ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art.  6 del d.P.R.
 26  ottobre  1972,  n.    643  (Istituzione   dell'imposta   comunale
 sull'incremento  di  valore  degli  immobili), promosso con ordinanze
 emesse:
     1) il 10 giugno 1994  dalla  Commissione  tributaria  di  secondo
 grado  di  Lecce,  sul  ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di
 Maglie contro Macculi Pietro  ed  altra,  iscritta  al  n.    84  del
 registro  ordinanze  1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n.  9, prima serie speciale, dell'anno 1995;
     2) il 10 giugno 1994  dalla  Commissione  tributaria  di  secondo
 grado  di  Lecce  sul  ricorso  proposto dall'Ufficio del Registro di
 Maglie contro Tondi Daniele ed altra, iscritta al n.  85 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n.  9, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  4 ottobre 1995 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di due giudizi aventi ad oggetto  la  determinazione
 del  valore  finale  del  bene  ai  fini  dell'INVIM,  la Commissione
 tributaria di secondo grado di Lecce, con due ordinanze  di  identico
 contenuto  emesse  in  data  10  giugno 1994, ma pervenute alla Corte
 costituzionale il 7 febbraio 1995, ha sollevato, in riferimento  agli
 artt.    3,  53  e  97  della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.   6 del d.P.R. 26  ottobre  1972,  n.    643
 (Istituzione  dell'imposta  comunale  sull'incremento di valore degli
 immobili), nella parte in cui non prevede che l'impugnazione proposta
 dal solo acquirente dell'immobile ai fini dell'imposta di registro  e
 la   conseguente   decisione   dell'autorita'   giudiziaria  ad  esso
 favorevole, possano essere  estese  alla  determinazione  del  valore
 finale del bene ai fini dell'INVIM.
   Premette  in fatto il giudice a quo che nei casi di specie solo gli
 acquirenti, e non anche i venditori  di  un  bene  immobile,  avevano
 impugnato  l'avviso di accertamento di valore ai fini dell'imposta di
 registro ottenendo dalla Commissione tributaria adita  una  decisione
 che,  in  accoglimento  al ricorso, determinava il valore del bene ai
 fini dell'imposta di registro.
   Successivamente, a fronte del mancato pagamento dell'INVIM da parte
 dei venditori, l'Ufficio del Registro notificava agli acquirenti atto
 di pignoramento immobiliare al quale gli  interessati  si  opponevano
 eccependo, tra l'altro, che la decisione della Commissione tributaria
 dagli  stessi  adita  e  a  loro favorevole precludeva all'Ufficio di
 chiedere il pagamento dell'INVIM rapportata al diverso valore  finale
 resosi   definitivo  nei  confronti  dei  venditori  per  la  mancata
 impugnazione da parte di questi ultimi.
   La  Commissione  tributaria  di primo grado accoglieva il ricorso e
 avverso tale decisione proponeva appello l'Ufficio assumendo che, non
 essendovi  nell'INVIM  solidarieta'  tributaria  tra   acquirente   e
 venditore,  ai  fini di tale imposta deve farsi riferimento al valore
 finale del bene divenuto definitivo nei confronti dei  venditori  con
 riguardo all'imposta di registro.
   La Commissione tributaria di secondo grado, investita dell'appello,
 nel  dubitare  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.   6 del
 d.P.R.   n.   643 del 1972, ha ritenuto  che  la  mancata  previsione
 legislativa della estensibilita' all'INVIM dell'impugnazione proposta
 dall'acquirente  avverso  l'accertamento  di  valore del bene ai fini
 dell'imposta di registro,  verrebbe  a  porsi  in  contrasto  con  il
 principio  di  ragionevolezza in quanto all'acquirente viene preclusa
 la possibilita' di giovarsi della riduzione di valore gia' ottenuta a
 seguito  del  ricorso  da  esso  proposto;  con  l'art.    53   della
 Costituzione,  in  quanto imporrebbe agli acquirenti di corrispondere
 una somma da essi non dovuta per aver esperito i mezzi posti a tutela
 dei loro diritti ottenendo anche risultati favorevoli; ed infine  con
 l'art.      97   della   Costituzione   che   impone   alla  pubblica
 amministrazione il dovere di imparzialita'.
   Conclude pertanto il giudice a quo che la norma impugnata determina
 la  violazione  degli  invocati  parametri  costituzionali  apparendo
 "stridente  con il piu' elementare senso di giustizia che un medesimo
 bene, in un medesimo momento  e  contesto  (costituito  dall'identico
 atto  di  trasferimento  su cui si fondano entrambe le imposte di cui
 qui si tratta), possa avere, agli effetti fiscali, due valori diversi
 a seconda del contribuente dal quale ciascuna imposta e' dovuta".
   2. - Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale  e'  intervenuto
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso
 dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   concludendo   per    la
 inammissibilita'  ovvero  per  la  non  fondatezza  della prospettata
 questione.
   In particolare, la difesa erariale ha osservato che la questione di
 diritto tributario sollevata e'  stata  piu'  volte  esaminata  dalla
 Corte   di   cassazione   la   quale  ha  reso  pronunce  discordanti
 sottolineando, da un lato, che in materia di INVIM non  sussiste  una
 vera   e  propria  solidarieta'  tributaria  in  quanto  l'acquirente
 garantisce solo l'adempimento dell'obbligo tributario come  accertato
 nei  confronti  del venditore quale unico debitore d'imposta, d'altro
 lato, si e' ritenuto che "il collegamento  oggettivo  tra  imponibile
 per   il   tributo  di  registro  e  il  valore  finale  per  l'INVIM
 vanificherebbe la decadenza e in genere le preclusioni formatesi  nei
 riguardi  dell'anzidetto obbligato".   Conclude pertanto l'Avvocatura
 generale  che  si  e'  in  presenza  di   una   questione   di   mera
 interpretazione,  stante l'assenza sul punto di un "diritto vivente",
 insuscettibile di  una  prospettazione  in  termini  di  legittimita'
 costituzionale.
   3.  -  In  prossimita'  della  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura
 generale  dello  Stato  ha  presentato  memoria  insistendo  per   la
 infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
 sollevata.
   A parere della difesa erariale, insussistente sarebbe la violazione
 dell'art.  53 della Costituzione, in quanto l'imposta conseguente  al
 valore     legittimamente     accertato    dall'Amministrazione    e'
 giuridicamente  dovuta  ancorche'  superiore  a  quella  che  sarebbe
 derivata da un minor imponibile.
   Ne' potrebbe invocarsi una lesione del principio di uguaglianza dal
 momento che diverse sono le situazioni poste a raffronto, essendo del
 tutto differenti i crediti che si vorrebbero comparare, come autonome
 appaiono le rispettive controversie di valutazione.
   Non  pertinente  sarebbe, infine, il riferimento all'art.  97 della
 Costituzione, in quanto non  puo'  parlarsi  di  "parzialita'"  della
 pubblica  amministrazione  per  il  solo  fatto che essa ottempera al
 giudicato formatosi limitatamente al caso deciso.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione che la Commissione tributaria di secondo grado di
 Lecce sottopone all'esame di questa Corte e' se l'art.  6 del  d.P.R.
 26   ottobre   1972,  n.    643  (Istituzione  dell'imposta  comunale
 sull'incremento di valore degli immobili), nella  parte  in  cui  non
 prevede,  ai fini della determinazione del valore finale del bene con
 riguardo all'INVIM, che l'acquirente  possa  giovarsi  degli  effetti
 favorevoli  conseguenti  alla  impugnazione  da  esso  solo  proposta
 avverso l'avviso di accertamento relativo  all'imposta  di  registro,
 sia in contrasto:
     con    l'art.      3   della   Costituzione   in   quanto   viene
 irragionevolmente precluso all'acquirente di giovarsi della riduzione
 di valore del bene gia' ottenuta ai fini dell'imposta di registro;
     con l'art.  53 della Costituzione, imponendosi agli acquirenti di
 pagare un'imposta in misura da essi non dovuta in quanto  riferentesi
 ad  un  valore  finale del bene divenuto definitivo nei confronti dei
 venditori per mancata impugnazione da parte di questi ultimi;
     con l'art.  97 della Costituzione in quanto appare collidere  con
 il  piu'  elementare  senso  di  giustizia che un medesimo bene possa
 avere, agli  effetti  fiscali,  due  valori  diversi  a  seconda  del
 contribuente dal quale e' dovuta l'imposta.
   2. - Data l'identicita' delle questioni sollevate, i giudizi devono
 essere riuniti per essere decisi con una sola pronuncia.
   3.  -  Nel  suo  atto di intervento il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,   deduce  anzitutto  l'inammissibilita'  della  questione  per
 carenza di motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla  rilevanza,
 riservandosi  di  argomentare  in  memoria,  nella  quale osserva che
 l'inammissibilita' sarebbe ravvisabile sotto due profili: da un lato,
 lo stesso giudice a quo riconosce che il dedotto  effetto  estensivo,
 ai   sensi  dell'art.     1306  del  codice  civile,  della  sentenza
 pronunziata nei confronti  di  uno  dei  condebitori  solidali  della
 imposta   di   registro   non   potrebbe  realizzarsi  nei  confronti
 dell'acquirente essendo  questi  estraneo  al  rapporto  obbligatorio
 intercorrente tra il Fisco ed il venditore; dall'altro, il remittente
 ipotizza  una  pronuncia  additiva, senza soffermarsi sui noti limiti
 individuati da questa Corte in ordine ai propri interventi.
   Entrambe le deduzioni sono strettamente connesse col  merito  della
 questione  di  costituzionalita',  e quindi occorre passare all'esame
 della stessa.
   4. - La questione e' infondata nei sensi che saranno ora precisati.
   Va  premesso  che  questa  Corte  ha  gia'   avuto   occasione   di
 pronunciarsi  sul problema, parzialmente attinente a quello in esame,
 dell'applicabilita' dei principi di cui all'art.    1306  del  codice
 civile  all'obbligazione  solidale  tributaria,  dando  ad  esso  una
 soluzione affermativa (ordinanze n.  870 del 1988 e 544 del 1987). Lo
 stesso orientamento veniva seguito nel 1991 dalle Sezioni unite della
 Corte di cassazione.
   Ma  nei  citati  casi  si  trattava  semplicemente  di  estendere i
 predetti principi  civilistici  all'obbligazione  solidale  fra  piu'
 debitori della stessa imposta di registro.
   5.  -  Anche  riguardo  alla diversa ipotesi della estensione degli
 effetti  di  un  giudicato  formatosi  nei  confronti  del   debitore
 dell'imposta  di registro all'acquirente dell'immobile su cui grava -
 a  garanzia  del  pagamento  dell'INVIM  -  il  privilegio   previsto
 dall'art.   28 del d.P.R. n.  643 del 1972, la Corte di cassazione si
 e' pronunciata piu' volte, ma con soluzioni contrastanti.
   Secondo   il   prevalente    indirizzo    giurisprudenziale,    pur
 riconoscendosi  che  in  detta  seconda ipotesi non si tratta di piu'
 debitori della stessa imposta - in quanto l'acquirente  dell'immobile
 su  cui  grava  il  privilegio  per l'INVIM non e' debitore di questa
 imposta - nella  regola  prevista  dall'art.    1306  si  ravvisa  un
 principio   di   piu'   ampia   portata,  applicabile  alla  presente
 fattispecie, sia per realizzare il meccanismo  contemplato  dall'art.
 6  della  legge sull'INVIM (circa l'identita' di valori dell'immobile
 sia ai fini del registro che dell'INVIM), sia  per  il  rispetto  dei
 principi  costituzionali  contenuti  negli  artt.    3, 53 e 97 della
 Costituzione.
   6. - Ed invero, essendo indubbio che il legislatore ha  voluto  che
 l'accertamento  del  valore  del  bene  trasferito  sia lo stesso per
 entrambe le imposte, nel caso in cui si verifichi  il  conflitto  fra
 due  titoli  definitivi che nello stesso tempo danno al medesimo bene
 valori differenti, quello risultante dal giudicato deve prevalere sul
 valore maggiore riportato nell'atto amministrativo.
   Questa interpretazione risulta conforme ai  principi  di  cui  agli
 artt.  3, 53 e 97 della Costituzione.
   Il principio di uguaglianza impone, infatti, che se il valore dello
 stesso   immobile   viene  riconosciuto  per  ragioni  obiettive  nei
 confronti di un debitore d'imposta, esso non puo' essere diverso  ove
 si  tratti  del  contribuente  di  un'altra  imposta connessa e nello
 stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento  dello  stesso
 bene.
   Il  principio  della  capacita'  contributiva esige che la medesima
 situazione di fatto non puo'  che  essere  rilevatrice  della  stessa
 capacita'   contributiva  e  quindi  dell'analogo  prelievo  fiscale.
 Infine, quello della  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione
 sancisce  il  dovere  per  essa  di  conformarsi  al giudicato che ha
 riconosciuto la illegittimita' oggettiva del  valore  dato  dall'atto
 amministrativo ad un immobile.
   7. - Questa Corte ha piu' volte affermato (sentenze n.  18 del 1995
 e  526 del 1990) che l'estensione della norma ad un caso non compreso
 nella lettera legislativa risulta  giustificata  da  un  giudizio  di
 meritevolezza  del  medesimo  trattamento,  fondato sulla ratio legis
 indipendentemente  dalla  identita'  o  dalla  somiglianza  al   caso
 previsto.  Dal che deriva che la regola contenuta nell'art.  1306 del
 codice civile puo' estendersi ad altri casi, come quello in esame, in
 cui sia ravvisabile la stessa ratio.
   La  Corte ha pure ritenuto costantemente che il giudice rimettente,
 nell'operare  la   ricognizione   del   contenuto   normativo   della
 disposizione,    deve   sempre   e   costantemente   essere   guidato
 dall'esigenza di rispetto dei precetti costituzionali e  quindi,  ove
 un'interpretazione  appaia confliggente con alcuno di essi, e' tenuto
 - soprattutto in mancanza di diritto vivente -  ad  adottare  letture
 alternative   maggiormente   aderenti   al  parametro  costituzionale
 altrimenti vulnerato (sentenza n.  149 del 1994; ordinanze nn.  226 e
 121 del 1994).
   I giudici rimettenti avrebbero  dovuto,  pertanto,  seguire  quella
 interpretazione  data  dalla  citata  giurisprudenza  della  Corte di
 cassazione che risulta conforme ai principi costituzionali.