LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2622/1994 r.g.
 proposto da Barbieri Leda e Malaguti Ermete, rappresentati  e  difesi
 dall'avv.  Antonio  Olivieri  del  foro  di  Bologna  giusta  procura
 speciale in calce al ricorso ed  elettivamente  domiciliati  in  Roma
 alla  via Cola di Rienzo n. 28 presso lo studio dell'avv. Vilma Rosa,
 ricorrenti, contro I.N.P.S. -  Istituto  Nazionale  della  Previdenza
 Sociale,   in   persona   del  legale  rappresentante    pro-tempore,
 rappresentato e difeso, con delega in calce alla  copia  del  ricorso
 notificato,  dagli  avv.   Carlo De Angelis, Gabriella Pescosolido ed
 Andrea Barbuto, ed elettivamente domiciliato in Roma alla  via  della
 Frezza    n.  17  presso  il  Servizio legale dell'Istituto medesimo,
 resistente  con  procura,  per  l'annullamento  della  sentenza    n.
 275/1993  in  data  6  ottobre 1993 del tribunale civile di Bologna -
 sezione lavoro, nella causa civile iscritto al  n.  12820  r.g.  anno
 1992,  promossa  da Barbieri Leda e Malaguti Ermete contro I.N.P.S. -
 Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
   Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 21 febbraio  1997,
 la  relazione della causa svolta dal  cons. dott. D. Figurelli; udito
 l'avv. Gianfranco Barbaria per delega dell'avv. Carlo De Angelis  per
 l'I.N.P.S.;
   Udito  il  p.m.,  nella  persona  del dott. Angelo Arena, sostituto
 procuratore generale presso questa Corte suprema di  cassazione,  che
 ha  concluso  per  il  rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione
 della Corte costituzionale ed,  in  subordine,  per  il  rigetto  del
 ricorso.
                           Premesso in fatto
   1.  -  Con  ricorso  depositato  il  27 ottobre 1992 i signori Leda
 Barbieri  ed  Ermete  Malaguti  hanno  proposto  appello  avverso  la
 sentenza  del pretore di Bologna n. 574/1992, depositata il 15 giugno
 1992; esponendo che con  tale  sentenza  il  predetto  pretore  aveva
 respinto  le  domande dei ricorrenti, volte ad ottenere "declaratoria
 di condanna dell'I.N.P.S.   alla  riliquidazione  della  pensione  di
 riversibilita'  fino a concorrenza del 60% del trattamento erogato al
 coniuge deceduto, ivi compresa l'integrazione al trattamento  minimo,
 e  cio'  ai  sensi  dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903";
 secondo quanto testualmente affermato dagli appellanti, "la  pensione
 di  riversibilita'  dev'essere rapportata, a norma dell'art. 22 legge
 21 luglio 1965, n. 903, al trattamento di cui fruiva il de cuius  ivi
 compreso  (ed  ovviamente ridotto alla percentuale di riversibilita')
 il trattamento minimo".
   L'I.N.P.S. si costituiva tardivamente,  contestando  la  fondatezza
 dell'appello.
   Con  sentenza  in  data  9  giugno-6  ottobre  1993 il tribunale di
 Bologna respingeva l'appello e compensava le spese.
   Osservava  il  tribunale  che   era   pacifico   in   causa,   come
 espressamente  attestava  la  sentenza  del  pretore  - sul punto non
 sottoposta a critica dagli appellanti  -  che  le  bititolarita'  dei
 trattamenti  erano  sorte  dopo  il  30  settembre  1993 e, cioe', in
 vigenza dell'art. 6 della legge n. 638 del 1983, il cui  terzo  comma
 stabilisce  che,  se  concorrono  due o piu' pensioni, l'integrazione
 compete una sola volta ed e' garantita sulla sola  pensione  diretta,
 qualora  si  benefici  di  quest'ultima e di quella ai superstiti. Il
 tribunale richiamava poi la sentenza di questa Corte Suprema n. 11528
 del 1992, sia in ordine al principio in essa enunciato che in  ordine
 alla motivazione, e si conformava alla predetta sentenza.
   II.  -  Avverso  la  sentenza del tribunale Leda Barbieri ed Ermete
 Malaguti hanno proposto ricorso per  cassazione,  affidato  ad  unico
 motivo, con atto notificato il 18 febbraio 1994.
   L'I.N.P.S. ha depositato solo procura.
   Con l'unico motivo i ricorrenti, denunziando errata interpretazione
 di  norme  di  diritto  (art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903),
 dopo aver esposto  gli  antecedenti  storico-evolutivi  dell'istituto
 della  riversibilita', hanno in particolare richiamato la sentenza n.
 34 del 1981 della Corte  costituzionale,  oltre  altre  decisioni  di
 detta  Corte  relative  al  beneficio dell'integrazione al minimo, ed
 hanno dedotto che la liquidazione della pensione  di  riversibilita',
 operata  a  calcolo,  ossia  solo  sulla  base  della patrimonialita'
 contributiva, verrebbe  a  violare,  nel  contenuto  edittale  e  nel
 principio  finalistico,  l'art. 22, comma 2, della legge n. 903/1965,
 anche perche' detto articolo deve essere coordinato altresi'  con  il
 disposto  di  cui  all'art.    5  del  decreto  del  Presidente della
 Repubblica n. 488 del 1968, e  tenuto  conto  del  rinvio  fatto  dal
 citato  art.  22,  secondo comma, della legge n. 903/1965 all'art. 12
 del regio  decreto-legge  n.  636/1939,  convertito  nella  legge  n.
 1272/1939.
   I  ricorrenti  richiamano  poi  la sentenza n. 495/1993 della Corte
 costituzionale,   dichiarativa   dell'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  22 della legge n. 903/1965, nella parte in cui non prevede
 che  la  pensione di riversibilita' sia calcolata in proporzione alla
 pensione diretta integrata al trattamento minimo  gia'  liquidata  al
 pensionato o che l'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire.
 III.  - Deve al riguardo osservarsi che con sentenza n. 2079 del 1995
 le sezioni unite civili di  questa  Corte  suprema  hanno  deciso  la
 questione  proposta dall'I.N.P.S. con ricorso contro la signora Irene
 Cardone per l'annullamento della sentenza n. 1081/1991 del  tribunale
 di  Taranto  - sezione lavoro -, relativa alla domanda della Cardone,
 titolare di pensione diretta I.N.P.S., gia' integrata al minimo, e di
 pensione di  riversibilita',  a  lei  spettante,  perche'  vedova  di
 persona  gia'  assicurata  presso il medesimo Istituto, per la esatta
 rideterminazione della pensione di riversibilita'  sulla  base  della
 pensione  gia' spettante al defunto, comprensiva dell'integrazione al
 minimo.
   E le sezioni unite, dopo aver esaminato l'art. 13 r.d.l. 14  aprile
 1939,  n.  636,  come  sostituito  dall'art. 22 della legge 21 luglio
 1965, n. 903, e l'art. 12 r.d.l. citato, come sostituito dall'art.  2
 legge 4 aprile 1952, n. 218, nonche' l'art.  2,  comma  2,  lett.  a)
 della  legge  12 agosto 1962, n. 1338 - vietante l'integrazione per i
 titolari di piu' pensioni che, con il cumulo, superino il minimo -  e
 dichiarato  illegittimo,  con  sentenza  n.  34  del 1981 della Corte
 costituzionale, tra l'altro, "nella parte  in  cui  preclude  che  la
 pensione  di  riversibilita'  I.N.P.S.  sia  calcolata in proporzione
 della pensione diretta I.N.P.S. integrata al minimo, che il  titolare
 defunto avrebbe avuto il diritto di percepire", hanno ritenuto che la
 base  di calcolo della pensione di riversibilita' e' costituita dalla
 pensione diretta spettante al defunto ex art. 12 r.d.l. citato,  piu'
 l'integrazione al minimo.
   Le  sezioni  unite  hanno altresi' ritenuto che, intervenuto l'art.
 6, terzo comma, decreto-legge n. 463/1983,  convertito  in  legge  n.
 638/1983,  il  divieto  di  doppia  integrazione al minimo, contenuto
 nell'art. 6 citato,  non  possa  estendersi  fino  a  comprendere  le
 integrazioni  che  debbono  apportarsi  non  gia'  alle pensioni gia'
 calcolate, ma ai singoli elementi di calcolo.
   A tale convincimento le sezioni unite sono pervenute sia in base ad
 interpretazione letterale dell'art. 6, terzo comma, del decreto-legge
 n. 463 del 1983 citato, sia alla stregua della sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  495  del  1993, che, come gia' con la sentenza n.
 926  del  1988,  ha  riaffermato  la  funzione  della   pensione   di
 riversibilita',  che e' quella non semplicemente di assicurare i soli
 mezzi di sopravvivenza al superstite, bensi' anche di  mantenere  una
 certa  corrispondenza  con  la funzione di sostentamento gia' assolta
 dal reddito spettante alla persona deceduta, mentre la  stessa  Corte
 costituzionale,  con la sentenza 10 giugno 1994, n. 240, ha enunciato
 ancora una volta la funzione previdenziale  (art.  38,  primo  comma)
 dell'istituto dell'integrazione al minimo.
   Hanno  osservato  pur  le sezioni unite che la sentenza della Corte
 costituzionale n. 495 del 1993 definisce   l'integrazione  al  minimo
 gia'  spettante  all'assicurato defunto come "parte integrante" della
 sua pensione, cio'    comportando  che  essa  e'  elemento  non  piu'
 sottraibile per asseriti fini di corretta applicazione di altre norme
 (come l'art. 6, terzo comma, legge n. 638 del 1983).
   A  tale  orientamento  delle  sezioni  unite  si  conforma la Corte
 decidente.
   Come evidenziato dalle sezioni unite, la fattispecie in  esame  era
 diversa  da  quella  esaminata  dalla  Corte    costituzionale con la
 sentenza n. 495 del 1993, in quanto concerneva - come nella specie  -
 l'ipotesi  di  cumulo  di  piu' pensioni, e non quella del calcolo di
 un'unica pensione di riversibilita' (esaminata dalla Corte cost.).
   A tal punto e' intervenuto l'art. 1 del d.-l.  28  marzo  1966,  n.
 166  (non  convertito,  e seguito da altri decreti non convertiti) in
 relazione al quale questa  Corte  Suprema  -  sezione  lavoro  -  con
 ordinanza  14 giugno 1996 n. 486 e 19 luglio 1996 n. 592, ha ritenuto
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale,  per la parte relativa alla attuazione della sentenza
 della Corte costituzionale n. 495 del 1993, in relazione  agli  artt.
 3, comma primo, 24 e 38 della Costituzione.
   Non  risulta che la Corte costituzionale si sia ancora pronunziata.
 Successivamente e' intervenuta la legge  23  dicembre  1996,  n.  662
 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che all'art.  1
 (Misure  in materia di sanita', pubblico impiego, istruzione, finanza
 regionale e locale, previdenza e assistenza)  ha  regolato  ai  commi
 181, 182 e 183 il pagamento delle somme, maturate fino al 31 dicembre
 1995,  sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali
 interessati, in conseguenza dell'applicazione  delle  sentenze  della
 Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994.
   Nei  citati  commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della citata legge n.
 662 del 1996 si e' previsto - tra l'altro - che  il  pagamento  delle
 somme  predette  e'  effettuato  mediante  assegnazione  agli  aventi
 diritto di titoli di Stato, sottoposti allo stesso regime  tributario
 dei  titoli  di debito pubblico, aventi libera circolazione; che tale
 pagamento avviene in sei annualita' (comma 181); che  il  diritto  al
 pagamento  delle  somme  arretrate di cui al comma 181 spetta ai soli
 soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione
 di  riversibilita'  alla  data  del  30   marzo   1996;   che   nella
 determinazione   dell'importo   maturato  al  31  dicembre  1995  non
 concorrono gli interessi e la rivalutazione  monetaria  (comma  182);
 che  i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge in
 esame, aventi ad oggetto le questioni di  cui  ai  commi  181  e  182
 predetti  sono  dichiarai  estinti di ufficio con compensazione delle
 spese tra le parti; che i provvedimenti giudiziari non ancora passati
 in giudicato restano privi di effetto (comma 183).
                         Considerato in diritto
   I. - Va preliminarmente  esaminata la questione della rilevanza nel
 presente giudizio della questione di legittimita' costituzionale  dei
 commi  181, 182 e 183 dell'art. 1 della citata legge n. 662 del 1996.
 Invero detti commi fanno  riferimento  ai  trattamenti  pensionistici
 erogati in conseguenza - per quanto qui rileva - della sentenza della
 Corte   costituzionale  n.  495  del  1993,  concernente  il  calcolo
 dell'unica pensione di riversibilita'.
   Osserva peraltro questa Corte  che,  avendo  le  sezioni  unite  di
 questa  Corte  suprema,  con  la  citata  sentenza  n. 2079 del 1995,
 affermato il medesimo principio per la determinazione della  pensione
 di riversibilita', anche  nell'ipotesi di cumulo di piu' pensioni - e
 cio',  come  detto,  sia  alla stregua dell'interpretazione letterale
 dell'art. 6, terzo comma, del decreto-legge n. 463 del 1983, sia alla
 stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del  1993  -
 il  richiamo  esistente  nella legge n. 662 del 1996 alla sentenza da
 ultimo citata, non esclude dalla  fattispecie  legislativa  prevista,
 stante  la identita' di ratio - ed a maggior ragione, trattandosi non
 di unica pensione, bensi' di cumulo di  pensioni  -  anche  le  somme
 dovute   dagli  enti  previdenziali  per  la  rideterminazione  della
 pensione di riversibilita', nel caso di  cumulo  di  pensioni,  sulla
 base   di   un   identico   principio.   Tale  interpretazione  delle
 disposizioni della legge n. 662 del 1996 sembra la  piu'  rispondente
 alla  ratio  legislativa  ed ai criteri di ragionevolezza, e, d'altra
 parte, e' stata  condivisa  sia  dal  procuratore  generale,  con  la
 richiesta  formulata  di rinvio della causa in attesa della decisione
 della  Corte  costituzionale  sui  decreti-legge gia' denunziati alla
 medesima, sia dello stesso  Istituto  resistente,  che,  in  sede  di
 discussione,  ha  chiesto  dichiararsi  l'estinzione del giudizio, in
 evidente   relazione al comma 183 dell'art.  1  della  legge  n.  662
 citata.
   Tale interpretazione trova poi autorevole precedente nell'ordinanza
 di  questa Corte del 1 aprile 1996 (I.N.P.S. contro Cioffi Teresa) n.
 970/1996 di promovimento  del  giudizio  della  Corte  costituzionale
 (punto II delle considerazioni in diritto).
   II.  -  In  relazione  ai commi predetti dell'art. 1 della legge n.
 662 citata questa Corte rileva poi che la questione  di  legittimita'
 costituzionale non e' manifestamente infondata.
   Detti commi, invero:
     a)  In  violazione  dell'art.  3,  commi  1,  della Costituzione,
 apportano in danno di una sola categoria di creditori una  deroga  al
 diritto comune delle obbligazioni, impedendo al pensionato di esigere
 la  prestazione nella sua interezza (art. 1181 c.c.), ed impedendogli
 altresi' di accettarne una diversa da quella  originaria  (art.  1197
 c.c.),  inidonea  per    di  piu'  a  ricostituire  immediatamente, e
 comunque in tempi ragionevoli, il suo patrimonio, e  connotata  anche
 da  profili  di  aleatorieta'  per  le  oscillazioni  del mercato dei
 titoli, concentrando il sacrificio cosi' imposto su  una  limitata  e
 specifica    fascia   di   pensionati,   che   non   trova   adeguata
 giustificazione nell'ambito della discrezionalita' politica riservata
 al legislatore. Trattasi, nella specie, di pensionati, titolari di un
 trattamento gia' per sua natura significativamente decurtato rispetto
 ad una pensione a sua volta rientrante nei  livelli  piu'  bassi,  in
 quanto integrata al minimo.
   L'esclusione  altresi'  per i pensionati predetti degli interessi e
 della  rivalutazione  -   previsti   dalla   sentenza   della   Corte
 costituzionale  n.  156  del 1991 fino alla data di entrata in vigore
 della legge 30 dicembre 1991 n. 412, che, all'art. 16,  sesto  comma,
 riconosce  la rivalutazione solo per la parte eventualmente eccedente
 la misura degli interessi per i ratei maturati dopo  il  30  dicembre
 1991  -  prevede  un trattamento ulterioremente deteriore rispetto ad
 altri crediti di natura previdenziale ed assistenziale, in violazione
 del principio di uguaglianza (Corte costituzionale n. 1060 del 1988 e
 n. 85 del 1994);
     b)  In  violazione  dell'art.  136  della  Costituzione,   negano
 drasticamente  ai successori mortis causa dei titolari delle pensioni
 di riversibilita' la possibilita' di percepire  l'importo  dei  ratei
 maturati  fino  al 31 dicembre 1995, ponendo una disciplina che priva
 parzialmente di efficacia la sentenza della Corte  costituzionale  n.
 495 del 1993;
     c)  In  violazione  dell'art.  24  della Costituzione, comprimono
 notevolmente il titolare di pensione di riversibilita' dal far valere
 i diritti a lui spettanti alla stregua  della  normativa  previgente,
 riducendo  congruamente  l'entita'  del  credito,  sia  per  l'annosa
 dilazione di esso e della negazione di interessi e rivalutazione fino
 al 31 dicembre 1995, con vistoso depauperamento, e considerati  anche
 i  negativi  riflessi  della  disposta  compensazione  delle spese di
 giudizio sul patrimonio di modesta categoria di  pensionati,  che  si
 vedono sopprimere il diritto a restare indenni dalle spese giudiziali
 -  anche  in  caso  di  fondatezza  della  domanda  -, spese che, pur
 riguardando un diritto accessorio, possono assumere valore rilevante,
 potendo  riguardare piu' gradi del giudizio. Deve altresi' osservarsi
 che la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  che,  allorche'  lo  jus
 superveniens,  opponendosi  alle  richieste degli interessati ed alla
 interpretazione  giurisprudenziale  ad  essi  favorevole,  stabilisce
 l'estinzione   dei   processi   in   corso,  vi  e'  una  sostanziale
 vanificazione della via giurisprudenziale da parte  del  legislatore,
 in  violazione dell'art.  24 della Costituzione (Corte costituzionale
 n. 123 del 1987).
   Va poi rilevata la irragionevole previsione della mancanza di  ogni
 ristoro  in  ordine  alle  spese  liquidate  dal giudice per le parti
 vittoriose nei giudizi non  ancora  passati  in  giudicato  -  magari
 annosi e pur definiti in piu' gradi di giudizio -;
     d)  In  violazione  dell'art.  38  della  Costituzione, ledono il
 diritto a che siano garantiti mezzi adeguati alle esigenze della vita
 dei lavoratori e delle loro famiglie (Corte cost. n. 240  del  1994),
 eliminando,  ad  anni  di distanza dalla maturazione del diritto, gli
 interessi e la rivalutazione (Corte cost. n. 156  del  1991),  su  un
 credito  gia'  ridotto  all'essenziale,  quale  quello di pensione di
 riversibilita', sulla base di  pensione  gia'  spettante  al  defunto
 integrata al minimo;
     e)  in violazione dell'art. 42 della Costituzione, nell'escludere
 gli eredi dei titolari delle pensioni di riversibilita' dall'area dei
 percettori dei ratei maturati fino al 31 dicembre 1995,  pongono  una
 ingiustificata  deroga al principio generale della successione mortis
 causa dei beni del de cuius.
   III. - Tenuto conto di tutte le considerazioni che  precedono,  gli
 atti   devono   essere   trasmessi  alla  Corte  costituzionale,  con
 sospensione del presente procedimento.
   Da parte della cancelleria  deve  essere  provveduto  a  tutti  gli
 adempimenti previsti dall'art. 23 della legge 1 marzo 1953 n. 87.