IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel reclamo promosso da Patrizia Butti nei confronti di Valerio Negrini avverso il denegato provvedimento cautelare i' del g.i. dott. V. Febbraro emesso il 3 luglio 1996. Premesso che: con ricorso cautelare Patrizia Butti, adducendo di aver intrattenuto una convivenza more uxorio con Valerio Negrini, dalla quale era nata una bambina di nome Linda, riconosciuta da entrambi i genitori e successivamente affidata dal tribunale dei minorenni alla madre a seguito di contrasti che avevano portato alla separazione del nucleo familiare, aveva chiesto (quale genitore affidatario della minore) l'assegnazione della casa familiare di proprieta' esclusiva del convenuto, mediante il sequestro giudiziario dell'immobile e la nomina della deducente quale custode; instauratosi il contraddittorio il convenuto aveva contestato ogni pretesa della ricorrente; con ordinanza del 3 luglio 1996 il giudice designato aveva rigettato il ricorso ed aveva condannato la Butti alla refusione delle spese del giudizio, liquidate in L. 800.000; con reclamo depositato il 18 luglio 1996 la Butti aveva proposto reclamo avverso il denegato provvedimento cautelare reiterando i medesimi argomenti gia' dispiegati nell'originaria istanza; il Negrini costituendosi, a sua volta, aveva eccepito in via preliminare l'improponibilita' del reclamo e l'incompetenza del tribunale adito e nel merito aveva ribadito le proprie contrarie conclusioni; Rilevato che: vanno rigettate in via preliminare le eccezioni del resistente in quanto: per consolidato orientamento giurisprudenziale appartiene al tribunale ordinario e non al tribunale per i minorenni la competenza a decidere sulla domanda del genitore naturale, affidatario della prole, diretta ad ottenere dall'altro genitore naturale un contributo economico per il mantenimento della prole medesima nonche' l'assegnazione del godimento della casa d'abitazione, dato che tali istanze esulano dalla previsione dell'art. 38 disp. att. c.c.; la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 23 giugno 1994 ha espressamente previsto la reclamabilita' del provvedimento di rigetto della misura cautelare; nel merito la questione posta dalla reclamante attiene in sostanza all'applicabilita' alla famiglia di fatto delle norme specificatamente previste dal legislatore in tema di separazione personale dei coniugi ed in particolare dell'art 155, quarto comma, del c.c. che prevede un criterio preferenziale nell'assegnazione della casa coniugale (rectius familiare) in favore del coniuge affidatario dei figli minori o convivente con figli maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente, pur se lo stesso non sia titolare di un diritto reale o di godimento della casa stessa; questo collegio non ritiene di aderire a quell'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che tende verso un'ampia ed acritica assimilazione tra la disciplina normativa della famiglia legittima e la regolamentazione dei rapporti interni alla famiglia di fatto mediante un ricorso generalizzato all'analogia, dato che non pare possibile ricondurre sic et simpliciter un fenomeno "caratterizzato da una estrema variegatezza di figure e da una assoluta atipicita' di contenuti" (cfr. Commentario al diritto italiano della famiglia pag. 795) in una categoria normativa tipica quale la famiglia legittima; tale operazione in particolare non trova un valido fondamento teorico con riferimento all'art. 155, comma quarto, del c.c. dato che i' il provvedimento di assegnazione della casa previsto dal legislatore nell'ambito dei provvedimenti accessori alla pronuncia di separazione coniugale o di divorzio si ricollega al necessario presupposto del matrimonio; a tale conclusione si giunge sulla scorta della considerazione che il potere del giudice di attribuire il godimento della casa familiare ad un soggetto che su di essa non vanti alcun diritto, estromettendone il titolare, e' di natura eccezionale, come la norma che quel potere conferisce, sicche' esso non e' applicabile analogicamente e neppure in via di interpretazione estensiva al di fuori della fattispecie espressamente prevista (in questo senso Cass. sez. un. 2494/1982 e con riferimento all'art. 6, comma sesto della legge 898/1970 vedi Cass. 11788/1990, Cass. 12428/1991 e Cass. sez. un. 11297/1995); lo stesso disposto letterale della norma pare avvalorare tale interpretazione dato che in essa, a differenza che nel corrispondente art. 6 della legge n. 898/1970, si fa riferimento al "coniuge" e non al "genitore" per indicare il destinatario del provvedimento di assegnazione della casa familiare, il che sembra ancorare ancora una volta il detto provvedimento al necessario presupposto del matrimonio; alla luce dei motivi di fatto e di diritto teste' enunciati l'art. 155, quarto comma, del c.c. appare in contrasto con gli articoli 3 e 30 della Costituzione per violazione del principio di uguaglianza, nonche' del principio di tutela delle garanzie previste per i figli naturali nella parte in cui non prevede la possibilita' di assegnare in godimento la casa familiare al genitore naturale affidatario di un minore (o convivente con prole maggiorenne non economicamente autosufficiente) nato da un rapporto di convivenza more uxorio pur se lo stesso non sia titolare di alcun diritto reale o di godimento sulla casa medesima; la risoluzione della questione relativa all'eccepita incostituzionali dell'art. 155, comma quarto, del c.c. appare rilevante ai fini del decidere dato che l'eventuale accoglimento della domanda proposta dalla reclamante presuppone l'applicazione della detta norma al caso di specie; tale applicazione risulta ammissibile solo alla luce di un interpretazione analogica dell'articolo negata da questo collegio per i motivi suesposti.