IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Considerato che nel proc. sub. r.g. n. 639/1994 la pretura circondariale di Gorizia ha promosso contro Guglielmo Domenico e Furlanut Fausto, imputati entrambi della contravvenzione di cui agli artt. 110 del c.p. e 20, lett. b) della legge n. 47/1985, per avere, il primo in qualita' di legale rappresentante della societa' sportiva Gradisca Skating committente ed esecutrice dell'opera ed il secondo in qualita' di legale rappresentante della parrocchia di S. Valeriano, vescovo e proprietario del fondo, posto in essere sulla p.c. 590/3 p.t. 1776 del c.c. di Gradisca d'Isonzo, un manufatto edilizio consistente in un prefabbricato agganciato al suolo su una piattaforma in calcestruzzo gettato, ad uso ufficio, sala riunioni e ripostiglio senza la prescritta autorizzazione, in Gradisca d'Isonzo il 7 novembre 1991; E' stata dimessa, nel corso dell'udienza 13 gennaio 1995, copia della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi del d.-l. 27 settembre 1994, n. 551 e successive modificazioni ed integrazioni, con allegate dichiarazioni e attestazione del versamento dell'oblazione e che conseguentemente e' stata avanzata istanza di sospensione del procedimento; Sentite le parti, osserva quanto segue. Rilevanza di una questione di costituzionalita' dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724. L'art. 39, classe 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, preceduto da vari decreti-legge reiterati, tra cui quello citato nella richiesta di concessione in sanatoria agli atti, ha previsto che le disposizioni del condono edilizio di cui al capo IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, si applichino anche ad opere ultimate dopo il 1 ottobre 1983 (data originariamente prevista dalla legge n. 47/1985) e fino al 31 dicembre 1993 purche' vi siano determinati requisiti, essenzialmente volumetrici. I successivi venti commi del medesimo articolo hanno reso operativa la disciplina rifissando, alla luce delle nuove scadenze, forme e tempi dei vari passaggi procedurali, tra i quali la sospensione di cui all'art. 44 della legge n. 47/1985. A fronte di una richiesta di sospensione, questo giudice deve valutare l'applicabilita' della normativa sul condono quale questione preliminare relativa alla procedibilita', la normativa stessa diviene, pertanto, rilevante e la legittimita' costituzionale del condono, nel suo complesso, va vagliata (Corte cost. sent. n. 369 del 31 marzo 1988). Non manifesta infondatezza della questione suddetta per violazione dell'art. 79 della Costituzione. Il condono e' misura di clemenza "particolare ed atipica" in quanto sfrutta l'autodenuncia, impone specifici oneri e sottopone il relativo adempimento a forme di controllo amministrativo e giurisdizionale. Cio' non di meno costituisce una forma di esercizio del generale potesta' di clemenza dello Stato analoga all'amnistia e, in particolare, all'amnistia condizionata; in entrambi i casi, infatti, viene esclusa la punibilita' per categorie generali di reati commessi fino ad una certa data e si subordina tale effetto a particolari adempimenti. La legge di revisione costituzionale n. 1 del 6 marzo 1992, ha stabilito per l'emanazione di amnistie, una particolare procedura e qualificate maggioranze parlamentari onde evitare la reiterazione di provvedimenti di clemenza che gravemente compromettono la serieta' dell'imperativo penale. Mentre, nell'originaria formulazione dell'art. 79 della Costituzione e, in particolare con la prassi, invalsa in materia, di delegazioni sempre molto specifiche al Capo dello Stato, l'aspetto procedurale appariva secondario, ora e' dubbio che le gravose modalita' di approvazione stabilite dal novellato art. 79 della Costituzione, l'obbligo di coinvolgimento di piu' ampie maggioranze parlamentari, la maggior lentezza e meditazione che tali oneri comportano divengano superflui sol perche' il provvedimento si discosta, sotto taluni aspetti, dal tradizionale istituto dell'amnistia. La circostanza che l'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non sia stato approvato con la maggioranza prevista dall'art. 79 della Costituzione rende, pertanto, dubbia la legittimita' costituzionale di questa norma. Non manifesta infondatezza della questione suddetta per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Le fattispecie penali vengono poste a tutela di fondamentali esigenze della convivenza civile; ove un certo presidio penale venga ritenuto non piu' rispondente ad esigenze cosi' pressanti, compete al legislatore il potere e il dovere di abrogare la norma incriminatrice o di degradare la sanzione da penale ad amministrativa o civile. La rescissione, ad interim, del nesso tra reato e punibilita', in relazioni a fatti la cui gravita' per la salvaguardia della sicurezza e salute dei cittadini e dell'ambiente in cui essi vivono non e' messa in discussione, e' provvedimento anomalo che deve trarre rigorosa "giustificazione" nel quadro costituzionale (Corte cost. sent. n. 369 del 31 marzo 1988). A questo proposito non piu' sostenibile che il legislatore abbia ritenuto che "le fondamentali esigenze sottese al governo del territorio non potevano essere validamente difese per il futuro se non attraverso l'estinzione della punibilita' dei passati abusi edilizi di massa" (cfr. Corte cost. n. 369/1988 cit.); ripetere questo concetto, a meno di dieci anni dal precedente condono edilizio, significa, infatti, disattendere le premesse di rigore appena citate. Appare, invece, dubbio che l'abdicazione dalle fondamentali esigenze di governo del territorio alle logiche dell'abusivismo edilizio possa trovare adeguata legittimazione nelle esigenze, citate in premessa ai vari decreti-legge che hanno preceduto la legge n. 724/1994, di rilanciare le attivita' economiche e favorire la ripresa delle attivita' imprenditoriali. Si osserva, infatti, non solo che si tratta di beni la cui tutela costituzionale e' subordinata all'utilita' sociale e non gia' identificata con essa (artt. 41 e 42 della Costituzione), ma che appare incongruo con la finalita' dichiarata, un provvedimento che sani illecite e ormai esaurite attivita' edilizie. Tantomeno ragionevole appare il sacrificio del principio di uguaglianza insito nella misura di clemenza quando la finalita' sia, invece, quella di recupero una tantum di risorse finanziarie.