ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  del-  l'art.    32  del
 d.P.R.    29  settembre  1987,  n.    454  (Disposizioni  in  materia
 valutaria, ai sensi dell'art.  1 della legge 26  settembre  1986,  n.
 599)  e  43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n.  148 (Approvazione del testo
 unico delle norme  di  legge  in  materia  valutaria),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  10  novembre  1994  dal  Pretore  di Roma, nel
 procedimento civile vertente  tra  Gracchi  s.r.l.  e  Ministero  del
 Tesoro,  iscritta al n.  241 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
 nella Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.    19,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995;
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri;
     Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  di  opposizione ad ingiunzione
 amministrativa, vertente tra una societa' a responsabilita'  limitata
 ed  il Ministero del Tesoro, il Pretore di Roma, con ordinanza emessa
 il 10 novembre 1994, ha sollevato - in relazione agli artt.  3, 24  e
 113  della  Costituzione  -  questione di legittimita' costituzionale
 degli artt.  32 del d.P.R.  29 settembre 1987, n.  454  (Disposizioni
 in  materia valutaria, ai sensi dell'art.  1 della legge 26 settembre
 1986, n.  599) e 43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n.   148  (Approvazione
 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria).
   Osserva  il giudice a quo che l'applicabilita' del rito di cui alla
 legge n.  689 del 1981 all'opposizione avverso  i  provvedimenti  che
 irrogano  sanzioni  amministrative per illeciti valutari e' limitata,
 nella fase transitoria, dall'impugnato art.    32  ai  "provvedimenti
 divenuti definitivi" al momento dell'entrata in vigore del d.P.R.  n.
 454  del  1987 (espressione poi trasfusa, all'art.  43 del d.P.R.  n.
 148 del 1988, nel sintagma "provvedimento definitivo"). Peraltro,  le
 Sezioni  unite  civili  della  Corte  di cassazione hanno inteso tale
 definitivita' come riferita ad un provvedimento emesso dall'organo di
 vertice della pubblica amministrazione e non  gia'  nel  senso  della
 residua esperibilita' di tutela giurisdizionale.
   A  parere  del  remittente, tale interpretazione determinerebbe una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra il  caso  in  cui,  alla
 data  indicata,  l'iter amministrativo si sia compiuto e l'ipotesi in
 cui invece esso non sia stato portato a termine. Solo  nella  seconda
 eventualita',  infatti,  il cittadino potrebbe "godere degli effetti"
 della riforma.
   2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per l'inammissibilita', ovvero per l'infondatezza della questione.
   Non ricorrerebbe,  infatti,  rispetto  agli  atti  impugnabili  nel
 previgente  regime,  quella  identita'  di  situazioni  posta  a base
 dell'asserito  vulnus,  tanto  piu'  che,  secondo  l'Avvocatura,  il
 procedimento in unico grado previsto dalla legge n.  689 del 1981 non
 necessariamente implicherebbe maggiori garanzie per il cittadino.
   Infine  si  osserva come le lamentate lesioni degli artt.  24 e 113
 della Costituzione non risultino minimamente  motivate  e  come,  nel
 complesso,  dall'ordinanza  di  rimessione  sia  assai  poco  agevole
 desumere la fattispecie di causa e, con essa, verificare la rilevanza
 della questione.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Pretore di Roma dubita  della  legittimita'  costituzionale
 degli artt.  32 del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454, e 43 del d.P.R.
 31  marzo  1988,  n.    148, nella parte in cui dette norme escludono
 l'applicabilita' del procedimento di opposizione  ad  ingiunzione  in
 base  alla  legge  n.    689  del  1981 avverso il decreto che irroga
 sanzioni per le infrazioni valutarie, quando il procedimento sia gia'
 concluso con provvedimento definitivo alla data del 5 dicembre  1987.
 Esse  risulterebbero lesive degli artt.  24 e 113 della Costituzione,
 nonche',  in  particolare,  dell'art.    3,  per  la  disparita'   di
 trattamento  che  si verificherebbe tra chi, alla data predetta, veda
 compiuto   l'iter   amministrativo   -   asseritamente    penalizzato
 dall'impossibilita'  di  esperire  il  nuovo  rito  - e colui nei cui
 confronti non si sia ancora concluso il procedimento stesso.
   2.1. - La questione non e' fondata.
   La nuova disciplina (art.    31  del  d.P.R.  n.    454  del  1987,
 riprodotto per quanto qui interessa, dall'art.  32 del d.P.R. n.  148
 del 1988), risolvendo i dubbi che si erano manifestati dopo l'entrata
 in  vigore  della  legge  n.    689 del 1981, prevede l'opponibilita'
 davanti al Pretore, nei termini e con le modalita' stabilite da  tale
 legge,  del  decreto  del  Ministro,  che non solo determina la somma
 dovuta per la  violazione  valutaria,  ma  altresi'  ne  ingiunge  il
 pagamento  precisandone  le  modalita'  e  i  termini  secondo quanto
 previsto dalla stessa legge n.  689 del 1981.
   Risulta quindi modificato il sistema di tutela  nei  confronti  del
 decreto   ministeriale  d'accertamento  dell'infrazione  valutaria  e
 d'irrogazione delle sanzioni. Tutela che in  precedenza  trovava  pur
 sempre  accesso  davanti  al giudice, essendo divenuta inapplicabile,
 per l'operativita'  dell'art.  113  della  Costituzione,  conseguente
 all'intervento  di  questa  Corte (sentenza n.  1 del 1959), la norma
 dell'art. 11 r.d.l. 5 dicembre 1938, n.   1928, secondo cui  non  era
 ammesso   alcun   ricorso   contro   i   provvedimenti   emanati  per
 l'accertamento delle violazioni in materia valutaria.
    Nel previgente regime costituiva  ormai  ius  receptum  la  tutela
 dinanzi al giudice ordinario - secondo la competenza per valore e per
 territorio   -   avverso  i  decreti  del  Ministro  del  tesoro  che
 accertavano violazioni in materia valutaria, sia  con  riguardo  alla
 contestazione  dei  presupposti  stessi  dell'infrazione,  sia che si
 ponesse in  discussione  la  legittimita'  formale  dell'atto  e  del
 procedimento  in esito al quale esso era stato adottato. Il correlato
 provvedimento d'ingiunzione di pagamento, emesso  dall'Intendente  di
 finanza,  era  poi  autonomamente  impugnabile dinanzi al giudice con
 riferimento  alla  eventuale  illegittimita'   delle   procedure   di
 riscossione, all'eccezione di prescrizione, ecc.
   Alla  luce della piu' volte affermata regola, secondo cui un modulo
 processuale non puo' essere  assunto  a  modello  costituzionale  del
 giusto  processo,  onde  non puo' venir prospettata come lesiva della
 garanzia al diritto di difesa l'adozione di un rito piuttosto che  di
 un  altro,  e' sufficiente la ricognizione di cui sopra per escludere
 la  violazione  sia  dell'art.    24  che  dell'art.      113   della
 Costituzione,  apoditticamente dedotta dal giudice a quo. Non e' dato
 infatti scorgere nella denunciata normativa alcun vulnus del  diritto
 di  agire  in giudizio contro un atto della pubblica amministrazione,
 diritto che rimane comunque garantito,  venendo  in  discussione  non
 gia'    l'an    sibbene   il   quomodo   dell'accesso   alla   tutela
 giurisdizionale.
   2.2. - Quanto invece alla disparita' di trattamento, su cui  sembra
 appuntarsi  in  particolare  la  doglianza del Pretore remittente, va
 osservato che questa Corte ha gia' piu' volte riconosciuto in materia
 di successione  di  leggi  nel  tempo  il  potere  discrezionale  del
 legislatore  d'introdurre  una nuova disciplina, anche se con effetti
 piu' favorevoli o comunque diversi per il cittadino,  senza  che  per
 questo  si possa ravvisare una disparita' di trattamento con riguardo
 alle posizioni non rientranti nella nuova normativa (v.  sentenze  n.
 238 del 1984, n.  55 del 1983, n.  113 del 1977).
   Ne'   rileva   che  nella  specie  la  differente  tutela  riguardi
 infrazioni commesse tutte prima dell'innovazione normativa.  E  cio',
 perche' il diverso trattamento non attiene alla sanzionabilita' della
 condotta  bensi'  alla tutela contro l'atto d'accertamento. Pertanto,
 e' con riferimento alla sola data di questo che  occorre  operare  la
 comparazione  fra  le posizioni oggetto della tutela giurisdizionale;
 rimanendo  invece  disomogenee   le   posizioni   di   soggetti,   la
 responsabilita'  dei  quali  sia  stata  accertata  in  tempi diversi
 rispetto al momento  di  entrata  in  vigore  della  nuova  normativa
 processuale. Cosi' come irrilevante, sotto il profilo costituzionale,
 e'  l'individuazione della data in cui deve ritenersi, a' sensi della
 denunciata norma, integrato il detto accertamento  attraverso  l'atto
 ministeriale   impugnabile.   Individuazione,  alla  quale  solamente
 afferisce la discussa definitivita' del  provvedimento  medesimo,  il
 cui  momento  integrativo  spetta  al  giudice  a  quo ricercare onde
 stabilire l'applicabilita' della normativa,  in  virtu'  della  quale
 puo'  radicarsi la sua competenza a decidere sull'opposizione davanti
 a lui.