IL PRETORE
    Sentite le parti e visti gli atti;
    Considerata  la rilevanza e ritenuta la non manifesta infondatezza
 della eccezione di incostituzionalita' sollevata dal  p.m.  dell'art.
 3,  comma  secondo,  del  d.-l. 17 marzo 1995, n. 65, con riferimento
 agli artt. 25 e 77 della Costituzione,  nel  corso  del  procedimento
 penale  a carico di Rossi Gian Pietro, Rosa Italo, Farioli Gianluigi,
 imputati del reato p.e.p. dagli artt. 81 del c.p. e 21, comma  terzo,
 della legge n. 319/1976;
                             O S S E R V A
    Il   d.-l.  n.  79/1995  rappresenta  l'ennesima  reiterazione  di
 precedenti  decreti,  decaduti,  tutti  disciplinanti   la   medesima
 materia.
    Con  tale  strumento  normativo,  il  Governo  ha inteso apportare
 sostanziali modifiche, alla legge n. 316/1976 in  materia  di  tutela
 delle acque dall'inquinamento, sia incidendo sul regime sanzionatorio
 dei  reati  in  essa  previsti e sia operando una depenalizzazione di
 talune fattispecie criminose, tra cui quella della quale gli  odierni
 imputati sono stati chiamati a rispondere.
    Cio'  posto,  va osservato come tale reiterazione, costituente una
 prassi ormai diffusa e radicata nel nostro Paese, si ponga  in  netto
 contrasto con lo spirito e la lettera della Costituzione.
    L'art.  77,  secondo  comma,  della  carta costituzionale, prevede
 infatti che i provvedimenti provvisori  con  forza  di  legge,  siano
 adottati  dal  Governo  solo  in  casi  straordinari di necessita' ed
 urgenza e che i decreti-legge  siano  destinati  a  perdere  la  loro
 efficacia se non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro
 pubblicazione.
    Nel  caso in esame, il d.-l. n. 79/1995, come del resto quelli che
 lo hanno preceduto, non indica quali siano state le condizioni aventi
 legittimato il ricorso, da parte  dell'esecutivo,  alla  decretazione
 d'urgenza.
    Il  Governo  si  e'  infatti  limitato ad affermare, ricorrendo ad
 un'ormai nota, quanto abusata, formula  di  stile,  di  ritenere  "la
 straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di  emanare  disposizioni  in
 materia di disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature".
    Sotto altro profilo va osservato che il denunciato decreto  giunge
 a  violare  il  principio  di  riserva  di  legge  in materia penale,
 affermato  dall'art.  25  della  Costituzione,  letto  in   relazione
 all'art. 77 della Costituzione.
    L'ammissibilita'   che   nuove   norme  di  diritto  penale  siano
 introdotte attraverso decreti-legge o decreti legislativi, e' infatti
 consentita in quanto e'  garantito  l'intervento  del  Parlamento  in
 funzione  sovraordinata,  in  veste,  a  seconda  dei casi, di organo
 delegante o di organo  a  cui  e'  rimesso  il  potere  di  conferire
 stabilita'    alle   precarie   disposizioni   normative   introdotte
 dall'organo esecutivo, per il tramite di una legge di conversione.
    Di fatto tuttavia,  attraverso  l'ormai  consueta  reiterazione  a
 catena  di  decreti-legge non convertiti e di identico contenuto, non
 solo si prolungano  surrettiziamente  ed  a  tempo  indeterminato,  i
 termini  di  decadenza  previsti  dalla  Costituzione, ma si perviene
 all'inammissibile  risultato  di  privare  il  Parlamento  della  sua
 esclusiva   competenza  ad  operare  scelte  di  politica  criminale,
 incidendo sulla potesta' legislativa che gli compete.
    Da ultimo va osservato che un abusivo  ricorso  alla  decretazione
 d'urgenza  finisce  inevitabilmente  con  l'incidere sul principio di
 certezza del diritto, creando situazioni di incertezza normativa  che
 impongono  al  giudicante, per quei provvedimenti penali destinati ad
 essere celebrati in epoca  immediatamente  successiva  alla  data  di
 vigenza del decreto-legge, il rinvio del dibattimento.
    Tutto cio' rallenta i tempi di definizione dei giudizi dando luogo
 ad  un'eccessiva dilatazione dell'attivita' processuale che ad avviso
 del remittente, mal si concilia con  l'esigenza  di  giustizia  e  di
 tutela della collettivita'.