IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Visti  gli  atti  del procedimento penale contro Di Modica Luigi ed
 altri, per i delitti di associazione per il  narcotraffico,  omicidio
 volontario  pluriaggravato,  violazione  della disciplina delle armi,
 violazione della disciplina degli stupefacenti, corruzione  per  atto
 contrario ai doveri dell'ufficio, ecc.;
   Vista  in particolare l'istanza formulata in data 8 settembre 1995,
 nel corso della udienza preliminare, affinche' sia dichiarata ex  art
 303  c.p.p.,  in applicazione del nuovo testo dell'art. 297, comma 3,
 c.p.p., la inefficacia  sopravvenuta  della  misura  cautelare  della
 custodia  in  carcere  attualmente  applicata  nei confronti di Sarlo
 Mario  Pasquale,  nato  a  S.  Pietro  Carida'  il  21  maggio  1949,
 attualmente  detenuto  presso  la  casa  circondariale  S. Vittore di
 Milano, difeso dagli avvocati Giuseppe Bamonte e  Daniele  Ripamonti,
 entrambi del foro di Milano;
   Vista  la  missiva  del  pubblico  ministero,  pervenuta in data 12
 settembre 1995, con la quale si richiede che l'istanza difensiva  sia
 accolta  limitatamente  ai  reato  sub  capo 50) della rubrica, e sia
 respinta limitatamente ai restanti reati, con la sola  eccezione  dei
 delitti  di cui ai capi 53) e 54) della rubrica, rispetto ai quali si
 chiede  sia  proposta  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  297,  comma  3,  c.p.p.  per  contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione.
   Rilevato che di propria  iniziativa,  con  la  missiva  citata,  il
 pubblico  ministero  ha rilevato l'intervenuta decorrenza del termine
 massimo della custodia, relativamente ai delitti di cui ai capi 1)  e
 2) della rubrica, con riguardo a Schettini Antonio, nato a Portici il
 29 gennaio 1957, attualmente detenuto presso la casa circondariale S.
 Vittore di Milano, difeso dagli avvocati Vincenzo Mavilla del foro di
 Milano  e  Michele  Bruno del foro di Napoli e Trovato Franco, nato a
 Mercedusa il 2 maggio  1947,  attualmente  detenuto  presso  la  casa
 circondariale  S.  Vittore  di Milano, difeso dagli avvocati Giuliano
 Spazzali del foro di Milano ed Emidio Tommasini del  foro  di  Reggio
 Calabria;
   Rilevato  come anche per detti due imputati, con la missiva citata,
 si chieda dal  pubblico  ministero  sia  sollevata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  297,  comma 3, c.p.p., nella
 nuova formulazione, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
 O s s e r v a
   Che l'istanza difensiva  concernente  Mario  Sarlo  e'  pressocche'
 integralmente  fondata,  cosi' come fondata risulta l'indicazione del
 pubblico ministero relativamente ai coimputati Schettini  e  Trovato.
 Dovrebbe  pervenirsi,  quindi,  ad  un generalizzato provvedimento di
 scarcerazione per decorrenza dei termini massimi della custodia.    E
 tuttavia,  chiaro  restando  che  le  palesi  e  pressanti necessita'
 cautelari (affermate e ribadite per questi imputati, come per  altri,
 da  decine  di  provvedimenti ad ogni livello) non assumono rilevanza
 sul terreno da praticarsi in questa  sede,  deve  rilevarsi  come  la
 nuova  legge  pervenga al "comando" di scarcerazione pur nell'assenza
 totale di ciascuno dei  fattori  d'allarme  cui  ragionevolmente,  in
 altri  casi,  potrebbe  collegarsi  la  "sanzione"  d'una  decorrenza
 precoce del termine  per  la  custodia.  Si  tornera'  immediatamente
 sull'argomento.    Certo  e'  che  il sospetto di un contrasto tra la
 scelta dei riformatori e l'art. 3 della Costituzione, nella misura in
 cui questa  norma  pone  un  limite  di  ragionevolezza  alle  scelte
 legislative che accomunano o discriminano le situazioni regolate, non
 potrebbe  certo  dirsi  manifestamente infondato.   E' preliminare ad
 ogni   altra   considerazione   un   vaglio   circa   il   fondamento
 dell'interpretazione  che,  di  fatto,  si e' proposta in ordine alla
 disciplina dell'art.    297,  comma  3,  c.p.p.,  nella  formulazione
 introdotta  ex art. 12 della legge n. 332/1995. Non sembra dubbio che
 la norma estenda enormemente  i  casi  che  la  giurisprudenza  aveva
 solitamente definito mediante il riferimento ad una concatenazione di
 addebiti:   al  fenomeno  cioe'  della  diluizione  nel  tempo  della
 contestazione cautelare di reati, cosi' da prolungare, ben  oltre  la
 scadenza   dei  termini  della  custodia  per  la  prima  fattispecie
 addebitata, la situazione materiale di  detenzione  dell'interessato.
 La  giurisprudenza,  formatasi  nel  vigore  del  codice  Rocco e poi
 reiteratasi con la nuova legge processuale, aveva  per  altro  sempre
 limitato  la  fattispecie  - e cioe' la retrodatazione del termine di
 decorrenza della custodia rispetto  all'epoca  di  notificazione  del
 provvedimento  piu'  recente  -  alle  ipotesi di artificioso ritardo
 nella contestazione dei fatti, che  invece  avrebbero  potuto  essere
 tutti  addebitati  in  unico  o  comunque piu' remoto contesto (sulla
 inutilita' o addirittura sul carattere colpevole  del  ritardo  nella
 contestazione aggiuntiva, per limitarsi alla giurisprudenza sul nuovo
 codice,  cfr.   Cass. sez. 6a feb. 1990, in Cass. pen. mass. 1990, p.
 1571; Cass. sez. 1a 15 apr. 1991, in Cass. pen. mass. 1992,  p.  377;
 Cass.  sez  1a  2  dic. 1991, in Cass.  pen. mass. 1993, p. 89; Cass.
 sez. 1a 25 feb.1992, in Cass. pen.  mass. 1993, p. 1045).  Per quanto
 sembri  strano,  la  nuova  norma  non  richiede  affatto,   per   la
 retrodatazione,  che  la  contestazione  cautelare  piu'  recente sia
 tardiva. E' una soluzione gia' evidente  quando  si  legga  la  prima
 parte  del  terzo comma, laddove l'effetto e' collegato unicamente al
 rapporto di connessione qualificata tra i reati, senza alcun riguardo
 all'epoca  di  acquisizione   delle   distinte   notitiae   criminis.
 D'altronde  la  seconda  parte  della  norma fornisce una conferma al
 contrario:   la retrodatazione sara'  impedita  dalla  prova  che  la
 conoscenza dei fatti di nuova contestazione e' stata tardiva, ma solo
 a  condizione  che  per i fatti di piu' remota contestazione sia gia'
 intervenuto il rinvio a giudizio.  Dal  che  si  deduce  che,  se  la
 tardivita'  della  contestazione  rispetto  alla cognizione e' sempre
 causa di retrodatazione della decorrenza,  la  sua  dipendenza  dalla
 obiettiva  tardivita'  della  cognizione  impedisce la retrodatazione
 solo per il caso di  rinvio a giudizio medio tempore intervenuto.  Si
 deduce,  in altre parole, che nel corso delle indagini preliminari la
 decorrenza del termine va  fissata  al  giorno  della  prima  cattura
 quand'anche  per  i  nuovi  reati  la  notitia  criminis sia di molto
 successiva.  Poiche' sembra principio indiscutibile quello  che  ogni
 reato  dia  eventualmente luogo ad un trattamento cautelare, e che il
 trattamento abbia una durata connessa alla gravita' del reato stesso,
 occorre stabilire in quali casi e per quali ragioni  la  legge  possa
 ragionevolmente  derogare  a  tale  principio. Non v'e' dubbio che la
 base della deroga continui ad  essere  l'esigenza  di  precludere  le
 contestazioni  a  catena.    Cio' per un verso alla luce del contesto
 normativo di adozione della disciplina, e per altro verso  alla  luce
 della  "spia"  rappresentata  dalla  seconda  parte  della norma, che
 annette  rilevanza,  in  casi   limitati,   alla   tardivita'   della
 cognizione.  Dunque  dovrebbe  essere  stato  sancito il perdurare di
 quella comparazione di interessi che, da tempo  sottesa  all'istituto
 della  retrodatazione  in  funzione  di  garanzia contro l'inerzia (o
 peggio) dell'inquirente, non aveva salvo  errore  mai  dato  adito  a
 sospetti di incostituzionalita': si consente la privazione
  della  liberta'  per ciascun reato ed in misura proporzionale, ma si
 pretende  che  la  contestazione  sia  tempestiva,  pena  appunto  la
 "perdita",  ai  fini cautelari, del periodo intercorso tra la "nuova"
 notizia ed il  suo  sfruttamento  per  la  custodia.    Ma  il  nuovo
 legislatore,  come si e' visto, e' andato ben oltre, privando di ogni
 rilevanza  il  dato  scriminante  dello  iato  tra  possibilita'   ed
 effettivita'  della  nuova contestazione. E' probabile che dall'esame
 dei  lavori  preparatori  sia  desumibile  la  reale  intenzione  dei
 riformatori.    Fin  d'ora  occorre  pero'  chiedersi  se  esista una
 finalita'  legittimante  che  ispiri  la  disciplina  e   che   renda
 indifferente,   ai   fini  del  trattamento,  la  perdita  del  fatto
 scriminante fino ad oggi risolutivo, e cioe' il carattere strumentale
 della dilazione nel tempo  dei  provvedimenti  restrittivi.    Sembra
 evidente  che  l'applicazione  di  siffatta  disciplina, ove ne venga
 stabilita la  compatibilita'  costituzionale,  comportera'  di  fatto
 fenomeni  rilevantissimi:  frazionamento  esasperato dei procedimenti
 (ogni rinvio a giudizio "proteggera'" la  possibilita' cautelare  per
 i  reati  di  futuro  accertamento),  aggravamento  della  logica  di
 sommarieta' nell'indagine che gia' caratterizza il sistema voluto dal
 legislatore del 1988, tardivita' della prima contestazione  cautelare
 rispetto  al  grado  di  sviluppo della indagine, ecc.   Tutte queste
 conseguenze  non  sono  francamente   proponibili   quali   obiettivi
 perseguiti  dal  legislatore  dell'agosto  1995.  Probabilmnte, se si
 vuole escludere l'eventualita' di  una  legiferazione  che  di  fatto
 abbia ecceduto l'intenzione, la disciplina ha risentito del dibattito
 politico-istituzionale  su  altri temi, come ad esempio quello dei cd
 collaboratori di giustizia e dei problemi connessi  alla  gradualita'
 delle loro rivelazioni.
   E   tuttavia,   se   anche  cosi'  fosse,  la  conclusione  sarebbe
 indifferente sul terreno che qui va praticato.  Non  appartiene  alla
 valutazione  giudiziale  la  questione  dei  limiti  legali  da porre
 eventualmente  all'utilizzazione  di  una  notitia  criminis.  E  non
 interessa  qui stabilire quanto corretta sarebbe la trasposizione sul
 piano  del  trattamento   cautelare   di   meccanismi   orientati   a
 "costringere"  entro  limiti  stretti  l'utilita' dei collaboratori a
 fini di accertamento  delle  responsabilita',  in  genere  per  gravi
 reati,   ed  in  regime  di  perdurante  ragionevolezza  dei  termini
 prescrizionali e di perdurante  obbligatorieta'  dell'azione  penale.
 Certo e', comunque, che la disciplina avrebbe di fatto accomunato una
 serie di situazioni assimilabili solo su terreni del tutto eccentrici
 rispetto  a  quello  cui  specificamente  e' pertinente la disciplina
 stessa,  e  cioe'  quello  dei  limiti  di  durata  del   trattamento
 cautelare.
   Non  v'e'  da  stupirsi,  in  queste  condizioni,  che  il pubblico
 ministero, portatore (nel suo ruolo  di  parte)  dell'interesse  alla
 maggior  funzionalita' del processo quale mezzo per la composizione e
 la prevenzione dei piu'  gravi  conflitti  interumani,  obietti  alla
 nuova  disciplina  la  serieta'  che,  sotto  qualche profilo almeno,
 caratterizza le relative  implicazioni.  Non  sembra  inutile  citare
 parte  della  missiva  meglio  indicata  nell'epigrafe: "gli indagati
 detenuti per piu' ordinanze di custodia cautelare, anche se per reati
 di pari gravita', si  vengono  a  trovare  in  situazioni  diverse  a
 seconda  che  la  notizia  di  reato  connesso,  oggetto  del secondo
 provvedimento, venga acquisita o meno in prossimita' del  decreto  di
 rinvio  a  giudizio  disposto  per  il  primo  fatto:  nel primo caso
 potrebbero avere maturato pressocche' istantaneamente il diritto alla
 scarcerazione per decorrenza dei  termini  della  custodia  cautelare
 relativamente ai reati tardivamente emersi; nel secondo caso, potendo
 lo  stesso  p.m.  sfruttare un piu' ampio periodo di tempo per le sue
 determinazioni, il detenuto ben difficilmente  potrebbe  maturare  il
 diritto  a quella scarcerazione. Addirittura, nel primo caso, qualora
 la notizia di reato fosse acquisita pochi giorni prima del  rinvio  a
 giudizio,  il  p.m.,  contrariamente al secondo caso, sarebbe persino
 privato del potere-dovere di richiedere un  provvedimento  cautelare,
 potendosi trovare dinanzi ad una situazione di un termine di custodia
 decorso  (o  molto  prossimo a decorrere) prima ancora dell'emissione
 del titolo di detenzione (ne' e' ipotizzabile che, in tali  casi,  il
 p.m.  possa  richiedere  la proroga del termine di custodia cautelare
 per  il  reato  tardivamente  conosciuto,  prima  ancora,  cioe',  di
 richiedere l'emissione del provvedimento cautelare).
   Gli  indagati  detenuti,  anche  se  per reati di pari gravita', si
 vengono a trovare in situazioni diverse a seconda che la  notizia  di
 reato  connesso, oggetto di un secondo provvedimento cautelare, venga
 acquisita, indipendentemente dalla data di acquisizione, nello stesso
 procedimento o in procedimento diverso. Infatti, con riferimento,  ad
 es.,  all'acquisizione della notizia di reato del tentato omicidio di
 Salvatore Batti, e'  evidente  che,  qualora  si  fosse  trattato  di
 notizia emersa nella stessa data ma nell'ambito di altro procedimento
 (pendente,  ad  es.,  presso  altra  sede  giudiziaria o presso altro
 magistrato dello stesso ufficio), non sarebbe applicabile il comma  3
 dell'art.    297  c.p.p.  in  quanto non ci si troverebbe di fronte a
 "fatto desumibile dagli atti prima del rinvio a giudizio". A  seconda
 del "luogo giuridico" di acquisizione della notizia di reato, dunque,
 pur  in  situazioni  analoghe,  i  cittadini  potrebbero  trovarsi in
 situazioni opposte:  legittimamente detenuti in un  caso,  scarcerati
 per    decorrenza  termini  (o  addirittura certi di non poter essere
 raggiunti da provvedimento cautelare)   nell'altro ...  Inoltre,  per
 effetto  della  assenza  di qualsiasi norma transitoria che ne rinvii
 ragionevolmente  l'applicazione,  l'art.  297,   comma   3,   c.p.p.,
 determina  disparita'  di    trattamento  tra  imputati  detenuti  in
 procedimenti complessi e nella identica situazione a seconda  che  la
 legge  di modifica 8 agosto 1995, n. 332, sia entrata in vigore prima
 o dopo il promuovimento dell'azione penale nel primo  caso,  infatti,
 contrariamente  al secondo, il p.m.  potra' richiedere la proroga dei
 termini della custodia cautelare ex art.  305, comma 2, c.p.p.;  cio'
 indipendentemente  dal  grado di diligenza del p.m., tanto che, anzi,
 solo quello che non si sara' preoccupato di chiudere  rapidamente  le
 indagini  preliminari  potra'  ancora  esercitare  i suoi diritti, il
 tutto  con  ovvio  diverso  trattamento  degli  indagati  o  imputati
 detenuti in identica situazione".
   Ad   alcune   delle   conseguenze   illustrate  dal  rappresentante
 dell'accusa  potrebbe  guardarsi  come  ad  inconvenienti   che   non
 dipendano dal principio di diritto posto dalla normativa (anche se la
 stessa,  come  ogni  normativa,  dovrebbe  pur  essere valutata nelle
 conseguenze  che  collega  ai  dati  ineliminabili   della   concreta
 attivita'  giudiziaria,  a  partire  dalle  infinite  casualita'  che
 governano la formazione del fascicolo  nelle  indagini  preliminari).
 D'altronde  l'obiettiva  e  grave  difficolta'  che  l'assenza di una
 disposizione transitoria  introduce  nei  processi  in  corso  (nella
 specie  avrebbe  potuto  tranquillamente  richiedersi  la proroga dei
 termini della custodia, che oggi non e'  piu'  possibile  per  essere
 stata   chiusa   la  fase  delle  indagini  preliminari)  provoca  la
 comprensibile doglianza della  parte  che  vede  cambiata  la  regola
 durante   il   gioco,   ma   non   sembra  attingere  al  tema  della
 discriminazione tra i cittadini innanzi alla  legge.    Sembra  pero'
 evidente   che   la  nuova  normativa,  quale  criterio  generale  di
 regolazione della durata della custodia cautelare, parifica  in  modo
 irragionevole    situazioni   assolutamente   eterogenee.   Parifica,
 anzitutto, la  posizione  di  coloro  che  si  sarebbero  trovati  in
 condizione  di  "giovarsi"  d'una nuova contestazione piu' tempestiva
 (coloro cioe'  per  i  quali  l'a.g.  abbia  centellinato  nel  tempo
 l'utilizzazione  cautelare  dei  dati  indiziari  gia' raccolti) alla
 posizione  di  indagati  per  i  quali  la  tardivita'  della   nuova
 contestazione  dipenda esclusivamente dalla tardivita' della relativa
 acquisizione indiziaria. Ma resta diversificata, nel contempo,  anche
 la   situazione   di   soggetti   che   -  parimenti  interessati  da
 contestazioni cautelari tempestive in rapporto a nuove investigazioni
 - abbiano visto o meno disporre il giudizio rispetto al reato di piu'
 remota contestazione: il rinvio  a  giudizio  e'  fatto  indifferente
 quanto    alla  necessita' specialpreventiva ed al rischio di fuga (e
 spesso anche per l'inquinamento della prova, notoriamente destinata a
 formarsi nel dibattimento); il  rinvio  a  giudizio,  oltretutto,  e'
 frutto dell'iniziativa incontrollabile del p.m. e del giudice. Ne' si
 obietti  che  proprio  le  cadenze processuali, nel sistema, hanno il
 ruolo di consentire un allungamento della custodia  in  attesa  della
 sentenza  irrevocabile:  qui  si  parla,  per entrambe le situazioni,
 della durata della custodia con riguardo ad un procedimento (e per un
 reato) in fase di indagini  preliminari.
   Si consideri che la disciplina,  in  numerosissimi  casi,  potrebbe
 comportare  di  fatto un completo   abbandono di necessita' cautelari
 attualissime, in modo ancora una volta scollegato da ogni ragionevole
 contemperamento tra interessi di  garazia  individuale  e  necessita'
 sociali.  La durata del termine per la custodia e' posta generalmente
 in  relazione  alla  gravita'  del  reato,  sulla  base  di  evidenze
 statistiche:    si  tratta di un serio parametro di misurazione della
 pericolosita', e si tratta in  genere  di  fatti  per  i  quali  piu'
 difficoltose  si  presentano  le  indagini.  Ora,  la  novella  rompe
 completamente la relazione  tra  gravita'  del  fatto  e  durata  del
 trattamento  cautelare,  almeno  in  tutti  i casi nei quali la prima
 cattura riguardi un fatto di gravita' pari  o  minore  a  quella  del
 reato di successiva contestazione. E' agevole infatti constatare che,
 sebbene  commisurato  al  reato  con  la pena edittale piu' grave, il
 termine decorrera' in ogni caso dall'avvio del  trattamento.  Con  la
 conseguenza,  davvero  singolare,  che il tempo a disposizione per le
 indagini sul fatto piu' grave sara' ridotto in misura  corrispondente
 a tutta la custodia disposta per il reato precedentemente contestato,
 ed  in  ipotesi  ridotto  a  pochi giorni.   Nei casi di ordinanze "a
 catena" il fenomeno e'  giustificato,  certo  per  la  necessita'  di
 garantire  dall'arbitrio  il  cittadino,  ma,  prima  ancora,  per il
 carattere non accidentale della riduzione del termine  per  il  reato
 piu'  grave  (che,  per  definizione,  avrebbe  potuto  essere  prima
 indagato). Nel caso invece di  pefetta  "normalita"  della  dilazione
 (ancor  oggi,  dovrebbe considerarsi naturale che le indagini valgano
 a porre progressivamente  in  luce  reati  connessi)  la  conseguenza
 appare  davvero abnorme: per il sol fatto d'essere stato precocemente
 catturato  riguardo  al furto della vettura, che poi si scopra essere
 stata da lui utilizzata per un omicidio,  il  fortunato  destinatario
 della  contestazione  patrimoniale  sara' irragionevolmente favorito,
 quale autore dell'omicidio (e non, si badi, quale ladro), rispetto  a
 chi,  nel  caso  analogo,  veda  accertate contemporaneamente l'una e
 l'altra responsabilita'.   Per quanto si e'  appena  osservato,  poi,
 risulta  evidente come la nuova disposizione rompa anche la relazione
 tra durata della custodia  e  qualita'  effettiva  e  concreta  delle
 necessita'  cautelari.  Si  arriverebbe,  e  forse  si  arrivera', al
 paradosso di misure da applicare per necessita' investigative nuove e
 complesse, scaturite ex novo dalla piu' recente notizia di reato,  la
 cui durata sara' decisa non gia' con riguardo all'esaurimento di tali
 necessita',  quanto  piuttosto  dalla  portata  casuale del "residuo"
 termine in corsa per tutt'altra fattispecie.  Si arriverebbe, e forse
 si arrivera', ad omettere catture "obbligatorie" ex art. 275 comma 3,
 c.p.p., con la motivazione dell'essere il termine  quasi  interamente
 decorso  pur  nell'assenza  della minima anticipazione probatoria sul
 tema.  L'unica spiegazione sostanziale che si riesce ad elaborare per
 una siffatta scelta  normativa,  per  la  verita',  e'  quella  d'una
 presunzione   sfavorevole   all'autorita'  inquirente:  non  solo  la
 presunzione della  strumentalita'  all'illecito  prolungamento  della
 custodia  del  ritardo  d'una nuova cattura rispetto all'acquisizione
 della nuova notitia criminis, ma addirittura la  presunzione  che  la
 stessa  tardivita'  della  notizia rispetto a quella sfruttata per la
 prima contestazione sia frutto  della  volonta'  di  una  artificiosa
 elusione della disciplina sui termini massimi della custodia. Solo in
 questa  chiave,  e cioe' immaginando che tutte le situazioni regolate
 siano  analoghe   nella   sostanza,   la   disciplina   recupererebbe
 omogenita':  si  tratterebbe sempre di contestazioni a  catena, anche
 se provate diversamente (sulla base degli atti  in  un  caso,  e  per
 presunzione  juris  et de jure nell'altro). Di nuovo, per la verita',
 apparirebbe contraddittoria la scelta di "salvare"  le  contestazioni
 tempestive  ma  successive  alla  prima  per  il sol fatto che, sulla
 prima, sia gia' stato disposto  il  giudizio.  Ma  in  ogni  caso  si
 percepisce  la portata di fatto assunta da una regola che ragionevole
 sarebbe solo a condizione che, sempre ed a qualsiasi  latitudine,  la
 stessa   acquisizione  progressiva  delle  risultanze  (e  cioe',  si
 consenta, la fisiologia del procedimento investigativo), di qualunque
 risultanza  (magari  la  confessione  di  un  latitante  di   recente
 cattura), sia sospetta ed anzi frutto di comportamenti illeciti degli
 inquirenti  (perche',  di  certo,  rinviare  a  questi fini la stessa
 formazione della notizia di reato sarebbe  oggetto  di  una  condotta
 illecita).   Se   sembra   costituzionalmente   tollerabile   che  il
 legislatore risolva attraverso le presunzioni un  problema  di  prova
 oggettivamente  delicato,  altrettanto non potrebbe dirsi a fronte di
 una presunzione assoluta. E  non  sembra  dubbio  che  di  questo  si
 tratti,  poiche'  come  si  e' visto la disciplina non annette alcuna
 rilevanza nemmeno alla prova provata che  nessun  rinvio  strumentale
 sia  intervenuto  a  modulare  la nuova cattura e, piu' radicalmente,
 l'acquisizione della nuova fonte di prova. Almeno nella parte in  cui
 non  consente  di  vagliare in concreto la situazione processuale - e
 cio' magari addirittura attraverso  una  mera  inversione  dell'onere
 della  prova  (si  presume  la  strumentabilita' a meno che ...) - la
 nuova disciplina appare foriera di  assimilazione  irragionevole  tra
 situazioni  eterogenee, e di irragionevole distinzione tra situazioni
 assimilabili.
   La disamina dei casi di specie,  oltreche'  risolvere  il  problema
 della  rilevanza  della  questione  proposta,  sembra  utile anche ad
 evidenziare la portata della riforma, la sua operativita' oltre  ogni
 logica di garanzia dei diritti del cittadino a fronte della inerzia o
 prevaricazione ad opera dell'amministrazione della giustizia.
   All'esito  di  lunghe  e  laboriose  indagini  su  una  delle  piu'
 pericolose  organizzazioni  criminali  operanti  in   Lombardia,   di
 schietta  matrice  mafiosa, il pubblico ministero aveva formulato una
 richiesta di cattura con  riguardo  a  numerossimi  gravi  reati.  La
 richiesta,  datata  7 giugno 1993, aveva assunto addirittura la forma
 di  un  provvedimento  restrittivo  (ordine  di  fermo  del  pubblico
 ministero)  nei  confronti  di numerosi soggetti, ma per gli imputati
 che interessano, gia'  detenuti  per  cause  diverse,  cio'  non  era
 avvenuto.  Per  costoro  il  trattamento  cautelare  si  era  avviato
 mediante il provvedimento conclusivo  del  complesso  subprocedimento
 avviatosi  con i fermi anzidetti, e cioe' con l'ordinanza riassuntiva
 di questo giudice in data 27 maggio 1994 (notificata  a  Sarlo  il  7
 giugno  1994,  a  Trovato l'8 giugno 1994 ed a Schettini il 27 giugno
 1994).   Il  senso  generale  di  quel  provvedimento  risiede  nella
 contestazione   dei  numerossimi  reati  allora  emersi  grazie  alle
 indagini  sulla  cosca  capeggiata  proprio  da  Antonio   Schettini,
 Giuseppe  Flachi  e Franco Coco Trovato: una organizzazione dedita al
 narcotraffico (capo 34  della  rubrica  del  provvedimento),  con  un
 livello superiore di schietta connotazione mafiosa (capo 158), dedita
 alla  commissione di omicidi attuati per sbaragliare la concorrenza e
 proteggere gli interessi della associazione; in  questa  prospettiva,
 particolare  rilevanza  aveva  assunto  la cd "guerra coi Batti", dal
 nome della famiglia che capeggiava una organizzazione di spacciatori,
 contro la quale Coco e Flachi avevano proceduto per ragioni personali
 e di territorio, sterminando ad uno ad  uno  tutti  i  componenti  di
 rilievo,  a  partire  dal  capo  indiscusso  di  quel gruppo, e cioe'
 Salvatore  Batti.    A  proposito  della  fisiologia   dell'indagine.
 Compiendo  una  sintesi estrema va detto come, gravitando la prova in
 quel primo procedimento sulle dichiarazioni di criminali esterni alla
 organizzazione (come Salvatore Annacondia) o usciti dalla  stessa  in
 epoca  remota  (come Michele Di Donato), o fondandosi la prova stessa
 su circostanze  accertate  in  presa  diretta  durante  le  attivita'
 criminali  (grazie  a  pedinamenti  ed  intercettazioni  iniziati nel
 1992), il  quadro  delle  contestazioni  risultasse  in  certo  senso
 generico.  Erano  stati  individuati  numerosissimi  componenti della
 associazione per delinquere, tra i quali appunto Trovato, Schettini e
 Sarlo.   Erano  stati  accertati  alcuni  dei  fatti  specifici  piu'
 recenti.  Ma  per  molti  dei  delitti  del  passato, soprattutto gli
 omicidi, s'era raggiunto un quadro indiziario grave solo con riguardo
 alla  riferibilita'  alla   organizzazione,   con   la   conseguenza,
 evidentemente,  che  solo  i responsabili della deliberazione avevano
 potuto essere raggiunti dalla relativa contestazione cautelare.
   Tra i soggetti inquisiti nell'ambito della indagine in questione si
 trovavano Giorgio Tocci e Luigi Di Modica, oggi rei confessi, al pari
 di Schettini, dell'omicidio consumato in data 31 maggio 1992 ai danni
 di Alfonso Veggetti (da quella notte Schettini  si  trova  detenuto).
 Tocci era stato un quadro dirigente della organizzazione di cui si e'
 detto,  ed anche Di Modica (praticamente il plenipotenziario di Luigi
 "Jimmy" Miano nella  gestione  dei  traffici  gravitanti  sul  famoso
 autoparco  di  via  Salomone),  per  la  sua  posizione di capo d'una
 organizzazione alleata, era informato di  numerosissime  circostanze.
 Entrambi gli imputati, durante tutto il corso della indagine, avevano
 negato  la  propria  responsabilita' per qualsiasi reato, al pari del
 resto di circa 200 ulteriori indagati.
   Poi, ad indagine preliminari quasi  ultimate,  i  due  imputati  in
 questione avevano deciso di ammettere le proprie responsabilita' e di
 collaborare  con  gli  inquirenti.  L'avvio  di questa fase data al 7
 giugno 1994 quanto a Giorgio Tocci, ed al 18 maggio 1994 per cio' che
 attiene a Luigi Di Modica.  Inutile  dire  che  non  v'e'  il  minimo
 segnale,   di   alcun   genere,  che  l'uno  od  entrambi  dei  nuovi
 collaboratori siano stati in qualche modo sollecitati  a  posticipare
 la  propria  scelta.  La  cosa,  francamente, sarebbe stata del tutto
 assurda, a fronte di personaggi di rango cosi' elevato e in epoca  in
 cui,  semmai,  si  prospetta  dalle  Difese  un  presunto accanimento
 investigativo.
   Cio' soprattutto considerando  che  finalmente,  essendosi  trovate
 voci  "interne"  alla  organizzazione,  si  accedeva alla descrizione
 diretta delle fasi di deliberazione e di esecuzione di molti omicidi:
 di qui il fenomeno, come si vede  non  strumentale  ma  perfettamente
 fisiologico,  delle  contestazioni  ex  art.  575  c.p. a molti degli
 associati gia' catturati in quanto  tali;  contestazioni  che  spesso
 duplicavano quelle che per lo stesso fatto, nei limiti del possibile,
 erano  gia' state effettuate in precedenza, generalmente ai danni dei
 capi della organizzazione.   Ad ogni modo,  essendo  ormai  trascorso
 circa  un  anno  dall'avvio dei trattamenti cautelari per molti degli
 indagati, il pubblico ministero aveva  disposto  la  separazione  del
 procedimento  relativo  a  tutte  le nuove notizie di reato (8 giugno
 1994), promuovendo l'azione nel  procedimento  principale  (8  luglio
 1994).    L'udienza  preliminare, celebrata a far tempo dal 6 ottobre
 1994, si era chiusa per quanto interessa col  rinvio  a  giudizio  di
 Schettini e Trovato (15 novembre 1994) avanti alla 2ΓΏ Corte di Assise
 di  Milano  (il  dibattimento  e'  in corso dal 6 marzo 1995), mentre
 Mario Sarlo era pervenuto allo stesso risultato chiedendo il giudizio
 immediato (decreto del 5 ottobre 1994).    Intanto,  durante  i  mesi
 estivi  del 1994, espletati rapidi quanto indispensabili accertamenti
 a  riscontro  delle  dichiarazioni  dei  collaboratori,  il  Pubblico
 Ministero  era  pervenuto alla formulazione di una corposissima nuova
 richiesta  cautelare  (13  settembre  1994):  solo  tre  mesi,   come
 giustamente  si  pone  in  rilievo, erano trascorsi dall'acquisizione
 della prima nuova chiamata in correita', due  dei  quali  interamente
 compresi  nel  periodo  feriale.  Il  3 ottobre 1994,   a meno di tre
 settimane  dalla  richiesta,  era  stata  depositata  una   ordinanza
 cautelare  che riguardava e riguarda centinaia di reati gravissimi, e
 circa una  ottantina  di  persone  (una  contestazione  per  un  solo
 episodio  riguardo ad un solo imputato, allo stato, risulta annullata
 dagli organi del riesame e di legittimita').  Queste  posizioni,  con
 l'aggiunta  di  poche  altre,  rappresentano  l'oggetto  dell'odierno
 procedimento.  Saranno chiare, a questo punto, le ragioni  che  hanno
 determinato la seguente sequenza delle accuse.  Nell'ambito del proc.
 n. 12602/92 Mario Sarlo e' stato rinviato a giudizio:
     per  appartenenza  con  funzioni organizzative ad un'associazione
 finalizzata al traffico di stupefacenti, ex art. 74 d.P.R. n.  309/90
 (capo 34 della rubrica del proc. m. 12602/92.21);
      per  appartenenza  quale  organizzatore  ad  un'associazione  di
 stampo mafioso, ex art. 416 bis c.p. (capo 158 della rubrica);
     per  detenzione  di  cocaina  in  parte  consumata  nello  studio
 professionale  del  coimputato  Andrea Tumbarello ex art. 110 c.p. 73
 d.P.R. n. 309/'90 (capo 72);
     per estorsione aggravata ex art. 629, primo e secondo comma, c.p.
 in danno di Davalle Sonia e De Ponti Fabrizio (capo 73);
     per altra estorsione aggravata  ex  art.  629,  primo  e  secondo
 comma,  c.p.  in  danno di Davalle Sonia e De Ponti Fabrizio (capo 74
 della rubrica);
     per   detenzione   di   altra   cocaina   in   parte    consumata
 nell'abitazione  di  De  Pierro Cosimo ex art. 110 c.p., 73 d.P.R. n.
 309/'90 (capo 76);
     per   detenzione   di   altra   cocaina   in   parte    consumata
 nell'abitazione  di  Zappala'  Benito  ex art. 110 c.p., 73 d.P.R. n.
 309/'90 (capo 77);
     per detenzione e porto di una pistola in una  precisa  occasione,
 ex artt. 81 cpv. c.p., 10, 12 e 14 legge 497/74 (capo78);
     per   falsificazione  dei  documenti  d'identita'  sequestratigli
 all'atto del suo arresto da latitante (capo 163).
   Per tutti questi reati  Mario Sarlo e' detenuto dal 7 giugno 1994.
   Nel presente procedimento, invece, il Sarlo e' stato  raggiunto  da
 provvedimento  cautelare  -  ed il p.m. (ha richiesto il suo rinvio a
 giudizio - per i seguenti reati:
     omicidio di  Paolo  Cirnigliaro  (Milano,  10  novembre  1990)  e
 connessi  reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione
 del veicolo rubato usato nell'azione (capi 5, 6 e 7 della rubrica);
     omicidio di Angelo  Maccarrone  (Cormano,  18  dicembre  1990)  e
 connessi  reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di ricettazione
 del veicolo rubato usato nell'azione (capi 8, 9, e 10 della rubrica);
     omicidio di Salvatore De Vitis (Cusano Milanino, 7 maggio 1991) e
 connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di  ricettazione
 del  veicolo  rubato  usato  nell'azione  (capi  19,  20  e  21 della
 rubrica);
     duplice  omicidio  di  Aydemir  Aydin  ed  Altintas  Ali'   (Nova
 Milanese,  tra  il  25 ottobre 1991 ed il 30 ottobre 1991) e connessi
 reati di detenzione e porto   d'armi,  nonche'  di  ricettazione  dei
 veicoli rubati usati nell'azione (capi 24, 25 e 26 della rubrica);
     tentato  omicidio  di  Giorgio  Tocci  (Milano, 16 maggio 1992) e
 connessi reati di detenzione e porto d'armi, nonche' di  ricettazione
 del  veicolo  rubato  usato  nell'azione  (capi  35,  36  e  37 della
 rubrica);
     omicidio di Alfonso Veggetti e tentato omicidio di Matteo Palumbo
 (Cinisello Balsarno, 30 maggio 1992) e connessi reati di detenzione e
 porto d'armi,  nonche'  di  ricettazione  dei  veicoli  rubati  usati
 nell'azione (capi 38, 39 e 40 della rubrica);
     corruzione di Nuzzo Giorgio ex art. 319 c.p. (capo 50);
     traffici  ad  alto  livello  di cocaina (capo 53) ed eroina (capo
 54).
   Per tutti questi reati Mario Sarlo e' detenuto dal 20 ottobre 1994.
   Nel  procedimento  n.  12602/92  Amtonio  Schettini  e  Franco Coco
 Trovato sono stati rinviati a giudizio, tra l'altro:
     omicidio consumato in danno di Luigi "Ciro"  Batti,  avvenuto  in
 Milano  il 18 settembre 1990 (capi 46/48 di quella rubrica). ll Batti
 era figlio di Francesco,  e  dunque  nipote  del  Salvatore  che  qui
 interesa;
     omicidio  consumato  in  danno  di  Francesco  Batti, avvenuto in
 Milano il 15 o 16 ottobre 1990 (capi 49/50 della rubrica);
     omicidio consumato in danno di Salvatore Batti, fatto avvenuto in
 S. Giorgio Vesuviano, il 23 dicembre 1990 e per i connessi  reati  in
 tema di armi (capi 164 e 165 della rubrica).
     omicidio  consumato  in  danno  di Rosalinda Traditi, avvenuto in
 Milano il 28 febbraio o il 1 marzo 1991 (capi 56/57  della  rubrica).
 La Rosalindi era la moglie separata di Luigi Ciro Batti.
   Per  questi  reati Franco Trovato e' detenuto dall 8 giugno 1994, e
 Antonio Schettini e' detenuto dal 27 giugno  1994.  Fa  eccezione  il
 solo  gruppo  delle contestazioni riguardanti l'omicidio consumato di
 Salvatore Batti, per il quale i due imputati sono  stati  rinviati  a
 giudizio in condizione di liberta' Nel presente procedimento, invece,
 il  Trovato  e  lo  Schettini  sono  stati raggiunti da provvedimento
 cautelare - ed il p.m. ha chiesto il loro rinvio  a  giudizio  -  tra
 l'altro  per  i  seguenti reati:   tentativo di omicidio aggravato in
 danno dello stesso Salvatore  Batti,  avvenuto  in  Terziglio  il  30
 giugno 1990, e connessi reati in materia di armi (capi 1 e 2). Era in
 pratica  avvenuto  che,  maturata  dall'organizzazione  criminale  la
 decisione di eliminare il capo del gruppo antagonista, vi fosse stato
 un primo tentativo nel giugno 1990 (era rimasta ferita solo la figlia
 di Batti), e poi l'agguato successivo e definitivo del dicembre 1990.
 Per questi reati Franco Trovato e' detenuto dal 24 novembre  1994,  e
 Antonio  Schettini e' detenuto dal 15 ottobre 1994.  Risulta evidente
 allora che, sul solo presupposto ulteriore della  connessione  con  i
 reati  contestati mediante l'ordinanza del 27 maggio 1994, il termine
 di decorrenza per i delitti ascritti nel nuovo procedimento a  Sarlo,
 Trovato  e Schettini mediante l'ordinanza del 3 ottobre 1994 andrebbe
 individuato nella data di notifica  del  provvedimento  piu'  remoto.
 Infatti  le  nuove di notizie di reato, come risulta dalla cronologia
 sopra esposte, erano note  agli  atti  prima  che,  nel  procedimento
 originario, fosse disposto il giudizio.
   Lo  stesso  pubblico  ministero,  come  si  e'  visto,  ammette  la
 ricorrenza di  una  connessione  qualificata  tra  alcuni  dei  reati
 contestati  a  Sarlo  nell'ambito del procedimento gia' "definito" ed
 alcuni degli illeciti per i quali si  procede  nella  sede  presente.
 Addirittura  di propria iniziativa, poi, lo stesso pubblico ministero
 identifica la connessione che rileva tra i reati  che  nel  complesso
 interessano  le  posizioni  Schettini  e  Trovato. In verita' proprio
 queste ultime danno luogo ad una fattispecie "scolastica" di  delitto
 continuato.     Non  v'e'  dubbio  che,  stando  alla  prospettazione
 accusatoria, siano state le stesse persone a tentare prima l'omicidio
 riuscito poi; non v'e' dubbio che cio' fosse accaduto  in  attuazione
 proressiva di un'unica determinazione omicida, maturata ben prima del
 reato  piu'  remoto e meno grave; non v'e' dubbio infine - la cosa va
 specificata in quanto non si e' mai avviato il trattamento  cautelare
 per  il  delitto  di omicidio consumato in danno di Salvatore Batti -
 che la deliberazione omicida avesse compreso anche lo sterminio degli
 altri componenti della cosca rivale, tra i quali almeno Luigi  Batti,
 suo padre Francesco e sua moglie Rosalinda.
   Sussiste  quindi  indiscutibile  connessione  tra  il reato di piu'
 recente contestazione e delitti per i  quali  e'  stata  disposta  la
 cattura oltre un anno orsono.
   Resta  da  dire, solo, che la progressivita' della contestazione e'
 pienamente   giustificata   dalla    progressivita'    in    concreto
 dell'acquisizione   delle  fonti  di  prova.  All'epoca  di  adozione
 dell'ordinanza cautelare  datata  27  maggio  1994  si  disponeva  di
 informazioni  che  rendevano  fortemente credibile la responsabilita'
 del gruppo Coco/Schettini per la  doppia  aggressione  in  danno  del
 Batti,  e  che  tuttavia  non  consistevano  notizie dirette circa le
 responsabilita' individuali per  la  deliberazione  e  la  esecuzione
 delle  iniziative  criminose (quelle informazioni sono riassunte alle
 pagine 274/276 dell'ordinanza cautelare 3 ottobre 1994). I fattori di
 prova  realmente  decisivi  per  la  contestazione  furono   e   sono
 rappresentati dalle dichiarazioni accusatorie di Giorgio Tocci.
   Non  sara'  inutile  aggiungere  che il p.m., pure avendo proceduto
 come sopra si accennava a "riversare" le fonti di prova  sopravvenute
 in  un  nuovo procedimento, aveva opportunamente provveduto a rendere
 "pubblica" l'acquisizione delle nuove emergenze sulle aggressioni  in
 danno  di  Salvatore  Batti,  depositando gli estratti pertinenti nei
 verbali di Tocci e Di Modica unitamente alla richiesta  di  rinvio  a
 giudizio   nel  primo  procedimento,  e  contestualmente  promuovendo
 l'azione contro Flachi, Schettini e Trovato (non fu chiesta anche  la
 loro   cattura,  presumibilmente  per  l'esistenza  di  altri  titoli
 detentivi per fatti diversi, ma - si noti -  quella  cattura  non  e'
 stata richiesta neppure nel procedimento attuale). Vero dunque che le
 nuove   notizie   di   reato   precedettero   il  rinvio  a  giudizio
 relativamente gia' ai delitti contestati col provvedimento  cautelare
 del  27  maggio  1994.  Vero anche, pero', che quelle notizie avevano
 seguito di  molti  mesi  le  fonti  sottese  al  primo  provvedimento
 restrittivo,  e  sono  poi  state  tempestivamente  sfruttate, a fini
 cautelari, col provvedimento del 3 ottobre 1994.
   Rilievi in tutto analoghi possono farsi quanto  alla  posizione  di
 Mario  Sarlo,  catturato  dapprima  per i delitti associativi e per i
 fatti  relativamente  secondari  denunciati  da  Sonia   Davalle,   e
 individuato  poi quale coautore di molti degli omicidi compiuti dalla
 organizzazione solo a seguito  delle  dichiarazioni  di  Tocci  e  Di
 Modica.
   Non sembra seriamente contestabile la connessione qualificata tra i
 reati  tra  i  quali  si  e'  fatto sommariamente cenno, la cosa pare
 particolarmente evidente  relativamente  alla  eliminazione  di  vari
 componenti  della  famiglia  Batti  (famiglia  in  senso  parentale e
 criminale), e puo' essere rapidamente enunciata anche per  una  parte
 dei  delitti  concernenti Mario Sarlo: lo stesso p.m. ha ravvisato ai
 fini  che  interessano  continuazione  tra   i   delitti   di   prima
 contestazione  e le fattispecie di narcotraffico delineate ai capi 53
 e 54 della attuale rubrica.  Va  poi  notato,  sebbene  la  questione
 assuma  ormai solo rilievo formale, che si identifica ragionevolmente
 continuazione tra una parte almeno degli omicidi contestati  a  Sarlo
 in  seconda battuta e le fattispecie associative per le quali e' gia'
 stato rinviato a giudizio: la pertinenza di quei fatti ad un  disegno
 criminoso  comprendente  le  condotte  associative  incentrate  sulla
 organizzazione per il narcotraffico, e piu' ancora  sul  suo  livello
 mafioso,  e'  stata ad esempio affermata nei provvedimenti che questo
 ufficio  ha  pronunciato  sulla  competenza  territoriale nell'ambito
 della udienza preliminare celebrata fino al 15 novembre  1994  ed  in
 questa stessa udienza.
   Alla   luce   delle   circostanze   sommariamente   enunciate  deve
 concludersi che per tutte le tre produzioni in esame, in applicazione
 della legge vigente, dovrebbe essere riconosciuta ex art. 303  c.p.p.
 la  inefficacia  sopravvenuta  della  misura  cautelare  in  corso di
 esecuzione. Sussiste quindi la condizione di rilevanza cui  la  legge
 subordina l'eccezione di legittimita' costituzionale.
   Un'ultima  annotazione:  esattamente  il  p.m.  rileva  che  per il
 delitto di corruzione ascritto a Mario  Sarlo  mediante  il  capo  50
 della  rubrica il termine massimo della custodia, pari a tre mesi, e'
 gia' da tempo scaduto.  Relativamente  a  quel  delitto,  dunque,  va
 adottato un provvedimento di scarcerazione.