IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  riuniti nn.
 16006/1993 e 18724/1993, proposti  entrambi  da  Vinciguerra  Franco,
 Cametti  Giorgio,  Bennato Alfredo e dal comitato "Citta' di Marino",
 rappresentati e difesi dall'avv. Alessandro Pace e presso  lo  stesso
 elettivamente  domiciliati,  in Roma, piazza delle Muse, 8, contro il
 prefetto della provincia di Roma; la regione Lazio;  costituitisi  in
 giudizio,  rappresentati e difesi dll'Avvocatura generale dello Stato
 e presso la stessa domiciliati ex lege, in Roma, via dei  Portoghesi,
 12;  il  comune di Marino, non costituitosi in giudizio; il comune di
 Boville, in persona del  commissario  prefettizio  (limitatamente  al
 ricorso  n.  18724/1993),  costituitosi  in giudizio, rappresentato e
 difeso dall'avv. Giorgio Marino ed elettivamente domiciliato in Roma,
 viale Regina Margherita, 157 (presso  l'avv.  Giuseppe  Agosta);  con
 l'intervento  ad  opponendum  di  Manni  Mauro  (in  proprio  e quale
 presidente  del  comitato  promotore  per  il  comune  di   Boville),
 rappresentato  e  difeso dall'avv. Domenico Davoli e presso lo stesso
 elettivamente domiciliato, in Roma, via di Santa Maria Maggiore,  112
 (ricorso  n.  18724/1993);  e di Corbelli Walter Maria, Forti Pietro,
 Corbelli Alessandro e Aversa Maurizio, tutti rappresentati  e  difesi
 dall'avv.  Giorgio Marino ed elettivamente domiciliati in Roma, viale
 Regina Margherita, 157, presso lo studio  dell'avv.  Giuseppe  Agosta
 (ricorso  n. 18724/1993); per l'annullamento del decreto del prefetto
 della provincia di Roma 21 ottobre 1993, n.   40459, che  sospende  i
 comizi  elettorali  per l'elezione diretta del sindaco, del consiglio
 comunale  e  dei  consigli  circoscrizionali  del  comune  di  Marino
 (ricorso  n.  16006/1993);  e  per  l'annullamento  del  decreto  del
 prefetto della provincia di Roma 16 novembre  1993,  n.    12360,  di
 nomina del commissario prefettizio presso il comune di Boville.
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni
 intimate;
    Visti gli atti di intervento oppositivi;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Udito,  alla  pubblica udienza del 23 marzo 1995, il cons. Eugenio
 Mele;
    Uditi, altresi', l'avv. Alessandro Pace, per i ricorrenti,  l'avv.
 dello  Stato  Gaetano  Zotta  per le amministrazioni intimate, l'avv.
 Giorgio Marino per gli intervenuti e il  comune  di  Boville,  l'avv.
 Domenico Davoli per gli intervenuti;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con il primo dei due ricorsi indicati in epigrafe (n. 16006/1993),
 i   ricorrenti  hanno  impugnato  il  decreto  di  sospensione  della
 indizione dei comizi elettorali del comune  di  Marino,  quale  primo
 atto inteso a dare esecuzione alla istituzione autonoma del comune di
 Boville, per separazione da quello di Marino, prospettando i seguenti
 motivi di diritto:
      1)  violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione,
 illegittimita' costituzionale della  legge  regionale  del  Lazio  21
 ottobre  1993,  n.  56  e dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della
 legge regionale del Lazio 8 aprile  1980,  n.  19,  e  illegittimita'
 derivata  del decreto prefettizio del 21 ottobre 1993; e cio' perche'
 nella specie sono stati chiamati ad  esprimersi  sul  referendum  per
 l'istituzione  del  comune  di Boville soltanto i cittadini residenti
 nelle  frazioni  da  distaccare e non tutti i cittadini di Marino, la
 quale cosa e' nella specie evidente, in considerazione del fatto  che
 il referendum interessava tutta la popolazione;
      2)  incostituzionalita'  della  legge  regionale  del  Lazio  n.
 56/1993,  per  violazione   dell'art.   117,   primo   comma,   della
 Costituzione,  per  inosservanza  della normativa di cui alla legge 8
 giugno 1990, n. 142,  e  illegittimita'  derivata  del  provvedimento
 prefettizio,  in  quanto  si e' proceduto in contrasto con i principi
 della legge-quadro in  materia  di  autonomie  locali,  ad  ulteriori
 frammentazioni di enti locali e si e' vulnerato il quadro complessivo
 dell'area metropolitana di Roma;
      3)  incostituzionalita' della suddetta legge regionale del Lazio
 per violazione dell'art. 117, primo  comma,  della  Costituzione,  in
 relazione  all'art.  20,  secondo  comma,  della  legge n. 142/1990 e
 all'art. 2,  secondo  comma,  della  legge  regionale  del  Lazio  n.
 63/1974,   oltre   che   illegittimita'  derivata  del  provvedimento
 prefettizio; per non sussistere le condizioni minime per la  "tenuta"
 istituzionale del comune di Boville.
    Con  il  secondo  ricorso  (n.  18724/1993), i medesimi ricorrenti
 hanno  impugnato,  poi,  il  decreto  di   nomina   del   commissario
 prefettizio per la provvisoria amministrazione del comune di Boville,
 formulando  gli stessi motivi di censura gia' presentati in occasione
 del precedente ricorso.
    Si sono costituiti in giudizio,  per  il  tramite  dell'Avvocatura
 generale dello Stato, sia il prefetto di Roma che la regione Lazio, i
 quali  hanno  chiesto la reiezione dei suddetti ricorsi, evidenziando
 come, da un lato, i provvedimenti prefettizi fossero atti necessari e
 dovuti, e, dall'altro, come il concetto  di  popolazione  interessata
 non  possa  che  riguardare  i  soggetti  che  vivono  nelle zone che
 intendono distaccarsi.
    Il  comune  di  Boville,  anch'esso  ritualmente  costituitosi  in
 giudizio, eccepisce l'improcedibilita', l'inammissibilita' e comunque
 l'infondatezza  dei ricorsi, rilevando in particolar modo come l'atto
 lesivo dell'interesse dei  ricorrenti  non  possa  essere  altro  che
 quello  della  indizione  del  referendum,  che viceversa non risulta
 impugnato.
    Gli interventori (entrambi ad opponendum rispetto  ai  ricorrenti)
 hanno  presentato rispettive memorie, nelle quali hanno rilevato vari
 profili di inammissibilita' e di infondatezza del secondo ricorso.
    I ricorrenti hanno presentato, "in  limine"  dell'udienza  del  24
 marzo  1994,  due  memorie  illustrative, nelle quali hanno insistito
 nelle conclusioni di cui ai ricorsi.
    Passate in decisione le  cause,  il  collegio,  con  ordinanza  n.
 615/1994,  dopo  aver  riunito i ricorsi, in accoglimento parziale di
 istanza  dei  ricorrenti,   sollevava   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  secondo  comma,  lett. a), della legge
 regionale del Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dall'art. 1
 della legge regionale del Lazio 20 agosto 1987, n. 49, per  contrasto
 con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione.
    La  Corte  costituzionale,  con  sentenza del 15 dicembre 1994, n.
 468/1994, dichiarava inammissibile la questione proposta,  in  quanto
 il  giudice  a  quo  "ha  impugnato  la sola norma di legge regionale
 disciplinante il referendum consultivo per il procedimento istitutivo
 di nuovi comuni (nell'ipotesi di scorporo da aree  comunali  di  piu'
 vasta  dimensione),  ma  ha  omesso  di  estendere  la  questione  di
 legittimita' costituzionale anche alla legge della regione  Lazio  n.
 56/1993  che  ha  istituito  il  comune di Boville, e che costituisce
 l'atto finale del procedimento previsto dal secondo  comma  dell'art.
 133  della  Costituzione";  per  cui  "ove  anche,  in ipotesi, fosse
 dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  regionale
 impugnata,  resterebbe  comunque  in  vigore  la  legge  regionale n.
 56/1993 che  sorregge  direttamente  i  provvedimenti  amministrativi
 oggetto   del  giudizio  a  quo,  e  che,  naturalmente,  il  giudice
 amministrativo non puo' disapplicare".
    Alla nuova udienza del 23 marzo 1995, i ricorrenti  insistono  per
 la  riproposizione  della  questione  di legittimita' costituzionale,
 estesa questa  volta  anche  alla  legge  conseguenziale  n.  56/1993
 (istitutiva   del  comune  di  Boville),  instando  altresi'  per  il
 recepimento integrale delle questioni di legittimita'  costituzionale
 proposte.
    Il  comune  di  Boville,  gli  intervenuti e l'Avvocatura generale
 dello Stato si oppongono alla riproposizione della questione, che  e'
 da   considerarsi  ormai  definitivamente  "chiusa"  ed  eccepiscono,
 altresi', la  inammissibilita'  del  primo  ricorso,  in  quanto  non
 notificato  neanche  ad un componente della popolazione di Boville, e
 l'improcedibilita' del secondo, per essere  stato  emanato  un  nuovo
 decreto   da   parte  del  prefetto  di  Roma,  di  sostituzione  del
 Commissario prefettizio.
    All'udienza pubblica, le parti discutono ampiamente le due  cause,
 le quali sono successivamente spedite in decisione.
                             D I R I T T O
    I  due ricorsi sono stati gia' riuniti con la precedente ordinanza
 n. 615/1994 e vengono, percio', esaminati  congiuntamente  in  questa
 sede.
    Preliminarmente,  vanno esaminate le eccezioni di inammissibilita'
 del primo ricorso (n. 16006/1993)  per  mancata  notificazione  dello
 stesso  ad  almeno  un  componente  della  popolazione  del comune di
 Boville, e di improcedibilita' per sopravvenuta carenza di  interesse
 del  secondo ricorso (n. 18724/1993), per essere intervenuto un nuovo
 provvedimento prefettizio sostitutivo di quello impugnato.
    La prima eccezione deve essere disattesa, in quanto il ricorso  e'
 diretto  contro  il  provvedimento  prefettizio che sospende i comizi
 elettorali per le elezioni del comune  di  Marino,  per  cui  non  si
 individuano,  in  relazione  al petitum e alla data del provvedimento
 impugnato (21 ottobre 1993),  controinteressati  negli  abitanti  del
 comune di Boville.
    La seconda eccezione va parimenti disattesa.
    Infatti,    nella   specie,   l'impugnazione   del   provvedimento
 prefettizio  non  si  dirigeva  contro  la  persona  del  commissario
 prefettizio,  ma  fondamentalmente contro gli atti che da tale nomina
 derivavano. Pertanto,  considerato  che  il  nuovo  provvedimento  si
 limita  soltanto  a  sostituire  la  persona  fisica  del commissario
 prefettizio, caratterizzandosi per il resto alla stregua di  un  atto
 meramente  confermativo del precedente, ne deriva che non vi e' luogo
 ad alcuna sopravvenuta carenza di interesse.
    Relativamente alla questione  di  costituzionalita',  il  collegio
 prende  atto  della  rilevanza  da attribuire alla legge regionale 21
 ottobre 1993, n. 56 (istitutiva del comune  di  Boville  per  effetto
 degli esiti referendari) e, cosi' integrata la questione, resta fermo
 nel  convincimento  della  necessita'  di  sottoporre  nuovamente  la
 questione di costituzionalita' all'esame della Corte  costituzionale,
 la  quale  resta  quindi cosi' definita: art. 1, secondo comma, lett.
 a), della legge regionale del  Lazio  8  aprile  1980,  n.  19,  come
 modificato  dall'art.  1  della  legge  regionale del Lazio 20 agosto
 1987, n. 49, nonche' della legge regionale del Lazio 21 ottobre 1993,
 n. 56 (istitutiva del comune di Boville), per  contrasto  con  l'art.
 133, secondo comma, della Costituzione.
    La   questione   e'  sicuramente  rilevante  nei  giudizi  riuniti
 all'esame  del  Collegio,  in  quanto  soltanto  la  declaratoria  di
 incostituzionalita'     delle    norme    suddette    puo'    portare
 all'accoglimento dei ricorsi, avendo la regione Lazio posto in essere
 il  procedimento  referendario,  prima,  e  istituito  il  comune  di
 Boville, poi, sulla base delle sopraindicate norme legislative.
    La   questione   medesima   appare,   altresi',  al  collegio  non
 manifestamente infondata.
    L'art. 133, secondo comma,  della  carta  costituzionale  afferma,
 infatti,  senza  fornire  ulteriori precisazioni, che la regione puo'
 dopo aver  sentito  "le  popolazioni  interessate",  istituire  nuovi
 comuni.
    Il   problema   si   incentra,   quindi,   tutto  sulla  locuzione
 "popolazioni interessate", con riferimento al fatto se  queste  siano
 solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un comune gia'
 costituito  (nel  nostro sistema non esistono aree non comunalizzate)
 ovvero  con  la  locuzione  suddetta  si  debba  intendere  tutta  la
 popolazione  dell'originario  ente  locale, chiamata in questo caso a
 consentire o meno lo smembramento del comune.
    Entano qui in gioco due principi ordinamentali entrambi rivenienti
 dalle    norme    costituzionali:     quello     della     cosiddetta
 autodeterminazione,  per  il  quale  un  soggetto  o  un  gruppo puo'
 scegliere le caratteristiche della  propria  esistenza  giuridica,  e
 quello  della volonta' della maggioranza di una collettivita', per il
 quale la modifica  di  qualsiasi  elemento  costitutivo  deve  essere
 deciso   dal  maggior  numero  dei  soggetti  che  partecipano  della
 originaria  composizione,  il  tutto  calato   nell'altro   principio
 ordinamentale,   di   carattere   fondamentale,  del  nostro  sistema
 giuridico per il quale gli enti locali sono, si',  autonomi,  ma  non
 anche  indipendenti,  per  cui  ogni  loro  decisione deve pur sempre
 rapportarsi agli interessi della comunita' organizzata in ordinamento
 sovrano.
    I due principi sopraddetti, intoccabili  nella  loro  assolutezza,
 debbono  trovare  un punto di mediazione ordinamentale tutte le volte
 che essi si materiano in una vicenda concreta,  per  evitare  che  il
 prevalere dell'uno o dell'altro finisca per vanificare un piu' grande
 principio  ordinamentale:  quello  della  effettiva liberta' di tutti
 nell'ambito di un sistema unitario, nel senso che, se,  da  un  lato,
 non  e'  pensabile  che  qualsiasi  gruppo  di cittadini in qualsiasi
 momento  possa  decidere  di  staccarsi  da  un  altro  gruppo   gia'
 costituito  dando  luogo  o  potendo  dare  luogo  ad  una  vorticosa
 fibrillazione ordinamentale che sarebbe il segno piu' evidente  della
 fine  di un ordinamento giuridico, dall'altro, neppure e' concepibile
 che un piccolo gruppo, solo perche' piccolo  da  un  punto  di  vista
 numerico, mai possa rendersi autonomo, dovendo soccombere alla rigida
 legge della maggioranza, il che determinerebbe il fenomeno opposto di
 un eccessivo irrigidimento che non rispetta una effettiva volonta' di
 modificazione della base sociale.
    Quale,  quindi,  il  quid  intermediationis,  il delicato punto di
 equilibrio  ordinamentale  nel  quale  entrambe  le  esigenze   della
 collettivita'  prima  evidenziate possono trovare quella composizione
 satisfattiva che rende giustizia complessiva a tutti e, affermando la
 superiorita' dell'ordinamento giuridico,  inertizzi  le  contrapposte
 spinte?
    Ritiene  il  collegio  di poter sottoporre la questione alla Corte
 costituzionale, partendo da una considerazione logica e sociologica.
    I gruppi organizzati di carattere pubblico, come nella specie  gli
 enti  locali  di  carattere  comunale,  sono  tali  perche' i singoli
 soggetti che ne fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza piu'
 o meno  intensa,  che  non  e'  mai  solo  l'elemento  oggettivo  del
 territorio,  ma  che  si  connette ad usi, costumi, dialetti, cemento
 storico, comunanze  geografiche  e  atmosferiche,  coerenza  sociale,
 costumanze religiose, specificita' folcloristiche, ecc., per cui esso
 gruppo,  prima di "essere" tale, si "sente" tale e la sovrapposizione
 istituzionale  finisce  soltanto  per  coprire   una   realta'   gia'
 aggregata.
    Ora,  pero',  le  multiformi esperienze del nostro Paese, se hanno
 sicuramente segnato la nascita e la consapevolezza di  gruppi  locali
 fortemente  compatti,  possono  anche  aver determinato il sorgere di
 entita' solo amministrativamente  unificate,  senza  il  supporto  di
 quella  necessaria  coscienza  ordinamentale che fa diventare un ente
 locale anche un gruppo omogeneo.
    Se questo e' probabilmente il dato di base, e'  fuori  discussione
 che l'ordinamento nazionale, nella ricerca di quel consenso che forma
 e rafforza il suo prestigio e la sua vitalita', non puo' che favorive
 movimenti  al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare
 le singole strutture sociali di cui esso si compone.
    Non, quindi, qualsiasi richiesta di qualsiasi gruppo in  qualsiasi
 momento  (con  la  certezza  peraltro  di  ottenere il distacco) puo'
 essere presa in  considerazione  per  smembrare  unita'  sociali  che
 presentano caratteri di compattezza, ma soltanto quelle richieste che
 sono  collegate  con  un  gruppo  che  ha una nitida differenziazione
 complessiva che lo rende gia' di per se'  autonomo,  come  e'  potuto
 accadere  per  il recente scorporo del comune di Fiumicino dal comune
 di Roma, dove era evidente il rapporto puramente  amministrativo  che
 collegava le due comunita'.
    In   casi   del   genere   e'   fuori  discussione  che  basta  la
 manifestazione della volonta' del  gruppo  che  intende  distaccarsi;
 questo  e'  gia'  esistente  come fatto sociologicamente distinto, e'
 collegato con un'area eccentrica rispetto al capoluogo ed  ha  quindi
 una   sua   caratterizzazione   distintiva,   per   cui   l'autonomia
 amministrativa  non  puo'  che  discendere   dalla   volonta'   degli
 autonomisti, potendosi vanificare un fatto naturale per una questione
 di  maggioranza gia' di per se' precostituita, nel caso si ammettesse
 al voto l'intera cittadinanza.
    Diverso  e',  invece,  il  caso,  come  nel  comune   di   Marino,
 allorquando  la  richiesta  di distacco non proviene da una precisa e
 ben identificata (per elementi storico-sociali propri)  comunita'  di
 cittadini, ma scaturisce, invece dall'interno della stessa comunita',
 da   parte  di  quasi  i  due  terzi  dei  cittadini  dell'originaria
 comunita', perche' in questo caso non si
 tratta di far  conseguire  l'autonomia  ad  un  gruppo  che  gia'  la
 possiede,  ma  si  tratta  invece  di operare uno smembramento di una
 collettivita' organica, determinando, essa si', una suddivisione  che
 puo'  essere  artificiale  e  che,  quindi,  l'ordinamento  ha  tutto
 l'interesse ad evitare.
    In tali casi, allorquando cioe'  in  una  collettivita'  di  oltre
 35.000  abitanti,  piu'  della  meta' di essa chieda l'autonomia, non
 puo' ignorarsi la volonta'  degli  altri  soggetti  e  tutti  debbono
 essere chiamati a poter manifestare il loro voto circa la volonta' di
 smembrare  o  meno  la  collettivita' locale da tempo esistente, come
 pure e' avvenuto  nel  recente  referendum  per  la  separazione  tra
 Venezia  e  Mestre,  dove appunto non si e' trattato di un piccolo ed
 identificato gruppo che chiedeva il distacco da un capoluogo,  ma  di
 due notevoli entita' di un'unica comunita', con vari collegamenti.
    Ritiene,  pertanto, il collegio che l'art. 1, secondo comma, lett.
 a), della legge regionale del  Lazio  8  aprile  1980,  n.  19,  come
 modificato  dall'art.  1  della  legge  regionale del Lazio 20 agosto
 1987, n. 49, nella parte  in  cui  non  diversifica  il  procedimento
 referendario  per  l'istituzione  di  nuovi  comuni,  a  seconda  che
 trattasi di distacco dal capoluogo di una o piu' frazioni  ovvero  di
 vero  e  proprio  smembramento della originaria comunita', nonche' la
 legge regionale del Lazio 21 ottobre  1993,  n.  56,  istitutiva  del
 comune  di Boville, siano in contrasto con l'art. 133, secondo comma,
 della Costituzione.