IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 9393 del 1993 proposto dal sig. Mario Condorelli rappresentato e difeso dagli avv.ti Lorenzo Acquarone e Roberto De Santis, presso il cui studio ha eletto domicilio in Roma, largo Toniolo, 6; contro l'Universita' degli studi "Federico II" di Napoli in personale del rettore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica - ed il Ministero del tesoro, in persona dei Ministri in carica, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Tonello dell'Avvocatura generale dello Stato; per l'annullamento della nota 5 aprile 1993, con la quale il rettore ha inviato il ricorrente ad esercitare l'opzione tra l'indennita' di carica da senatore della Repubblica e quella di professore universitario, in applicazione dell'art. 71 del d.P.R. 3 febbraio 1993, n. 29; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione resistente; Viste le memorie depositate dalle parti; Vista l'ordinanza n. 616 del 1993, con la quale e' stata accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 22 marzo 1995, il relatore cons. Aldo Fera, e i difensori delle parti indicati nel verbale d'udienza; Ritenuto e considerato quanto segue: F A T T O Il ricorrente e' professore universitario e ricopre nel contempo la carica di Senatore della Repubblica. Con atto notificato in data 29 maggio 1993, egli impugna la nota 5 aprile 1993, con la quale il rettore lo ha invitato ad optare tra la conservazione del trattamento economico quale docente universitario e l'indennita' parlamentare, in applicazione dell'art. 71 del d.P.R. 3 febbraio 1993, n. 29. Deduce a sostegno del gravame le seguenti censure: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 71 e 72 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 anche in relazione a quanto previsto dall'art. 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, dagli artt. 6 e segg. della legge 9 maggio 1989, n. 168, nonche' dell'art. 2, comma 5, della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicita' manifesta; 2) in subordine. Illegittimita' costituzionale degli artt. 71 e 72 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, per contrasto con gli artt. 33 e 36 della Costituzione. Conclude chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato con ogni ulteriore statuizione di legge. Resiste al ricorso l'Ammministrazione intimata, la quale osserva, tra l'altro, che le norme in parola, nell'interpretazione che ne ha dato l'Universita', sono conformi al principio stabilito dall'art. 2, comma 1, della legge-delega n. 421 del 1992, secondo il quale "i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale .. sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato". Nelle more del giudizio e' entrato in vigore l'art. 22, comma 38, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in forza del quale "le norme sull'aspettativa per mandato parlamentare per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all'art. 71 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, si interpretano autenticamente nel senso della loro applicabilita' anche ai professori e ricercatori universitari a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto". Con memoria dell'8 marzo 1995, il ricorrente ribadisce, alla luce dell'interpretazione autentica effettuata dalla legge n. 724, l'illegittimita' costituzionale delle norme in questione, per contrasto con gli artt, 3, 33, 36 e 77 della Costituzione. D I R I T T O Oggetto dell'impugnativa proposta dal ricorrente, professore unversitario e senatore della Repubblica nella XI legislatura, e' la nota, con la quale il rettore lo ha invitato ad optare tra la conservazione del trattamento economico quale docente universitario e l'indennita' parlamentare, in applicazione dell'art. 71 del d.P.R. n. 29 del 1993. Per una migliore comprensione della vicenda, giova precisare che, all'epoca dell'adozione dell'atto impugnato, la fattispecie portata alla cognizione di questo tribunale era disciplinata da due norme contenute nel decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993. L'art. 71, comma 1, secondo il quale "i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale .. sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato" e l'art. 72, comma 4, il quale a sua volta stabiliva che "a decorrere dal 1 gennaio 1994 le disposizioni del presente decreto si applicano ai docenti ed ai ricercatori delle istituzioni universitarie, salvo che entro la stessa data sia adottata la specifica disciplina che ne regoli, in modo organico, il rapporto d'impiego in conformita' ai principi dell'autonomia universitaria ..". Sulla base di questa seconda norma il ricorrente, quindi, sosteneva l'illegittimita' del procedimento impugnato che aveva inteso fare applicazione di quanto disposto dall'art. 71, prima che si fosse realizzata una delle due condizioni poste dall'art. 72, comma 4. Nelle more del giudizio, tuttavia, il complesso normativo ha subito ben due sostanziali modificazioni. La prima, introdotta dal d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, per un verso (art. 36) riscrive l'art. 72 senza riprodurre il comma n. 4 originario, e per altro verso (art. 2) sostituisce l'originario art. 2, introducendo il comma 5 secondo il quale "il rapporto d'impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica discipina che la regoli in modo organico ed in conformita' ai principi dell'autonomia universitaria". La seconda introdotta dall'art. 22, comma 38, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, stabilisce che "le norme sull'aspettativa per mandato parlamentare per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all'art. 71 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, si interpretano autenticamente nel senso della loro applicabilita' anche ai professori e ricercatori universitari a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto". E' di palmare evidenza che l'adesione data dal legislatore all'interpretazione seguita dall'amministrazione universitaria porta al sacrificio della pretesa avanzata dal ricorrente, in quanto preclude al giudice una lettura dell'art. 71 del decreto n. 29, che escluda i docenti universitari dall'ambito di applicazione del precetto che impone il collocamento in aspettativa senza assegni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Cio' rende rilevante ai fini del decidere le questioni di illegittinita' costituzionale sollevate dal ricorrente nei confronti dell'art. 71 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, cosi' come interpretato dall'art. 22, comma 38, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, con riferimento agli artt. 3, 33, 36 e 77 della Costituzione. Le questioni appaiono non manifestamente infondate. Ed invero, se si considera che il docente universitario collocato in aspettativa per mandato parlamentare non cessa del tutto l'attivita' didattica e di ricerca, ma, ai sensi dell'art. 13, comma 5, del d.P.R 11 luglio 1980, n. 382, ad esso "e' garantita la possibilita' di svolgere a domanda .. cicli di conferenze, attivita' seminariali ed attivita' di ricerca, anche applicativa", ne consegue che la particolare disciplina dell'istituto differenzia in maniera sostanziale il collocamento in aspettativa obbligatoria dei docenti universitari da quello degli altri dipendenti pubblici. Da qui' il dubbio se le norme in questione, che invece dettano una disciplina uniforme per tutte le categorie di pubblici dipendenti, contraddicano la Costituzione, oltreche' all'art. 3 che non consente di assoggettare alla medesima disciplina situazioni obbiettivamente differenti, anche all'art. 36 secondo il quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro che svolge. La circostanza poi che tale regolamentazione sia stata dettata in un ambito, quello della disciplina generale in materia di pubblico impiego, che non ha consentito di apprezzare adeguatamente le particolarita' dell'ordinamento universitario, e che non vi sia traccia nella legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, di riferimenti alla docenza universitaria, rende plausibile il dubbio se le norme in questione abbiano contraddetto, oltreche' l'art. 77 anche l'art. 33 della Costituzione. Pertanto, il giudizio va sospeso e la questione rimessa alla Corte costituzionale.