LA CORTE DEI CONTI
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
 responsabilita' ad istanza del procuratore regionale della Corte  dei
 conti  contri  i  signori  Lupo Antonio, Longo Oscar, Giannini Mario,
 Quaranta Renato, Calignano Antonio, Braccio Pompeo, Laera Alessandro,
 Cappiello Girolamo,  Fontana  Salvatore,  Borgia  Francesco,  Augelli
 Raffaele,  Bellomo  Michele,  Calvario  Pasquale,  Convertino Cosimo,
 Paolucci Roberto, Rizzo Marcello, Zingrillo Giuseppe, Dragonetti Rita
 Leda, Fitto Felice, Fitto Raffaele, Fitto  Carmela,  Di  Nisio  Maria
 Antonietta,  Trisorio  Liuzzi  Giuliana,  Trisorio  Liuzzi  Giuseppe,
 Trisorio Liuzzi Maria  Pia,  Buttiglione  Antonio,  Bafunno  Michele,
 Barrotta  Cesare,  Bernardini  Stanislao,  Bufano  Oronzo, Di Lorenzo
 Filippo, Di Maria Teodoro, Ferilli Cosimo, Lacorte  Vincenzo,  Macri'
 Camillo,  Mansueto  Antonio,  Meola  Marco, Milano Liborio, Tarantino
 Giovanbattista e Zaccheo Mauro;
    Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n.  287/EL  del
 registro di segreteria;
    Visti gli altri atti e documenti di causa;
    Uditi  nella  pubblica  udienza  dell'11 gennaio 1995 il relatore,
 Consigliere dott. Francesco Lorusso,  e  gli  avv.ti  Franco  Gaetano
 Scoca,  Salvatore Innocente, Gaetano Veneto, Carlo Alberto De Bellis,
 Antonio Modugno, Pietro  Quinto,  Giuseppe  Panza,  Ernesto  Nenchia,
 Giuseppe  Castellaneta e Aldo Maggipinto, per i convenuti, nonche' il
 p.m., nella persona del procuratore  regionale  dott.  Giuseppantonio
 Stanco;
              CONSIDERATO IN FATTO E RITENUTO IN DIRITTO
   Questa  vicenda,  secondo quanto riferisce il p.r. nel proprio atto
 di citazione del 18 luglio 1994, trae origine da sette  delibere  (da
 n.  85  a  n.  91)  adottate  nella  seduta  del 18 febbraio 1985 dal
 Comitato esecutivo dell'Ente regionale per lo sviluppo agricolo della
 Puglia (che in seguito sara' denominato piu' brevemente  E.R.S.A.P.);
 mediante  le  quali,  in  analogia  a  quanto si stava operando nello
 stesso periodo nella regione Puglia, fu disposta la  liquidazione  in
 dodicesimi,  e  non  in  ventiquattresimi,  del c.d. "riequilibrio di
 anzianita'", di cui all'art. 37 - lettere  a)  e  b)  -  della  legge
 regionale  9  maggio 1984 n. 26 (attuativa dell'accordo nazionale del
 29 aprile 1983), in  favore  del  personale  in  servizio  presso  il
 medesimo  ente.    Infatti,  atteso  il  rapporto  di  strumentalita'
 intercorrente  tra  l'E.R.S.A.P.  e  la  regione  Puglia,  ai   sensi
 dell'art.  2  della  legge  regionale  28  ottobre  1977  n.  32,  il
 trattamento economico dei dipendenti del predetto  ente  di  sviluppo
 agricolo  e'  totalmente  assimilato  a  quello  di  godimento  degli
 impiegati regionali, giusta art. 40, legge regionale 19 mar zo  1982,
 n. 12.  n relazione al calcolo di tale "riequilibrio di anzianita'" -
 introdotto,  peraltro, anche per il comparto del personale dipendente
 dagli enti locali, dal  contemporaneo  contratto  triennale  1983/85,
 recepito  nel D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347, ed in particolare nel suo
 art. 41, lettere a) e b) -  com'e'  noto,  c'e'  stata  la  norma  di
 interpretazione  autentica,  contenuta nell'art. 17 del d.-l. 2 marzo
 1989 n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26  aprile  1989
 n.  155;  a  tenore  della  quale "il valore mensile delle classi e/o
 degli scatti di stipendio, da quantificare ai sensi .. del punto  11,
 lettere  a)  e  b),  del  (predetto)  accordo  del 29 aprile 1983, ..
 concernente  il  personale  delle   regioni   a   statuto   ordinario
 (corrispondente al succitato art. 37 della legge della regione Puglia
 n.  26/84),  deve  intendersi  determinato  dividendo il valore della
 classe  e/o  dello  scatto per il coefficiente 24, che rappresenta il
 numero  dei  mesi  necessari,  per  naturare  il  diritto  alla  loro
 attribuzione".    Senonche'  nella  regione  Puglia,  dopo  il  primo
 tentativo tendente a vanificare gli effetti di detta  norma  statale,
 sovrapponendo,  o  quanto  meno  aggiungendo,  una  propria  autonoma
 interpretazione (di quell'art. 37 della legge  regionale  n.  26/84),
 con  il  primo  comma,  dell'articolo  unico  della  legge  regionale
 riapprovata   l'8   novembre    1989    -    censurato    pero'    di
 incostituzionalita'  dalla sentenza della Corte costituzionale n. 240
 del 3/15 maggio 1990, perche' ammetteva il criterio  contrario  della
 divisione  per  12  mesi  - e' pero' intervenuta la susseguente legge
 regionale 8 gennaio 1992 n.  2,  intitolata  giustappunto  "Norme  di
 adeguamento  alla  sentenza  della  Corte costituzionale n. 240 del 3
 maggio 1990".  L'articolo unico di questa nuova legge regionale, dopo
 aver contemplato, nel proprio primo comma, che  "A  decorrere  dal  2
 marzo   1989,  ai  fini  della  determinazione  del  riequilibrio  di
 anzianita' di cui all'art. 37 della legge regionale 9 maggio 1984  n.
 26, il valore in mesi delle classi e/o scatti risultanti dal reticolo
 derivante  dalla progressione economica della legge regionale 2 marzo
 1981 n. 22 e' reso pari ad un  ventiquattresimodei  relativi  valori,
 invece  che  ad  un  dodicesimo  dei valori medesimi", nel successivo
 secondo comma, dispone che "I  maggiori  trattamenti  attribuiti  con
 provvedimenti esecutivi in applicazione del citato art. 37 sono dalla
 suddetta data conservati ad personam per essere riassorbiti, ai sensi
 della  vigente  normativa  regionale,  con  i  successivi  aumenti di
 stipendio".   Inoltre, piu' recentemente  e'  sopravvenuta  la  legge
 regionale  17  giugno  1994, n. 21, il cui art. 28 ai primi tre commi
 cosi' recita:  "Il riequilibrio di anzianita' previsto  dall'art.  37
 della  legge  regionale  9  maggio  1984  n.  26  e  disciplinato con
 successiva  legge  regionale  8  gennaio  1992  n.  2,  nella  misura
 complessivamente  determinata  e mensilmente spettante per il periodo
 dal 1 gennaio 1983 al 2 marzo 1989, data di  entrata  in  vigore  del
 d.-l. 2 marzo 1989 n. 65, ha natura retributiva in quanto costituisce
 emolumento   fisso,   continuativo   e   ricorrente,   ordinariamente
 costituito delle remunerazioni  spettanti  ai  dipendenti  regionali,
 esso  spetta  a  tutto il personale in servizio alla data del 1 marzo
 1989.  L'assegno ad personam pensionabile  riveniente  dal  ricalcolo
 con  effetto  dal  2  marzo  1989 del valore delle classi e scatti in
 ventiquattresimi in conformita' del d.-l. 2  marzo  1989  n.  65,  e'
 riassorbito,  ai  sensi  della  vigente normativa regionale, con ogni
 miglioramento economico successivo al 2 marzo 1989 e  cessa  comunque
 di  essere  corrisposto nei confronti di tutto il personale regionale
 dal sessantunesimo giorno dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
 presente  legge (in seguito differito al 31 ottobre 1994, per effetto
 del secondo comma dell'art. 3  della  successiva  legge  regionale  5
 settembre  1994  n.  32).   Fermo quanto equitativamente previsto dai
 (precedenti) commi primo e secondo, il riequilibrio di anzianita'  di
 cui  all'art.  37  della  legge regionale 9 maggio 1984, n. 26, e' da
 intendersi in ventiquattresimi ed e' nulla di diritto ogni  contraria
 determinazione  con  effetto  dal sessantunesimo giorno di entrata in
 vigore della presente legge (poi prorogato al  31  ottobre  1994)  e'
 abrogata  la legge regionale 8 gennaio 1992, n. 2".  Infine, il primo
 comma, del su  menzionato  art.  3  dell'ultima  legge  regionale  n.
 32/1994, teste' citata, prescrive: "Il riassorbimento dell'assegno ad
 personam   previsto  dal  secondo  comma  dell'art.  28  della  legge
 regionale 17 giugno 1994 n. 21 e' determinato con le modalita' di cui
 all'art. 92  della  legge  regionale  25  marzo  1974  n.    18,  con
 esclusione  delle  indennita'  connesse  all'esercizio  di specifiche
 funzioni".  Da tutto cio' il p.m. ha inferito nella specie  un  danno
 per  l'erario,  che  imputa  ai  convenuti nel presente processo, non
 soltanto con riferimento alle  maggiori  somme  erogate  al  predetto
 titolo  (di  riequilibrio di anzianita' calcolato in dodicesimi e non
 in ventiquattresimi) dal 1 gennaio 1983 al 1 marzo 1989, ma  pure  in
 relazione ai maggiori esborsi subiti dalle finanze dell'ente pubblico
 in parola, per corrispondere ai propri dipendenti il suddetto assegno
 ad  personam,  dal  2  marzo 1989 in poi, limitandolo pero' fino alla
 data 31 gennaio 1992.   Nel  proprio  livello  introduttivo  l'organo
 inquirente    ha    altresi'   eccepito   l'incostituzionalita'   sia
 dell'articolo unico della legge regionale n. 2/92 e sia  del  secondo
 comma dell'art. 28 della seguente legge regionale n. 21/1994, perche'
 queste   due  norme,  oltre  a  consolidare  un  evidente  privilegio
 immotivato per tale categoria di personale regionale, qualora fossero
 riconosciute perfettamente in linea con la Carta costituzionale e non
 fossero percio' espunte  dall'ordinamento,  farebbero  venir  meno  i
 presupposti  stessi  della  responsabilita' degli odierni chiamati in
 causa per le maggiorazioni stipendiali erogate dall'ERSAP  in  favore
 dei  propri  impiegati dal 1 gennaio 1983 al 31 gennaio 1992. Mentre,
 obietta ancora il p.r., se a queste due medesime norme si  intendesse
 attribuire  un  significato  di sanatoria di tale responsabilita', vi
 sarebbero valide ragioni  per  reputarle  violatorie  dell'art.  103,
 secondo   comma,   della   Costituzione,   in   quanto,  in  tema  di
 regolamentazione della giurisdizione, le  Regioni  non  hanno  alcuna
 competenza.   L'impostazione di questa tesi e' stata pero' contestata
 nel  corso  del  dibattimento  dalla  difesa,  che  ritiene,  invece,
 perfettamente   aderente   ai  principi  costituzionali  la  predetta
 normativa regionale.   Osserva in  proposito  il  Collegio  che  tale
 questione  di costituzionalita' posta dal requirente non soltanto non
 appare affatto priva di manifesta fondatezza, quanto si appalesa pure
 rilevante ai fini del decidere.  Gia' nella surrichiamata sentenza n.
 240/90, il supremo organo regolatore dei  conflitti  di  attribuzioni
 (art.  134  della Costituzione) aveva stigmatizzato il contrasto, con
 gli artt. 4 e 11 del c.d. legge-quadro sul pubblico impiego 29  marzo
 1983  n.  93  e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, del primo
 comma dell'articolo unico  della  precedente  legge  regionale  della
 Puglia riapprovata l'8 novembre 1989, perche' disponeva che il valore
 delle  classi  e degli scatti - da assumere nel computo degli anni di
 effettivo servizio maturati, per  gli  effetti  del  riequilibrio  di
 anzianita'  -  fosse rappresentato dal rapporto ottenuto suddividendo
 per i dodici mesi dell'anno gli importi risultanti dal reticolo della
 progressione economica realizzata,  al  31  dicembre  1982,  in  base
 all'accordo  1979-81; nonostante che l'art. 17 del d.-l. 2 marzo 1989
 n. 65 (convertito nella legge 26 aprile 1989 n. 155) avesse stabilito
 il metodo contrario della divisione  per  il  coefficiente  24.    In
 sostanza,  nel  primo  maldestro  espediente  della Regione Puglia fu
 subito rintuzzato, perche' travalicava giustappunto  i  limiti  della
 competenza  legislativa  regionale,  in tema di trattamento economico
 del personale, fissati dalla norma interposta, rispetto  al  predetto
 art.  117  della  Costituzione, ovverossia dalla gia' citata legge n.
 93/1983;   la   quale   prescrive,   tra  l'altro,  i  criteri  della
 omogeneizzazione e della esaustivita' degli stipendi  dei  dipendenti
 regionali, in relazione agli accordi sindacali collettivi.
    In altri termini, da tale pronuncia della Corte costituzionale, si
 potrebbe anche inferire implicitamente il postulato, secondo il quale
 la  discrezionalita'  legislativa  delle Regioni in subiecta materia,
 quanto meno fino all'entrata in vigore del titolo III del d.-l.gs.  3
 febbraio  1993  n. 29 (con le modifiche recate dai successivi decreti
 legislativi 18 novembre 1993 n. 470  e  23  dicembre  1993  n.  546),
 dovesse  rimanere vincolata dal contenuto dei contratti collettivi da
 esse sottoscritti a livello nazionale con le OO.SS.  dei  lavoratori,
 per  il  tramite delle rispettive delegazioni rappresentative, di cui
 all'abrogato art. 10 della medesima legge n. 93/83 -  come  risultava
 modificato  a  seguito dell'altra sentenza della Corte costituzionale
 n. 219/1984 e dell'art. 2 legge 8 agosto  1985  n.  426  -  all'epoca
 ancora  vigente.  Sicche' l'assemblea legislativa regionale in questi
 casi avrebbe dovuto approvare la relativa legge, limitandosi, come in
 altri comparti del pubblico impiego, di cui all'art. 5 della medesima
 legge n. 93/1983 e al d.P.R. 5 marzo 1986  n.  68,  a  prendere  atto
 dell'intervenuto accordo e a recepirne le connesse pattuizioni, senza
 introdurre  variazioni  o  modifiche di sorta, neppure apparentemente
 innocue, e,  in  caso  di  contrasto  fra  norma  regionale  e  norma
 pattizia,  avrebbe  dovuto prevalere sempre quest'ultima sulla prima.
 Orbene, come si notava dianzi, la nuova su menzionata legge regionale
 n. 2/92, al di la' della sua intitolazione, secondo la quale  avrebbe
 dovuto  contenere  "norme  di  adeguamento  alla sentenza della Corte
 costituzionale n. 240 del 3 maggio 1990", in realta', dei  due  commi
 del  suo  articolo  unico  riproduce,  sotto  mentite  spoglie,  quel
 meccanismo di calcolo del  riequilibrio  di  anzianita'  in  base  al
 coefficiente  dodici  (in  luogo di ventiquattro), che proprio quella
 sentenza aveva censurato. Essa, infatti, dopo aver sancito nel  primo
 comma  che  il  valore  mese-classe  e/o  mese-scatto,  ai fini della
 determinazione  del  ridetto  riequilibrio  di  anzianita',  di   cui
 all'art.  37  della  legge  regionale  n. 26/1984, e' reso pari ad un
 ventiquattresimo (invece che ad un  dodicesimo)  a  decorrere  dal  2
 marzo  1989  (e  non dal 1 gennaio 1983), nel secondo comma prescrive
 che i maggiori trattamenti cosi' attribuiti  sono  conservati,  dalla
 stessa  data  del  2  marzo  1989,  a  titolo  di  assegno personale,
 riassorbibile con i successivi aumenti di stipendio, ai  sensi  della
 normativa   regionale   vigente.      In  concreto,  con  queste  due
 disposizioni, nella regione Puglia, a  differenza  di  altre  regioni
 italiane,  si  perpetua con effetto dal 1 gennaio 1983, in favore dei
 propri dipendenti, uno status  economico  del  tutto  ingiustificato,
 perche'  al di fuori di qualsiasi previsione del contratto collettivo
 triennale 1982/1984, siglato in sede nazionale  il  29  aprile  1983,
 eppercio' in reiterata palese violazione di quegli artt. 4 e 11 della
 legge  n.  93/1983  (principi  di  omogeneita' ed esaustivita' dianzi
 ricordati), ai quali il giudice costituzionale in quella pronuncia n.
 240/1990  aveva  giustappunto  riconosciuto  la  valenza   di   norma
 interposta    per   l'esatta   applicazione   dell'art.   117   della
 Costituzione, oltre che del precedente art. 3, sulla par condicio dei
 cittadini ivi compresi i pubblici dipendenti, di fronte  alle  leggi,
 anche  regionali.    Risulterebbe  altresi'  violato,  ad  avviso del
 Collegio, dalla predetta legge regionale n. 2/1992  il  quarto  comma
 dell'art.  81  della  Costituzione,  in  ordine  alla c.d. "copertura
 finanziaria" di "nuove  e  maggiori  spese"  recate  da  "ogni  altra
 legge"".    Difatti  la  precedente legge regionale n. 26/1984, a suo
 tempo, con l'art. 42 aveva individuato nelle finanze  autonome  della
 regione  Puglia (art. 119 della Costituzione) i mezzi occorrenti, per
 garantire  ai  circa  quattromila  propri  dipendenti  all'epoca   in
 servizio,  la  corresponsione  dei miglioramenti economici rivenienti
 dall'applicazione  dell'appena  recepito  accordo  nazionale  del  29
 aprile  1983  (art.  1). In essi (miglioramenti) era pure compreso il
 riequilibrio di anzianita' calcolato in ventiquattresimi  (e  non  in
 dodicesimi),  come  contemplavano  concordemente  sia l'art. 37 della
 stessa legge 26/84 e sia il corrispondente art. 11 di detto contratto
 collettivo di lavoro e come,  peraltro,  e'  confermato  dalla  prima
 delibera di giunta regionale n. 4979 del 28 maggio 1984, che, sebbene
 annullata  dalla Commissione statale di controllo, tuttavia fissava i
 criteri di carattere generale da adottare a  tal  riguardo.  Sicche',
 allorquando   si   e'   deciso,   dapprima  con  una  diversa  prassi
 amministrativa, oltretutto contestata  dall'organo  di  controllo,  e
 poi,  a  sanatoria,  in  via  legislativa, di modificare in radice il
 procedimento   di   computo   dell'istituto   piu'   importante    di
 quell'accordo,   ossia   il   riequilibrio  di  anzianita',  con  una
 decorrenza  anteriore  di  oltre  sei  anni  (dal  1  gennaio  1983),
 facendolo passare per una mera conferma, ma solo dal 2 marzo 1989, di
 un  dato ermeneutico, che era gia' stato acclarato dalla legislazione
 statale, seppure con un d.-l.,  il  n.  65/1989  (art.  17),  entrato
 appunto,  in  vigore  lo  stesso  giorno (art. 21), si sarebbe dovuto
 altresi' indicare nel contempo le risorse finanziarie  cui  attingere
 per coprire i conseguenti maggiori costi. In caso contrario, si e' in
 presenza   di   una   palese   inosservanza   non  solo  della  norma
 costituzionale prima richiamata (quarto comma, art. 81), ma anche  di
 altre  norme  statali  ordinarie,  come l'art. 11- ter, della legge 5
 agosto 1978 n. 468 (introdotto dall'art. 7 della legge 23 agosto 1988
 n. 362), gli artt. 2, 11, 17 e 18 della legge 19 maggio 1976 n. 335 e
 gli artt. 156 e 158 del r.c.g.s., approvato con r.d. 23  maggio  1924
 n.  827,  nonche',  nel  sistema  di  finanza derivata in cui operano
 attualmente le regioni, dell'art. 16 della  legge  27  febbraio  1967
 n.48  (come integrato dall'art. 34 della legge 5 agosto 1978 n. 468 e
 modificato dall'art. 11 della predetta legge n.  362/1988).    Ma  le
 perplessita'  di  questo  giudice,  alla luce dell'art. 28 della piu'
 recente legge regionale 17 giugno 1994 n. 21, invece  di  dissiparsi,
 aumentano,  specie  con riferimento ai primi tre commi.  Si comincia,
 infatti,  al  primo  comma  con  il  conferire  al  riequilibrio   di
 anzianita'  in  esame,  "nella  misura  complessiva  determinata  (in
 dodicesimi) e mensilmente spettante per il periodo dal 1 gennaio 1983
 al 2 marzo 1989",  la  natura  retributiva,  perche'  costituisce  un
 "emolumento   fisso,   continuativo   e   ricorrente,  ordinariamente
 costituito dalle remunerazioni spettanti ai dipendenti  regionali"  -
 per dirimere le controversie insorte con gli istituti previdenziali -
 e,  si  finisce per estenderlo "a tutto il personale in servizio alla
 data del 1  marzo  1989",  in  contrasto  sia  con  il  terzo  comma,
 dell'art. 38 della piu' volte citata legge reg. n. 26/84, secondo cui
 "al personale che viene assunto dopo il 1 gennaio 1983 e prima del 31
 dicembre  1984  compete  il  trattamento  economico iniziale previsto
 dall'art. 3 della legge regionale 2 marzo 1981  n.  22  a  cui  vanno
 aggiunti  i  benefici  della presente legge secondo le percentuali di
 scaglionamento  sopraspecificate",  e  sia  con  l'accordo  triennale
 82/1984 del 29 aprile 1983.  In altre parole, si attribuisce, sebbene
 solo  nominalmente, per presunta carenza assoluta del requisito delle
 eventuali anzianita' pregresse da riequilibrare (ma non sempre),  una
 valenza  ultrattiva  ad  un beneficio contrattuale che avrebbe dovuto
 esaurire i suoi effetti al 31 dicembre 1984.  Inoltre, con il secondo
 comma seguente, al di la' del riassorbimento dell'assegno ad personam
 di che trattasi, "con ogni miglioramento economico  successivo  al  2
 marzo  1989,  "determinato  con le modalita' di cui all'art. 92 della
 legge regionale 25 marzo 1974, n. 18, con esclusione delle indennita'
 connesse all'esercizio di specifiche funzioni" (art. 3, primo  comma,
 della legge regionale 5 settembre 1994 n. 32) - che rimane, peraltro,
 eventuale  -  detto emolumento "cessa comunque di essere corrisposto"
 al 61 giorno "dalla data di entrata in vigore" della  medesima  legge
 regionale  n.   21/1994, poi prorogato al 31 ottobre 1994 dal secondo
 comma di quest'ultimo art. 3 della legge regionale n. 32/1994.    In-
 fine,  al  terzo comma, dopo aver confermato il valore equitativo dei
 due  commi  precedenti  e  il  criterio  dei  ventiquattresimi,   per
 determinare  il  riequilibrio  di anzianita' di cui all'art. 37 legge
 regionale n. 26/1984, si afferma solennemente "ed e' nulla di diritto
 ogni contraria determinazione",  oltre  all'abrogazione  della  legge
 regionale  n.  2/1992 "con effetto dal 61 giorno di entrata in vigore
 della presente legge" (n. 21/1994) poi altrettanto  differita  al  31
 ottobre  1994.    Di  fronte  ad  un  siffatto  quadro ordinamentale,
 appaiono al Collegio non del tutto ingiustificate  le  preoccupazioni
 del  requirente,  nella misura in cui reputa violato anche il secondo
 comma dell'art. 103 della Costituzione.  Se e' certo difatti che  con
 questo  art.  28  (intitolato  "disposizione correttive in materia di
 personale") il legislatore regionale pugliese, al di  la'  di  talune
 ostentate  enunciazioni, peraltro, prive ormai di risultati concreti,
 ha voluto in  definitiva  affinare  e  correggere  quel  suo  disegno
 politico  -  iniziato  con  la  legge  riapprovata l'8 novembre 1989,
 cassata per incostituzionalita', e reiterato  con  la  successiva  n.
 2/1992  -  proteso  a salvaguardare e conservare in favore dei propri
 dipendenti i rispettivi trattamenti economici, comunque acquisiti  in
 dodicesimi, con quelle forzature innanzi accennate; e' tuttavia anche
 vero  che  da  un  siffatto  ordito  traspare, seppure non in termini
 espliciti, la sottesa intenzione di evitare agli amministratori e  ai
 funzionari   regionali   il   pericolo   di   subi're   l'azione   di
 responsabilita' amministrativo-contabile,di cui agli artt.  30  e  31
 della  citata  legge  n. 335/1976, a cagione dalla vicenda in parola,
 rendendoli in pratica inimputabili per  il  connesso  danno  arrecato
 all'erario  regionale.    Non  si puo' d'altronde disconoscere la pur
 valida ragione d'ordine pubblico che ha originato tale  iniziativa  e
 che  sottende  oggi,  come  causa  fondante, ad un simile travagliato
 progetto legislativo; ossia quella di rimediare al notevole conflitto
 e al conseguente vasto  contenzioso  giudiziale  che  quell'attivita'
 amministrativa  distorta  aveva  suscitato  nell'ambito dell'apparato
 burocratico della regione Puglia e dei suoi  enti  strumentali.    Di
 contro  pero'  non  si  puo' ignorare il dato ricavabile dalla comune
 esperienza giuridica, che, allorquando interviene una nuova normativa
 con il dichiarato intento di rendere legittima, ma a posteriori,  una
 precedente  azione  della  p.a.  esercitata in contrasto con la legge
 originariamente  vigente,  da  un lato, se ne sanano gli effetti, per
 preservare  le  posizioni   giuridiche   ed   economiche,   comunque,
 conseguite  dai rispettivi destinatari, specie se si sono consolidate
 nel tempo, ma, dall'altro, e' inesorabile che risultino  appianate  -
 come   nella   specie   dal  1  gennaio  1983  -  anche  le  connesse
 responsabilita' di coloro che l'hanno posta in essere, in  dissonanza
 con  quanto  operato  in  altri  siti.   Ma se cio' e' consentito, in
 presenza di eccezionali contingenze storico-politiche, al legislatore
 statale, al quale spetta, in via esclusiva, disciplinare e/o limitare
 la giurisdizione, sebbene entro i canoni precisi stabiliti dal titolo
 IV - Parte II della Costituzione,  non  e'  altrettanto  permesso  al
 legislatore  regionale,  pena,  nel caso di specie, la violazione sia
 dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione, come  eccepito  dal
 p.m.,  che  degli artt. 30 e 31 della legge statale 19 maggio 1976 n.
 335, nonche' del successivo art. 117,  della  Costituzione  per  aver
 esorbitato  dalla  propria  potesta'  legislativa.    D'altro  canto,
 opinando altrimenti, si  accetterebbe  l'immissione  surrettizia  nel
 nostro sistema di garanzie obiettive di un'immotivata isola spuria di
 privilegio,  in  favore di questa categoria di convenuti, rispetto ai
 loro omologhi delle altre regioni e degli enti  locali  minori  -  in
 relazione  ai  quali  ultimi  in  passato  si sono verificate vicende
 analoghe a quella all'esame, con riferimento all'art. 41  del  d.P.R.
 26  giugno 1983 n. 347, e delle quali questo giudice si e', peraltro,
 gia'  occupato  -  in  difformita'  dello   stesso   art.   3   della
 Costituzione.   Ne' si possono trascurare in questa sede le possibili
 vulnerazioni che, a causa della sopravvivenza nell'ordinamento di una
 siffatta disciplina, potrebbe verosimilmente  subire  il  diritto  di
 difesa giudiziale delle ragioni risarcitorie, sul piano patrimoniale,
 dello  Stato-persona; posto che una generica sanatoria di questo tipo
 sottrarrebbe oltretutto al  procuratore  regionale  della  Corte  dei
 conti, titolare della connessa azione processuale, il potere di adire
 la  via  giudiziale,  per ottenere, dagli amministratori e dipendenti
 regionali  responsabili,  il  ripristino,   seppur   non   integrale,
 dell'equilibrio  finanziario in tal modo interrotto nell'erario della
 regione Puglia. Del resto l'art. 24 della Costituzione, del quale  si
 denuncia  in  questo  contesto la violazione, costituisce per tutti i
 soggetti giuridici, ivi compreso quello  pubblico  per  eccellenza  -
 perche'  rappresenta e tutela gli interessi della legge - un baluardo
 invalicabile e ineludibile.  Quanto poi alla rilevanza  nel  giudizio
 de  quo delle su dedotte questioni di incostituzionalita' delle norme
 regionali innanzi analizzate, v'e' ancora da osservare  che,  qualora
 il  giudice  dalle  leggi,  con la sua pronuncia, dovesse escludere o
 confermare i  dubbi  sopra  esposti,  verrebbe  meno  o  risulterebbe
 avvalorata la pretesa risarcitoria del p.m. per i danni ascritti agli
 odierni  convenuti,  con  riferimento alle maggiori somme erogate nel
 periodo dal 1 gennaio 1983 al 31 gennaio 1992,  come  considerato  in
 premessa.