dal
 contribuente  e versata, mentre l'ufficio del registro, limitandosi a
 riscuotere ed a controllare  l'esattezza  dell'autoaccertamento,  non
 opera   alcuna   liquidazione   del   tributo   con   la  conseguente
 inapplicabilita' del citato art. 8 del t.u. n. 1611/1933.
    Analogamente   deve   essere  ritenuta  infondata  l'eccezione  di
 decadenza. L'art. 13 del d.P.R. n.  641/1972  invocato  dalla  difesa
 erariale  impone al contribuente di rispettare il termine di tre anni
 per la "restituzione delle tasse  erroneamente  pagate";  mentre  nel
 caso   in  esame  non  risulta  esservi  stato  alcun  errore  bensi'
 l'adempimento di un obbligo  all'epoca  legislativamente  previsto  e
 sanzionato  e,  correlativamente  al suo adempimento, la richiesta di
 rimborso per somme indebitamente erogate.
    A  cio'  aggiungasi  che,   allorquando   il   legislatore   volle
 assoggettare   a   decadenza   anche   il   recupero   delle  imposte
 indebitamente versate lo disse in modo chiaro e preciso (cfr. art. 40
 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.  640  in  tema  di  rimborsi  relativi
 all'imposta sugli spettacoli).
    Il  processo  va  quindi  sospeso  e  gli  atti inviati alla Corte
 costituzionale, come da dispositivo.