ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi promossi con ricorsi della provincia autonoma di Trento e
 della provincia autonoma di Bolzano, notificati rispettivamente il 22
 marzo  ed  il 17 aprile 1996, depositati in cancelleria il 1 ed il 22
 aprile 1996, per conflitti di attribuzione sorti a seguito del d.P.R.
 13 dicembre 1995 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni  per
 la   determinazione   del   numero   di   esercizi   abilitati   alla
 somministrazione al pubblico  di  alimenti  e  bevande)  ed  iscritti
 rispettivamente ai nn. 7 e 13 del registro conflitti 1996;
   Visti  gli  atti  di  costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1997 il giudice  relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  gli  avv.ti Giandomenico Falcon per la provincia autonoma di
 Trento e Rolando Riz e Sergio Panunzio per la provincia  autonoma  di
 Bolzano.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  due  distinti  ricorsi  per  conflitto  di attribuzione
 regolarmente notificati, rispettivamente, il 22 marzo e il 17  aprile
 1996,  e  depositati,  rispettivamente, il 1 ed il 22 aprile 1996, la
 provincia autonoma di Trento  (reg.  confl.  n.  7  del  1996)  e  la
 provincia  autonoma  di  Bolzano  (reg.  confl. n. 13 del 1996) hanno
 impugnato il d.P.R. 13 dicembre 1995, recante "Atto  di  indirizzo  e
 coordinamento  alle  regioni  per  la  determinazione  del  numero di
 esercizi abilitati alla somministrazione al pubblico  di  alimenti  e
 bevande".
   Il  decreto impugnato e' stato emanato sulla base dell'art. 3 della
 legge 25 agosto 1991, n. 287, il quale prevede che "sulla base  delle
 direttive  proposte  dal  Ministro  dell'industria,  del  commercio e
 dell'artigianato (...) e deliberate ai sensi dell'art.  2,  comma  3,
 lettera  d,  della  legge  23  agosto  1988, n. 400 (disposizione che
 attribuisce  alla  competenza   del   Consiglio   dei   Ministri   la
 deliberazione  degli atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita'
 amministrativa   delle   regioni),   le   regioni    (...)    fissano
 periodicamente criteri e parametri atti a determinare il numero delle
 autorizzazioni   rilasciabili"   dai   comuni  per  gli  esercizi  di
 somministrazione  al  pubblico  di  alimenti  e  bevande:  criteri  e
 parametri  "fissati in relazione alla tipologia degli esercizi tenuto
 conto anche del reddito  della  popolazione  residente  e  di  quella
 fluttuante,  dei  flussi  turistici  e  delle  abitudini  di  consumo
 extradomestico".
   Stando al provvedimento in questione, che si autoqualifica "atto di
 indirizzo e di coordinamento alle regioni e alle province autonome di
 Trento e di Bolzano", e che si indirizza espressamente anche a queste
 ultime, le regioni, nell'indicare ai comuni i criteri e  i  parametri
 da  seguire,  debbono  osservare  alcune  "direttive", indicate nelle
 lettere da a a g del n. 1; mentre il n. 2 a sua volta dispone che  le
 regioni  sono  tenute  a  emanare  i  criteri e i parametri entro 120
 giorni dalla pubblicazione del decreto medesimo.
   La  provincia di Trento sostiene preliminarmente che sarebbe frutto
 di un equivoco il riferimento, nel  citato art. 3 della legge n.  287
 del 1991, alla lettera d dell'art. 2, comma 3, della legge  n.    400
 del  1988  -    disposizione  che  concerne  gli  atti di indirizzo e
 coordinamento - anziche' alla lettera  e,  concernente  le  direttive
 governative  per  l'esercizio  delle funzioni amministrative delegate
 alle regioni. Infatti, osserva la provincia,  la materia dei pubblici
 esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e' stata  delegata
 alle  regioni  a  statuto ordinario dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616
 (art. 52, comma 1, lettera a), mentre e' attribuita come competenza
  propria alle province di Trento e di Bolzano dallo statuto  speciale
 della regione Trentino-Alto Adige (art. 9, n. 3 e n. 7, e art. 16).
   Un   primo   motivo   di   illegittimita'   del  decreto  impugnato
 consisterebbe  dunque  nell'avere  indebitamente  esteso  l'efficacia
 delle  direttive,  previste  per  le attivita' delegate delle regioni
 ordinarie, alle province autonome di  Trento  e  Bolzano,  competenti
 invece a titolo proprio.
   L'atto  impugnato,  autoqualificandosi  - indebitamente, secondo la
 ricorrente  -  come  atto  di  indirizzo  e  coordinamento,   sarebbe
 comunque, in quanto tale, del tutto privo di fondamento legislativo.
   Le  ricorrenti,  collocandosi  poi  - la provincia di Trento in via
 subordinata   -   nella   prospettiva   della   qualificazione    del
 provvedimento  come  atto di indirizzo e coordinamento, affermano che
 esso violerebbe le speciali norme di attuazione dello statuto dettate
 con l'art.  3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266.
   Tali  norme  stabiliscono  che   -   restando   impregiudicata   la
 consultazione obbligatoria della Conferenza permanente per i rapporti
 tra  lo  Stato, le regioni e le province autonome, prevista dall'art.
 12, comma 5, della  legge  n.  400  del  1988  sui  criteri  generali
 relativi   all'esercizio   delle  funzioni  statali  di  indirizzo  e
 coordinamento  -  la  regione  Trentino-Alto  Adige  o  le   province
 autonome, secondo le rispettive competenze, debbono essere consultate
 "su  ciascun  atto  amministrativo  di  indirizzo e coordinamento per
 quanto attiene alla compatibilita' di esso con lo statuto speciale  e
 con  le  relative  norme  di attuazione" (comma 3); e che se gli enti
 interpellati  manifestano   avviso   motivato   di   incompatibilita'
 dell'atto  con  lo  statuto  o  le  norme  di attuazione, l'efficacia
 dell'atto medesimo nel  territorio  regionale  o  provinciale  rimane
 sospesa  per  trenta  giorni,  nonche'  - ove entro tale termine esso
 venga impugnato con ricorso per conflitto di attribuzioni - fino alla
 pronuncia di questa Corte,  salva  decisione  contraria  della  Corte
 stessa (commi 4 e 5).
   Secondo   le   province   ricorrenti,   l'atto   impugnato  sarebbe
 illegittimo in quanto emanato senza sottoporlo al previo avviso delle
 province medesime: in proposito, la provincia di Trento sostiene  che
 cio'  ne comporterebbe la inapplicabilita' nel proprio territorio, ma
 che comunque esso, in quanto rivolto anche  alle  province  autonome,
 manifesterebbe una pretesa statale di per se' lesiva.
   Inoltre,  ad  avviso  delle  ricorrenti, l'atto sarebbe illegittimo
 quanto al suo contenuto dispositivo. Infatti    l'art.  3,  comma  2,
 delle  citate  norme  di  attuazione di cui al decreto legislativo n.
 266 del 1992 stabilisce che  gli atti di  indirizzo  e  coordinamento
 vincolano  la  regione  Trentino-Alto Adige e le province di Trento e
 Bolzano "solo al conseguimento degli obiettivi o  risultati  in  essi
 stabiliti",  restando riservata agli enti autonomi l'emanazione delle
 norme  di  organizzazione  eventualmente  occorrenti  per   la   loro
 attuazione.     Ora,  secondo  le  ricorrenti,  l'atto  in  questione
 conterrebbe  alcune  disposizioni  che  non  si  limitano  a  fissare
 obiettivi  o  risultati,  ma  dettano  una  disciplina  di  dettaglio
 vincolante. Vengono citati in proposito la previsione di periodicita'
 triennale della  adozione dei criteri e parametri provinciali (n.  1,
 lettera  d);  il  divieto di porre limiti massimi alle autorizzazioni
 rilasciabili (n. 1,  lettera  f);  l'obbligo  di  emanare  criteri  e
 parametri entro 120 giorni dalla pubblicazione dell'atto medesimo (n.
 2).
   Infine,   la  provincia  di  Trento  sostiene  che  l'atto  sarebbe
 illegittimo per contrasto con la disposizione dell'art. 3,  comma  7,
 delle  citate  norme di attuazione, ai cui sensi l'atto di indirizzo,
 ove  sia  emanato  in  applicazione  di  principi  e  norme   statali
 sopravvenute   che   impongono   un  adeguamento  della  legislazione
 provinciale, ma non si applicano direttamente nella regione (in forza
 delle disposizioni dell'art.  2 delle stesse  norme  di  attuazione),
 "non  vincola direttamente l'attivita' amministrativa della regione e
 delle province per quanto permangono in vigore" le leggi  provinciali
 soggette ad adeguamento. Nella specie, infatti, sarebbe in vigore una
 legislazione  provinciale,  con la quale non sarebbero compatibili le
 disposizioni prima ricordate del decreto impugnato.
   2. - Si e' costituito in  entrambi  i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio  dei Ministri (peraltro fuori termine nel giudizio promosso
 dalla provincia di Bolzano), chiedendo che i ricorsi siano dichiarati
 inammissibili o infondati.
   L'Avvocatura  erariale  ricorda  che  l'art.  52  del  decreto  del
 Presidente  della  Repubblica n. 616 del 1977 ha delegato l'esercizio
 delle funzioni amministrative nella materia in questione alle regioni
 ordinarie, le  quali  dunque,  ai  sensi  dell'art.  7  dello  stesso
 decreto, possono emanare norme legislative di attuazione. Le province
 autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  hanno in materia una competenza
 concorrente o ripartita: e pertanto, secondo la difesa del Presidente
 del Consiglio, si troverebbero in posizione non dissimile  da  quella
 delle regioni ordinarie. Viene citata in proposito la sentenza n. 564
 del  1988  di  questa Corte, la quale ha affermato che la funzione di
 indirizzo e coordinamento opera anche nei confronti delle  regioni  a
 statuto  speciale,  senza  che  rilevi  il  tipo  e  il  grado  della
 competenza dell'ente decentrato.
   La legge n. 287 del 1991, sulla cui base e'  stato  emanato  l'atto
 impugnato,  sarebbe  da  considerarsi,  secondo  l'Avvocatura,  legge
 quadro, le cui disposizioni si applicherebbero anche nelle regioni  a
 statuto  speciale,  come  norme  di  principio volte a garantire, tra
 l'altro, "il rispetto dei dettami dell'ordinamento comunitario  sulla
 liberta'  di stabilimento e sulla libera circolazione delle persone e
 dei  servizi".    L'atto  impugnato  avrebbe  dato  piena  e   fedele
 attuazione  all'art.    3 di detta legge n. 287 del 1991: pertanto il
 conflitto avrebbe se mai dovuto essere sollevato nei confronti  della
 legge medesima.
   Quanto   alla   lamentata   violazione   dell'art.  3  del  decreto
 legislativo n. 266 del 1992,  l'Avvocatura  erariale,  ricordato  che
 l'atto   impugnato   e'  stato  emanato  previa  consultazione  della
 Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le  regioni  e  le
 province  autonome di Trento e di Bolzano (sentita nella seduta del 3
 dicembre 1992), sostiene che sarebbe erronea l'interpretazione  della
 norma  di attuazione affermata dalle province ricorrenti, secondo cui
 essa impone la  consultazione  delle  province  su  ciascun  atto  di
 indirizzo  e coordinamento. Si avrebbe infatti in tal modo - sostiene
 l'Avvocatura - un duplice procedimento di consultazione solo a favore
 della regione Trentino-Alto  Adige  e  delle  province  di  Trento  e
 Bolzano,  le  quali  otterrebbero  una  ingiustificata  posizione  di
 privilegio nei confronti delle altre regioni, anche nelle materie  in
 cui  non  sussiste  un diverso grado di competenza delle une rispetto
 alle altre.
   D'altra  parte,  sempre  secondo  la  difesa  del  Presidente   del
 Consiglio,  tale  interpretazione, oltre a contrastare con i principi
 generali dell'ordinamento  in  tema  di  semplificazione  dell'azione
 amministrativa,  di  economia dei procedimenti e di divieto di bis in
 idem sarebbe inutile, perche' le province non potrebbero far  valere,
 in sede di consultazione specifica, interessi diversi da quelli fatti
 valere nella sede della Conferenza Stato-regioni.
   3.  -  Nell'imminenza  dell'udienza hanno presentato memorie le due
 province  ricorrenti,  nuovamente  illustrando  gli   argomenti   dei
 ricorsi, e in particolare insistendo, da un lato, sulla diversita' di
 posizione, in questa materia, fra le province autonome di Trento e di
 Bolzano,  titolari  di  una  competenza  amministrativa propria, e le
 regioni  ordinarie,  titolari  di  una  competenza  delegata  (e   in
 proposito  anche  la provincia di Bolzano, come gia' quella di Trento
 nel ricorso, argomenta che, ove l'atto impugnato contenga in  realta'
 direttive  per  l'esercizio  di  funzioni  delegate, esso non sarebbe
 applicabile nei confronti della ricorrente); dall'altro  lato,  sulla
 specialita'  della  disciplina  contenuta  nelle  norme di attuazione
 dettate con l'art. 3 del decreto legislativo n.  266  del  1992,  che
 impongono   specifici   procedimenti  per  gli  atti  governativi  di
 indirizzo e coordinamento che intendano esplicare efficacia anche nei
 confronti della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome
 di Trento e di Bolzano.
                        Considerato in diritto
   1. - I due ricorsi per conflitto  di  attribuzioni  hanno  identico
 oggetto,  e  possono  pertanto  essere  riuniti  e  decisi  con unica
 pronuncia.
   2. - L'atto impugnato si qualifica "di  indirizzo  e  coordinamento
 alle  regioni  e alle province autonome di Trento e di Bolzano", e si
 fonda sull'art. 3, comma 4, della legge 25 agosto 1991, n.  287,  che
 prevede   "direttive",   proposte   dal   Ministro  dell'industria  e
 deliberate "ai sensi dell'art. 2, comma 3, lettera d, della legge  23
 agosto  1988,  n.  400"  (che attribuiva al Consiglio dei Ministri la
 competenza   alla   deliberazione   degli   atti   di   indirizzo   e
 coordinamento:  disposizione  ora  parzialmente abrogata dall'art. 8,
 comma 5, lettera c, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sulla cui base
 le regioni debbono fissare periodicamente criteri e parametri atti  a
 determinare  il numero delle autorizzazioni comunali per gli esercizi
 di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
   La ricorrente provincia di Trento prospetta preliminarmente la tesi
 secondo cui si tratterebbe in realta' di un  atto  di  direttiva  per
 l'esercizio  di  funzioni  amministrative  delegate alle regioni, che
 come tale non potrebbe esplicare effetti nei confronti delle province
 autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  titolari  in questa materia di
 competenza amministrativa propria, e non di competenza delegata  alla
 stregua delle regioni a statuto ordinario.
   Al  contrario,  il decreto in questione va considerato un vero atto
 di indirizzo e coordinamento, in conformita' alla qualificazione  che
 esso  stesso  si  attribuisce:  e  cio'  sia tenendo conto del rinvio
 operato dall'art. 3 della legge  n.  287  del  1991,  ai  fini  della
 procedura  di  deliberazione,  all'art.  2, comma 3, lettera d, della
 legge n.   400 del 1988, sia  considerando  il  contenuto  dell'atto,
 volto  ad indirizzare secondo criteri uniformi sull'intero territorio
 nazionale l'esercizio di  una  funzione  amministrativa  la  quale  -
 ancorche'   rientri  in  materia  delegata  alle  regioni  a  statuto
 ordinario dall'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica n.
 616 del 1977 - e' dalla legge attribuita alla competenza propria  dei
 comuni,  cui  spetta  rilasciare  le autorizzazioni (art. 3, comma 1,
 della legge n. 287 del 1991), nonche' stabilire le condizioni per  il
 rilascio  delle  medesime (art.  3, comma 5, della stessa legge), sia
 pure in conformita' ai criteri  e  parametri  fissati  dalle  regioni
 sulla  base,  a  loro  volta, delle "direttive" governative di cui e'
 questione.
   3. - I ricorsi sono  fondati.  L'atto  impugnato  e'  lesivo  delle
 attribuzioni  delle  ricorrenti,  per l'assorbente motivo che esso e'
 stato emanato, e pretende di esplicare efficacia anche nel territorio
 delle due  province  autonome,  senza  essere  stato  preventivamente
 sottoposto  al  parere delle province stesse "per quanto attiene alla
 compatibilita' di esso con lo statuto  speciale  e  con  le  relative
 norme  di  attuazione",  come e' prescritto dall'art. 3, comma 3, del
 decreto legislativo n. 266 del 1992 (gia' entrato in vigore, si badi,
 al  momento  in  cui  l'atto  in  questione  risulta   essere   stato
 sottoposto,  nella  seduta  dal  3  dicembre  1992,  alla  Conferenza
 permanente per i rapporti fra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome di Trento e di Bolzano).
   Tale  consultazione  preventiva - alla quale le norme di attuazione
 collegano significativi effetti incidenti sulla  efficacia  dell'atto
 in  caso  di  controversia circa la sua compatibilita' con lo statuto
 speciale e con le norme di attuazione  dello  stesso,  stabilendo  la
 sospensione  di  tale  efficacia per un tempo determinato nel caso di
 avviso motivato di incompatibilita' espresso dagli enti consultati, e
 in seguito fino alla  pronuncia  della  Corte  costituzionale,  salvo
 decisione  contraria  di  questa,  nel caso di ricorso esperito entro
 detto termine - condiziona in modo ineludibile la legittimita'  degli
 atti di indirizzo che siano diretti, come quello in esame, anche alle
 province   autonome   di   Trento   e  di  Bolzano  (o  alla  regione
 Trentino-Alto Adige, se e' in giuoco la rispettiva competenza), e  la
 loro  validita'  nei  confronti  delle  stesse.  La  omissione  della
 consultazione,  a  sua  volta,   lede   direttamente   l'attribuzione
 consultiva  delle  province loro derivante dalla norma di attuazione,
 onde l'atto, ciononostante emanato,  integra  una  menomazione  delle
 attribuzioni delle stesse.
   4.  -  La consultazione degli enti autonomi del Trentino-Alto Adige
 non puo' essere in alcun modo surrogata dal parere  della  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome di Trento e di Bolzano, sia perche' tale parere deve  essere
 chiesto,  ai  sensi  dell'art. 12, comma 5, lettera b, della legge n.
 400 del 1988, "sui  criteri  generali  relativi  all'esercizio  delle
 funzioni  statali  di  indirizzo  e  coordinamento", mentre l'art. 3,
 comma 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992 impone al Governo di
 consultare regione o province  "su  ciascun  atto  amministrativo  di
 indirizzo  e  coordinamento";  sia, soprattutto, perche' i due pareri
 hanno fonte, natura, finalita' ed effetti del tutto diversi fra loro.
 Il parere della conferenza e' infatti previsto dalla legge ordinaria,
 quello degli enti autonomi del Trentino-Alto  Adige  dalle  norme  di
 attuazione; il primo e' espresso da un organo  collegiale in cui sono
 presenti,  e  non  da  sole,  tutte  le regioni, mentre il secondo e'
 espresso dalla  sola  regione    Trentino-Alto  Adige  o  dalle  sole
 province   di  Trento  e  di  Bolzano,  a  seconda  delle  rispettive
 competenze;  il  primo  e'  un  parere  generico,  il  secondo  verte
 specificamente  sulla  compatibilita'  dell'atto  di indirizzo con lo
 statuto speciale e le relative norme di  attuazione,  ed  e'  appunto
 finalizzato  alla  tutela  delle  speciali previsioni statutarie o di
 attuazione statutaria in ordine alle modalita' del "coordinamento tra
 funzioni e interessi dello Stato e rispettivamente  della  regione  o
 delle province autonome" (art. 3, comma 1, del decreto legislativo n.
 266  del  1992);  infine,  solo  il  parere prescritto dalle norme di
 attuazione  condiziona  temporaneamente,  se  negativo,   l'efficacia
 dell'atto  nel  territorio regionale o provinciale (art. 3, commi 4 e
 5, del decreto legislativo cit.). Onde non vi e' luogo a  parlare  di
 duplicazione  di procedimenti, poiche' la consultazione della regione
 o  delle  province  autonome  trova  specifico  fondamento  e  ragion
 d'essere nella specialita' della rela tiva disciplina statutaria e di
 attuazione e nelle esigenze di tutela di tale specialita'.
   5.  -  Ne consegue l'annullamento dell'atto di indirizzo impugnato,
 nel suo complesso, limitatamente ai suoi effetti nei confronti  delle
 due province autonome ricorrenti e nel rispettivo territorio.
   Restano  assorbite  le altre censure mosse all'atto, in particolare
 quelle concernenti singole disposizioni del medesimo.