ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 337 del codice
 penale, promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1995 dalla  Corte
 di  appello  di  Cagliari  nel  procedimento penale a carico di Altea
 Corrado, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre  1996  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto  che  la  Corte  di  appello  di Cagliari ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 337 del codice
 penale nella parte in cui prevede la  pena  minima  di  sei  mesi  di
 reclusione;
     che  a  tal proposito il giudice a quo, nel richiamare i principi
 posti a fondamento della sentenza n. 341 del  1994,  rileva  come  il
 minimo  edittale  previsto  dalla  norma  oggetto  di impugnativa non
 risulti  piu'  adeguato  alle  mutate  concezioni  del  rapporto  tra
 cittadino  e  pubblica  amministrazione,  sicche',  pur  se  idoneo a
 tutelare il principio di autorita', non consente di proporzionare  la
 sanzione ai fatti di minima gravita';
     che  pertanto  risulterebbe nella specie compromesso il principio
 di uguaglianza, avuto riguardo al diverso  trattamento  sanzionatorio
 previsto per i reati di percosse o di partecipazione a rissa, ove non
 e'  sancito  alcun  minimo  edittale,  e di riflesso violato anche il
 precetto  sancito  dall'art.  27, terzo comma, della Costituzione, in
 quanto la maggiore e non giustificata severita' imposta  dalla  legge
 puo'   "influire   negativamente   sul  principio  costituzionale  di
 rieducazione  del  condannato,  scopo  principale   del   legislatore
 penale";
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
   Considerato  che  nessuna  delle  considerazioni  svolte in tema di
 oltraggio nella sentenza n. 341 del 1994  puo'  ritenersi  pertinente
 alla   fattispecie   oggetto   di   impugnativa,  giacche',  come  la
 giurisprudenza di legittimita' ha avuto modo  di  ribadire  anche  di
 recente (Cass., Sez. VI, 19 settembre 1996, n. 1178), a differenza di
 quanto  si verifica nel delitto di oltraggio, nel reato di resistenza
 non viene in  preminente  considerazione  il  diritto  personale  del
 cittadino  investito  di  pubblica funzione al rispetto della propria
 dignita' e liberta' privata, bensi' il  diritto-dovere  della  stessa
 pubblica amministrazione di non subire intralci nell'assolvimento dei
 suoi compiti, sicche' il maggior livello della sanzione minima non e'
 rivolto   a  punire  la  violazione  di  una  privilegiata  posizione
 personale  connessa  ad  una  ormai  tramontata  configurazione   dei
 rapporti  tra  pubblici  ufficiali  e cittadini, ma la maggior offesa
 arrecata alla pubblica  amministrazione  da  una  condotta  volta  ad
 impedire con violenza o minaccia l'attuazione della sua volonta';
     che  d'altra  parte,  e  come  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
 evidenziare  in  riferimento  alla   analoga   fattispecie   prevista
 dall'art.  336  cod.pen.,  ove  venisse  accolto  il petitum inteso a
 caducare il minimo edittalmente previsto dall'art. 337  dello  stesso
 codice,   si   assimilerebbe,   sotto  questo  aspetto,  il  relativo
 trattamento sanzionatorio a quelloora stabilito  per  il  delitto  di
 oltraggio,  in aperto contrasto con la stessa tradizione codicistica,
 doverosamente attenta a rimarcare la maggior lesivita'  che  presenta
 una  sia  pur  "minima"  violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale
 rispetto ad una parimenti "minima" offesa al suo  onore  e  prestigio
 (v. sentenza n. 314 del 1995);
     che,  pertanto,  la  questione  proposta  deve  essere dichiarata
 manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.