ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della  disciplina  dell'invalidita'
 pensionabile),  promosso  con  ordinanza  emessa il 2 luglio 1993 dal
 Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra  Summa  Canio  e
 l'I.N.P.S.,  iscritta  al  n.  609  del  registro  ordinanze  1993  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,  prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'I.N.P.S.  nonche'  l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice  relatore
 Cesare Ruperto;
    Uditi  l'avv.  Giorgio  Starnoni per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello
 Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso del procedimento civile promosso contro  l'I.N.P.S.
 da  Canio  Summa,  titolare  di  pensione di invalidita' dal novembre
 1980, al fine di ottenere la condanna dell'Istituto a corrispondergli
 la  pensione  ordinaria  di  inabilita'  in  luogo   di   quella   di
 invalidita',  il  Pretore  di  Pisa ha sollevato, in riferimento agli
 artt.  3  e  38  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2  della  legge  12  giugno  1984,  n. 222
 (Revisione della  disciplina  dell'invalidita'  pensionabile),  nella
 parte  in cui non consente ai titolari di pensione di invalidita' con
 decorrenza antecedente la data  di  entrata  in  vigore  della  legge
 stessa  di  conseguire,  ricorrendone  i  requisiti  contributivi, la
 pensione ordinaria di inabilita' ove,  a  causa  di  un  aggravamento
 delle  proprie  condizioni  di  salute,  vengano a trovarsi, in epoca
 successiva   alla   suddetta   data,   nell'assoluta   e   permanente
 impossibilita'  di  svolgere  qualsiasi  attivita' lavorativa, e cio'
 nemmeno nell'ipotesi in cui essi abbiano rinunciato al trattamento in
 godimento.
    Il remittente precisa che:
      a) con provvedimento dell'I.N.P.S. in data 12 dicembre  1991  e'
 stato  accertato  che  il ricorrente si e' venuto a trovare, in epoca
 successiva all'entrata in vigore della legge n. 222 del  1984,  nelle
 condizioni  di  salute  previste  dall'art.  2,  comma 1, della legge
 stessa per il conseguimento della pensione di inabilita';
      b) l'I.N.P.S. non ha  contestato  la  sussistenza  dei  relativi
 requisiti di contribuzione, dovuta anche
 allo  svolgimento  di  attivita'  lavorativa in epoca successiva al 1
 luglio 1984 (data di entrata in vigore della legge n. 222 del 1984);
      c)   il   ricorrente   ha   rinunciato,   subordinatamente    al
 conseguimento  della  nuova prestazione, alla pensione di invalidita'
 che attualmente percepisce;
      d) l'I.N.P.S., con comunicazione del 3 marzo 1992,  ha  respinto
 definitivamente  la  richiesta  del  Sig.  Summa,  "non essendo stata
 disposta la revoca della pensione di invalidita'";
      e) lo stesso I.N.P.S., resistendo in  giudizio,  ha  chiesto  il
 rigetto  della  domanda  invocando il disposto dell'art. 2 impugnato,
 secondo cui e' da considerare inabile  "l'assicurato  o  il  titolare
 dell'assegno  ordinario di invalidita' con decorrenza successiva alla
 data di entrata in vigore della (presente) legge".
    Per quel che riguarda il merito  della  questione,  il  remittente
 osserva  che,  nonostante  la  precedente sentenza di questa Corte n.
 1116 del 1988 abbia gia' esaminato la norma impugnata,  egli  ritiene
 opportuno di investire nuovamente il Giudice delle leggi dell'attuale
 questione,  in  quanto  la  fattispecie  sottoposta  al  suo esame e'
 diversa da quella che  ha  dato  luogo  al  precedente  incidente  di
 costituzionalita',  dal  momento  che  in  questo caso non solo vi e'
 l'accertamento dell'I.N.P.S. in ordine alle condizioni fisiche  e  ai
 requisiti  contributivi  propri  della  pensione di inabilita', ma e'
 pacifico che il  ricorrente  ha  espressamente  dichiarato  di  voler
 rinunciare  alla pensione di invalidita'. Se infatti non e' possibile
 l'automatica  "trasformazione"  del  trattamento  di  invalidita'  in
 pensione  di  inabilita',  di  tale  nuova  prestazione  si  potrebbe
 viceversa fruire qualora i relativi presupposti si  verificassero  in
 data  successiva  all'entrata  in  vigore  della citata legge n. 222,
 quando l'assistito intenda rinunciare alla prestazione originaria.
    L'interpretazione contraria - che si fonderebbe solo sull'elemento
 letterale dell'art.  2  impugnato,  secondo  cui  della  pensione  di
 inabilita'  possono  fruire  esclusivamente  "gli  assicurati"  -  si
 porrebbe in contrasto con:
      a) l'art. 3 della Costituzione, per la sua palese irrazionalita'
 e per la disparita' di trattamento che comporta tra soggetti, i quali
 -  a  parita'  di  condizioni  fisiche e contributive - si trovano ad
 essere destinatari di trattamenti  diversi,  specialmente  allorche',
 come nella specie, si sia pervenuti alle condizioni di inabilita' "in
 parziale costanza di attivita' lavorativa, evidentemente usurante";
      b)   l'art.  38  della  Costituzione,  in  quanto  porta  a  non
 riconoscere la pensione di inabilita' a soggetti assicurati, i quali,
 trovandosi nelle condizioni fisiche in astratto previste  per  questa
 prestazione  ed  avendo  assolto al relativo obbligo contributivo, si
 vedono privati del trattamento previdenziale  in  questione  "per  la
 sola  circostanza di averne conseguito un altro, peraltro ricollegato
 a condizioni di incapacita' lavorativa aggravatesi  nel  tempo  e  al
 quale abbiano, comunque, rinunciato".
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituito    l'I.N.P.S.,    chiedendo    una    dichiarazione     di
 inammissibilita' o comunque di infondatezza della questione.
    L'Istituto   sostiene   principalmente   che   la  questione  deve
 considerarsi gia' decisa dalla sentenza n. 1116 del 1988,  in  quanto
 l'elemento differenziatore della presente fattispecie - rappresentato
 dalla rinuncia alla pensione di invalidita' "peraltro, subordinata al
 conseguimento   della   nuova   pensione  di  inabilita'"  -  sarebbe
 ininfluente.
   L'I.N.P.S. contesta, inoltre, la premessa  teorica  del  remittente
 secondo  cui  e' ius receptum che la pensione ordinaria di inabilita'
 configuri un nuovo rischio-evento non previsto dal regime precedente.
 Tale assunto sarebbe inaccettabile,  in  quanto  la  nuova  normativa
 sulla  invalidita'  pensionabile  si  innesta  su quelle preesistenti
 quanto a prestazioni e ad erogazione e "comunque utilizza fuori sedes
 materiae,  istituti  gia'  operanti  per  la  'vecchia'  pensione  di
 invalidita'".   Comunque,   anche   l'eventuale  adesione  alla  tesi
 minoritaria  seguita  dal  remittente  porterebbe  al  rigetto  della
 questione,   in   quanto  la  denunciata  diversita'  di  trattamento
 risulterebbe giustificata dal principio di immutabilita'  del  titolo
 della prestazione in godimento.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  concludendo   per   la
 manifesta  infondatezza  della  questione,  data la sua identita' con
 quella gia' decisa con la sentenza n. 1116 del 1988.
    Nell'imminenza dell'udienza l'Autorita' intervenuta ha  presentato
 un'ulteriore  memoria,  insistendo  per  la declaratoria di manifesta
 infondatezza. In particolare l'Avvocatura esclude che la Corte, nella
 precedente sentenza n. 1116 del 1988, abbia  fatto  propria  la  tesi
 secondo  cui  la  legge  222  del  1984  avrebbe riformato l'istituto
 dell'invalidita', separandone l'ipotesi di inabilita' ed introducendo
 in sostanza un  nuovo  rischio-evento  non  previsto  dal  precedente
 regime.
    Ne'  potrebbe valere a differenziare il caso in esame da quello in
 oggetto della citata sentenza 1116 del 1988  la  "rinunzia"  che  nel
 giudizio  a  quo  il ricorrente aveva effettuato circa la pensione di
 invalidita'  in  godimento,  subordinandola   all'ottenimento   della
 pensione di inabilita'. Si tratterebbe infatti di un caso ben diverso
 dalla  "revoca"  che consegue alla cessazione dello stato invalidante
 ed al recupero della capacita' di lavoro.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  nuovamente  prospettata  la  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222,  nella
 parte   in   cui   non   consente  il  conseguimento  della  pensione
 d'inabilita' a coloro che, pur affetti da inabilita' assoluta,  siano
 titolari  di pensione d'invalidita' da una data anteriore all'entrata
 in vigore della legge stessa.
    Il giudice a quo - nell'evocare gli stessi  parametri,  cioe'  gli
 artt.  3  e  38 della Costituzione, rispetto ai quali questa Corte ha
 gia' esaminato l'anzidetta questione dichiarandola non fondata  nella
 sentenza n. 1116 del 1988 - ritiene che la fattispecie ora sottoposta
 al  giudizio  di legittimita' si differenzi rispetto a quella oggetto
 della  precedente  sentenza,  per  il  fatto  che  il  pensionato  ha
 continuato  a prestare attivita' lavorativa successivamente alla data
 di  entrata  in  vigore  della  detta  legge  maturando  i  requisiti
 contributivi  per  la  pensione  d'inabilita'  e venendosi a trovare,
 seppure  in  epoca  successiva,  nelle  condizioni  di   assoluta   e
 permanente  incapacita'  di lavoro richieste per ottenere la pensione
 stessa.
    2. - La questione non e' fondata.
    Nella sentenza n. 1116 del  1988  questa  Corte,  pur  dando  atto
 dell'esistenza  di  una diversa minoritaria interpretazione (alla cui
 stregua si sarebbe potuto "forse sostenere" la tesi di  quel  giudice
 remittente)  circa la portata innovativa della legge n. 222 del 1984,
 ha escluso che tale intervento legislativo  si  sia  risolto  in  una
 riforma  dell'istituto  dell'invalidita'  comportante  la separazione
 dell'ipotesi  d'inabilita':  giacche'  la  modifica  sostanziale   e'
 intervenuta  sul  versante  dei  trattamenti previdenziali (come gia'
 rilevato nella sentenza n. 436 del 1988), ma il rischio  tutelato  e'
 rimasto concettualmente unitario. E da questa premessa e' pervenuta a
 ritenere  il  discrimine ratione temporis, contenuto nella denunciata
 normativa, "giustificato dal principio di gradualita' dell'intervento
 legislativo per l'attuazione di un  sistema  attuale  di  prestazioni
 previdenziali  secondo la direttiva dell'art. 38 della Costituzione".
 Principio che, secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,
 legittima   differenze  di  trattamento  collegate  alla  successione
 temporale.
    Tale conclusione deve qui essere ribadita; e va anzi  sottolineata
 la coerenza dell'art. 2 in esame con la ratio di fondo della legge n.
 222  del  1984,  che  ha  soppresso  ogni riferimento alla situazione
 socio-economica nell'accertamento dell'invalidita'.
    Nella logica di una simile impostazione non puo' farsi  carico  al
 legislatore,   senza   vulnerare   il   senso   politico   della  sua
 discrezionalita', di non aver  previsto  un  regime  transitorio  che
 consentisse  la  trasformazione della pensione di invalidita' gia' in
 godimento nella pensione di inabilita' ove ricorressero  i  requisiti
 contributivi  e  il  presupposto  di  menomazione  della capacita' di
 lavoro. Alla luce di  quanto  esibito  dalla  vicenda  storica  della
 concessione   delle   pensioni  di  invalidita'  non  sembra  affatto
 irragionevole l'opzione legislativa nel senso di  porre  una  cesura,
 concettuale  e  temporale,  netta  rispetto ai criteri collegati alla
 capacita' di guadagno.
   3.  -  La  descritta  diversita'  delle  situazioni  soggettive del
 pensionato  d'invalidita'  (beneficiario  di  un  trattamento   ormai
 definito  e  ricollegabile  a  presupposti  valutativi  completamente
 superati) e di chi abbia successivamente perduto in toto  la  propria
 capacita'  di  lavoro,  induce  ad  escludere l'evocata disparita' di
 trattamento. La possibilita' di svolgimento d'una limitata  attivita'
 lavorativa   e'   insita  nella  qualita'  di  titolare  di  pensione
 d'invalidita' a' sensi della precedente legislazione;  e  quindi  non
 assume   rilevanza   alcuna  per  differenziare,  nell'a'mbito  della
 relativa categoria, chi tale attivita' svolge. Il legislatore,  nella
 sua  discrezionalita',  ha  inteso conservare all'intera categoria il
 trattamento gia' goduto, oggetto di un'assicurazione  che  -  occorre
 notare  -  copriva  anche  il  rischio  d'invalidita' oltre la soglia
 legale.  Quella  del  titolare  di  pensione  d'invalidita'  e'   una
 posizione  di  quiescenza  gia' definita anteriormente all'entrata in
 vigore della nuova legge: dunque, cosi'  come  rimane  estranea  alle
 vicende   proprie   dei   due  nuovi  tipi  di  trattamento,  non  e'
 suscettibile di convertirsi in uno di essi.
    4. -  Anche  il  profilo  legato  ad  un'asserita  rinunzia  della
 pensione  di  invalidita'  conduce  alla  medesima conclusione di non
 fondatezza, per l'inidoneita' della rinunzia stessa  a  differenziare
 la  fattispecie  dall'ipotesi a suo tempo esaminata nella sentenza n.
 1116 del 1988.
    Ancor  prima  che  da  una  poco  attenta  lettura  della   citata
 decisione, la prospettazione nasce da un'inaccettabile concezione del
 trattamento  pensionistico  d'invalidita',  che ne esalta una valenza
 sinallagmatica quasi esso scaturisca da un rapporto di  assicurazione
 privata.  Vero  e'  invece  che  le  prestazioni in parola concretano
 l'adempimento di un dovere sociale  da  parte  dello  Stato,  cui  fa
 riscontro,  da parte del singolo, l'indisponibilita' del diritto. Ne'
 la condizione posta dal secondo comma  della  norma  denunciata,  che
 impone  per l'erogazione della pensione d'inabilita' la "rinuncia" ai
 trattamenti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria ("e  ad
 ogni    altro    trattamento    sostitutivo   e   integrativo   della
 retribuzione"),  consente  di  ricostruire  la  vicenda  nei  termini
 negoziali   dell'opzione  tra  le  due  pensioni,  incompatibile  con
 l'anzidetta incomunicabilita' tra i due regimi e con la  connotazione
 pubblicistica  che  permea  il rapporto. Ed e' proprio il riferimento
 contenuto nel punto 3 del "considerato" della sentenza  n.  1116  del
 1988, a confermare tale argomento: anche a voler accogliere l'opposta
 tesi che ravvisa un nuovo rischio-evento nella previsione della legge
 n.  222  del 1984 - ha osservato la Corte -, per la concessione della
 nuova pensione d'inabilita' sempre sarebbe necessario il prodursi  di
 uno  iato  definitivo,  e cioe' che sia stata accertata l'inesistenza
 della riduzione della capacita' di guadagno al di sotto della  soglia
 legale,  con  conseguente  soppressione della pensione d'invalidita':
 solo successivamente potendosi riaprire la possibilita' di  fruizione
 dei nuovi trattamenti, ove ne ricorrano le condizioni.
    5.  -  Alla luce di quanto sopra, rimane esclusa la violazione non
 solo dell'art. 3, ma anche dell'art. 38 della  Costituzione.  Infatti
 il  contrasto con quest'ultima norma potrebbe configurarsi unicamente
 ove si potesse dedurre dal nuovo sistema,  che  mezzo  adeguato  alle
 esigenze  di vita dell'assicurato venutosi a trovare nelle condizioni
 di totale perdita della capacita' di lavoro, e' solo la  pensione  di
 inabilita',  sicche' inadeguata potrebbe risultare una prestazione di
 minore consistenza come la pensione d'invalidita'. Ma questa Corte ha
 gia'  affermato  -  ed ora non puo' non ribadire - che "l'istituzione
 della pensione d'inabilita' come prestazione adeguata  alle  esigenze
 di  vita del lavoratore che versi nelle condizioni indicate nell'art.
 2 della  legge  n.  222  del  1984,  non  significa  un  giudizio  di
 sopravvenuta     inadeguatezza     della    pensione    d'invalidita'
 precedentemente  concessa  ai  lavoratori  che  si  trovavano   nelle
 medesime condizioni" (sentenza n. 1116 del 1988).