ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
 cod. proc. pen., promosso con ordinanza emessa  il 3 maggio 1996  dal
 Tribunale  di  Bari  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Lepore
 Francesco,  iscritta  al  n.  627  del  registro  ordinanze  1996   e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 28, prima
 serie speciale,
  dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Ritenuto che il tribunale di Bari, con ordinanza del 3 maggio 1996,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  34,
 comma  2,  cod.  proc.  pen.,  in riferimento agli articoli 2, 3, 24,
 primo  comma,  25,  primo  comma  e   101,   secondo   comma,   della
 Costituzione;
     che  l'ordinanza  di  rimessione  muove dalla sentenza n. 131 del
 1996  di   questa   Corte,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in
 cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla  funzione di giudizio del
 giudice che,  come  componente  del  tribunale  dell'appello  avverso
 l'ordinanza  che  provvede in ordine a una misura cautelare personale
 nei confronti dell'indagato o  dell'imputato  (art.  310  cod.  proc.
 pen.),  si  sia  pronunciato  su  aspetti  non esclusivamente formali
 dell'ordinanza anzidetta;
     che la ragione di incompatibilita' sopra delineata -  si  osserva
 nell'ordinanza di rinvio - assume rilievo nel giudizio a quo giacche'
 il  collegio  rimettente,  che  e' chiamato alla funzione di giudizio
 dibattimentale, e' lo stesso che ha pronunciato,  in  data  5  giugno
 1995,  ordinanza  con cui ha accolto l'appello di un imputato avverso
 un'ordinanza del giudice per  le  indagini  preliminari  in  tema  di
 misure cautelari (piu' specificamente: relativa alla disposta proroga
 del  termine  di  custodia  cautelare a norma dell'art. 305, comma 2,
 cod.  proc. pen.);
     che in tal modo si viene a configurare  l'obbligo  di  astensione
 dei componenti del tribunale, nonostante che la valutazione da questo
 compiuta  in  sede  di  appello  de libertate, pur non potendosi dire
 esclusivamente formale, sia stata  tuttavia  strettamente  delimitata
 alla   verifica  della  sussistenza  della  sola  esigenza  cautelare
 relativa al pericolo per la genuinita' della prova, sia per  l'ambito
 di  cognizione  del  gravame, quale segnato dal principio devolutivo,
 sia per il carattere del provvedimento impugnato, basato, secondo  la
 prescrizione   legislativa,   sulla   ricorrenza  di  gravi  esigenze
 cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi,
 rendono indispensabile il protrarsi della custodia;
     che, date le premesse sopra esposte, il tribunale svolge un primo
 profilo della questione secondo  il  quale,  individuata  la  ragione
 fondante  della  causa  di  incompatibilita' in esame nelle modifiche
 recate alla disciplina della liberta' personale nel  processo  penale
 dalla  legge  8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura
 penale  in  tema  di  semplificazione  dei  procedimenti,  di  misure
 cautelari  e  di diritto di difesa), risulterebbe ingiustificatamente
 discriminatorio  non  aver  distinto,   con   la   dichiarazione   di
 incostituzionalita',  fra i provvedimenti ex art. 310 cod. proc. pen.
 rientranti nella nuova disciplina e i provvedimenti regolati  -  come
 quello  del  giudizio  a  quo  anteriore  all'entrata in vigore della
 riforma   -    dalla    precedente    normativa,    dovendo    valere
 l'incompatibilita' solo in relazione ai primi e non ai secondi;
     che,  infatti,  se e' in base alla legge n. 332 del 1995 che puo'
 ritenersi che la valutazione sulle  esigenze  cautelari  ne  implichi
 necessariamente   una   corrispondente  sul  merito  dell'accusa,  la
 statuizione dell'incompatibilita' indifferenziata nel tempo determina
 una   irragionevole   equiparazione,   lesiva   dell'art.   3   della
 Costituzione,  di  casi  tra  loro  diversi,  dovendosi  - secondo il
 rimettente - riconoscere la formazione di un pregiudizio  solo  nella
 valutazione  in  tema  di  liberta' personale svolta nel vigore della
 nuova regolamentazione;
     che, delineando un secondo profilo della  questione,  il  giudice
 rimettente   osserva  che,  anche  indipendentemente  dal  discrimine
 temporale segnato dalla  riforma  legislativa  dell'agosto  1995,  la
 valutazione   del  giudice  dell'appello  de  libertate  qualora  sia
 contenuta nell'ambito della verifica sulla sussistenza delle esigenze
 cautelari - per il limite della devoluzione, e per le caratteristiche
 del  provvedimento  impugnato,  come  prima  ricordato  -,  non  puo'
 risolversi  sempre  in  quel  giudizio  anticipato  e  prognostico di
 colpevolezza  che  determina   l'incompatibilita'   alla   successiva
 funzione  di giudizio, trattandosi in questa evenienza di assumere la
 contestazione   del   reato   come   un   mero    "dato",    estraneo
 all'apprezzamento sull'impugnazione;
     che,     per    questo    secondo    profilo,    la    previsione
 dell'incompatibilita'  rilevata  dalla  sentenza  n.  131  del  1996,
 risulterebbe,  nella  sua  generalizzazione, lesiva dell'art. 3 della
 Costituzione, in quanto accomuna situazioni differenziate, quali sono
 quella  in  cui  vi  sia  stata  effettivamente  una  valutazione  di
 colpevolezza tale da integrare una prevenzione rispetto al successivo
 giudizio, e quella in cui la colpevolezza rimane un elemento  esterno
 alla  conoscenza  e  all'apprezzamento del giudice; nonche' in quanto
 finisce per ricollegare il pregiudizio alla sola conoscenza  di  atti
 dell'indagine,  in  contrasto  con  la  ripetuta  affermazione  della
 giurisprudenza costituzionale, ribadita anche dalla  stessa  sentenza
 n.  131  del  1996,  secondo  cui  tale conoscenza non e', come tale,
 idonea a fondare una causa di incompatibilita';
     che, inoltre, la previsione in discorso  risulterebbe  lesiva  di
 ulteriori parametri costituzionali, perche' limitativa, anche per gli
 intralci  che  comporta nella perdita di attivita' processuale, della
 funzione   giurisdizionale   (art.   101,   secondo   comma,    della
 Costituzione),  funzione  che  e'  apprestata  a  tutela  di  diritti
 fondamentali della persona (art. 2  della  Costituzione),  nonche'  a
 tutela   del   diritto   di  azione  (art.  24,  primo  comma,  della
 Costituzione), in particolare  delle  parti  civili;  profili  tutti,
 questi, da rapportare al principio del giudice naturale precostituito
 per legge (art. 25, primo comma, della Costituzione);
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che,  richiamando  altro  atto  di  intervento  depositato in
 distinto giudizio, ha concluso per l'infondatezza della questione;
   Considerato che, relativamente al primo profilo della questione, il
 presupposto della censura, consistente  nella  affermata  decisivita'
 del  mutamento di quadro normativo determinato dalla legge n. 332 del
 1995 ai fini della rilevata incostituzionalita' dell'art.  34,  comma
 2,  cod.  proc.  pen.  nel  senso  esposto  in  narrativa,  non trova
 corrispondenza in quanto argomentato e deciso nella sentenza  n.  131
 del  1996, cui il giudice rimettente fa riferimento, poiche', come si
 desume dal tenore del dispositivo e come e' chiarito  altresi'  dalla
 motivazione  della  pronuncia, il nuovo assetto legislativo ha svolto
 una influenza, concorrente con altri elementi e dunque non  esclusiva
 o determinante, nel superamento del precedente orientamento di questa
 Corte  (sentenza  n.  502  del  1991),  superamento  del  resto  gia'
 ravvisabile nella decisione n. 432 del 1995;
     che, come si e' gia' osservato nella sentenza n. 131 del  1996  e
 nella  citata  sentenza  n. 432 del 1995, che della prima costituisce
 precedente  specifico,  l'incidenza  del   nuovo   quadro   normativo
 rappresenta   un   elemento  di  accentuazione  di  taluni  caratteri
 qualificanti l'originaria disciplina del  nuovo  processo  penale  in
 materia di liberta' personale, un elemento dunque che si collega alla
 accresciuta  pregnanza del giudizio probabilistico sulla colpevolezza
 dell'indagato o imputato in ogni decisione sulla  liberta'  personale
 (in   particolare,   per   l'onere  di  apprezzamento  delle  ragioni
 difensive, art. 292, comma 2, lettera c-bis e per la  valutazione  ex
 ante  in  ordine alla possibile concessione del beneficio sospensivo,
 art. 275, comma 2-bis), ma  che  proprio  tale  accentuazione  di  un
 connotato  qualitativo  gia' esistente esclude la radicale cesura che
 il giudice a quo  prospetta,  tra  l'assetto  preesistente  e  quello
 conseguente alla richiamata riforma;
     che,  relativamente  al  secondo profilo della questione, si deve
 ribadire che anche le - sole -  valutazioni  sulla  ricorrenza  delle
 esigenze  cautelari  comportano un pregiudizio sul merito dell'accusa
 e,  dunque,  "possono   riflettersi   sulla   posizione   sostanziale
 dell'imputato  nel  giudizio"  (sentenza  n.  131  del  1996, par. 3;
 sentenza n. 155 del 1996, par. 4.1), poiche', anche  se  con  diverso
 accento  -  dalla cautela di ordine probatorio, a quella del pericolo
 di fuga, a quella del pericolo di commissione di gravi delitti  -  ma
 comunque sulla base di un comune denominatore contrario alla liberta'
 della  persona, siffatte valutazioni sulle esigenze cautelari possono
 comportare l'anticipazione di considerazioni soggettive  e  oggettive
 della  complessiva  vicenda  che  successivamente  viene portata alla
 cognizione del giudice del merito e che e' oggetto  del  procedimento
 penale;
     che  pertanto  l'immanenza,  in  tali  valutazioni  cautelari, di
 profili, per quanto anticipati e probabilistici, comunque connessi al
 giudizio  di  colpevolezza,  rende  indifferente,  sul  piano   della
 costituzionalita'  della  norma,  la  delimitazione  della cognizione
 all'ambito delle esigenze cautelari, valorizzata dal  giudice  a  quo
 sia  tale  delimitazione conseguenza del tipo di giudizio (appello, e
 relativo limite dell'effetto devolutivo) ovvero delle caratteristiche
 del provvedimento che ne e' oggetto (ordinanza di proroga del termine
 di custodia cautelare, ex art.   305,  comma  2,  cod.  proc.  pen.),
 integrandosi   comunque,   anche   in  tali  ipotesi,  il  potenziale
 pregiudizio rilevante ai fini dell'imparzialita' del giudice;
     che, in base ai rilievi che precedono, la questione  deve  essere
 dichiarata manifestamente infondata sotto entrambi i profili;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.