LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nei giudizi iscritti ai nn. 964195 e 964196 del registro di segreteria, sui ricorsi rispettivamente di Metameccanica Boccardi s.r.l. e Francesco Boccardi, rappresentati e difesi dal dott. Francesco Pepe contro l'avviso di irrogazione sanzione n. 710079/95 anno d'imposta '91 notificato il 3 ottobre 1996 dell'Ufficio l.V.A di Caserta. Visto l'art. 34 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546. Uditi nella pubblica udienza del giorno 24 gennaio 1997 il vice presidente relatore dott. Claudio Mastroianni, nonche' il dott. Francesco Pepe nell'interesse dei ricorrenti e il dott. Giovanni Battista Buonanno, in rappresentanza dell'amministrazione resistente. Ritenuto in fatto Con ricorsi depositati in data 23 ottobre 1996, la Metalmeccanica Boccardi s.r.l. ed il sig. Francecso Boccardi, rappresentati dal dott. Francesco Pepe, giusta procura in calce ai medesimi, hanno chiesto l'annullamento degli atti impugnati come sopra citati, con interessi e spese ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo n. 546/1992. L'Ufficio I.V.A di Caserta ha successivamente trasmesso a questa commissione la nota n. 13440 del 28 dicembre 1996 in cui si sostiene quanto segue: "a seguito di appuramento della domanda di condono presentata ai sensi dell'art. 19-bis del d.lgs. 23 febbraio 1994, si comunica che la detta istanza risulta regolare ed idonea a far cessare la materia del contendere". La difesa dei ricorrenti ha depositato agli atti del giudizio una memoria aggiuntiva in data 14 gennaio 1997, in cui "chiede che, nonostante la cessata mateda del contendere, l'ufficio I. V.A. sia condannato comunque al pagamento delle spese di giudizio sin qui sostenute" allegando una dettagliata nota spese relativa ai due giudizi per un totale di L. 1.578.000. Nella medesima udienza il dott. Francesco Pepe, in rappresentanza dei ricorrenti, ha insistito per la condanna alla spese, manifestando dubbi di costituzionalita' dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546/1992 ed dott. Giovanni Battista Buonanno, per l'ufficio l.V.A. di Caserta, che si e' opposto alla condanna alle spese. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti in rito, ai sensi dell'art. 29 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 per identita' del provvedimento impugnato. 2. - La disposizione di cui all'art. 46, comma 3, del 31 dicembre 1992 n. 546 prevede, in caso di estinzione del processo per cessazione della materia del contendere, che le spese del giudizio restino a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge. Sulla compatibilita' della citata disposizione con la Costituzione il collegio - ritenendo piu' che fondate le preoccupazioni manifestate in udienza dal dott. Francesco Pepe, difensore dei ricorrenti, che ha manifestato pur generiche perplessita' in ordine alla legittimita' costituzionale, che questo giudice ritiene doveroso sollevare d'ufficio - nutre forti dubbi, di cui ritiene di investire comunque d'ufficio la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice. Prima di affrontare la questione nei suoi numerosi aspetti, occorre valutare preliminarmente la rilevanza della medesima in relazione al giudizio in corso. La norma contestata incide sulle spese processuali, sottraendo al giudice tributario il potere di condannare per tale voce la parte soccombente o di compensarle tra le parti. In tal modo essa si pone come eccezione rispetto alla disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 15, comma 1, del medesimo provvedimento legislativo, che e' espressione daltronde di un consolidato principio tradizionale consacrato nell'art. 91 del codice di procedura civile. Questo giudice, quindi, nella specie dovrebbe dichiarare l'estinzione del processo a causa della cessazione della materia del contendere, astenendosi dal provvedere in ordine alle spese. Ancor piu' in considerazione della circostanza che nel rito tributario sono espressamente vietate le sentenze non definitive, la sezione si trova nella condizione di dover sospendere l'intero giudizio in attesa di definire il connesso aspetto della condanna alla spese processuali. Di qui l'evidente rilevanza e pregiudizialita' della questione di legittimita' costituzionale nel giudizio in corso. 3. - La disposizione di legge in discorso appare contrastante con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, della Costituzione. Orbene se un soggetto e' costretto ad agire in giudizio nei confronti dell'amministrazione finanziaria per ottenere l'accertamento di un suo diritto, che questa invece non riconosce, non appare ammissibile che da un ripensamento - quasi uno jus poenitendi - dell'amministrazione (che e' la parte resistente tipica dei processi tributari) in corso di giudizio possa farsi derivare un pregiudizio di colui che ottiene un riconoscimento postumo della fondatezza della sua pretesa, senza che sia prevista una sua accettazione. Il codice di procedura civile invero ignora questa forma di estinzione per cessazione della materia del contendere, conoscendo so|o quella per rinuncia agli atti del giudizio (art. 306 c.p.c.) e per inattivita' delle parti (307), prevedendo nel primo caso che il rinunciante rimborsi le spese alla altre parti (art. 306, comma 4, riprodotto nell'art. 44, comma 2, decreto legislativo n. 546) e nel secondo che le spese del processo estinto per inattivita' stanno a carico delle parti che le hanno anticipate (art. 310, comma 4, prodotto nell'art. 45, comma 2, decreto legislativo n. 546). In ambodue tali ipotesi sussistono validi motivi per cui il legislatore stabilisca a priori ed in via astratta di accollare alla parti l'onere delle spese, a prescindere da ogni discrezionalita' del giudice: se vi e' stata rinuncia appare logico ed equo che se ne faccia carico il rinunciante, salvo diverso accordo tra le parti, se vi e' stata inattivita' delle parti la responsabilita' dell'evento estintivo risale a tutte quante le parti, che si devono far carico ognuna delle spese anticipate. Al contrario se l'estinzione dipende dalla cessazione della materia del contendere significa che l'amministrazione finanziaria si e' resa conto dell'errore commesso solo dopo l'instaurazione del giudizio tributario e vi provvede pur tardivamente. Tale intervento e' pienamente ammissibile, in quanto si viene comunque a soddisfare la pretesa attrice, ma non puo' ridondare a danno di colui che vede riconosciuto il suo buon diritto dalla stessa controparte. Il ricorrente e' stato costretto a sostenere delle spese, che col nuovo rito si aggravano per la necessita' quasi generalizzata di munirsi di assistenza tecnica e per il sistema delle notifiche strumentali al pieno contraddittorio. A seguito della "sostanziale" vittoria avvenuta con l'affermazione della fondatezza della sua pretesa questi deve farsi assurdamente carico delle spese anticipate sino a quel momento, senza che alcuna responsabilita' sia connessa a tale evento. In tal modo si costituisce un privilegio per l'amministrazione finanziaria ed una correlata posizione di svantaggio per il contribuente. Irragionevolmente si determina infatti una disparita' di trattamento tra soggetti che versano nella medesima situazione giuridica in dispregio a quanto previsto dall'art. 3 della Costituzione. In ordine a tale censura, va approfondita la questione della loro non manifesta infondatezza. Certamente l'art. 3 della Costituzione impone al legislatore di garantire - come condizione essenziale di un ordinato svolgimento della vita sociale nei suoi vari aspetti - la par condicio tra tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico, talche' nessuno di essi possa venirsi a trovare - senza una valida giustificazione fondata su presupposti logici obiettivi i quali razionalmente ne' giustifichino l'adozione (Corte costituzionale sentenza 16 febbraio 1963 n. 7) - in posizione deteriore o privilegiata rispetto agli altri. Se sulla posizione svantaggiata e' evidente la ratio della norma costituzionale, lo e' allo stesso modo in ordine ai privilegi ingiustificati; talche' al beneficio degli uni corrisponde generalmente il pregiudizio, diretto o comunque diffuso, di altri, sussistendo sempre una correlazione tra posizioni giuridiche, a volte collegate in veri e propri rapporti giuridici. E tale uguaglianza - al di la' dell'atecnica terminologia costituzionale, che menziona "tutti i cittadini", - si riferisce a tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico, sia persone fisiche che giuridiche, siano esse private o pubbliche. Cio' conduce a ritenere che sembra costituzionalmente inammissibile, non ricorrendo alcuna valida ragione giustificatrice, il privilegio concesso all'amministrazione finanziaria dell'automatica irresponsabilita' per i danni subiti dal contribuente per un comportamento qualificabile come negligente. All'uopo non e' dato comprendere le ragioni di tale scelta del legislatore, il quale non collega il favor ad alcuna fondata circostanza, peraltro nemmeno ben individuata temporalmente, talche' essa "legittima" anche per il futuro e a tempo indeterminato la violazione dei diritti dei contribuenti, in trasgressione anche dell'art. 97, primo comma, della stessa Costituzione. 4. - Non meno pregnante e non manifestamente infondata appare poi la censura di illegittimita' costituzionale del citato terzo comma dell'art. 46 con l'art. 24, primo comma, della Costituzione. Tale disposizione costituzionale prevede l'intangibilita' della tutela giurisdizionale di ogni soggetto, che non puo' subire alcuna menomazione della sua capacita' di difesa in qualunque stato e grado del procedimento. Tanto e' considerata rilevante tale esigenza, che lo stesso articolo costituzionale al terzo comma prevede, come funzionale ad essa, che la legge assicuri con appositi istituti ai non abbienti dei mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Orbene, anche a prescindere da coloro che si trovino in situazione di asso indigenza, appare ovvio ed impicito nella disposizione costituzionale che non possano ammettersi istituti che si pongano in contrasto con l'esigenza della pienezza della tutela giurisdizionale, scoraggiando l'accesso a qualunque forma di giustizia.