Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Marche, in persona del presidente della Giunta regionale dott. Vito D'Ambrosio, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1966 del 24 luglio 1995, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Valerio Onida ed elettivamente domiciliato presso l'avv. Gualtiero Rueca in Roma, largo della Gancia n. 1, come da mandato speciale a rogito del notaio dott. Guido Bucci di Ancona in data 24 luglio 1995, n. 51387 di repertorio, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in relazione alla deliberazione 13 marzo 1995 del C.I.P.E. - Comitato interministeriale per la programmazione economica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 27 maggio 1995, e recante "Edilizia residenziale pubblica: criteri generali per l'assegnazione degli alloggi e per la determinazione dei canoni". La materia della edilizia residenziale pubblica e' di competenza regionale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e degli artt. 87 e 93, nonche' dell'art. 22, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Allo Stato, e precisamente al CIPE, su proposta del C.E.R. - Comitato per l'edilizia residenziale, spetta il compito di determinare "i criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica" (art. 2, comma 2, n. 2, legge 5 agosto 1978, n. 454). Con la delibera in questa sede contestata il CIPE ha dettato un nuovo testo dei "criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell'art. 2 della legge 5 agosto 1978, n. 457", interamente sostitutivo del testo annesso alla delibera 19 novembre 1981. La delibera appare volta a dettare criteri interamente vincolanti per le regioni, le quali, a norma del punto 1 dell'allegato, "si informano ai presenti criteri", mediante una nuova normativa che "dovra' entrare in vigore entro sei mesi dalla data di pubblicazione della presente delibera nella Gazzetta Ufficiale". I criteri stabiliti appaiono destinati a sovrapporsi, sostituendoli, a quelli ad oggi determinati, per quanto riguarda la regione ricorrente, dalla l.r. 3 marzo 1990, n. 9 (cfr. in particolare gli artt. 10 e 38). Ora, la impugnata delibera del CIPE non solo non si limita a fissare "criteri generali", bensi' minuziosamente regolamenta ogni aspetto della materia, dai requisiti per l'assegnazione degli alloggi (punti 3, 5, 6, 7) alla procedura di assegnazione, all'autogestione, ai casi di annullamento e revoca dell'assegnazione (punti 4, 9, 10) ai criteri per la determinazione dei canoni (punto 8). A quest'ultimo proposito, mentre il punto 11 della precedente delibera CIPE 19 novembre 1981 prevedeva tre categorie di assegnatari, articolabili pero' in molte fasce, a seconda del reddito del rispettivo nucleo familiare ( A: canone sociale ridotto; B: canone sociale; C: equo canone) e per i redditi al di sopra del limite di decadenza prevedeva, per tutto il periodo di permanenza dell'assegnazione, l'applicazione del canone di cui alla legge n. 392 del 1978 (punto 3, quinto capoverso), la nuova deliberazione riduce drasticamente l'arco di variabilita' del canone configurandolo (salva la prima fascia dei redditi minimi gia' fruenti del c.d. "canone sociale ridotto"), non piu' come un canone "sociale" commisurato ad una percentuale dell'equo canone, bensi' come "canone di riferimento" commisurato ad una aliquota del valore catastale dell'immobile, diversa a seconda che il reddito annuo del nucleo familiare non superi ovvero superi il limite stabilito per la decadenza. Nel primo caso il canone e' pari al 4,50% del valore catastale dell'immobile, e la regione puo' bensi' stabilire diverse percentuali, comprese fra il 3 e il 6%, da articolare in non piu' di tre fasce di reddito, ma purche' sia garantita l'incidenza media del 4,50%. Nel secondo caso il canone non deve essere inferiore al 7% del valore catastale dell'alloggio, ed e' graduato in relazione al reddito del nucleo familiare (punto 8.2). Solo in via transitoria e' consentita l'applicazione, come canone di riferimento, dell'"equo canone" di cui alla legge n. 392 del 1978, aumentato o diminuito in misura non superiore al 25%, o aumentato in misura non inferiore al 50% se il reddito supera il limite di decadenza (punto 8.3). Per di piu' la regione dovra' garantire, nell'assumere le determinazioni di propria competenza, non solo il pareggio fra costi e ricavi di amministrazione, compresi gli oneri fiscali e di manutenzione, ma altresi' il versamento al fondo per l'edilizia residenziale pubblica dello 0,50% annuo del valore catastale del patrimonio gestito, con esclusione dei soli alloggi a canone sociale (punto 8.6). I nuovi criteri dovranno essere direttamente applicati dagli enti gestori a decorrere dal settimo mese successivo alla pubblicazione della delibera, in assenza di provvedimenti regionali attuativi (punto 8.7). In sostanza, l'applicazione dei nuovi criteri comporterebbe forti aumenti del canone per quasi tutti gli assegnatari con reddito superiore a quello della fascia A che da' ancora diritto al canone "sociale". Rispetto a tali nuovi criteri, estremamente rigidi, la regione verrebbe a usufruire di ristrettissimi margini residui di manovra, vedendo cosi' di fatto pressoche' vanificata la propria potesta' di disciplinare la materia, sia pure nell'ambito di "criteri generali" stabiliti dal CIPE. In tal modo la regione, lungi dall'essere semplicemente limitata nella propria autonomia da criteri generali fissati in sede nazionale, verrebbe ridotta a mera esecutrice di dettagliatissimi criteri stabiliti dal CIPE. Si potrebbe ritenere in verita' che i dettagliati criteri fissati dalla delibera impugnata siano destinati a ricevere integrale e vincolata applicazione solo in assenza di legislazione regionale, fermo restando che la legge regionale possa disciplinare la materia nel solo rispetto dei criteri generali da essa desumibili (e cosi' del criterio - enunciato nella premessa della delibera - di "prevedere una piu' stretta correlazione tra reddito e composizione del nucleo familiare ai fini dell'accesso all'edilizia residenziale pubblica": cfr. il primo periodo della motivazione della delibera); che si debba cioe' attribuire alla delibera del CIPE il contenuto di un atto di indirizzo, vincolante quanto al risultato ma direttamente applicabile nelle sue specifiche determinazioni solo in assenza di normativa regionale, e percio' avente carattere di normativa "suppletiva" e cedevole in parte qua rispetto alla legge regionale. Potrebbe, fra l'altro, indurre a sostenere tale interpretazione, quanto meno in tema di criteri per la determinazione dei canoni, la citata disposizione del punto 8.7. della delibera, secondo cui "in assenza di provvedimenti regionali attuativi, gli enti gestori applicano i nuovi canoni, adottando i parametri previsti dal presente paragrafo, con decorrenza dal settimo mese successivo alla pubblicazione della presente delibera nella Gazzetta Ufficiale": previsione dalla quale si dovrebbe desumere che i "parametri" fissati dalla delibera sono qualcosa di piu' dei "criteri generali" per la normativa regionale, ma rappresentano disposizioni suscettibili di autonoma applicazione, in assenza (ma, appunto, solo in assenza), della normativa regionale medesima. Se cosi' dovesse intendersi l'atto impugnato, e se tale interpretazione venisse confermata autorevolmente dalla Corte, la regione ricorrente non avrebbe difficolta' ad accettare l'atto statale di indirizzo, utilizzando in sede di legislazione regionale i margini di autonomia che ad essa verrebbero, in tale ipotesi, riconosciuti. Ma poiche' l'accennata interpretazione non appare univocamente desumibile dall'atto impugnato, che nelle sue premesse, come si e' detto (punto 1 dell'allegato) sembra invece porsi integralmente come vincolo uniforme per le regioni, la ricorrente ritiene di dover impugnare con il presente ricorso la delibera medesima, chiedendone l'annullamento per il caso in cui essa dovesse intendersi come interamente vincolante nei confronti della legge regionale. Non pare dubbio, infatti, che la potesta' statale di adottare "criteri generali", esplicandosi in materia che appartiene incontestabilmente, come si e' detto, alla competenza regionale, sia sotto il titolo dei lavori pubblici di interesse regionale, in cui rientra l'edilizia residenziale pubblica (artt. 87 e 93 d.P.R. n. 616/1977), sia sotto il titolo dell'assistenza sociale (art. 22, d.P.R. n. 616/1977), non possa travalicare fino alla statuizione dettagliata di parametri completamente vincolanti per il legislatore regionale. E' questo, invece, il risultato cui si perverrebbe attribuendo efficacia indiscriminata alla delibera impugnata. Essa fissa analiticamente i limiti di reddito familiare che consentono l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e le modalita' per il loro computo o il loro accertamento (punto 3.1., lett. e, punti 3.2 e 3.3); le condizioni per la decadenza (punto 3.4); le procedure per la formazione della graduatoria (punto 4); il limite inerente al rapporto fra superficie dell'alloggio e composizione numerica del nucleo familiare (punto 6); i requisiti per il subentro nel contratto nel caso di decesso dell'assegnatario o di scioglimento del vincolo matrimoniale (punto 7); l'obbligo di prevedere l'autogestione da parte dell'utenza dei servizi accessori e degli spazi comuni (punto 9); i casi di annullamento o revoca dell'assegnazione (punto 10); oltre ai gia' descritti analitici e rigidi parametri per la determinazione dei canoni (punto 8). Alcuni degli ambiti disciplinati, come le procedure per le assegnazioni, i criteri del subentro, le regole per l'autogestione, sono addirittura del tutto estranei alla competenza demandata allo Stato dall'art. 2, comma 2, n. 2, della legge n. 457 del 1978 (nonche' dall'art. 88, n. 13, del d.P.R. n. 616 del 1977), che concerne esclusivamente la determinazione dei "criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica". Ma anche le disposizioni afferenti agli aspetti rientranti in tale competenza statale, e in particolare quelle sui criteri di determinazione del canone, appaiono eccessivamente dettagliate, e tali dunque da travalicare l'ambito dei "criteri generali". La realta' dell'edilizia residenziale pubblica, del relativo patrimonio, dell'utenza di tali alloggi, del fabbisogno e delle relative condizioni sociali ed economiche, e' ampiamente differenziata nelle varie aree del paese. E poiche' la gestione, la manutenzione e l'utilizzazione di tale patrimonio avvengono nell'ambito delle risorse di pertinenza delle regioni e degli enti gestori, mentre lo Stato si limita a ripartire risorse per nuovi investimenti, non sussiste alcuna giustificazione, nemmeno dal punto di vista della politica istituzionale e finanziaria, perche' lo Stato possa vincolare cosi' minuziosamente i legislatori regionali nel disporre la disciplina di questa materia.