IL PRETORE
    Sulle richieste delle parti formulate all'odierno dibattimento nel
 procedimento penale n. 1284/1993;
                             O S S E R V A
    Il  presente procedimento dovrebbe essere sospeso, in accoglimento
 di tali richieste ai sensi dell'art. 39, primo comma, della legge  23
 dicembre  1994,  n.  724  che  richiama l'art. 38, primo comma, della
 legge 28 febbraio 1985, n.  47,  essendo  documentato  il  versamento
 della  prima  rata  di  oblazione  e la presentazione al comune della
 domanda di concessione in sanatoria.
    Secondo quanto emerge dalla contestazione infatti esso  attiene  a
 costruzione   abusiva   ultimata   entro   il   31  dicembre  1993  e
 caratterizzate da volumetria abusiva  inferiore  a  750  mc.  sicche'
 tutti   i   reati   oggetto  dell'imputazione  sono  suscettibili  di
 estinzione a norma  dell'art.  38,  secondo  comma,  della  legge  28
 febbraio  1985,  n.  47  e  dell'art. 39, primo comma, della legge 23
 dicembre 1994, n. 724, che, richiamandone le disposizioni di  cui  ai
 capi  IV  e  V,  reintroduce  sostanzialmente  nell'ordinamento,  con
 marginali modifiche e con la denominazione di  definizione  agevolata
 delle  violazioni  edilizie,  la sanatoria in precedenza disciplinata
 dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47.
    Ma  sulla  legittimita'  costituzionale  della   disposizione   in
 questione,  nella  parte in cui prevede e disciplina tale estinzione,
 sorgono  fondati  dubbi  che,  risolvendosi  anche  in  dubbi   sulla
 legittimita'  della  previsione  della  sospensione, assumono diretta
 rilevanza anche ai fini della relativa pronunzia.
    Invero da un verso la condotta dell'imputato,  con  il  versamento
 della  prima rata dell'oblazione, la presentazione della domanda e la
 richiesta  di  sospensione  del  procedimento,  denota   in   maniera
 inequivocabile  la  volonta'  di  avvalersi  dell'intera procedura di
 definizione agevolata e di fruire del condono edilizio ivi  previsto,
 di  cui  in tal modo viene in rilievo l'intera disciplina (cfr. Corte
 costituzionale, sent. n.  369  del  31  marzo  1988),  dall'altro  la
 previsione  legislativa  di  sospensione  del  procedimento penale ha
 natura  chiaramente  strumentale,  essendo  finalizzata   a   rendere
 possibile  il  perfezionamento  della fattispecie estintiva, sicche',
 eliminata   dall'ordinamento   quest'ultima    con    la    eventuale
 dichiarazione  di incostituzionalita' delle norme che la prevedono, e
 non trovando piu' in essa giustificazione finalistica, verrebbe  meno
 anche la necessita' di sospensione.
   Quanto  precede in punto di rilevanza vale anche con riferimento al
 reato di cui al capo B.
    Proprio in ragione di tale nesso  di  strumentalita'  l'originaria
 pevisione espressa dei casi di sospensione del procedimento penale di
 cui  all'art.  38,  primo  comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47
 deve intendersi estesa in rapporto ai nuovi casi  di  estinzione  dei
 reati  delineati  dall'art. 39, ottavo comma, della legge 23 dicembre
 1994, n. 724 con previsione che piuttosto  che  delineare  una  nuova
 fattispecie,   generale  ed  applicabile  anche  per  il  futuro,  di
 accertamento di conformita' analogo a quello  previsto  dall'art.  13
 della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47,  per  la  sua collocazione
 all'interno  della  disciplina  della  definizione  agevolata   delle
 violazioni  gia'  commesse, appare riferibile esclusivamente ai fatti
 pregressi  di  cui  al  primo  comma,  ed  in   cui   il   versamento
 dell'oblazione,  istituto  della  cui  legittimita' costituzionale si
 dubita, costituisce  comunque,  come  ineliminabile  presupposto  del
 rilascio  della  concessione  o  autorizzazione,  elemento essenziale
 della  fattispecie  estintiva,  al  quale  per  altro  non   potrebbe
 riconoscersi  tale  particolare  effetto  se  venisse  meno,  per  la
 declaratoria  di   incostituzionalita',   quello   principale   della
 estinzione dei reati in materia edilizia.
    Le innovazioni introdotte dall'art. 39 della legge n. 724 appaiono
 marginali  e non sembrano aver alterato il meccanismo di operativita'
 e le caratteristiche essenziali dell'istituto  del  condono  edilizio
 introdotto  dalla  legge 28 febbraio 1985, n. 47, lasciandone percio'
 invariata la natura giuridica.
    In proposito non ignora questo pretore che la Corte costituzionale
 con la decisione n. 369 del 31 marzo  1988  ritenne  che  il  condono
 edilizio  del  1985  integrasse  una  complessa  e  varia fattispecie
 estintiva del tutto atipica  ed  in  particolare  inavvicinabile  sia
 all'amnistia propria che a quella impropria.
    Nonostante tale orientamento, richiamato successivamente anche con
 le ordinanze n. 257 del 15 maggio 1989, n. 485 del 22 ottobre 1989, e
 n.  555 del 19 dicembre 1990 al fine di escludere la riconducibilita'
 all'amnistia anche  di  un  successivo  condono  tributario,  ritiene
 questo pretore che ricorrano le condizioni per riproporre, attraverso
 una  rimeditazione  dell'  argomento, la qualificazione come amnistia
 del condono edilizio anche nella nuova veste formale  di  definizione
 agevolata delle violazioni edilizie.
    Infatti l'argomento principale, fondato sul riscontro dell'aspetto
 sostanziale  del  suo  modus  operandi, sembra trovare oggi ulteriori
 conferme, oltre che nella valorizzazione di alcune argomentazioni che
 caratterizzavano la stessa pronunzia della Corte, anche alla luce  di
 taluni  rilievi  critici della dottrina, nel concreto atteggiarsi del
 diritto vivente sui temi della identificazione del  fatto  produttivo
 della   estinzione   dei   reati  urbanistici  e  della  operativita'
 dell'istituto rispetto a fatti coperti dal giudicato, ed infine nella
 constatazione della  piena  assimilabilita'  dell'istituto  ad  altri
 provvedimenti  di  clemenza  espressamente ricondotti dal legislatore
 nell'ambito dell'amnistia.
    Superando le molteplici  differenze  definitorie  innescate  dalla
 necessita'  di  offrire  spiegazione  della formula legislativa della
 estinzione del reato e di raccordarsi ad essa, sul piano  sostanziale
 della descrizione della natura e degli effetti e della individuazione
 del  nucleo essenziale dell'istituto, sembra che la scarna disciplina
 contenuta negli artt. 79 della Costituzione e 151 del  c.p.  consenta
 di individuare come caratteristica essenziale dell'amnistia quella di
 essere  atto  di natura legislativa che, senza procedere a definitiva
 abrogazione  della  norma  incriminatrice,  che  infatti  continua  a
 produrre  effetti  per il periodo successivo, e' diretto ad incidere,
 eliminandola, sulla punibilita' di fatti commessi precedentemente  ed
 in  un  arco  di tempo ben delimitato, con effetti che possono essere
 sottoposti  al  verificarsi  di  condizioni  o  all'  adempimento  di
 obblighi.
    Tali  caratteristiche  sembrano  ricorrere  tutte nella previsione
 legislativa del condono edilizio di cui si  discute,  che  certamente
 non  puo'  essere  ricondotto  all'istituto  della  oblazione, avente
 invece natura di previsione generale ed applicabilita' non limitata a
 fatti pregressi.
    All'accoglimento della qualificazione del  condono  edilizio  come
 amnistia  induce  poi,  come e' stato osservato in dottrina, anche la
 valorizzazione   degli   stessi   rilievi   formulati   dalla   Corte
 costituzionale  circa  il collegamento della sua ratio con l'esigenza
 di  porre  termine  ad  un   periodo   di   illegalita'   di   massa,
 giustificazione  questa che rientra appieno in quelle che la dottrina
 tradizionalmente individua  come  giustificazioni  costituzionalmente
 corrette dei provvedimenti di amnistia.
    Non  sembra  quindi  azzardato qualificare il condono in questione
 come amnistia sottoposta a condizioni o ad obblighi (da identificarsi
 le une o gli altri nell'integrale pagamento  della  oblazione)  tanto
 piu' che la precedente sentenza della Corte costituzionale n. 369 del
 31 marzo 1988 si preoccupo' esclusivamente di confutare la tesi della
 amnistia  condizionata,  senza esaminare invece quella della amnistia
 sottoposta ad obblighi, che  sembra  perfettamente  attagliarsi  alla
 fattispecie.
    Non  impedisce  tale  conclusione  il  rilievo  che  al  pagamento
 dell'oblazione  possa  provvedere  anche   soggetto   estraneo   alla
 realizzazione  dell'illecito  (cfr.  art.  31,  terzo comma, legge 28
 febbraio  1985,  n.  47),  poiche'  l'art.  151,  quarto  comma,  non
 prescrive  tassativamente  che  il  verificarsi  della  condizione  e
 l'adempimento dell'obbligo  debbano  essere  determinati  ed  attuati
 dall'autore del fatto ricadente nell'amnistia.
    Ne'   e'   di   ostacolo  la  mancata  espressa  previsione  della
 rinunziabilita'   del   beneficio,   poiche'   da   un   lato    tale
 rinunziabilita'  appartiene  gia', in via generale e senza necessita'
 di ulteriori  previsioni,  alla  disciplina  dell'amnistia  derivante
 dall'art. 151 del c.p. nel testo integrato dalla sentenza della Corte
 costituzionale  n.  175 del 5 luglio 1971, dall'altro nella specifica
 ipotesi  di   cui   si   discute   la   espressa   previsione   della
 rinunziabilita'  secondo  i  meccanismi tradizionali appariva perfino
 superflua in relazione ad una fattispecie estintiva che richiede, nel
 suo  funzionamento  tipico,   l'attivazione   dell'interessato   alla
 applicazione   del   provvedimento   di  clemenza,  che  pertanto  ha
 possibilita' di rinunziare ad esso semplicemente rimanendo  inerte  e
 non provvedendo al pagamento della oblazione. (E significativo appare
 a  tal  riguardo  il  fatto  che  analoga  scelta di mancata espressa
 previsione di rinunziabilita' sia stata  fatta  dal  legislatore  nei
 provvedimenti  di clemenza tributaria, espressamente qualificati come
 amnistia dal legislatore, concessi con d.P.R 9 agosto 1982, n. 525  e
 con  d.P.R.  20  gennaio  1992,  n.  23,  che operano, come si dira',
 secondo meccanismi del tutto analoghi a quelli del condono edilizio.)
    Anzi  a  sostegno  di  tale  conclusione  puo'  rilevarsi  che  il
 meccanismo  della  sospensione  del  procedimento  penale strumentale
 rispetto  al  perfezionamento   della   fattispecie   estintiva   non
 costituisce previsione innovativa ed atipica, caratterizzante in modo
 particolare  il  condono  edilizio,  ma rappresenta solo applicazione
 particolare di  quello  che  sembra  essere  un  principio  generale,
 espressamente previsto dall'art. 2 del d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 e
 dall'art.  2, terzo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, nonche'
 in tema di amnistia impropria dall'art. 672 del c.p.p.
    Sembrano  inoltre  essere  venuti  meno  alcuni   dei   principali
 argomenti  che  la  richiamata precedente pronunzia della Corte aveva
 utilizzato per la costruzione  della  atipica  fattispecie  estintiva
 diversa dall'amnistia.
    Successivamente  a  tale decisione il diritto vivente, nascente da
 ormai  consolidato  orientamento  giurisprudenziale,  si   era   gia'
 orientato ad individuare esclusivamente nel pagamento della oblazione
 il   fattore   determinante   il  completo  dispiegarsi  dell'effetto
 estintivo, indipendentemente da ogni collegamento con la procedura di
 sanatoria  che  invece  la  Corte  costituzionale aveva sottolineato,
 sancendo   che   tale   effetto   si   determina   autonomamente    e
 definitivamente in conseguenza del decorso dei termini che consentono
 di  ritenere  prescritto il diritto della amministrazione comunale di
 procedere a rideterminazione dell'importo dell'oblazione.
    Tale  indipendenza  dell'effetto  estintivo  dalla  procedura   di
 sanatoria  appare  ulteriormente ribadito nella nuova disposizione di
 cui  si  discute,  che  oltre  a  richiamare  senza  modificarle   le
 previsioni  degli  artt.  38,  secondo  comma,  e  39  della legge 28
 febbraio 1985,  n.  47,  per  i  quali  e'  "l'oblazione  interamente
 corrisposta"  ovvero  "l'effettuazione  dell'oblazione" a determinare
 l'effetto estintivo dei reati urbanistici, al quarto comma  introduce
 come  ordinario  e generalizzato (e non piu' residuale ed eccezionale
 come era quello dell'art.  35,  tredicesimo  comma,  della  legge  28
 febbraio  1985,  n. 47) un meccanismo di definizione automatico anche
 per  il  procedimento  tendente  al  rilascio  della  concessione  in
 sanatoria,   cosi'   disarticolando   quella   complessa  fattispecie
 estintiva individuata dalla Corte costituzionale in cui rivestiva  un
 ruolo fondamentale l'intervento attivo dell'autorita' comunale per la
 determinazione  definitiva dell'importo dell'oblazione ed il rilascio
 della concessione in sanatoria.
    Inoltre con riferimento ad altro aspetto individuato  dalla  Corte
 costituzionale di divergenza del condono edilizio dallo schema tipico
 dell'amnistia, in ragione della ritenuta diversita' degli effetti, la
 giurisprudenza  si  e'  orientata  nel senso di una lettura estensiva
 dell' art. 38, terzo comma, della legge  28  febbraio  1985,  n.  47,
 secondo  cui  anche  il  condono  edilizio  puo'  operare  secondo il
 meccanismo  tipico  della   amnistia   impropria,   eliminando,   con
 riferimento  a reati oggetto di accertamento passato in giudicato, la
 esecuzione della pena e gli effetti penali  ed  amministrativi  della
 condanna (cfr. Cass. 24 marzo 1993, n. 228).
    Infine  sembra  di  poter  affermare  che,  nella rilevata estrema
 sinteticita'  della  disciplina  generale  dell'amnistia,   che   non
 consente  di enucleare una figura dogmatica ed una sicura definizione
 legislativa dell'istituto, alimentando quelle incertezze di cui  sono
 espressione le gia' rilevate differenze definitorie, quando si tratti
 di  stabilire  se  un determinato provvedimento di clemenza integri o
 meno una amnistia da un lato non ci si possa arrestare al nomen iuris
 adottato   dal   legislatore,   dall'altro   occorra   ricavare    le
 caratteristiche  essenziali  ed il contenuto tipico dei provvedimenti
 di amnistia estrapolandoli dalla  concreta  disciplina  contenuta  in
 quei provvedimenti che senza alcun dubbio possano essere ricondotti a
 tale figura.
    In  tale ottica le gia' richiamate disposizioni delle amnistie per
 reati finanziari contenute dai dd.P.R. n. 524/l982 e n.  23/1992,  di
 cui  non si pone in dubbio da alcuno la riconducibilita' all'istituto
 della amnistia, non  valgono  solo  ad  autorizzare  l'argomentazione
 logica  gia'  in  precedenza  espressa, ma concorrono a dimostrare il
 chiaro orientamento del legislatore tendente ad  inquadrare  in  tale
 istituto  anche  fattispecie estintive complesse caratterizzate dalla
 mediazione  degli  effetti  attraverso  la  realizzazione  da   parte
 dell'autore  del  fatto (o anche da parte di estranei) di condotte di
 adempimento  di  obblighi particolari consistenti nell'attivazione di
 meccanismi procedimentali complessi tendenti alla definizione di  una
 pratica  amministrativa  e  nel  pagamento  di una somma di denaro in
 misura predeterminata.
    E cio' appare maggiormente significativo ove si consideri  che  il
 secondo  dei  suddetti  provvedimenti  venne adottato successivamente
 alle  richiamate  pronunzie  della  Corte  costituzionale,  e  quindi
 presumibilmente  nella  piena consapevolezza del diverso orientamento
 che la Corte aveva manifestato, che in tal modo evidentemente non  si
 ritenne   di   condividere,   cosi   implicitamente   ammettendo   la
 compatibilita'  con  l'istituto  della  amnistia  di  tali  complesse
 fattispecie condizionanti l'effetto estintivo.
    D'altra  parte  il  fatto  che nel creare la nuova disposizione il
 legislatore si sia preoccupato, senza che cio' fosse richiesto  dalla
 adozione  di  significative  differenze  di  disciplina rispetto alla
 normativa del 1985, di adottare la nuova etichetta  nominalistica  di
 "definizione  agevolata delle violazioni edilizie" in sostituzione di
 quella di "sanatoria  delle  opere  abusive"  contenuta  nella  legge
 precedente,  appare sintomatico della esattezza della conclusione che
 si  sostiene,  poiche'  denota  chiaramente  la  consapevolezza   del
 problema  ed  il  tentativo  di  evitare  la  riconducibilita'  dell'
 istituto al campo dell'amnistia attraverso  l'adozione  di  un  nuovo
 nomen iuris.
    Ma  evidentemente neppure al legislatore puo' essere consentito di
 compiere  siffatte  operazioni  puramente  nominalistiche  dirette  a
 prevalere sui reali contenuti, sicche' sembra di poter concludere che
 come  gia'  il  condono  edilizio  del  1985 aveva natura di amnistia
 condizionata o sottoposta ad  obblighi,  tale  natura  ha  conservato
 anche la nuova versione introdotta dall'art. 39 della legge n. 749.
    Di  qui  la  evidente  lesione  dell'art.  79  della Costituzione,
 derivante dal mancato rispetto del particolare iter  legislativo  ivi
 delineato.
    Ma insistere ulteriormente su tale qualificazione giuridica appare
 perfino superfluo, poiche' lesione di tale precetto costituzionale si
 ritiene  di  poter  ravvisare  anche se il condono edilizio non viene
 qualificato  come  amnistia,  in   conseguenza   della   sua   sicura
 riconducibilita',  affermata  anche dalla Corte costituzionale con la
 richiamata sentenza n. 369 del 31 marzo 1988, nel novero di una  piu'
 generale  categoria di provvedimenti di natura clemenziale alla quale
 sono comunque estensibili i principi in tema di amnistia.
    L'art. 1 della legge costituzionale 6  marzo  1992  n.  1  che  ha
 riformato  l'art.  79 della Costituzione stabilendo che l'amnistia e'
 concessa con  legge  deliberata  a  maggioranza  dei  due  terzi  dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale,   chiude   un   lungo  dibattito  caratterizzato  da  accenni
 estremamente critici  nei  confronti  dell'istituto  dell'amnistia  e
 dell'uso  abnorme  che  se  ne  era  fatto  anche  nel  periodo della
 Costituzione repubblicana e, come dimostra anche l'esame dei relativi
 lavori parlamentari, non puo'  essere  inteso  restrittivamente  solo
 come  mezzo  diretto  a  rendere  piu'  difficile  l'approvazione  di
 provvedimenti di amnistia, ma  assume  anche  valore  di  divieto  di
 provvedimenti di clemenza diversi dall'amnistia e/o non approvati con
 il  quorum  rafforzato  per essa previsto, coerentemente alla valenza
 generale dell'atteggiamento di sfavore che ha ispirato il legislatore
 costituzionale   ed   alla  ratio  della  previsione  del  quorum  in
 questione, da identificarsi anche  nell'esigenza  di  garantire  quei
 limiti   sostanziali   che  debbono  caratterizzare  i  provvedimenti
 legislativi di favore.
    Gia' prima della modifica dell'art. 79 della Costituzione sembrava
 possibile - e tale  osservazione  era  stata  formulata  in  dottrina
 proprio  con  riferimento  al  condono  edilizio del 1985 - enucleare
 dalle norme costituzionali il principio  della  tipicita'  necessaria
 dei  provvedimenti  di  clemenza  con il conseguente divieto di cause
 estintive della punibilita' diverse dall'amnistia (e dall'indulto)  e
 comunque approvate fuori dell'iter procedimentale per esse previste.
    In   tal   senso  deponeva,  in  rapporto  anche  alla  necessaria
 considerazione del principio di uguaglianza, il duplice rilievo da un
 lato che l'art. 25, secondo comma, della Costituzione esprimesse  una
 esigenza  di  tassativita'  da  riferire  necessariamente non solo al
 profilo della incriminazione  ma  anche  a  qualunque  aspetto  della
 previsione  della  non punibilita', e dall' altro che l'art. 79 della
 Costituzione, non potendo esso essere letto in  modo  riduttivo  come
 mera  prescrizione  procedimentale  e  non potendosi individuare beni
 costituzionalmente rilevanti cui raccordare  tali  istituti,  dovesse
 sottendere  la negazione di una totale liberta' del legislatore nella
 creazione di cause estintive della  punibilita'  e  si  ponesse  come
 unica legittimazione costituzionale dell'amnistia e dell'indulto, con
 la  necessaria conclusione della inesistenza di un potere di clemenza
 del  legislatore  fuori  dei  limiti  espressamente  e   testualmente
 riconosciuti al testo costituzionale.
    Tali  argomentazioni  inoltre riprendono nuovo vigore proprio alla
 luce della intervenuta modifica dell'art. 79 della Costituzione.
    Un  ulteriore  argomento  in  tal  senso  deriva   proprio   dalla
 precedente  sentenza  della  Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo
 1988, poiche' l'individuazione di una categoria generale di  atti  di
 clemenza   cui   sono  applicabili  i  limiti  sostanziali  derivanti
 dall'art.  3  della  Costituzione   certamente   depone   anche   per
 l'integrale applicazione ad essa anche delle regole procedimentali di
 cui  all'art.  79  della  Costituzione,  che  nel  nuovo testo devono
 ritenersi apprestate anche a garanzia dei limiti di sostanza.
    Ma soprattutto e' da rilevare che chiudendo il  processo  iniziato
 dal  primo  legislatore  costituente e risolvendo i nodi residuati al
 testo originario con la integrale riconduzione alla sfera del  potere
 legislativo  dell'istituto  dell'amnistia  e  la  eliminazione  dallo
 stesso di ogni residuale profilo, sia  pure  soltanto  simbolico,  di
 grazia  sovrana,  il  nuovo  testo  dell'art.  79  della Costituzione
 comporta anche sul piano sistematico il definitivo e totale abbandono
 di  ogni  aspetto  della  incontrollata  discrezionalita'  che   alla
 appartenenza   dell'istituto   alla   sfera   della   grazia  sovrana
 tradizionalmente si accompagnava e la piena ed integrale operativita'
 del  principio  di  uguaglianza,  che  domina  appunto  il  campo  di
 esercizio del potere legislativo.
    In  tale  campo  l'unica  discrezionalita'  consentita  e'  quella
 temperata dal rispetto del principio di  uguaglianza,  con  il  quale
 tendenzialmente  viene  in  conflitto,  per  la  sua  stessa  natura,
 qualunque provvedimento di clemenza,  per  definizione  lesivo  della
 uguaglianza  di  trattamento  dei cittadini ripetto alla applicazione
 della legge penale.
    Proprio alla luce di tale ultima considerazione era ormai da tempo
 pacificamente  acquisita  la necessita' di lettura dell'art. 79 della
 Costituzione  in   stretto   coordinamento   con   l'art.   3   della
 Costituzione,  quale  fonte  di limiti sostanziali dell'esercizio del
 potere di clemenza.
    Ma cio' significa anche, per la preminente rilevanza  dell'art.  3
 della Costituzione rispetto ad ogni altra norma costituzionale, che i
 principi  che  da  esso  derivano, possono essere derogati solo negli
 stretti  limiti  espressamente   autorizzati   dall'art.   79   della
 Costituzione,  che viene quindi ad operare nel sistema costituzionale
 come norma derogatoria.
    E' evidente a questo punto che poiche' quanto piu' si  restringono
 i  confini  della  eccezione si espandono e riprendono pieno vigore i
 principi generali desumibili dall'art.  3  della  Costituzione  nella
 loro  valenza ostativa alla adozione di provvedimenti di clemenza, il
 recente intervento del legislatore  costituzionale  non  puo'  essere
 considerato  soltanto  espressione  di  un  intento  di  limitare  il
 fenomeno delle ricorrenti concessioni di amnistia.
    La scelta di ricondurre pienamente al  legislativo  il  potere  di
 concedere  amnistia,  adottata  nella innegabile consapevolezza della
 problematica riguardante la natura dei rapporti tra gli artt. 3 e  79
 della   Costituzione,   sottolinea   il   primato  del  principio  di
 uguaglianza anche in tale campo ed  assume  cosi'  il  piu'  generale
 significato, emergente anche dai lavori preparatori, di apprestare un
 argine a qualunque altra forma di esercizio del potere di clemenza.
    Analogo   significato   assume  anche  la  previsione  del  quorum
 rafforzato per l'approvazione della legge di concessione di amnistia,
 che secondo quanto risulta dall'esame degli atti parlamentari,  venne
 adottata  a  garanzia dei limiti sostanziali all'esercizio del potere
 di  clemenza  che  si  ritenevano  discendenti  dall'art.   3   della
 Costituzione   e  che  si  rinunzio'  a  disciplinare  specificamente
 ravvisandosi sufficiente garanzia nella previsione procedurale.
    Cosi'  sottolineando  la  natura  legislativa  ed   il   carattere
 eccezionale  dell'amnistia  e  dell'indulto,  si  consente  dunque di
 riprendere pieno  vigore  fuori  di  tali  ipotesi  al  principio  di
 uguaglianza  di  cui  all'art.  3 della Costituzione, che non tollera
 casi di inapplicabilita' della legge penale fuori della ipotesi della
 abrogazione  generale  ed  estesa  anche  al   futuro,   e   pertanto
 implicitamente  si  autorizza l'adozione di provvedimenti di clemenza
 nei soli casi e nelle forme previsti dall'art. 79 della Costituzione.
    E' agevole rilevare in proposito  che  la  ratio  che  ispiro'  il
 legislatore   nella   modifica   dell'art.   79  della  Costituzione,
 chiaramente  identificabile  attraverso  i  lavori  parlamentari  nel
 duplice   scopo  di  impedire  il  fallimento  dei  riti  alternativi
 introdotti dal nuovo codice di rito penale che sarebbe derivato delle
 attese di ricorrenti amnistie e limitare i profili  di  arbitrarieta'
 che  venivano  individuati nell'abuso dell'istituto, sussiste intatta
 anche nei confronti di qualunque  altro  provvedimento  di  clemenza,
 sicche'  il  principio  di  tipicita' di tale genere di provvedimenti
 opera come garanzia di rispetto  della  ratio  sottostante  la  nuova
 disciplina costituzionale.
    D'altra   parte   il  nuovo  quorum  aggravato  richiesto  per  la
 concessione  dell'amnistia  non  consente  piu'  di  sorvolare   come
 avveniva  per il passato, su quegli aspetti che consentivano, secondo
 l'espressione di alcuni, la "truffa delle etichette".
   Prima  della  modifica  dell'art.  79  della Costituzione la prassi
 costituzionale della mera ratifica  da  parte  del  Presidente  della
 Repubblica  delle  scelte  compiute  dal  legislatore  delegante e la
 previsione del quorum ordinario per  l'approvazione  della  legge  di
 delegazione  rendevano  sostanzialmente  indifferente il ricorso alla
 amnistia o ad altro mezzo di clemenza  atipica,  poiche',  una  volta
 esclusa,  come la prassi consentiva, una reale ed effettiva attivita'
 di  valutazione,  controllo  e  decisione  dell'organo  delegato,  in
 entrambi   i   casi   veniva   a   trattarsi  di  decisioni  comunque
 sostanzialmente riconducibili al parlamento e  deliberate  secondo  i
 normali   quorum  legislativi,  e  la  differenza  rappresentata  dal
 necessario intervento del Presidente della Repubblica assumeva valore
 soltanto formale e nominalistico, privo nella  pratica  di  qualunque
 rilevanza sostanziale.
    L'attuale  previsione  del  quorum  rafforzato invece non consente
 piu' altri e diversi provvedimenti di clemenza, intesi come leggi  di
 esonero  retroattivo  e  limitato  nel  tempo dalle conseguenze della
 applicazione della legge penale, con la  quale  vengono  a  porsi  in
 contrasto,  essendo  agevole  rilevare  che attraverso l'affermazione
 della loro ammissibilita'  sarebbe  facile  aggirare  con  operazioni
 puramente  nominalistiche  il dettato costituzionale che si qualifica
 proprio per la considerazione  congiunta  delle  ipotesi  tipiche  di
 clemenza  assieme ad un particolare iter legislativo che deve fungere
 da arginare all'esercizio del relativo potere.
    Anche  per  la  contestuale   eliminazione   dell'intervento   del
 Presidente  della  Repubblica quale organo delegato alla concessione,
 al quale almeno sul piano teorico ed indipendentemente  dalla  prassi
 costituzionale  non era estranea una funzione di controllo specifico,
 diverso e piu' pregnante rispetto a quello tipicamente collegato alla
 promulgazione delle  leggi,  sarebbe  infatti  agevole  dar  luogo  a
 provvedimenti  che  sul piano del contenuto sostanziale integrano una
 vera e propria amnistia, nascondendoli sotto un nomen diverso al fine
 di consentirne l'approvazione con il quorum ordinario in  sostanziale
 violazione dell'art. 79 della Costituzione.
    L'argomento   assume  ancor  maggior  pregnanza  a  seguito  della
 introduzione nell'attuale ordinamento del sistema maggioritario,  sia
 pur  temperato,  di elezione delle Camere, che pur derivando da legge
 ordinaria  non  puo'  essere   ritenuto   del   tutto   estraneo   ed
 assolutamente   irrilevante   sul   piano   costituzionale,   perche'
 concorrendo a determinare le modalita' di composizione ed la concreta
 articolazione di tali organi costituzionali determina necessariamente
 nuovi assetti di equilibrio  tra  le  forze  politiche  che  al  loro
 interno trovano espressione.
    Infatti  il  tendenziale  orientamento  del sistema verso due soli
 schieramenti contrapposti che  il  sistema  elettorale  maggioritario
 necessariamente  comporta, in linea di principio rende piu' difficile
 ipotizzare  la  possibilita'  di  convergenza   di   maggioranza   ed
 opposizione fino a raggiungere il quorum aggravato previsto dall'art.
 79  della  Costituzione,  sicche'  la lettura di tale disposizione in
 termini di previsione di tipicita' degli atti di clemenza  opera  nel
 quadro  generale  del  sistema degli equilibri costituzionali, di cui
 l'introduzione del sistema maggioritario  indubbiamente  richiede  il
 potenziamento,  come  garanzia  delle  minoranze politiche rispetto a
 "colpi  di mano" che le maggioranze volessero attuare per far passare
 scelte di politica di clemenza integranti  una  sostanziale  amnistia
 senza    l'osservanza    dell'iter   parlamentare   richiesto   dalla
 Costituzione.
    D'altra parte la previsione della maggioranza  qualificata,  anche
 se non ne altera la natura di legge ordinaria, certamente assegna una
 sorta di predominio alla legge di concessione di amnistia rispetto ad
 ogni altra legge approvata con i quorum ordinari, e cio' non puo' che
 sottolinearne  il carattere di assoluta eccezionalita', che impedisce
 che il suo contenuto  tipico  possa  essere  approvato  con  altre  e
 diverse maggioranze.
    Conclusivamente  essendo indiscutibile che il condono, se anche lo
 si voglia ritenere operante sul piano tecnico  come  causa  estintiva
 atipica, comunque costituisce manifestazione del piu' generale potere
 di  clemenza,  deve  ritenersi  non  infondato il dubbio di contrasto
 della sua disciplina con i principi desumibili dagli  artt.  3  e  79
 della  Costituzione  nella parte in cui pongono divieto di emanazione
 di atti di clemenza atipici, diversi dall'amnistia e dal  condono,  e
 comunque  non  approvati  secondo  la  procedura  per  tali  istituti
 delineata dall'ultima disposizione.
    Sotto  altro  profilo  sembra  indiscutibile  che  anche  l'ultimo
 condono  edilizio,  "costituisce"  -  come  aveva ritenuto per quello
 della legge 28 febbraio 1985, n.  47  la  precedente  sentenza  della
 Corte  costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988 - "senza dubbio specie
 d'una generale nozione di misura di clemenza" nei cui  confronti  "va
 posto  il problema dei limiti costituzionali all'esercizio del potere
 di clemenza".
    A   proposito   di   tali   limiti   dottrina   e   giurisprudenza
 costituzionale   (v.   in   particolare   le  decisioni  della  Corte
 costituzionale n. 175 del 14 luglio 1971 e  n.  32  del  19  febbraio
 1976)   in   tema   di   amnistia   avevano  fatto  discendere  dalla
 constatazione   della   tendenziale   arbitrarieta'   di    qualunque
 provvedimento   di   clemenza   l'affermazione   di   un   necessario
 collegamento tra l'art. 79 e l'art. 3 della Costituzione.
    Di qui l'opinione  che  la  concessione  di  amnistia  quale  atto
 politico  oltre  a  dover rispondere sempre ad un interesse generale,
 debba avere carattere di eccezionalita' che impone di  contenere  nei
 piu' ristretti limiti l'esercizio della relativa potesta'.
    Cio'  significa  che  essa  puo'  trovare  giustificazione solo in
 caratteristiche specifiche delle fattispecie cui si applica,  da  cui
 derivi per elementi eccezionali e non riproducibili la inopportunita'
 o  ingiustizia  sostanziale  dell'applicazione  della  legge penale a
 determinate categorie di  fatti  verificatisi  in  passato  o,  senza
 metterne in discussione l'applicabilita' al passato, l'inopportunita'
 politica   attuale   della   condanna  e  delle  pene,  ovvero  nella
 sopravvenienza  di  circostanze  che  facciano   apparire   i   reati
 precedentemente  commessi, in quanto legati ad un particolare momento
 storico ormai superato, non piu' offensivi della coscienza sociale.
    Tutto cio' sempre che i fini della clemenza collettiva,  anche  se
 non  coincidono  con  quelli  che  presiedono  alla  previsione della
 normativa penale, con essi non si pongano in contrasto, specie quando
 la tutela penale riguarda beni di rango costituzionale.
    Tali  principi  aveva espressamente richiamato la citata decisione
 della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988, che nel  portare
 a  compimento  il discorso, estendendoli alla piu' generale categoria
 delle misure di clemenza, aveva aggiunto ed ulteriormente  precisato,
 a  proposito  del  condono del 1985, che "la non punibilita' o la non
 procedibilita' dovuta a situazioni successive al  commesso  reato  ..
 deve  comunque  essere  valutata  in funzione delle finalita' proprie
 della pena; ove l'estinzione della punibilita' .. risultasse variante
 arbitraria, tale .. da svilire il  senso  stesso  della  comminatoria
 edittale    e    della    punizione,    non   potrebbe   considerarsi
 costituzionalmente legittima" ed ancora che "la non punibilita' e  la
 non  procedibilita'  di  cui ai moderni condoni penali, specie quando
 cancellano reati lesivi di  beni  fondamentali  della  comunita',  va
 usata  negli  stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale ..
 Contraddire, vanificare, sia pure temporaneamente, le  ragioni  prime
 della   punibilita'   attraverso  l'esercizio  arbitrario  della  non
 punibilita'  equivale  non  soltanto  a  violare   l'art.   3   della
 Costituzione,  ma ad alterare, con il principio della obbligatorieta'
 della pena, l'intero volto  del  sistema  costituzionale  in  materia
 penale".
    A quanto precede si ritiene di aggiungere soltanto, riprendendo ad
 altri  fini  osservazioni gia' espresse in precedenza, che l'esigenza
 di rigoroso  rispetto  dei  canoni  di  razionalita'  ed  uguaglianza
 risulta oggi piu' viva e pressante per effetto della recente modifica
 dell'art. 79 della Costituzione, che ha ulteriormente sottolineato il
 carattere  di  eccezionalita'  dell'amnistia ed in genere del ricorso
 all'esercizio del potere di clemenza.
    E  certamente  i  suddetti  parametri   appaiono   violati   dalla
 disciplina  contenuta  nell'art.  39 della legge 23 dicembre 1994, n.
 724.
    Esclusa in radice l'esigenza, neppure astrattamente configurabile,
 di pacificazione sociale,  non  sembra  infatti  possibile  sostenere
 seriamente che la coscienza sociale ritenga oggi inoffensivi, siccome
 legati  ad  un'esperienza  storicamente superata, i reati urbanistici
 commessi  anteriormente  al  31  dicembre  1993  che  sono  presi  in
 considerazione  dall'art.  39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, o
 che  l'applicazione  per  essi  delle  sanzioni  penali  appaia  oggi
 inopportuna o sostanzialmente ingiusta.
    Tali    valutazioni,   per   giustificare   la   concessione   del
 provvedimento di  clemenza,  dovrebbero  essere  espressione  di  una
 sicura, evidente ed assoluta maggioranza d'opinioni, come dimostra la
 previsione  del  particolare  quorum  stabilito  dall'art.  79  della
 Costituzione, che sembra dover assolvere  proprio  alla  funzione  di
 evidenziare  l'esistenza  di tale maggioritaria valutazione del corpo
 sociale per la  corrispondenza,  secondo  i  meccanismi  tradizionali
 della  democrazia  rappresentativa,  della  volonta' del Parlamento a
 quella del popolo in tale istituzione rappresentato.
    A dar conto dell'assenza di tale  comune  sentire  e'  sufficiente
 invece  por  mente  al  dibattito  che nelle piu' svariate sedi si e'
 svolto  sull'argomento,  che  ha   visto   orientato   su   posizioni
 estremamente   critiche  dell'iniziativa  governativa  un  vastissimo
 schieramento di cittadini, associazioni, e forze parlamentari, la cui
 forza e diffusione ha trovato concreta e  formale  espressione  nelle
 vicende  parlamentari  che  reiteratamente hanno portato alla mancata
 conversione dei decreti-legge inizialmente presentati dal governo  al
 fine di introdurre analoga disciplina.
    A  tale  giudizio  politico  negativo  -  valutazione  politica e'
 certamente quella che si pone a base  dell'esercizio  del  potere  di
 clemenza  -  tra  l'altro  non e' stato mai opposto l'argomento delle
 valutazioni di inoffensivita' da parte della coscienza sociale  delle
 pregresse  violazioni  ed  inopportunita'  ed  iniquita'  della  loro
 repressione, ma solo quello delle esigenze finanziarie che  avrebbero
 potuto essere fronteggiate attraverso la raccolta delle oblazioni.
    Inoltre  il  provvedimento  di  clemenza  di  cui  si  discute non
 possiede caratteri di straordinarieta' ed eccezionalita'  ne'  appare
 insuscettibile  di  contrasto  con i fini che si pongono a base della
 previsione astratta delle fattispecie penali sulle quali interviene.
    Sotto  il  primo  aspetto  si  consideri  che,   gia'   ampiamente
 preannunziato   da   reiterati  decreti-legge  non  convertiti,  esso
 interviene a meno di dieci anni dall'entrata in vigore del precedente
 condono ed in termini di  molto  ancora  piu'  brevi  ove  si  faccia
 riferimento  al definitivo assestamento di tale disciplina risultante
 dalla legge 13 marzo 1988, n. 68.
    I meno di sette anni intercorrenti dall'entrata in vigore di  tali
 ultime  disposizioni  sono  davvero  troppo  pochi  perche'  si possa
 sostenere  che  la  riproposizione  del   condono   abbia   carattere
 episodico,   straordinario   ed   eccezionale,   sicche'  non  appare
 ingiustificato il formarsi dell'opinione - questa si  vasta  -  della
 ormai  acquisita  ordinarieta'  di  tali interventi legislativi con i
 quali lo Stato tende esclusivamente a fronteggiare, in una  sorta  di
 mercato   delle   indulgenze,   esigenze  di  cassa  che  non  riesce
 diversamente  a  soddisfare  attraverso  una  rigorosa  politica   di
 bilancio e l'attuazione di un sistema tributario efficiente.
    Sotto  il secondo aspetto la previsione della estinzione dei reati
 gia' consumati contraddice totalmente e senza alcuna  giustificazione
 la  previsione  della  loro  incriminazione e finisce per "svilire il
 senso stesso della comminatoria edittale e della  punizione"  in  tal
 modo  pregiudicandone  in  futuro  la  cogenza  e  la possibilita' di
 applicazione, in modo tanto piu' grave quanto piu'  la  natura  degli
 interessi  che  entrano  in gioco richiederebbe una severa e puntuale
 repressione delle condotte incriminate.
    E' noto infatti come la reiterazione di provvedimenti  clemenziali
 induca  nel  cittadino  la  convinzione della possibilita' di violare
 impunemente la legge e negli organi preposti  alla  sua  applicazione
 una  pericolosa  tendenza ad atteggiamenti di lassismo, che di per se
 contrastano  con  le  ragioni  della  incriminazione,  annullando   o
 comunque  indebolendo  la  funzione  di  prevenzione  generale  della
 comminatoria della pena e risolvendosi in un vero e  proprio  stimolo
 alla  realizzazione  di  comportamenti  illeciti  (il che consente di
 ravvisare anche un'autonomo ulteriore profilo di contrasto con l'art.
 27, terzo comma, della Costituzione).
    Il  contrasto  tra  la  misura  di  clemenza   e   la   disciplina
 sanzionatoria  che  resta  vigente  assume  aspetto di rilevantissima
 gravita' ove si rifletta su due particolari aspetti. Innanzitutto  la
 misura  di  clemenza interviene su una categoria di illeciti, che per
 la  gia'  avvenuta   introduzione   e   pregressa   possibilita'   di
 utilizzazione    da    parte    dei    loro    autori   dell'istituto
 dell'accertamento di conformita' di cui agli  artt.  13  e  22  della
 legge   28   febbraio   1985,   n.   47,   dovrebbero   essere  tutti
 tendenzialmente  caratterizzati  da  profili  non  solo formali ma da
 violazioni sostanziali degli interessi urbanistici.
    In secondo luogo essa non solo incide in generale su "fondamentali
 esigenze sottese al governo del territorio" collegate ai principi  di
 cui  agli  artt.  41,  secondo  e  terzo comma, 42, secondo comma, 9,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  ma  si  caratterizza,  con  le
 specifiche  previsioni dei comma settimo, ottavo e ventesimo, per una
 ulteriore estensione, anche rispetto alla disciplina del condono  del
 1985,  del  campo  di  applicabilita'  del  beneficio alle violazioni
 interessanti beni soggetti alla tutela paesaggistica, in assoluto  ed
 insanabile  contrasto  con  quelle  esigenze  di  tutela  dei  valori
 costituzionali derivanti dall'art. 9 della Costituzione  che  avevano
 invece  trovato  espresso riconoscimento, contestualmente al condono,
 nelle previsioni degli artt. 4, secondo comma,  8,  terzo  comma,  9,
 terzo  e  quarto  comma, 10, quarto e ventesimo comma, lett. c) della
 legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successivamente nella legge 8 agosto
 1985, n. 431 di conversione del d.-l. 27 giugno 1985, n.  312,  nella
 vasta  giurisprudenza costituzionale che ha respinto tutte le censure
 mosse alla stessa, e in un piu' generale orientamento del legislatore
 che si e' espresso recentemente nella nuova disciplina dei  parchi  e
 delle aree protette, della utilizzazione del territorio, delle regole
 per l'assetto idrogeologico e lo sfruttamento delle risorse idriche.
    Tutto  cio',  anche  quando  il  procedimento  non  riguardi reati
 specificamente  posti  a  diretta  tutela  dei   valori   ambientali,
 certamente  rileva  sul  piano  di  una  complessiva  valutazione del
 contrasto tra le norme di clemenza con le  ragioni  della  disciplina
 sanzionatoria    e    del   suo   orientamento   in   una   direzione
 costituzionalmente corretta.
    Ne' si  possono  nuovamente  ravvisare  oggi  le  ragioni  che  in
 relazione al precedente condono avevano indotto la Corte ad escludere
 il contrasto di tale normativa con le ragioni delle incriminazioni.
    L'intento  del legislatore del 1985 di "chiudere con un passato di
 illegalita'  di  massa"  inducendo  "autori  (e  non)  di  violazioni
 edilizie  a  chiedere  la  concessione in sanatoria .. costituente in
 certo modo autodenuncia indubbiamente utile .. a  fini  di  chiarezza
 catastale, tributaria, ecc." ed in vista della "regolarizzazione (fin
 dove   possibile)  dell'assetto  del  territorio"  risultava  infatti
 dettato dalla  esigenza  di  "porre  sicure  basi  normative  per  la
 repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese
 al  governo  del  territorio"  che  "secondo  la  discrezionalita' ed
 incensurabile ..  valutazione del legislatore .. non potevano  essere
 validamente  difesi  per il futuro se non attraverso la cancellazione
 del notevole,  ingombrante  carico  pendente  relativo  alle  passate
 illegalita'  di  massa"  sicche'  era inscindibilmente collegato alla
 contestuale introduzione di  un  sistema  sanzionatorio  da  un  lato
 riservato,  per  la  previsione  dell'istituto  dell'accertamento  di
 conformita', ai  fatti  caratterizzati  da  effettivo  e  sostanziale
 contrasto  con  la  tutela  degli  interessi  urbanistici, dall'altro
 estremamente piu' articolato e severo del precedente e caratterizzato
 da un ventaglio piu' differenziato  ed  efficace  di  sanzioni  anche
 indirette  opportunamente  graduate sulla base di attenta valutazione
 della gravita' della lesione degli interessi protetti,  tra  i  quali
 veniva  per  la  prima  volta introdotto quello attinente alla tutela
 paesaggistica, che rendeva evidente l'intento del legislatore di  non
 ammettere  per  il  futuro  "in  alcun  modo  sanatorie  per le opere
 contrastanti con gli strumenti urbanistici".
    Era  dunque  tale  individuare  strumentalita'  della  misura   di
 clemenza  rispetto  ad  una  piu'  rigorosa ed effettiva tutela degli
 interessi protetti da attuarsi nel futuro attraverso un nuovo e  piu'
 efficace  apparato  repressivo  che  giustificava, secondo una logica
 gia' adottata nella decisione della Corte costituzionale n. 32 del 19
 febbraio 1976, la misura  di  clemenza,  attribuendole  in  tal  modo
 funzione di "oggettiva tutela di oggettivi valori".
    Ma cio' non e' dato in alcun modo rinvenire nella nuova disciplina
 che  anche  per  il  suo  inserimento  nel  quadro  delle  "misure di
 razionalizzazione della finanza  pubblica",  secondo  l'intitolazione
 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, dimostra con assoluta chiarezza
 di essere ispirata esclusivamente da finalita' economico-finanziarie,
 scollegate  dalla  tutela  di  oggettivi valori e pertanto inidonee a
 fornire  giustificazione  dell'adozione  di   un   provvedimento   di
 clemenza.
    Manca  infatti  del  tutto  ogni  collegamento e riferimento ad un
 nuovo ordine,  ad  un  nuovo  assetto  del  sistema  sanzionatorio  e
 repressivo  nella materia che possa ancora una volta funzionare, come
 per  il  passato,  quale  valida  giustificazione  della  retroattiva
 indulgenza sotto il profilo della definitiva rottura con il passato e
 della  prevedibile  non  ripetibilita' della generalizzata diffusione
 del fenomeno  della  violazione  e  disapplicazione  della  normativa
 urbanistica.
    L'intervento  del  legislatore in questo campo si apre e si chiude
 con la previsione del  condono,  senza  l'adozione  di  alcuna  altra
 misura  di  modifica  della  disciplina  vigente  che possa indurre a
 presumere che il passato di illegalita' non  si  riproporra'  per  il
 futuro.
    Ne'  analoga  giustificazione  puo' essere rinvenuta attraverso un
 tentativo di collegamento dell'art. 39 della legge
 23 dicembre 1994, n. 724 con il d.-l. 25 novembre 1994, n. 649 ancora
 vigente al momento della sua entrata in vigore o  con  il  successivo
 d.-l.  26  gennaio  1995,  n.  24,  che  dopo  la sua decadenza ne ha
 riprodotto  le  disposizioni,  allo  stesso  modo  che   una   simile
 giustificazione  doveva  essere  esclusa per il contenuto complessivo
 dei precedenti decreti-legge non convertiti, che  pure  accanto  alla
 misura  clemenziale  contenevano disposizioni integrative delle norme
 in  materia  di  controllo  e  dirette   alla   semplificazione   dei
 procedimenti in materia urbanistico-edilizia.
    L'art.  39  della legge 23 dicembre 1994, n. 724 nasce infatti del
 tutto scollegato sia dal d.-l. 25 novembre  1994,  n.  649,  sia  dal
 successivo  d.-l.  25 gennaio 1995, n. 24, poiche' si tratta di testi
 normativi  completamente  diversi,  separati  ed  autonomi,  che  non
 possono   essere   valutati   nella   individuazione   delle  ragioni
 ispiratrici del disegno del legislatore del condono.
    Entrambi i decreti-legge  sono  stati  o  sono  caratterizzati  da
 natura  essenzialmente  temporanea  e  non  stabilizzata, il primo e'
 ormai venuto meno a seguito della sua decadenza, ed  il  secondo  non
 poteva  essere  considerato  dal legislatore non essendo stato ancora
 emanato al momento della entrata in vigore della  legge  23  dicembre
 1994,  n.  724,  sicche'  le ragioni ispiratrici dell'art. 39 di tale
 legge  devono  essere  valutate   autonomamente   e   con   esclusivo
 riferimento alle sue previsioni.
    Anzi  a  ben guardare lo scorporo e trasfusione nell'art. 39 della
 legge n. 724 del 23 dicembre 1994 della sola disciplina  del  condono
 edilizio originariamente contenuta nel d.-l. 25 novembre 1994, n. 649
 dimostra chiaramente quale fosse la volonta' del legislatore e la sua
 considerazione  dell'assenza  di  ogni  reale collegamento tra le due
 discipline.
    Ma  a  parte  tale  rilievo  formale  la  disciplina   urbanistica
 introdotta  dal  decreto-legge  attualmente  vigente complessivamente
 attiene a profili del tutto marginali  e  secondari  e  non  modifica
 apprezzabilmente,  come  era  invece  per le altre disposizioni della
 legge 28 febbraio 1985,  n.  47  contestuali  alla  introduzione  del
 condono,  il  quadro  preesistente  della disciplina urbanistica, ne'
 lascia intendere doversi verificare il passaggio ad un nuovo  sistema
 ed  un  nuovo assetto, sicche' non elimina gli individuati profili di
 arbitrarieta' della clemenza riferita a condotte  la  cui  disciplina
 sanzionatoria resta sostanzialmente immutata per il futuro.
    Occorre  anzi  riconoscere che se una possibilita' di collegamento
 dovesse rinvenirsi tra le disposizioni dell'art. 39  della  legge  23
 dicembre 1994, n. 724 e quelle del d.-l. 26 gennaio 1995, n. 24, esso
 condurrebbe  a conseguenze opposte, evidenziando ulteriori profili di
 contrasto della disciplina complessiva con i canoni  di  razionalita'
 ed  uguaglianza,  ed  accentuando  gli  aspetti  di  contrasto con le
 ragioni ispiratrici delle disposizioni incriminatrici cui si  applica
 il  condono  e  con  i  valori di rango costituzionale che vengono in
 rilievo nella materia.
    Ai fini di tale conclusione basta tener conto  delle  disposizioni
 introdotte  dal  decreto-legge  con l'art. 5 e l'art. 7, tredicesimo,
 quattordicesimo,  quindicesimo  e  sedicesimo  comma,  che  estendono
 ancora  gli  effetti del condono ed arretrano ulteriormente, rispetto
 alle previsioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la
 linea di difesa dei beni ambientali nell'applicazione del condono,  e
 con  l'art.  7,  terzo,  quinto, sesto e settimo comma, che invece di
 porre le premesse di un piu'  efficace  intervento  repressivo,  come
 sarebbe  stato  necessario  per giustificare l'atto clemenza, attenua
 ulteriormente il  regime  ordinario  del  sistema  sanzionatorio,  in
 quadro  generale di attenuazione dei controlli preventivi ai fini del
 rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie (cfr.  l'art.  8),
 sicche'  sembra  davvero  difficile  poter  ravvisare  l'esigenza  di
 chiudere definitivamente con  un  passato  di  illegalita'  in  vista
 dell'applicazione di norme piu' severe ed efficaci.