IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza letti gli atti del procedimento  n.
 1659/1996  r.g. pretura a carico di Di Giovanni Ottavio, per il reato
 di cui all'art. 21, primo comma, della legge 10 maggio 1976 n. 319.
                             O s s e r v a
   Nel processo in questione e' stata contestata la  violazione  della
 legge  n.  319  del  1976  in  relazione  allo scarico di un frantoio
 oleario,  considerato  dalla  legge  quale  scarico  da  insediamento
 produttivo,  quindi  soggetto  agli  obblighi ed alle sanzioni penali
 previsti per questi scarichi a tutela dall'inquinamento.
   Tuttavia e' nel frattempo intervenuta la legge 11 novembre 1996, n.
 574,  la  quale  stabilendo  "Nuove norme in materia di utilizzazione
 agronomica delle acque di  vegetazione  e  di  scarichi  dei  frantoi
 oleari",  prevede  una  particolare  disciplina  di favore per questi
 scarichi espressamente derogatoria rispetto a quella stabilita  dalla
 legge  n.  319/1976  per  tutti  gli  altri  scarichi da insediamenti
 produttivi.
   In particolare si consente lo scarico delle acque di vegetazione  e
 delle  sanse  umide,  cui  l'art. 1, comma secondo, estende lo stesso
 regime di favore, provenienti dalla lavorazione  delle  olive,  senza
 autorizzazione  preventiva  e senza l'osservanza dei limiti tabellari
 previsti dalla legge n. 319, pure gia' previsti dall'art. 2, comma 2,
 legge n. 119/1987 (disposizioni urgenti in  materia  di  scarico  dei
 frantoi  oleari),  prevedendo  al  piu'  sanzioni  amministrative non
 superiori, nel massimo, a 5 milioni; e si precisa  in  proposito  che
 "L'utilizzazione  agronomica  delle  acque  di  vegetazione  ai sensi
 dell'art.     1,  non  e'   subordinata   all'osservanza   da   parte
 dell'interessato  delle  prescrizioni  dei limiti e di accettabilita'
 previsti dalla legge n. 319/1976 e  succ.  modificazioni"  (art.  10,
 comma primo).
   Per  altro  la  legge  in esame era stata preceduta sin dall'aprile
 1995 da una serie di decreti-legge reiterati e mai convertiti i quali
 tendevano anch'essi a creare una disciplina di favore (anche se  piu'
 limitata) in deroga a quella generale per gli scarichi dei frantoi.
   Sotto  il  profilo  penale,  la  nuova  legge  oltre ad essere piu'
 favorevole, fa anche salvi gli  effetti  prodottisi  sulla  base  dei
 citati  decreti-legge, prevedendo in proposito, una espressa causa di
 non punibilita' (art.  10, commi 3 e 4).
   Nel caso di specie, dunque, alla stregua della nuova disciplina, si
 dovrebbe pervenire al proscioglimento, trattandosi di fatto non  piu'
 previsto  dalla  legge come reato ovvero espressamente dichiarato non
 punibile.
   A  parere  di  questo  pretore  sussistono,   pero',   profili   di
 inconstituzionalita'  che  inducono  questo  giudice a prospettare la
 questione alla Corte costituzionale.
    In primo luogo, infatti, non sembra  infondato  ritenere  che  sia
 stato  violato  il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della
 Costituzione.
   La Corte costituzionale ha costantemente affermato che il  rispetto
 dell'art.  3  consente  al legislatore di emanare norme differenziate
 riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo  a  condizione  che
 tali  norme rispondano alla esigenza che la disparita' di trattamento
 sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne
 giustifichino l'adozione (cfr. per tutte la sentenza n. 3 del  1963).
 Per  cui  la Corte ha dichiarato illegittime norme che prevedevano un
 trattamento sanzionatorio irrazionalmente  differenziato  rispetto  a
 quello  previsto  da  altre  fattispecie,  ovvero,  con una decisione
 recente proprio relativa all'art. 21 della legge Merli  (ove  si  fa'
 espresso  riferimento  anche al complesso della normativa ambientale)
 eliminando  il  divieto  di  applicazione  di  sanzioni   sostitutive
 (sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994).
   In  questa  sentenza  la Corte ricorda che si viola il principio di
 eguaglianza qualora con leggi successive si dia vita ad  un  "sistema
 normativo assolutamente squilibrato".
   Ed  anzi,  a  proposito  del  principio  di  eguaglianza  in questo
 delicato settore la Corte, come  rilevato  da  recente  dottrina,  ha
 anche  precisato  che si tratta di un modello "dinamico" il quale, in
 presenza di una diversa disciplina giuridica di situazioni  omogenee,
 dovrebbe  indurre  l'interprete  ad  interrogarsi  sul  "perche'  una
 determinata disciplina operi,  all'interno  del  tessuto  egualitario
 dell'ordinamento,  quella  specifica  distinzione"  ed  a  "trarne le
 debite conseguenze in punto di corretto  uso  del  potere  normativo"
 (sentenza  n. 89 de 28 marzo 1996); dichiarando, in tema di sanzioni,
 la "arbitrarieta' delle statuizioni non uniformi" per "contrasto  con
 i  principi  di  ragionevolezza e di razionalita' della legislazione,
 desumibili dall'art. 3 della Costituzione" (sentenza  n.  52  del  21
 febbraio 1996).
   Esattamente  quello che ha fatto il legislatore con la nuova legge.
 Infatti  con  essa  si  e'  introdotta,  senza   alcuna   ragionevole
 giustificazione,  un  evidente  disparita'  di  trattamento, sia come
 obblighi che come sanzione, tra scarichi da insediamenti  produttivi;
 tanto  piu'  che, trattandosi di norme contro l'inquinamento, l'unico
 presupposto che dovrebbe giustificare un trattamento  di  favore  per
 gli   scarichi   dei  frantoi  dovrebbe  riguardare  la  loro  minore
 pericolosita' per l'ambiente e non il tipo di  attivita'.  Mentre  e'
 vero il contrario, come si evince anche da tutta la normativa tecnica
 elaborata per il trattamento delle acque di vegetazione (vedi tra gli
 altri d.m. 24 luglio 1987 n. 397).
   In  altri  termini  appare  del  tutto evidente che se lo scopo del
 legislatore e' di evitare lo scarico nell'ambiente  di  sostanze  con
 parametri  che  superino determinati limiti di accettabilita', e' del
 tutto irrilevante, ai fini  eventuali  "ragionevoli"  esclusioni,  la
 provenienza ed il tipo di attivita' svolta.
    Del  resto  appare  del  tutto  evidente  che  se  il  legislatore
 ritenesse che gli scarichi dei frantoi sono da ritenersi innocui,  in
 quanto  non  superano i limiti tabellari, non ci sarebbe stata alcuna
 necessita', (dopo avere stabilito l'obbligo del rispetto  dei  limiti
 di  cui  alla  tabella  A  della  legge  n.  319/1976  entro due anni
 dall'entrata in vigore della legge n. 119/1977),  di  escludere  oggi
 con  la  legge n.  574/1996 il rispetto degli obblighi della legge n.
 319.
   Peraltro, la nuova  legge  configura  una  evidente  disparita'  di
 trattamento  rispetto anche al sistema complessivo della normativa di
 tutela ambientale (cfr. ad es.  il  d.P.R.  24  maggio  1988  n.  203
 sull'inquinamento atmosferico
  da industria) ed in particolare altre leggi che si occupano, come la
 Merli,  di  inquinamento delle acque (quale il  d.-l. 27 gennaio 1992
 n. 133 sugli scarichi di sostanze  pericolose),  le  quali  prevedono
 tutte   sanzioni   penali   (e   non  amministrative)  per  fatti  di
 inquinamento o per violazioni delle prescrizioni  dell'autorizzazione
 commessi da  titolari di insediamenti produttivi.
   Ma  il  nuovo  testo  appare in contrasto anche con l'art. 32 della
 Costituzione che garantisce il diritto alla salute.
   Se  infatti  secondo   il   costante   insegnamento   della   Corte
 costituzionale  e  della  Corte di cassazione l'art 32  stabilisce il
 diritto ad un ambiente salubre per cui "l'Amministrazione non  ha  il
 potere  di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di
 interesse pubblico di particolare rilevanza" (Cass. 6 ottobre 1979 n.
 5172)  appare  evedente  il  contrasto  con  questo  diritto  di  una
 normativa la quale elimina per i soli titolari di scarico di  frantoi
 oleari  gli obblighi e le sanzioni penali previste dalla legge n. 319
 per violazioni che danneggino l'ambiente.
   Altrettanto evidente appare il  contrasto  della  citata  legge  n.
 575/1996  con  l'art.  9,  secondo  comma,  della  Costituzione,  per
 insegnamento  della  Corte  costituzionale  l'ambiente   e'   diritto
 fondamentale  insuscettivo  di  essere subordinato a qualunque altro,
 laddove in questo  caso,  evidenti  ragioni  di  carattere  economico
 conducono  non  solo  a prevedere diverse procedure amministrative di
 autorizzazione ma giungono  comunque  a  depenalizzare  una  condotta
 (scarico non autorizzato) privando di effettiva tutela penale un bene
 ed un diritto fondamentale.
   Cio'  fa  sorgere  anche  perplessita'  sul possibile contrasto con
 l'art. 41, secondo comma  della  Costituzione  che  vieta  iniziative
 economiche private "in contrasto con l'utilita' sociale".
   Peraltro come segnalato dall'ordinanza del pretore di Vicenza del 2
 agosto 1984 in relazione di un decreto-legge poi sfociato nella legge
 n.  172/1995  suscita  dubbi di costituzionalita' qualunque legge che
 favorisce  apertamente,  con  deroghe,  depenalizzazione  e  sanzioni
 irrisorie,  chi ha violato la normativa da inquinamento da scarichi e
 "penalizza invece, anche sul piano  della  concorrenza  fra  imprese,
 proprio  le  aziende  che hanno affrontato rilevanti investimenti per
 adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale".
   A proposito del possibile intervento  della  Corte  costituzionale,
 tuttavia,  si  deve  rilevare  che,  nel  caso  di analoghe eccezioni
 sollevate in relazione alla  disciplina  di  favore  introdotta,  con
 riferimento  soprattutto  alle  sanzioni, dalla legge n. 172 del 1995
 per gli scarichi delle pubbliche fognature, la Corte ha  ritenuto  di
 doverle   dichiarare   manifestamente  inammissibili  in  quanto  "il
 fondamentale principio di stretta legalita' dei reati  e  delle  pene
 preclude   pronunce   che   configurino  nuove  ipotesi  di  reato  o
 aggravamenti  di  pena"  (ordinanza  n.  332  del  30  luglio  1996);
 aggiungendo  che  "le questioni tendono ad introdurre o reintrodurre,
 figure di reato o aggravamenti di pena, chiedendo una  pronuncia  che
 esula  dai  poteri  spettanti  a  questa Corte, giacche' il potere di
 creare fattispecie penali o di aggravare le  pene  e'  esclusivamente
 riservato al legislatore, in forza del principio di stretta legalita'
 dei  reati  e  delle  pene, sancito dall'art. 25, secondo comma della
 Costituzione" (sentenza n. 330 del 29 luglio 1996).
   A tale argomentazione e' agevole replicare che nel caso di  specie,
 ricorrono situazioni diverse per cui non si chiede affatto alla Corte
 di creare nuovi illeciti penali o di aggravare le pene, ma molto piu'
 semplicemente,  di  valutare  se  il nuovo regime di favore, relativo
 agli obblighi prima ancora che alle sanzioni, creato con la legge  n.
 574  per gli scarichi dei frantoi, sia in contrasto o meno con alcuni
 articoli della Costituzione.
   Che poi, da tale eventuale pronuncia possa derivare  il  ripristino
 della disciplina precedente (anche come sanzioni), e' fatto del tutto
 secondario  ed  automatico,  e  certamente  non tale da impedire alla
 Corte di esercitare il suo potere-dovere rispetto a  norme  di  legge
 che si sospettano incostituzionali.
   Del  resto,  richiamando  alcune  considerazioni gia' accennate, e'
 pacifico per la Corte, che  l'esercizio  della  discrezionalita'  del
 legislatore  in  tema  di sanzioni "puo' essere censurato quando esso
 non rispetti il limite  della  ragionevolezza  e  dia  luogo  ad  una
 disparita'  di trattamento palesemente irrazionale ed ingiustificata"
 (sentenza n. 25 del  26  gennaio  1984);  e  che  spetta  alla  Corte
 verificare,  caso  per  caso,  se una data misura sanzionatoria sia o
 meno proporzionata (sentenza n. 110 del 12 aprile 1996).
   Considerato che nel caso in esame e' contestato  il  reato  di  cui
 all'art.  21, primo comma della legge n. 319/1976, ma che trattandosi
 di scarico da frantoio si potrebbe pervenire ad un proscioglimento ai
 sensi dell'art. 8, primo comma  e  10  della  legge  sopravvenuta  11
 novembre 1996 n. 574, come richiesto dalla difesa.
    Considerato che per le argomentazioni sopra esposte vi sono validi
 motivi  per ritenere non manifestamente infondato il sospetto che gli
 artt. 3, 8, 10 primo-secondo-terzo e  quarto  comma  della  legge  11
 novembre  1996  n. 574 siano in contrasto con gli artt. 3, 9, secondo
 comma, 32, 41,  secondo  comma,  della  Costituzione  e  che  ove  le
 predette   norme   fossero   dichiarate   illegittime   dalla   Corte
 costituzionale si applicherebbero la disciplina e le  sanzioni  della
 legge n. 319/1976.