ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio sull'ammissibilita' del conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato sollevato dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Senato della Repubblica, Camera dei deputati e Governo della Repubblica, sorto a seguito dell'approvazione e dell'entrata in vigore dell'art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito dalla legge 2 giugno 1995, n. 216, in combinato disposto con l'art. 45 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, depositato il 4 luglio 1995 ed iscritto al n. 57 del registro ammissibilita' conflitti; Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli; Ritenuto che con ricorso del 30 giugno 1995, depositato in cancelleria il 4 luglio 1995, il Consiglio superiore della magistratura, in persona del suo Vice presidente pro-tempore, a cio' autorizzato con le delibere 7 marzo 1995 del Plenum e 27 giugno 1995 del Comitato di presidenza, ha sollevato conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato per chiedere che la Corte "dichiari che non spetta al potere legislativo stabilire forme obbligatorie di arbitrato da affidarsi a collegi composti come previsto dall'art. 45 del capitolato generale delle opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici", con il conseguente annullamento dell'art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101 (Norme urgenti in materia di lavori pubblici), convertito dalla legge 2 giugno 1995, n. 216, in combinato disposto con l'art. 45 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (Approvazione del capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici); che nel ricorso si osserva che l'art. 32 della legge quadro in materia di lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109) aveva eliminato dall'ordinamento lo strumento dell'arbitrato per la risoluzione delle controversie in materia di appalto di opere pubbliche, prevedendone la devoluzione al "giudice competente", e che successivamente il Governo, con numerosi decreti-legge reiterati, disponeva la sospensione fino al 30 giugno 1995 dell'applicazione della legge n. 109 del 1994; che nello stesso ricorso si espone che con la disposizione che ha dato vita al presente conflitto, approvata in sede di conversione del decreto-legge n. 101 del 1995 (art. 9-bis), il legislatore ha sostituito l'art. 32 della legge n. 109 del 1994, ripristinando la competenza arbitrale in materia di appalti e rendendola obbligatoria in luogo della competenza del giudice ordinario; che ad avviso del CSM l'abrogazione dell'art. 32 della legge quadro n. 109 del 1994 e la sua sostituzione con il testo impugnato lede le attribuzioni conferite al Consiglio dall'art. 105 della Costituzione, in riferimento all'art. 16 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), dal momento che - ai sensi del richiamato art. 45 del vigente capitolato generale - dei collegi arbitrali in materia di opere pubbliche deve far parte un magistrato della Corte d'appello di Roma, con la conseguenza che l'autorizzazione che il CSM e' tenuto a rilasciare ai magistrati che chiedono di assumere l'incarico di arbitro diviene di fatto, per il numero ristretto dei candidati, un atto sostanzialmente vincolato, senza che l'organo di autogoverno della magistratura possa valutare diversi parametri di opportunita', quali le garanzie di imparzialita' dei magistrati interessati, la misura dei compensi e la funzionalita' degli uffici ai quali appartengono; che in riferimento all'ammissibilita' del conflitto, nel ricorso si afferma che la Corte ha piu' volte riconosciuto al CSM la qualita' di potere dello Stato, e che per l'individuazione del "potere legislativo" nei confronti del quale il conflitto viene sollevato, la Corte medesima dira' "quali siano gli organi interessati del potere legislativo a cui il ricorso andra' notificatoj; che, infine, quanto al requisito oggettivo del conflitto, il Consiglio ricorrente, dopo aver richiamato le sentenze di questa Corte nn. 406 del 1989 e 161 del 1995, afferma che, sebbene le disposizioni impugnate non abbiano carattere di precarieta', in quanto contenute in un decreto-legge gia' convertito, sussistono le condizioni indicate dalla sentenza n. 161 del 1995 dal momento che, nella specie, il ricorso allo strumento del conflitto di attribuzione tra poteri rappresenterebbe l'unico mezzo a disposizione del CSM per ottenere l'annullamento della disposizione impugnata senza dismettere le proprie attribuzioni o impedire alle parti di far valere le proprie ragioni. Considerato che questa Corte e' chiamata a decidere preliminarmente, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista "la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza", in riferimento alla presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, richiamati dal primo comma dello stesso articolo; che, per quanto concerne i presupposti soggettivi, questa Corte ha piu' volte affermato (v., tra le pronunce piu' recenti, le sentenze nn. 419 e 435 del 1995) che va riconosciuta al Consiglio superiore della magistratura la legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri, in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 105 della Costituzione, e che il ricorso viene proposto nei confronti del "potere legislativo"; che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il conflitto viene sollevato in relazione all'art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito dalla legge 2 giugno 1995, n. 216, in combinato disposto con l'art. 45 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, e, pertanto, ha per oggetto in via primaria un atto legislativo; che la Corte, nella sentenza n. 406 del 1989, ha affermato che "in linea di principio" il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato non puo' essere ammesso contro una legge o un atto equiparato, dal momento che per tali atti, in posizione di preminenza tra le fonti del diritto, il sistema di garanzia costituzionale e' incentrato sul giudizio incidentale, mentre nella sentenza n. 161 del 1995, "in sostanziale continuita'" con la motivazione della sentenza n. 406, la Corte ha ritenuto ammissibile il conflitto contro un decreto-legge non convertito; che l'estensione della garanzia costituzionale del conflitto nei confronti di un "provvedimento provvisorio" adottato dal Governo sotto la propria responsabilita' e' stata, in quest'ultima sentenza, giustificata in relazione al fatto che, in determinate ipotesi, l'impiego del decreto-legge puo' condurre a comprimere diritti fondamentali (e in particolare diritti politici), a incidere sulla materia costituzionale, a determinare situazioni non piu' reversibili ne' sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma; che, nella stessa sentenza n. 161, la Corte ha ritenuto altresi' che il conflitto sia ammissibile anche nei confronti della legge e del decreto legislativo, ma solo "in situazioni particolari", quali quelle ora richiamate, in cui il ricorso allo strumento del conflitto tra i poteri dello Stato rappresenti la forma necessaria per apprestare una difesa immediata ed efficace; che nella fattispecie all'esame della Corte nel presente giudizio non ricorre alcuna delle predette condizioni indicate nella sentenza n. 161 del 1995 ai fini dell'ammissibilita' del conflitto contro un atto legislativo; che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza del requisito oggettivo.