IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del procedimento penale contro Di Modica Luigi ed altri, per i delitti di associazione per il narcotraffico, omicidio volontario pluriaggravato, violazione della disciplina delle armi, violazione della disciplina degli stupefacenti, corruzione per atto contrario ai doveri dell'ufficio, ecc.; Vista in particolare l'istanza formulata in data 8 settembre 1995, nel corso della udienza preliminare, affinche' sia dichiarata ex art 303 c.p.p., in applicazione del nuovo testo dell'art. 297, comma 3, c.p.p., la inefficacia sopravvenuta della misura cautelare della custodia in carcere attualmente applicata nei confronti di Sarlo Mario Pasquale, nato a S. Pietro Carida' il 21 maggio 1949, attualmente detenuto presso la casa circondariale S. Vittore di Milano, difeso dagli avvocati Giuseppe Bamonte e Daniele Ripamonti, entrambi del foro di Milano; Vista la missiva del pubblico ministero, pervenuta in data 12 settembre 1995, con la quale si richiede che l'istanza difensiva sia accolta limitatamente ai reato sub capo 50) della rubrica, e sia respinta limitatamente ai restanti reati, con la sola eccezione dei delitti di cui ai capi 53) e 54) della rubrica, rispetto ai quali si chiede sia proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3, c.p.p. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Rilevato che di propria iniziativa, con la missiva citata, il pubblico ministero ha rilevato l'intervenuta decorrenza del termine massimo della custodia, relativamente ai delitti di cui ai capi 1) e 2) della rubrica, con riguardo a Schettini Antonio, nato a Portici il 29 gennaio 1957, attualmente detenuto presso la casa circondariale S. Vittore di Milano, difeso dagli avvocati Vincenzo Mavilla del foro di Milano e Michele Bruno del foro di Napoli e Trovato Franco, nato a Mercedusa il 2 maggio 1947, attualmente detenuto presso la casa circondariale S. Vittore di Milano, difeso dagli avvocati Giuliano Spazzali del foro di Milano ed Emidio Tommasini del foro di Reggio Calabria; Rilevato come anche per detti due imputati, con la missiva citata, si chieda dal pubblico ministero sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3, c.p.p., nella nuova formulazione, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. O s s e r v a Che l'istanza difensiva concernente Mario Sarlo e' pressocche' integralmente fondata, cosi' come fondata risulta l'indicazione del pubblico ministero relativamente ai coimputati Schettini e Trovato. Dovrebbe pervenirsi, quindi, ad un generalizzato provvedimento di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi della custodia. E tuttavia, chiaro restando che le palesi e pressanti necessita' cautelari (affermate e ribadite per questi imputati, come per altri, da decine di provvedimenti ad ogni livello) non assumono rilevanza sul terreno da praticarsi in questa sede, deve rilevarsi come la nuova legge pervenga al "comando" di scarcerazione pur nell'assenza totale di ciascuno dei fattori d'allarme cui ragionevolmente, in altri casi, potrebbe collegarsi la "sanzione" d'una decorrenza precoce del termine per la custodia. Si tornera' immediatamente sull'argomento. Certo e' che il sospetto di un contrasto tra la scelta dei riformatori e l'art. 3 della Costituzione, nella misura in cui questa norma pone un limite di ragionevolezza alle scelte legislative che accomunano o discriminano le situazioni regolate, non potrebbe certo dirsi manifestamente infondato. E' preliminare ad ogni altra considerazione un vaglio circa il fondamento dell'interpretazione che, di fatto, si e' proposta in ordine alla disciplina dell'art. 297, comma 3, c.p.p., nella formulazione introdotta ex art. 12 della legge n. 332/1995. Non sembra dubbio che la norma estenda enormemente i casi che la giurisprudenza aveva solitamente definito mediante il riferimento ad una concatenazione di addebiti: al fenomeno cioe' della diluizione nel tempo della contestazione cautelare di reati, cosi' da prolungare, ben oltre la scadenza dei termini della custodia per la prima fattispecie addebitata, la situazione materiale di detenzione dell'interessato. La giurisprudenza, formatasi nel vigore del codice Rocco e poi reiteratasi con la nuova legge processuale, aveva per altro sempre limitato la fattispecie - e cioe' la retrodatazione del termine di decorrenza della custodia rispetto all'epoca di notificazione del provvedimento piu' recente - alle ipotesi di artificioso ritardo nella contestazione dei fatti, che invece avrebbero potuto essere tutti addebitati in unico o comunque piu' remoto contesto (sulla inutilita' o addirittura sul carattere colpevole del ritardo nella contestazione aggiuntiva, per limitarsi alla giurisprudenza sul nuovo codice, cfr. Cass. sez. 6a feb. 1990, in Cass. pen. mass. 1990, p. 1571; Cass. sez. 1a 15 apr. 1991, in Cass. pen. mass. 1992, p. 377; Cass. sez 1a 2 dic. 1991, in Cass. pen. mass. 1993, p. 89; Cass. sez. 1a 25 feb.1992, in Cass. pen. mass. 1993, p. 1045). Per quanto sembri strano, la nuova norma non richiede affatto, per la retrodatazione, che la contestazione cautelare piu' recente sia tardiva. E' una soluzione gia' evidente quando si legga la prima parte del terzo comma, laddove l'effetto e' collegato unicamente al rapporto di connessione qualificata tra i reati, senza alcun riguardo all'epoca di acquisizione delle distinte notitiae criminis. D'altronde la seconda parte della norma fornisce una conferma al contrario: la retrodatazione sara' impedita dalla prova che la conoscenza dei fatti di nuova contestazione e' stata tardiva, ma solo a condizione che per i fatti di piu' remota contestazione sia gia' intervenuto il rinvio a giudizio. Dal che si deduce che, se la tardivita' della contestazione rispetto alla cognizione e' sempre causa di retrodatazione della decorrenza, la sua dipendenza dalla obiettiva tardivita' della cognizione impedisce la retrodatazione solo per il caso di rinvio a giudizio medio tempore intervenuto. Si deduce, in altre parole, che nel corso delle indagini preliminari la decorrenza del termine va fissata al giorno della prima cattura quand'anche per i nuovi reati la notitia criminis sia di molto successiva. Poiche' sembra principio indiscutibile quello che ogni reato dia eventualmente luogo ad un trattamento cautelare, e che il trattamento abbia una durata connessa alla gravita' del reato stesso, occorre stabilire in quali casi e per quali ragioni la legge possa ragionevolmente derogare a tale principio. Non v'e' dubbio che la base della deroga continui ad essere l'esigenza di precludere le contestazioni a catena. Cio' per un verso alla luce del contesto normativo di adozione della disciplina, e per altro verso alla luce della "spia" rappresentata dalla seconda parte della norma, che annette rilevanza, in casi limitati, alla tardivita' della cognizione. Dunque dovrebbe essere stato sancito il perdurare di quella comparazione di interessi che, da tempo sottesa all'istituto della retrodatazione in funzione di garanzia contro l'inerzia (o peggio) dell'inquirente, non aveva salvo errore mai dato adito a sospetti di incostituzionalita': si consente la privazione della liberta' per ciascun reato ed in misura proporzionale, ma si pretende che la contestazione sia tempestiva, pena appunto la "perdita", ai fini cautelari, del periodo intercorso tra la "nuova" notizia ed il suo sfruttamento per la custodia. Ma il nuovo legislatore, come si e' visto, e' andato ben oltre, privando di ogni rilevanza il dato scriminante dello iato tra possibilita' ed effettivita' della nuova contestazione. E' probabile che dall'esame dei lavori preparatori sia desumibile la reale intenzione dei riformatori. Fin d'ora occorre pero' chiedersi se esista una finalita' legittimante che ispiri la disciplina e che renda indifferente, ai fini del trattamento, la perdita del fatto scriminante fino ad oggi risolutivo, e cioe' il carattere strumentale della dilazione nel tempo dei provvedimenti restrittivi. Sembra evidente che l'applicazione di siffatta disciplina, ove ne venga stabilita la compatibilita' costituzionale, comportera' di fatto fenomeni rilevantissimi: frazionamento esasperato dei procedimenti (ogni rinvio a giudizio "proteggera'" la possibilita' cautelare per i reati di futuro accertamento), aggravamento della logica di sommarieta' nell'indagine che gia' caratterizza il sistema voluto dal legislatore del 1988, tardivita' della prima contestazione cautelare rispetto al grado di sviluppo della indagine, ecc. Tutte queste conseguenze non sono francamente proponibili quali obiettivi perseguiti dal legislatore dell'agosto 1995. Probabilmnte, se si vuole escludere l'eventualita' di una legiferazione che di fatto abbia ecceduto l'intenzione, la disciplina ha risentito del dibattito politico-istituzionale su altri temi, come ad esempio quello dei cd collaboratori di giustizia e dei problemi connessi alla gradualita' delle loro rivelazioni. E tuttavia, se anche cosi' fosse, la conclusione sarebbe indifferente sul terreno che qui va praticato. Non appartiene alla valutazione giudiziale la questione dei limiti legali da porre eventualmente all'utilizzazione di una notitia criminis. E non interessa qui stabilire quanto corretta sarebbe la trasposizione sul piano del trattamento cautelare di meccanismi orientati a "costringere" entro limiti stretti l'utilita' dei collaboratori a fini di accertamento delle responsabilita', in genere per gravi reati, ed in regime di perdurante ragionevolezza dei termini prescrizionali e di perdurante obbligatorieta' dell'azione penale. Certo e', comunque, che la disciplina avrebbe di fatto accomunato una serie di situazioni assimilabili solo su terreni del tutto eccentrici rispetto a quello cui specificamente e' pertinente la disciplina stessa, e cioe' quello dei limiti di durata del trattamento cautelare. Non v'e' da stupirsi, in queste condizioni, che il pubblico ministero, portatore (nel suo ruolo di parte) dell'interesse alla maggior funzionalita' del processo quale mezzo per la composizione e la prevenzione dei piu' gravi conflitti interumani, obietti alla nuova disciplina la serieta' che, sotto qualche profilo almeno, caratterizza le relative implicazioni. Non sembra inutile citare parte della missiva meglio indicata nell'epigrafe: "gli indagati detenuti per piu' ordinanze di custodia cautelare, anche se per reati di pari gravita', si vengono a trovare in situazioni diverse a seconda che la notizia di reato connesso, oggetto del secondo provvedimento, venga acquisita o meno in prossimita' del decreto di rinvio a giudizio disposto per il primo fatto: nel primo caso potrebbero avere maturato pressocche' istantaneamente il diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini della custodia cautelare relativamente ai reati tardivamente emersi; nel secondo caso, potendo lo stesso p.m. sfruttare un piu' ampio periodo di tempo per le sue determinazioni, il detenuto ben difficilmente potrebbe maturare il diritto a quella scarcerazione. Addirittura, nel primo caso, qualora la notizia di reato fosse acquisita pochi giorni prima del rinvio a giudizio, il p.m., contrariamente al secondo caso, sarebbe persino privato del potere-dovere di richiedere un provvedimento cautelare, potendosi trovare dinanzi ad una situazione di un termine di custodia decorso (o molto prossimo a decorrere) prima ancora dell'emissione del titolo di detenzione (ne' e' ipotizzabile che, in tali casi, il p.m. possa richiedere la proroga del termine di custodia cautelare per il reato tardivamente conosciuto, prima ancora, cioe', di richiedere l'emissione del provvedimento cautelare). Gli indagati detenuti, anche se per reati di pari gravita', si vengono a trovare in situazioni diverse a seconda che la notizia di reato connesso, oggetto di un secondo provvedimento cautelare, venga acquisita, indipendentemente dalla data di acquisizione, nello stesso procedimento o in procedimento diverso. Infatti, con riferimento, ad es., all'acquisizione della notizia di reato del tentato omicidio di Salvatore Batti, e' evidente che, qualora si fosse trattato di notizia emersa nella stessa data ma nell'ambito di altro procedimento (pendente, ad es., presso altra sede giudiziaria o presso altro magistrato dello stesso ufficio), non sarebbe applicabile il comma 3 dell'art. 297 c.p.p. in quanto non ci si troverebbe di fronte a "fatto desumibile dagli atti prima del rinvio a giudizio". A seconda del "luogo giuridico" di acquisizione della notizia di reato, dunque, pur in situazioni analoghe, i cittadini potrebbero trovarsi in situazioni opposte: legittimamente detenuti in un caso, scarcerati per decorrenza termini (o addirittura certi di non poter essere raggiunti da provvedimento cautelare) nell'altro ... Inoltre, per effetto della assenza di qualsiasi norma transitoria che ne rinvii ragionevolmente l'applicazione, l'art. 297, comma 3, c.p.p., determina disparita' di trattamento tra imputati detenuti in procedimenti complessi e nella identica situazione a seconda che la legge di modifica 8 agosto 1995, n. 332, sia entrata in vigore prima o dopo il promuovimento dell'azione penale nel primo caso, infatti, contrariamente al secondo, il p.m. potra' richiedere la proroga dei termini della custodia cautelare ex art. 305, comma 2, c.p.p.; cio' indipendentemente dal grado di diligenza del p.m., tanto che, anzi, solo quello che non si sara' preoccupato di chiudere rapidamente le indagini preliminari potra' ancora esercitare i suoi diritti, il tutto con ovvio diverso trattamento degli indagati o imputati detenuti in identica situazione". Ad alcune delle conseguenze illustrate dal rappresentante dell'accusa potrebbe guardarsi come ad inconvenienti che non dipendano dal principio di diritto posto dalla normativa (anche se la stessa, come ogni normativa, dovrebbe pur essere valutata nelle conseguenze che collega ai dati ineliminabili della concreta attivita' giudiziaria, a partire dalle infinite casualita' che governano la formazione del fascicolo nelle indagini preliminari). D'altronde l'obiettiva e grave difficolta' che l'assenza di una disposizione transitoria introduce nei processi in corso (nella specie avrebbe potuto tranquillamente richiedersi la proroga dei termini della custodia, che oggi non e' piu' possibile per essere stata chiusa la fase delle indagini preliminari) provoca la comprensibile doglianza della parte che vede cambiata la regola durante il gioco, ma non sembra attingere al tema della discriminazione tra i cittadini innanzi alla legge. Sembra pero' evidente che la nuova normativa, quale criterio generale di regolazione della durata della custodia cautelare, parifica in modo irragionevole situazioni assolutamente eterogenee. Parifica, anzitutto, la posizione di coloro che si sarebbero trovati in condizione di "giovarsi" d'una nuova contestazione piu' tempestiva (coloro cioe' per i quali l'a.g. abbia centellinato nel tempo l'utilizzazione cautelare dei dati indiziari gia' raccolti) alla posizione di indagati per i quali la tardivita' della nuova contestazione dipenda esclusivamente dalla tardivita' della relativa acquisizione indiziaria. Ma resta diversificata, nel contempo, anche la situazione di soggetti che - parimenti interessati da contestazioni cautelari tempestive in rapporto a nuove investigazioni - abbiano visto o meno disporre il giudizio rispetto al reato di piu' remota contestazione: il rinvio a giudizio e' fatto indifferente quanto alla necessita' specialpreventiva ed al rischio di fuga (e spesso anche per l'inquinamento della prova, notoriamente destinata a formarsi nel dibattimento); il rinvio a giudizio, oltretutto, e' frutto dell'iniziativa incontrollabile del p.m. e del giudice. Ne' si obietti che proprio le cadenze processuali, nel sistema, hanno il ruolo di consentire un allungamento della custodia in attesa della sentenza irrevocabile: qui si parla, per entrambe le situazioni, della durata della custodia con riguardo ad un procedimento (e per un reato) in fase di indagini preliminari. Si consideri che la disciplina, in numerosissimi casi, potrebbe comportare di fatto un completo abbandono di necessita' cautelari attualissime, in modo ancora una volta scollegato da ogni ragionevole contemperamento tra interessi di garazia individuale e necessita' sociali. La durata del termine per la custodia e' posta generalmente in relazione alla gravita' del reato, sulla base di evidenze statistiche: si tratta di un serio parametro di misurazione della pericolosita', e si tratta in genere di fatti per i quali piu' difficoltose si presentano le indagini. Ora, la novella rompe completamente la relazione tra gravita' del fatto e durata del trattamento cautelare, almeno in tutti i casi nei quali la prima cattura riguardi un fatto di gravita' pari o minore a quella del reato di successiva contestazione. E' agevole infatti constatare che, sebbene commisurato al reato con la pena edittale piu' grave, il termine decorrera' in ogni caso dall'avvio del trattamento. Con la conseguenza, davvero singolare, che il tempo a disposizione per le indagini sul fatto piu' grave sara' ridotto in misura corrispondente a tutta la custodia disposta per il reato precedentemente contestato, ed in ipotesi ridotto a pochi giorni. Nei casi di ordinanze "a catena" il fenomeno e' giustificato, certo per la necessita' di garantire dall'arbitrio il cittadino, ma, prima ancora, per il carattere non accidentale della riduzione del termine per il reato piu' grave (che, per definizione, avrebbe potuto essere prima indagato). Nel caso invece di pefetta "normalita" della dilazione (ancor oggi, dovrebbe considerarsi naturale che le indagini valgano a porre progressivamente in luce reati connessi) la conseguenza appare davvero abnorme: per il sol fatto d'essere stato precocemente catturato riguardo al furto della vettura, che poi si scopra essere stata da lui utilizzata per un omicidio, il fortunato destinatario della contestazione patrimoniale sara' irragionevolmente favorito, quale autore dell'omicidio (e non, si badi, quale ladro), rispetto a chi, nel caso analogo, veda accertate contemporaneamente l'una e l'altra responsabilita'. Per quanto si e' appena osservato, poi, risulta evidente come la nuova disposizione rompa anche la relazione tra durata della custodia e qualita' effettiva e concreta delle necessita' cautelari. Si arriverebbe, e forse si arrivera', al paradosso di misure da applicare per necessita' investigative nuove e complesse, scaturite ex novo dalla piu' recente notizia di reato, la cui durata sara' decisa non gia' con riguardo all'esaurimento di tali necessita', quanto piuttosto dalla portata casuale del "residuo" termine in corsa per tutt'altra fattispecie. Si arriverebbe, e forse si arrivera', ad omettere catture "obbligatorie" ex art. 275 comma 3, c.p.p., con la motivazione dell'essere il termine quasi interamente decorso pur nell'assenza della minima anticipazione probatoria sul tema. L'unica spiegazione sostanziale che si riesce ad elaborare per una siffatta scelta normativa, per la verita', e' quella d'una presunzione sfavorevole all'autorita' inquirente: non solo la presunzione della strumentalita' all'illecito prolungamento della custodia del ritardo d'una nuova cattura rispetto all'acquisizione della nuova notitia criminis, ma addirittura la presunzione che la stessa tardivita' della notizia rispetto a quella sfruttata per la prima contestazione sia frutto della volonta' di una artificiosa elusione della disciplina sui termini massimi della custodia. Solo in questa chiave, e cioe' immaginando che tutte le situazioni regolate siano analoghe nella sostanza, la disciplina recupererebbe omogenita': si tratterebbe sempre di contestazioni a catena, anche se provate diversamente (sulla base degli atti in un caso, e per presunzione juris et de jure nell'altro). Di nuovo, per la verita', apparirebbe contraddittoria la scelta di "salvare" le contestazioni tempestive ma successive alla prima per il sol fatto che, sulla prima, sia gia' stato disposto il giudizio. Ma in ogni caso si percepisce la portata di fatto assunta da una regola che ragionevole sarebbe solo a condizione che, sempre ed a qualsiasi latitudine, la stessa acquisizione progressiva delle risultanze (e cioe', si consenta, la fisiologia del procedimento investigativo), di qualunque risultanza (magari la confessione di un latitante di recente cattura), sia sospetta ed anzi frutto di comportamenti illeciti degli inquirenti (perche', di certo, rinviare a questi fini la stessa formazione della notizia di reato sarebbe oggetto di una condotta illecita). Se sembra costituzionalmente tollerabile che il legislatore risolva attraverso le presunzioni un problema di prova oggettivamente delicato, altrettanto non potrebbe dirsi a fronte di una presunzione assoluta. E non sembra dubbio che di questo si tratti, poiche' come si e' visto la disciplina non annette alcuna rilevanza nemmeno alla prova provata che nessun rinvio strumentale sia intervenuto a modulare la nuova cattura e, piu' radicalmente, l'acquisizione della nuova fonte di prova. Almeno nella parte in cui non consente di vagliare in concreto la situazione processuale - e cio' magari addirittura attraverso una mera inversione dell'onere della prova (si presume la strumentabilita' a meno che ...) - la nuova disciplina appare foriera di assimilazione irragionevole tra situazioni eterogenee, e di irragionevole distinzione tra situazioni assimilabili. La disamina dei casi di specie, oltreche' risolvere il problema della rilevanza della questione proposta, sembra utile anche ad evidenziare la portata della riforma, la sua operativita' oltre ogni logica di garanzia dei diritti del cittadino a fronte della inerzia o prevaricazione ad opera dell'amministrazione della giustizia. All'esito di lunghe e laboriose indagini su una delle piu' pericolose organizzazioni criminali operanti in Lombardia, di schietta matrice mafiosa, il pubblico ministero aveva formulato una richiesta di cattura con riguardo a numerossimi gravi reati. La richiesta, datata 7 giugno 1993, aveva assunto addirittura la forma di un provvedimento restrittivo (ordine di fermo del pubblico ministero) nei confronti di numerosi soggetti, ma per gli imputati che interessano, gia' detenuti per cause diverse, cio' non era avvenuto. Per costoro il trattamento cautelare si era avviato mediante il provvedimento conclusivo del complesso subprocedimento avviatosi con i fermi anzidetti, e cioe' con l'ordinanza riassuntiva di questo giudice in data 27 maggio 1994 (notificata a Sarlo il 7 giugno 1994, a Trovato l'8 giugno 1994 ed a Schettini il 27 giugno 1994). Il senso generale di quel provvedimento risiede nella contestazione dei numerossimi reati allora emersi grazie alle indagini sulla cosca capeggiata proprio da Antonio Schettini, Giuseppe Flachi e Franco Coco Trovato: una organizzazione dedita al narcotraffico (capo 34 della rubrica del provvedimento), con un livello superiore di schietta connotazione mafiosa (capo 158), dedita alla commissione di omicidi attuati per sbaragliare la concorrenza e proteggere gli interessi della associazione; in questa prospettiva, particolare rilevanza aveva assunto la cd "guerra coi Batti", dal nome della famiglia che capeggiava una organizzazione di spacciatori, contro la quale Coco e Flachi avevano proceduto per ragioni personali e di territorio, sterminando ad uno ad uno tutti i componenti di rilievo, a partire dal capo indiscusso di quel gruppo, e cioe' Salvatore Batti. A proposito della fisiologia dell'indagine. Compiendo una sintesi estrema va detto come, gravitando la prova in quel primo procedimento sulle dichiarazioni di criminali esterni alla organizzazione (come Salvatore Annacondia) o usciti dalla stessa in epoca remota (come Michele Di Donato), o fondandosi la prova stessa su circostanze accertate in presa diretta durante le attivita' criminali (grazie a pedinamenti ed intercettazioni iniziati nel 1992), il quadro delle contestazioni risultasse in certo senso generico. Erano stati individuati numerosissimi componenti della associazione per delinquere, tra i quali appunto Trovato, Schettini e Sarlo. Erano stati accertati alcuni dei fatti specifici piu' recenti. Ma per molti dei delitti del passato, soprattutto gli omicidi, s'era raggiunto un quadro indiziario grave solo con riguardo alla riferibilita' alla organizzazione, con la conseguenza, evidentemente, che solo i responsabili della deliberazione avevano potuto essere raggiunti dalla relativa contestazione cautelare. Tra i soggetti inquisiti nell'ambito della indagine in questione si trovavano Giorgio Tocci e Luigi Di Modica, oggi rei confessi, al pari di Schettini, dell'omicidio consumato in data 31 maggio 1992 ai danni di Alfonso Veggetti (da quella notte Schettini si trova detenuto). Tocci era stato un quadro dirigente della organizzazione di cui si e' detto, ed anche Di Modica (praticamente il plenipotenziario di Luigi "Jimmy" Miano nella gestione dei traffici gravitanti sul famoso autoparco di via Salomone), per la sua posizione di capo d'una organizzazione alleata, era informato di numerosissime circostanze. Entrambi gli imputati, durante tutto il corso della indagine, avevano negato la propria responsabilita' per qualsiasi reato, al pari del resto di circa 200 ulteriori indagati. Poi, ad indagine preliminari quasi ultimate, i due imputati in questione avevano deciso di ammettere le proprie responsabilita' e di collaborare con gli inquirenti. L'avvio di questa fase data al 7 giugno 1994 quanto a Giorgio Tocci, ed al 18 maggio 1994 per cio' che attiene a Luigi Di Modica. Inutile dire che non v'e' il minimo segnale, di alcun genere, che l'uno od entrambi dei nuovi collaboratori siano stati in qualche modo sollecitati a posticipare la propria scelta. La cosa, francamente, sarebbe stata del tutto assurda, a fronte di personaggi di rango cosi' elevato e in epoca in cui, semmai, si prospetta dalle Difese un presunto accanimento investigativo. Cio' soprattutto considerando che finalmente, essendosi trovate voci "interne" alla organizzazione, si accedeva alla descrizione diretta delle fasi di deliberazione e di esecuzione di molti omicidi: di qui il fenomeno, come si vede non strumentale ma perfettamente fisiologico, delle contestazioni ex art. 575 c.p. a molti degli associati gia' catturati in quanto tali; contestazioni che spesso duplicavano quelle che per lo stesso fatto, nei limiti del possibile, erano gia' state effettuate in precedenza, generalmente ai danni dei capi della organizzazione. Ad ogni modo, essendo ormai trascorso circa un anno dall'avvio dei trattamenti cautelari per molti degli indagati, il pubblico ministero aveva disposto la separazione del procedimento relativo a tutte le nuove notizie di reato (8 giugno 1994), promuovendo l'azione nel procedimento principale (8 luglio 1994). L'udienza preliminare, celebrata a far tempo dal 6 ottobre 1994, si era chiusa per quanto interessa col rinvio a giudizio di Schettini e Trovato (15 novembre 1994) avanti alla 2ΓΏ Corte di Assise di Milano (il dibattimento e' in corso dal 6 marzo 1995), mentre Mario Sarlo era pervenuto allo stesso risultato chiedendo il giudizio immediato (decreto del 5 ottobre 1994). Intanto, durante i mesi estivi del 1994, espletati rapidi quanto indispensabili accertamenti a riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori, il Pubblico Ministero era pervenuto alla formulazione di una corposissima nuova richiesta cautelare (13 settembre 1994): solo tre mesi, come giustamente si pone in rilievo, erano trascorsi dall'acquisizione della prima nuova chiamata in correita', due dei quali interamente compresi nel periodo feriale. Il 3 ottobre 1994, a meno di tre settimane dalla richiesta, era stata depositata una ordinanza cautelare che riguardava e riguarda centinaia di reati gravissimi, e circa una ottantina di persone (una contestazione per un solo episodio riguardo ad un solo imputato, allo stato, risulta annullata dagli organi del riesame e di legittimita'). Queste posizioni, con l'aggiunta di poche altre, rappresentano l'oggetto dell'odierno procedimento. Saranno chiare, a questo punto, le ragioni che hanno determinato la seguente sequenza delle accuse. Nell'ambito del proc. n. 12602/92 Mario Sarlo e' stato rinviato a giudizio: per appartenenza con funzioni organizzative ad un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ex art. 74 d.P.R. n. 309/90 (capo 34 della rubrica del proc. m. 12602/92.21); per appartenenza quale organizzatore ad un'associazione di stampo mafioso, ex art. 416 bis c.p. (capo 158 della rubrica); per detenzione di cocaina in parte consumata nello studio professionale del coimputato Andrea Tumbarello ex art. 110 c.p. 73 d.P.R. n. 309/'90 (capo 72); per estorsione aggravata ex art. 629, primo e secondo comma, c.p. in danno di Davalle Sonia e De Ponti Fabrizio (capo 73); per altra estorsione aggravata ex art. 629, primo e secondo comma, c.p. in danno di Davalle Sonia e De Ponti Fabrizio (capo 74 della rubrica); per detenzione di altra cocaina in parte consumata nell'abitazione di De Pierro Cosimo ex art. 110 c.p., 73 d.P.R. n. 309/'90 (capo 76); per detenzione di altra cocaina in parte consumata nell'abitazione di Zappala' Benito ex art. 110 c.p., 73 d.P.R. n. 309/'90 (capo 77); per detenzione e porto di una pistola in una precisa occasione, ex artt. 81 cpv. c.p., 10, 12 e 14 legge 497/74 (capo78); per falsificazione dei documenti d'identita' sequestratigli all'atto del suo arresto da latitante (capo 163). Per tutti questi reati Mario Sarlo e' detenuto dal 7 giugno 1994. Nel presente procedimento, invece, il Sarlo e' stato raggiunto da provvedimento cautelare - ed il p.m. (ha richiesto il suo rinvio a giudizio - per i seguenti reati: omicidio di Paolo Cirnigliaro (Milano, 10 novembre 1990) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione del veicolo rubato usato nell'azione (capi 5, 6 e 7 della rubrica); omicidio di Angelo Maccarrone (Cormano, 18 dicembre 1990) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione del veicolo rubato usato nell'azione (capi 8, 9, e 10 della rubrica); omicidio di Salvatore De Vitis (Cusano Milanino, 7 maggio 1991) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione del veicolo rubato usato nell'azione (capi 19, 20 e 21 della rubrica); duplice omicidio di Aydemir Aydin ed Altintas Ali' (Nova Milanese, tra il 25 ottobre 1991 ed il 30 ottobre 1991) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione dei veicoli rubati usati nell'azione (capi 24, 25 e 26 della rubrica); tentato omicidio di Giorgio Tocci (Milano, 16 maggio 1992) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione del veicolo rubato usato nell'azione (capi 35, 36 e 37 della rubrica); omicidio di Alfonso Veggetti e tentato omicidio di Matteo Palumbo (Cinisello Balsarno, 30 maggio 1992) e connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione dei veicoli rubati usati nell'azione (capi 38, 39 e 40 della rubrica); corruzione di Nuzzo Giorgio ex art. 319 c.p. (capo 50); traffici ad alto livello di cocaina (capo 53) ed eroina (capo 54). Per tutti questi reati Mario Sarlo e' detenuto dal 20 ottobre 1994. Nel procedimento n. 12602/92 Amtonio Schettini e Franco Coco Trovato sono stati rinviati a giudizio, tra l'altro: omicidio consumato in danno di Luigi "Ciro" Batti, avvenuto in Milano il 18 settembre 1990 (capi 46/48 di quella rubrica). ll Batti era figlio di Francesco, e dunque nipote del Salvatore che qui interesa; omicidio consumato in danno di Francesco Batti, avvenuto in Milano il 15 o 16 ottobre 1990 (capi 49/50 della rubrica); omicidio consumato in danno di Salvatore Batti, fatto avvenuto in S. Giorgio Vesuviano, il 23 dicembre 1990 e per i connessi reati in tema di armi (capi 164 e 165 della rubrica). omicidio consumato in danno di Rosalinda Traditi, avvenuto in Milano il 28 febbraio o il 1 marzo 1991 (capi 56/57 della rubrica). La Rosalindi era la moglie separata di Luigi Ciro Batti. Per questi reati Franco Trovato e' detenuto dall 8 giugno 1994, e Antonio Schettini e' detenuto dal 27 giugno 1994. Fa eccezione il solo gruppo delle contestazioni riguardanti l'omicidio consumato di Salvatore Batti, per il quale i due imputati sono stati rinviati a giudizio in condizione di liberta' Nel presente procedimento, invece, il Trovato e lo Schettini sono stati raggiunti da provvedimento cautelare - ed il p.m. ha chiesto il loro rinvio a giudizio - tra l'altro per i seguenti reati: tentativo di omicidio aggravato in danno dello stesso Salvatore Batti, avvenuto in Terziglio il 30 giugno 1990, e connessi reati in materia di armi (capi 1 e 2). Era in pratica avvenuto che, maturata dall'organizzazione criminale la decisione di eliminare il capo del gruppo antagonista, vi fosse stato un primo tentativo nel giugno 1990 (era rimasta ferita solo la figlia di Batti), e poi l'agguato successivo e definitivo del dicembre 1990. Per questi reati Franco Trovato e' detenuto dal 24 novembre 1994, e Antonio Schettini e' detenuto dal 15 ottobre 1994. Risulta evidente allora che, sul solo presupposto ulteriore della connessione con i reati contestati mediante l'ordinanza del 27 maggio 1994, il termine di decorrenza per i delitti ascritti nel nuovo procedimento a Sarlo, Trovato e Schettini mediante l'ordinanza del 3 ottobre 1994 andrebbe individuato nella data di notifica del provvedimento piu' remoto. Infatti le nuove di notizie di reato, come risulta dalla cronologia sopra esposte, erano note agli atti prima che, nel procedimento originario, fosse disposto il giudizio. Lo stesso pubblico ministero, come si e' visto, ammette la ricorrenza di una connessione qualificata tra alcuni dei reati contestati a Sarlo nell'ambito del procedimento gia' "definito" ed alcuni degli illeciti per i quali si procede nella sede presente. Addirittura di propria iniziativa, poi, lo stesso pubblico ministero identifica la connessione che rileva tra i reati che nel complesso interessano le posizioni Schettini e Trovato. In verita' proprio queste ultime danno luogo ad una fattispecie "scolastica" di delitto continuato. Non v'e' dubbio che, stando alla prospettazione accusatoria, siano state le stesse persone a tentare prima l'omicidio riuscito poi; non v'e' dubbio che cio' fosse accaduto in attuazione proressiva di un'unica determinazione omicida, maturata ben prima del reato piu' remoto e meno grave; non v'e' dubbio infine - la cosa va specificata in quanto non si e' mai avviato il trattamento cautelare per il delitto di omicidio consumato in danno di Salvatore Batti - che la deliberazione omicida avesse compreso anche lo sterminio degli altri componenti della cosca rivale, tra i quali almeno Luigi Batti, suo padre Francesco e sua moglie Rosalinda. Sussiste quindi indiscutibile connessione tra il reato di piu' recente contestazione e delitti per i quali e' stata disposta la cattura oltre un anno orsono. Resta da dire, solo, che la progressivita' della contestazione e' pienamente giustificata dalla progressivita' in concreto dell'acquisizione delle fonti di prova. All'epoca di adozione dell'ordinanza cautelare datata 27 maggio 1994 si disponeva di informazioni che rendevano fortemente credibile la responsabilita' del gruppo Coco/Schettini per la doppia aggressione in danno del Batti, e che tuttavia non consistevano notizie dirette circa le responsabilita' individuali per la deliberazione e la esecuzione delle iniziative criminose (quelle informazioni sono riassunte alle pagine 274/276 dell'ordinanza cautelare 3 ottobre 1994). I fattori di prova realmente decisivi per la contestazione furono e sono rappresentati dalle dichiarazioni accusatorie di Giorgio Tocci. Non sara' inutile aggiungere che il p.m., pure avendo proceduto come sopra si accennava a "riversare" le fonti di prova sopravvenute in un nuovo procedimento, aveva opportunamente provveduto a rendere "pubblica" l'acquisizione delle nuove emergenze sulle aggressioni in danno di Salvatore Batti, depositando gli estratti pertinenti nei verbali di Tocci e Di Modica unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio nel primo procedimento, e contestualmente promuovendo l'azione contro Flachi, Schettini e Trovato (non fu chiesta anche la loro cattura, presumibilmente per l'esistenza di altri titoli detentivi per fatti diversi, ma - si noti - quella cattura non e' stata richiesta neppure nel procedimento attuale). Vero dunque che le nuove notizie di reato precedettero il rinvio a giudizio relativamente gia' ai delitti contestati col provvedimento cautelare del 27 maggio 1994. Vero anche, pero', che quelle notizie avevano seguito di molti mesi le fonti sottese al primo provvedimento restrittivo, e sono poi state tempestivamente sfruttate, a fini cautelari, col provvedimento del 3 ottobre 1994. Rilievi in tutto analoghi possono farsi quanto alla posizione di Mario Sarlo, catturato dapprima per i delitti associativi e per i fatti relativamente secondari denunciati da Sonia Davalle, e individuato poi quale coautore di molti degli omicidi compiuti dalla organizzazione solo a seguito delle dichiarazioni di Tocci e Di Modica. Non sembra seriamente contestabile la connessione qualificata tra i reati tra i quali si e' fatto sommariamente cenno, la cosa pare particolarmente evidente relativamente alla eliminazione di vari componenti della famiglia Batti (famiglia in senso parentale e criminale), e puo' essere rapidamente enunciata anche per una parte dei delitti concernenti Mario Sarlo: lo stesso p.m. ha ravvisato ai fini che interessano continuazione tra i delitti di prima contestazione e le fattispecie di narcotraffico delineate ai capi 53 e 54 della attuale rubrica. Va poi notato, sebbene la questione assuma ormai solo rilievo formale, che si identifica ragionevolmente continuazione tra una parte almeno degli omicidi contestati a Sarlo in seconda battuta e le fattispecie associative per le quali e' gia' stato rinviato a giudizio: la pertinenza di quei fatti ad un disegno criminoso comprendente le condotte associative incentrate sulla organizzazione per il narcotraffico, e piu' ancora sul suo livello mafioso, e' stata ad esempio affermata nei provvedimenti che questo ufficio ha pronunciato sulla competenza territoriale nell'ambito della udienza preliminare celebrata fino al 15 novembre 1994 ed in questa stessa udienza. Alla luce delle circostanze sommariamente enunciate deve concludersi che per tutte le tre produzioni in esame, in applicazione della legge vigente, dovrebbe essere riconosciuta ex art. 303 c.p.p. la inefficacia sopravvenuta della misura cautelare in corso di esecuzione. Sussiste quindi la condizione di rilevanza cui la legge subordina l'eccezione di legittimita' costituzionale. Un'ultima annotazione: esattamente il p.m. rileva che per il delitto di corruzione ascritto a Mario Sarlo mediante il capo 50 della rubrica il termine massimo della custodia, pari a tre mesi, e' gia' da tempo scaduto. Relativamente a quel delitto, dunque, va adottato un provvedimento di scarcerazione.