IL PRETORE Ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei confronti di: Sagliocca Giovanni; Provenzano Giuseppe; Spinzi Antonio; De Donno Lilia; De Vittorio Cosimo; De Vittorio Luciano; Perrone Emilio; Cortese Cosimo. Imputati, tutti, in concorso tra loro, del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 81 c.p., 18, 19 e 20, lett. c) legge n. 47/1985 per aver, nelle rispettive qualita' sopra indicate, concorso all'abusiva lottizzazione dell'area sita in localita' Spiritosanto, posta per tre lati al confine del centro urbano, in zona qualificata agricola con vincolo cimiteriale, con obbligo di non alterazione e con divieto assoluto di edificazione: area tutta originariarente in proprieta' altri coimputati e, mediante numerosi e ripetuti frazionamenti di lotti di superficie variabile tra i 600 ed i 2000 mq; predisposti in modo tale da consentire la viabilita' interna e l'accesso alle singole particelle attraverso lotti riservati a tale scopo e collegati con la viabilita' esterna; lotti che oltre che per la predetta predisposizione di opere di urbanizzazione, mostravano, per numero, dimensioni e posizionanenti, la univoca destinazione edificatoria, peraltro evidenziata anche dal prezzo di vendita (pressapoco corrispondente a quello delle aree edificabili e comunque sproporzionato per la dichiarata destinazione agricola) e dalla qualita' degli acquirenti, con l'effettiva realizzazione delle opere edili a ciascuno specificatamente contestate che comportavano la progressiva illecita trasformazione urbanistico-edilizia dell'intera area. Il tutto con l'illecito e decisivo concorso di Ancora Francesco che disponeva, quale geometra interessato, i frazionamenti e li depositava presso il comune di Gallipoli (condizione indispensabile per l'approvazione del frazionanento da parte dell'UTE) dove, in particolare, per i frazionamenti depositati in data 28 novembre 1987, 10 luglio 1989 e 9 febbraio 1990 contestualmente egli ricopriva incarichi di assessore a consigliere delegato all'urbanistica. In Gallipoli a tutto il 13 ottobre 1993. Perrone Emilio, inoltre, del delitto di cui all'art. 349 c.p. per aver violato i sigilli apposti a seguito del decreto di sequestro emesso il 2 dicembre 1991 e notificatogli il 4 dicembre 1991 sull'area di sua proprieta' ove, proseguendo le opere abusive, realizzava un nuovo corpo di fabbrica delle dimensioni di metri 4 X 24 per una altezza di metri 2,75. In Gallipoli il 13 ottobre 1993. Gli stessi imputati: del reato p. e p. dall'art. 20, lett. c) legge n. 47/1985 per aver eseguito, nell'ambito della lottizzazione abusiva di cui al capo A di imputazione di cui sopra, le opere edili indicate di seguito alle generalita' di ciascuno, sprovviste della necessaria concessione edilizia; il tutto accertato in Gallipoli, l'11 gennaio 1992 in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. F a t t o Con decreto in data 29 dicembre 1993 il sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce disponeva la citazione a giudizio, davanti a questa sezione distaccata di pretura, degli imputati indicati in epigrafe per rispondere dei reati di cui in rubrica. Dopo alcune udienze, in quella del 30 ottobre 1995, gli imputati Perrone Emilio, Provenzano Giuseppe, Sagliocca Giovanna, De Vittorio Luciano e Cortese Cosimo, tramite i propri difensori chiedevano di patteggiare la pena per i reati loro ascritti nella misura indicata in verbale ed il p.m. d'udienza prestava il proprio consenso anche in ordine alla sospensione della pena; ma, contestualmente, chiedeva che il pretore ordinasse la confisca dei lotti con le relative costruzioni abusive realizzate, ex art.19 della legge n. 47/1985. In seguito all'opposizione dei difensori a quest'ultima richiesta, gli stessi ed il p.m. argomentavano diffusamente in merito con ampi richiami dottrinari e giurisprudenziali di cui in atti e con specifico riferimento al richiamato art. 19 della legge n. 47/1985 ed agli artt. 18 della stessa legge n. 240 c.p. e 445 c.p.p. All'udienza del 30 ottobre 1995 questo pretore, ritiratosi in camera di consiglio, emetteva l'ordinanza con il dispositivo letto in udienza Per i seguenti motivi Il p.m., nel prestare il suo consenso alla pena proposta dagli imputati per i reati loro ascritti, - compreso quello di lottizzazione abusiva ex art. 18 legge n. 47/1985 - ha chiesto, come si e' gia' detto nella narrativa, che questo pretore disponesse la confisca ex art. 19 della stessa legge, richiamando l'attenzione del giudicante su alcune sentenze della Corte di cassazione sul punto, che, per compiutezza d'indagine - stante la loro possibile pertinenza, - si riportano testualmente: Cass. n. 15478 del 21 novembre 1990: "Dall'insieme dei poteri conferiti al giudice penale dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 - nell'ambito dei quali assumono un significato emblematico il potere di confisca dei terreni lottizzati abusivamente e delle opere edilizie su di essi costruite nonche' l'ordine di demolizione delle opere abusive -, risulta confermata la legittimita' della subordinazione della sospensione della pena alla condizione della demolizione dell'opera abusiva ordinata dal giudice penale. Tale ordine emesso ex art. 7 u.c. legge cit., si configura come sanzione di natura sostanzialmente amministrativa, di tipo oblatorio, funzionalmente assimilabile alla confisca e si riconnette, non ad una pretesa "supplenza" della autorita' amministrativa, ma all'interesse statuale sotteso all'esercizio della potesta' penale; mentre la ratio dell'art. 165 c.p. attiene all'acclaramento di quel provvedimento del condannato utile ai fini della concessione della sospensione della pena, da comprovarsi con l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, salvo che la legge abbia optato riguardo ad esse per misure alternative"; Cass. n. 06578 del 13 giugno 1991; n. 6380 del 10 giugno 1991; n. 10272 dell'11 ottobre 1991; "L'ordine di demolizione delle opere abusive previsto dall'ultimo comma dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47 e dell'ultimo comma dell'art. 23 legge 2 febbraio 1974, n. 64 ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, funzionalmente assimilabile alla confisca, e non di pena accessoria. Esso quindi, deve essere pronunciato anche con la sentenza che applica la pena su richiesta"; Cass. n. 16483 del 18 dicembre 1990: "La confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite deve essereobbligatoriamente disposta ogni qual volta il giudice penale accerti che vi e' stata lottizzazione abusiva e quindi anche quando non venga pronunciata sentenza di condanna, ma sentenza di proscioglimento per causa diversa dall'insussistenza del fatto-reo (nel caso di specie era stata pronunciata sentenza di proscioglimento per prescrizione); Cass. n. 05777 del 15 maggio 1992: "L'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive previsto dall'art. 7, comma nono legge 28 febbraio 1985, n. 47 puo' essere impartito anche con la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, atteso che detto provvedimento giurisdizionale e' equiparato ad una sentenza di condanna a tutti gli effetti diversi da quelli espressamente previsti dall'art. 445, comma primo c.p.p. (conf. sez. un. n. 10 27 marzo 1992)"; Cass. n. 00876 del 21 maggio 1993: "La lottizzazione abusiva si configura, ad un tempo, come illecito amministrativo e come reato ed, in ordine a tale ultima qualificazione, e' prevista l'applicazione, non solo delle pene di cui all'art. 20, lett. c), ma della confisca obbligatoria come lascia intendere l'art. 19 di tale legge; una confisca che ha per oggetto tanto i terreni lottizzati tanto le opere su di essi costruite"; Cass. n. 04954 del 30 aprile 1994: "In tema di lottizzazione abusiva, la formulazione legislativa dell'art. 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e la differente terminologia usata rispetto all'ipotesi di cui all'art. 7, ultimo comma, stessa legge, lasciano intendere che, mentre la demolizione presuppone la condanna, la confisca di cui al detto art. 19 prevede solo, quale presupposto, la esistenza effettiva della lottizzazione, prescindendo da ogni altra considerazione e rilievo, con esclusione solo della ipotesi di insussistenza del fatto"; Cass. 3 marzo-24 aprile 1995, n. 4362: "La sentenza che dispone l'applicazione della pena su richiesta delle parti e' equiparata a una sentenza di condanna a tutti gli effetti, tranne quelli espressamente previsti dall'art. 445, primo comma, del c.p.p. In conseguenza, se a detto provvedimento giurisdizionale sono ricollegabili gli effetti della sentenza di condanna, e' evidente che l'ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate - che ha natura di sanzione amministrativa e non di pena accessoria - debba essere impartito dal giudice anche con la sentenza di cui all'art. 444 del c.p.p., pur nell'ipotesi che non sia stato compreso nell'accordo tra le parti, stante la natura obbligatoria di esso, sancita dall'art. 7, ultimo comma, della legge n. 47/1985. Da cio' deriva che la impugnata decisione deve essere annullata senza rinvio nel punto relativo all'omesso ordine di demolizione delle opere abusivamente eseguite; ordine che - essendo esterno all'accordo delle parti ed obbligatoriamente previsto dalle legge come corollario a sentenza di condanna - puo' essere impartito in questa sede". A sua volta, il difensore degli imputati Provenzano, Sagliocca e Perrone, nella memoria autorizzata del 10 ottobre 1995, osservava quanto segue: "Circa la confisca, sollecitata dal p.m., siamo dell'avviso che il problema non esiste, atteso che l'art. 445 c.p.p. dispone che: "La sentenza prevista dall'art. 444, secondo comma non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento ne' l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'art. 240, secondo comma c.p. Nel caso di specie, la confisca per il reato di lottizzazione (art. 19 legge n. 47/1985) trovasi in una legge speciale, che in quanto non richiamata dal suddetto art. 445 c.p.p., non e' applicabile in definizione del giudizio penale per pattegiamento. E quanto e' dato apprendere dall'orientamento costante della giurisprudenza di legittimita': "Nella ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, e' esclusa, a norma dell'art. 445 c.p.p., la possibilita' di disporre la confisca ad eccezione dei casi previsti dall'art. 240, secondo comma c.p. e tale eccezione non si presta ad essere interpretata come rinvio a tutte le ipotesi di confisca obbligatoria prevista nelle leggi speciali" (cosi' Cass. 10 febbraio 1994; Cass. 19 novembre 1993; Cass. 18 marzo 1993; Cass. 17 marzo 1993). Il tutto trova giustificazione in una valutazione precisa del legislatore, desumibile dal regime di largo favore che il nuovo codice di procedura penale attribuisce ai riti alternativi; fino ad escludere l'applicabilita' delle misure di sicurezza personali e delle pene accessorie, il cui contenuto afflittivo e indubbiamente maggiore rispetto alla sanzione patrimoniale, tale favore verrebbe illegittimamente vulnerato e ristretto se si consentisse di disporre la confisca anche di cose esulanti dalla specifica ed unica eccezione imposta dalla legge. Ed in tal senso si sono espresse anche le sezioni unite della Corte di cassazione (15 dicembre 1992, n. 807), le quali hanno sottolineato che l'art. 445 c.p.p., nella parte in cui fissa la regola dell'inapplicabilita' delle misure di sicurezza nel patteggiamento, si inserisce in una serie di disposizioni con carattere "premiale" (intese a favorire la diffusione del rito alternativo ed a bilanciare la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed alla facolta' di contestare l'accusa) e la previsione della applicabilita' della confisca nei casi dell'art. 240 cpv c.p. e' qualificabile come una eccezione alla regola suddetta; eccezione che, proprio in quanto tale, deve essere mantenuta nei limiti espressamente fissati dal legislatore e non puo' essere estesa ad ipotesi disciplinate da norme speciali". Le citate sezioni unite hanno trovato un conforto di siffatte conclusioni nella seguente circostanza: "Il fatto che il legislatore, a breve distanza di tempo dall'entrata in vigore del nuovo c.p.p. - e percio' della innovatrice norma dell'art. 445 -, abbia ritenuto necessario disporre che la confisca delle cose - prevista, obbligatoriamente, dall'art. 301 decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973 sui reati di contrabbando -, va ordinata anche con la sentenza emessa a norma dell'art. 444, implica inequivocabilmente che la previsione normativa, ed eccezionale, dell'art. 445 si riferisce solo, testualmente, alle inotesi dell'art. 240 cpv, e non a tutti i casi di confisca obbligatoria e, con una, sostanziale, interpretazione autentica, il legislatore ha cosi' ritenuto che senza la specifica, e speciale, norma della legge citata del 1991, non sarebbe stato possibile, con la sentenza di "patteggiamento", disporre la confisca, pur prevista come obbligatoria, dal decreto del Presidente della Repubblica del 1973 sui reati di contrabbando. Il tutto a conferma dell'antico brocardo che il legislatore ubi voluit dixit ubi noluit tacuit: non e' del resto il caso di sottolineare che di occasioni per apportare modifiche in tal senso il legisltore ne ha avute non poche (la legge n. 47/1985 e' modificata quasi mensilmente). Occorre, a questo punto, evidenziare come la fattispecie in questione non sia assolutamente riconducibile a quanto previsto dal capoverso dell'art. 240 c.p in merito ad ipotesi di confisca obbligatoria: a) non rientra nel n. 1) che prevede la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato, atteso che per prezzo del reato si intende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto e commettere il reato (cosi' Cass. sez. un. cit.); b) non rientra neppure nel n. 2), atteso che, secondo la dottrina dominante (cosi', per tutti, Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Massa; Confisca, in Enc. dir.). L'obbligatorieta' della confisca di cui al n. 2 dell'art. 240 cpv, deriverebbe dalla pericolosita' intrinseca delle cose, la quale renderebbe superfluo qualsiasi accertamento concreto da parte del giudice: "La unanime giurisprudenza ha inteso meglio precisare il concetto della confisca obbligatoria delle sole cose intrinsecamente criminose in quelle che non possono essere destinate ad un uso consentito dalle legge (ad es. droga, apparecchi automatici da gioco, documenti falsi) (in tal senso Cass. 16 dicembre 1963, Cass. 8 giugno 1961, Cass. 4 dicembre 1968, Cass. 11 ottobre 1971, Cass. sez. un. 22 gennaio 1983; Cass. 15 aprile 1993): e' inutile sottolineare che un immobile non e' bene intrinsecamente criminoso". Il difensore degli imputati Cortese Cosimo, De Vittorio Luciano e De Vittorio Cosimo, nella memoria difensiva autorizzata del 28 settembre 1995, rilevava quanto segue: "In numerose decisioni della suprema Corte regolatrice del diritto si trova, infatti, affermato il principio secondo cui in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., il giudice non e' tenuto ad accertare in modo approfondito la concreta sussistenza dei reati contestati sia sotto il profilo materiale sia psicologico, essecondo sufficiente che sulla base degli atti appaia in modo evidente che non ricorrano gli estremi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (Cass. 7 luglio 1994, n. 2228). Ma vi e' di piu'| In altra decisione (Cass. 23 agosto 1994, n. 2717) la Cassazione ha dichiarato in maniera esplicita l'assoluta estraneita' al contenuto della sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti del concreto accertamento della responsabilita' e della sua declaratoria. Infatti, allorche' l'imputato abbia fatto richiesta di applicazione della pena, con cio' rinunciando a far valere le proprie eccezioni e difese sia in ordine alle accuse che in ordine alle questioni processuali ed il p.m. abbia riconosciuto il contributo alla sollecita definizione del caso e cosi' vi sia stata quella convergenza di volonta' costituente il presupposto del contenuto della sentenza applcativa della pena, il patto e' l'oggetto primario dell'esame del giudice, diretto in senso positivo alla verifica dell'esistenza dell'accordo, della correttezza della qualificazione giuridica del fatto, dell'applicazione e delle comparizioni di eventuali circostanze, della congruita' della pena ai fini e nei limiti dell'art. 27 della Costituzione, della concedibilita' del richiesto beneficio della sospensione condizionale della pena ed, in senso negativo, all'accertamento dell'inesistenza di cause di non punibilita', di improcedibilita' o di estinzione del reato. Cio' e' sufficiente ad escludere che la sentenza con la quale si applica la pena su richiesta delle parti possa essere equiparata ad una sentenza di accertamento di responsabilita'. Orbene, sono proprio le argomentazioni fin qui svolte circa la natura della sentenza ex art. 444 c.p.p. che inducono necessariamente a ritenere che con il suddetto provvedimento l'organo giudicante non possa disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, per l'ovvia ragione che, non avendo esso il carattere di sentenza di accertamento di responsabilita', non possono applicarsi ne' le pene accessorie ne', si noti bene, le misure di sicurezza. Ora, per costante orientamento giurisprudenziale (vedi Cass. 24 febbraio 1994, n. 2330; Cass. 12 aprile 1994, n. 1166; Cass. 6 giugno 1994, n. 6624; Cass. 12 maggio 1993, n. 705) la confisca dei beni rientra proprio nell'ambito delle misure di sicurezza patrimoniali, sia pure atipiche, e non gia' in quello delle sanzioni amministrative. Tra l'altro e' d'uopo notare la sottile ma essenziale differenza che intercorre tra il citato art. 19 legge n. 47/1985 e l'ultimo comma dell'art. 7 della medesima legge, il quale prevede che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 17, lett. b), legge n. 10/1977, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita: orbene e' persino superfluo sottolineare che proprio perche' in tale disposizione si parla di sentenza di condanna (e non gia', si noti bene, di sentenza di accertamento come fa l'art. 19) alla quale la sentenza che dispone l'applicazione della pena su richiesta delle parti e' equiparata per tutti gli effetti che non siano quelli espressamente previsti dall'art. 445, comma 1 c.p.p., spiega il perche' l'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive - che, a differenza della confisca, ha natura di sanzione amministrativa - puo' essere impartito anche con la sentenza ex art. 444 c.p.p., secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cass. 9 marzo-24 aprile 1995, n. 4362). Per mero tuziorismo difensivo si evidenzia, ove mai ne fosse bisogno, che in tema di patteggiamento e' consentita soltanto la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato o di quelle intrinsecamente criminose e non gia' di quelle costituenti il prodotto del reato medesimo; a riguardo, per prezzo del reato si deve intendere il compenso per commettere il reato ovverosia il denaro o altra utilita' economica data o promessa per indurre un altro soggetto a compierlo (Cass. 21 luglio 1993, n. 882): il che non ricorre nel caso di specie. In conclusione, proprio perche' la stessa struttura del patteggiamento impedisce l'approfondimento del materiale probatorio e di quant'altro sia indispensabile a che voglia e debba valutare l'opportunita' e le conseguenze del provvedimento in questione (cio' in quanto al cospetto del giudice vi sono solo il capo di imputazione e la richiesta delle parti in ordine alla pena, mentre tutto il resto e' avulso dalla scelta pattizia), ove si concedesse la confisca si verificherebbe una palese violazione dell'accordo processuale su cui si incentra l'istituto del patteggiamento. Violazione che finirebbe per frustrarne il carattere premiale e le finalita' applicative, con rischio di "fuga" da tale strumento di deflazione del dibattimento. Per quanto esposto e nella convinzione che la legge n. 47/1985 abbia creato una commistione di ruoli e funzioni tra potere amministrativo e penale che non si attaglia al rito speciale della pena su richiesta delle parti, si insiste nel sostenere l'assoluta incompatibilita' ed estraneita' della confisca alla sentenza ex art. 444 c.p.p. e della richiesta di applicazione della pena come richiesta dalle parti". Ritiene il giudicante, pure meritevoli di considerazione - quali premesse e presupposti delle questioni di costituzionalita' indicate nell'ordinanza di rimessione di cui si e' detto nella narrativa - le seguenti decisioni: "Cass. 26 marzo 1993, n. 2996. In tema di reati edilizi, l'art. 7, ultimo comma, legge 28 febbralo 1985, n. 47 prevede che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, come modificato dall'art. 20 della detta legge n. 47 del 1985, ordini la demolizione delle opere stesse se non sia stata altrimenti eseguita. Pertanto il giudice penale, al quale la legge attribuisce in via eccezionale un potere di natura amministrativa, deve limitarsi, una volta accertata la violazione del citato art. 20, ad ordinare la demolizione dell'edificio abusivo, secondo una interpretazione non estensiva della norma, trattandosi di un potere normalmente riservato all'autorita' amministrativa. Ne consegue che deve ritenersi quale provvedimento abnorme, e come tale sottratto al potere del giudice penale l'ordine impartito da un pretore, con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di cui al succitato art. 20 di rimettere gli atti al sindaco per l'abbattimento o la confisca dell'edificio. (Nella specie la confisca era stata dal pretore sottoposta altresi' alla condizione che la stessa fosse confermata dal giudice amministrativo innanzi al quale pendeva il giudizio sulla adozione delle sanzioni amministrative); Cass. 13 gennaio 1994, n. 190: "ai fini della ipotizzabilita' della confisca obbligatoria di cui all'art. 240, secondo comma, n. 2 c.p., il carattere intrinsecamente criminoso della cosa da sottoporre a confisca non puo' rilevare ex se, occorrendo, invece verificare se, in relazione al titolo di reato contestato, la confisca risulti in grado di prevenire ogni ulteriore, specifico comportamento penalmente rilevante, cosi' da corrispondere alla funzione assegnatagli dalla legge. Ne' il fatto che il legislatore abbia disposto che e' sempre ordinata la confisca confermerebbe la soluzione che l'intrinseca criminosita' della res assume una tale valenza da prescindere dalla tipologia di pronuncia adottata. L'espressione "sempre", infatti, va modulata proprio in relazione al provvedimento decisorio della res iudicanda, perche', in caso di proscioglimento, i criteri di verifica della sussistenza delle condizioni per la confisca obbligatoria restano di stretta interpretazione corrispondentemente all'esigenza che al proscioglimento in merito non conseguano effetti di ordine negativo nella sfera giuridica dell'interessato. Non cosi' pare debba dirsi in caso di condanna o di decisione "equiparata" ad una sentenza di condanna in quanto fondata sul riconoscimento dell'addebito da parte dell'imputato. In tal caso, la funzione della confisca finisce per interagire con il comportamento criminoso che giustifica, insieme alla qualita' della res, l'effetto ablatorio previsto dalla legge. (Fattispecie in cui la Corte ha affermato la legittimita' della decisione del giudice di merito che, nell'applicare all'esito del dibattimento la pena richiesta dall'imputato relativamente al reato di abusivo esercizio della professione di medico dentista, aveva disposto la confisca dell'attrezzatura sanitaria utilizzata per l'esercizio dell'attivita' abusiva); Cass. sez. un. 20 aprile 1995, n. 2; "piu' in generale si e' ritenuto che ai fini della disposizione in questione il carattere intrinsecamente criminoso della cosa non puo' rilevare ex se, occorrendo invece verificare se, in relazione al titolo di reato constato, la confisca risulti in grado di prevenire ogni ulteriore, specifico comportamento penalmente rilevante, cosi' da corrispondere alle funzioni assegnate dalla legge (sez. VI, ud. 11 ottobre l993, Lattisi). E questo l'orientamento che le sezioni unite ritengono di dover condividere. Infatti, il carattere criminoso della cosa non puo' essere rilevato ex se, in quanto non e' concepibile una situazione di pericolosita' indipendentemente da una azione e da un soggetto. Non puo', infatti, concepirsi una "criminosita'" della cosa staccata dalla condotta umana perche' altrimenti essa non potrebbe mai costituire il substrato della misura di sicurezza, che per sua natura e' diretta ad incidere su cose considerate pericolose perche' si riconnettono ad un fatto concreto preveduto dalla legge come reato. Che la qualita' della cosa che ne comporta la confisca sia collegata al reato e al suo autore e' confermato dall'ultimo comma dell'art. 240 c.p., che rende inoperante la disposizione del secondo comma, n. 2 dello stesso articolo se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa. La disposizione rende chiaro che la confisca puo' essere evitata se la cosa puo' uscire dalla situazione di illiceita' in cui per il rapporto con l'agente e' venuta a trovarsi. E cio' significa che la criminosita', o meglio la pericolosita', non costituisce un carattere della, cosa in se' ma deriva dalla relazione tra questa e l'agente"; Corte costituzionlale 22 luglio 1994, n. 334: "E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445, secondo comma c.p.p. e dell'art. 240, comma 2, c.p., sollevata, in riferimento all'art, 76 della Costituzione, nella parte in cui l'art. 445, primo comma c.p.p. consente la confisca nei soli casi previsti dall'art. 240, secondo comma c.p. e di quest'ultima disposizione nella parte in cui non prevede l'obbligatorieta' delle cose che costituiscono il profitto del reato (la Corte ha osservato che la direttiva n. 45 della legge-delega per il nuovo codice di rito ha lasciato al legislatore delegato ampio margine di discrezionalita' al fine di incentivare il ricorso al "patteggiamento"). E' manifestamente inammissibile l'identica questione sollevata in riferimento agli artt. 41, secondo comma, 27 secondo e terzo comma della Costituzione (nella motivazione, la Corte ha osservato che il giudice a quo sollecita un intervento additivo che rientra nella esclusiva sfera della discrezionalita' legislativa)". Non a caso il giudicante ha riportato diffusamente quanto evidenziato, sia dalle parti sia dalla giurisprudenza (di legittimita' e di merito e costituzionale) sulle complesse tematiche e problematiche sviluppatesi in relazione agli artt. 18, settimo, ottavo e nono comma e 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e suc. modif., 240, secondo comma del c.p. e 444, 445 del c.p.p. novellato. Invero, dall'accurato esame di cio' che e' stato esposto, non emergono, a parere dello stesso giudicante, problemi esclusivamente interpretativi di ciascuna norma sopra indicata da affrontarsi e risolversi ex artt. 12 e 14 delle disposizioni della legge in generale; e, comunque, sulla base dei consueti metodi di ermeneutica, tenendo conto anche dei principi generali dell'ordinamento. Trattasi, invece, come si esplicitera', di possibili discrasie insite nelle suddette norme con conseguente non manifesta infondatezza di questioni di costituzionalita' da sottoporre doverosamente all'esame del giudice delle leggi con riferimento alle norme costituzionali che gia' sono state indicate nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione. Cio' puo' dirsi, anzitutto, con riferimento ai rapporti tra i provvedi menti amministrativi adottati dal sindaco ex art. 18 della legge n. 47/1985. ("Nel caso in cui il sindaco accerti l'effettuazione di lottizzazioni di termini a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione ... ne dispone la sospenzione. Il provvedimento comporta l'immediata interruzione delle opere in corso ed il decreto di disporre dei suoli delle opere stesse con atto tra vivi e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari. Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento previsto di cui al comma precedente le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio del comune il cui sindaco deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia del sindaco si applicano le disposizioni concernenti ipotesi sostitutivi di cui all'art. 7. Gli atti aventi per oggetto lotti di terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento previsto dal settimo comma sono nulli e non possono esser stipulati, ne' in forma pubblica ne' in forma privata dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento del sindaco"); e quello che e' previsto dall'art. 19 della stessa legge, secondo cui: "La sentenza defintiva del giudice penale che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio e' avvenuta la lottizzazione abusiva. La sentenza defintiva e' titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari". Sul punto, e sulla precisa natura dei due provvedimenti (quello del sindaco e quello del giudice penale, di cui si e' detto) non si rinvengano precedenti giurisprudenziali. Ma si e' pronunciata la dottrina (sia pure in epoca anteriore all'entrata in vigore del novellato codice di procedura penale; e cio' e' importante per quanto si dira') con argomentazioni che, per compiutezza di indagine, qui si riportano. Secondo alcuni autori l'art. 19, teste' richiamato, nella parte in questione, tende ad omogeneizzare le figure dell'acquisizione e della confisca e mira ad escludere la successiva acquisizione del bene abusivo. Esso ha una giustificazione pratica solo quando il sindaco o altra autorita', nell'esercizio dei suoi poteri esecutivi di cui all'art. 4 della stessa legge, non provveda ad emettere il provvedimento di sospensione di cui all'ottavo comma dell'art. 18, cui consegue l'effetto acquisitivo. E' chiaro infatti che non puo' ritenersi operante nella fattispecie il criterio c.d. di prevenzione poiche' il carattere obbligatorio della confisca penale non esime il giudice dall'adottare il provvedimento indipendentemente dal comportamento attivo od inerte del sindaco; anche se la preventiva acquisizione del terreno lottizzato abusivamente a seguito di provvedimento amministrativo rende inoperante di fatto l'atto del giudice, essendo ovvio che quest'ultimo non puo' conseguire l'effetto dell'acquisto da parte del comune, gia' realizzatosi in precedenza per titolo diverso. Secondo altri autori, di non facile soluzione, si e' detto, e' il problema della natura del provvedimento ablatorio previsto dall'articolo in commento. Per certi aspetti esso si potrebbe inquadrare nella confisca penale prevista dall'art. 240 c.p., mentre per altri aspetti se ne differenzia ed e' maggiormente assimilabile ad una sanzione amministrativa. Il dilemma ha una certa rilevanza, poiche', in ordine alla apprensione del bene lottizzato abusivamente, concorrono (necessariamente interferendo tra loro) sia i poteri dell'amministrazione comunale (in forza dell'art. 18) sia quelli del giudice penale (ai sensi del presente articolo di legge). E' infatti ovvio che, costituendo la lottizzazione abusiva un reato penalmente perseguibile ai sensi dell'art. 20, lett. c), della legge in esame, il sindaco, il quale accerti l'effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione non potra' limitarsi a dar corso agli adempimenti di sua stretta competenza, ma, in forza dell'art. 2, secondo comma, c.p.p., dovra' obbligatoriamente trasmettere la notizia di reato al giudice penale competente, il quale iniziera' (qualora gia' non sia stato iniziato) il relativo procedimento. La concomitanza dei due procedimenti, penale ed amministrativo, e' quindi pressoche' inevitabile. L'esplicita previsione di legge e la destinazione del bene confiscato per decisione del giudice penale al patrimonio del comune territorialmente interessato, (pur facendo cadere le argomentazioni in forza delle quali la giurisprudenza della Corte di cassazione e gran parte della dottrina negavano in precedenza tale potere al giudice ordinario) non comportano necessariamente l'inquadrabilita' di tale confisca tra le misure di sicurezza. La confisca penale, infatti, tende a colpire cose che, provenendo da fatti illeciti penali o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato; Naturalmente il riferimento e' all'ipotesi del primo comma dell'art. 240 c.p., dato che il terreno su cui viene operata la lottizzazione abusiva palesemente non rientra nelle due ipotesi del capoverso del predetto articolo. Se quindi la confisca di cui ci occupiamo, per la natura del bene colpito, potrebbe, in ipotesi, rientrare nella fattispecie di cui al primo comma dell'art. 240 c.p. (e solo in esso), vediamo che altri ostacoli vi si oppongono. Alludiamo non tanto al fatto che l'art. 19 qualifichi la sanzione come obbligatoria (cio', infatti, non ne cambia la natura), ciuanto alla sostanziale osservazione che la confisca penale delle cose attinenti al reato (e non intrisecamente pericolose - art. 240, cpv., c.p. -) puo' conseguire solo ad una sentenza di condanna mentre anche una decisione di proscioglimento, purche' accerti (sebbene non includendo l'accertamento nel dispositivo costituendo esso solo uno dei presupposti della decisione) la sussistenza di una lottizzazione abusiva, puo' - anzi, deve - comportare la confisca dell'area lottizzata, al sensi dell'articolo in commento. Cio' si puo' agevolmente spiegare, alla luce dei principi generali, se si ammette la natura amministrativa e non penale di questa sorta di confisca. Infatti la ratio della confisca disposta ai sensi dell'art. 240, primo comma, c.p., e' proprio quella della misura di sicurezza, cioe' quella di evitare che la cosa, in se' non pericolosa, qualora sia lasciata nella disponibilita' del reo, venga a costituire per lui un incentivo per commettere ulteriori illeciti; il che comporta che debba essere individuato un reo (cioe' comporta una sentenza di condanna), oltre al fatto che il bene debba essere di proprieta' del condannato. Tutta la normativa sanzionatoria amministrativa e', invece, intesa a perseguire, come fine primario, quello del buon governo del territorio e della tutela dell'ambiente; quindi la confisca, anche in ipotesi di sentenza di proscioglimento, che pero' accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, segue la logica di soddisfare l'interesse prioritario alla tutela dell'ambiente. Questo intento del legislatore risulta palese anche dalla sovrapposizione tra i provvedimenti sindacali previsti dall'art. 18 e l'obbligo di provvedere sulla confisca di cui all'art. 19. Ulteriore elemento a favore della tesi sulla natura sostanzialmente amministrativa del provvedimento ablatorio in esame e' la destinazione del bene oggetto della confisca al patrimonio del comune e non, come per la confisca penale, al patrimonio dello Stato, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., per seguire la destinazione ivi prevista. Secondo la stessa dottrina rimangono da esaminare le interferenze tra procedimento ablatorio amministrativo (ivi compresi i rimedi giurisdizionali) e confisca in esito al procedimento penale. Poiche' la sentenza penale diviene definitiva - e quindi utile per la trascrizione nei registri immobiliari - solamente quando sono stati esperiti tutti i gradi di giudizio (o quando sono inutilmente decorsi i termini di impugnazione di sentenze non definitive, ma l'ipotesi ha minor rilievo, in concreto, in quanto difficilmente l'imputato rinuncia alla possibilita' di gravame soprattuto se tra i capi della decisione vi e' una sanzione patrimoniale di notevole gravita'); mentre gli automatismi fissati dall'art. 18 sembrano introdurre una procedura di rara efficacia e rapidita', in via normale dovrebbe giungere a compimento prima l'"espropriazione" in via amministrativa di quella penale. In tal caso non vi sarabbe luogo a decidere in ordine alla confisca da parte del giudice penale, sia che la si consideri un provvedimento "amministrativo" - in quanto si e' gia' provveduto nella sede propria - sia che la si consideri una misura di sicurezza - in quanto ne sono venuti meno i presupposti - Vero e' che l'acquisizione gratuita al patrimonio del comune del terreno abusivamente lottizzato puo' essere procrastinata dalla sospensione, in sede giurisdizionale amministrativa, della ordinanza adottata dal sindaco ai sensi dell'art. 18 settimo comma, ma poiche' a tale provvedimento cautelare dovra' seguire una sentenza, il problema si sposta sul piano della interazione tra giudicati. Non pare che dalla normativa vigente si possa trarre la conclusione che, in ipotesi di abusi edilizi, il giudizio amministrativo debba necessariamente essere sospeso in attesa della definizione di quello penale; in realta' la sussistenza di un responsabile sul piano penale e' del tutto ininfluente in relazione alla decisione del giudice amministrativo circa la legittimita' o meno della lottizzazione; o meglio, circa la legittimita' dell'ordinanza sindacale impugnata. Tanto meno e' ipotizzabile una sospensione del procedimento penale, dato che la competenza per decidere sull'abusivita' della lottizzazione e' attribuita al giudice penale proprio dall'articolo in commento e quindi siamo fuori dalle ipotesi previste dall'art. 20 c.p. Il problema va, conseguentemente, visto in concreto, dal momento che i due procedimenti, quello penale e quello giurisdizionale amministrativo, si sviluppano su due piani assolutamente diversi, non intercomunicanti, e che non e' nemmeno configurabile un contrasto di giudicati anche se, in ultima analisi, entrambi sono destinati ad incidere sullo stesso bene (mutando una celebre espressione, si puo' parlare di una sorta di "convergenze parallele". La sentenza penale costituisce giudicato solo in ordine alla responsabilita' dell'imputato (e, in forza dell'articolo in commento, sulla confisca del bene), mentre quella amministrativa statuisce solo in ordine alla legittimita' degli atti impugnati, tra i quali non vi e' un vero e proprio provvedimento di confisca, conseguendo questa di diritto dal decorso di novanta giorni dalla ordinanza sindacale di sospensione dei lavori. Si tratta quindi di una questione di prevenienza; se diventa definitiva prima la sentenza del giudice amministrativo che rigetta l'impugnazione dell'ordinanza del sindaco prevista dall'art. 18, settimo comma, e si perfezionano i presupposti per l'acquisizione gratuita al patrimonio del comune del fondo lottizzato, la successiva sentenza che statuisca la confisca diverra', per tale scopo, ineseguibile di fatto. Se invece e' la sentenza penale che precede quella amministrativa, sara' essa a costituire titolo per la trascrizione, ai sensi del terzo comma dell'articolo in commento. Conseguentemente, riteniamo, il giudizio amministrativo in corso dovra' estinguersi per cessazione della materia del contendere. Orbene, ritiene il giudicante che quanto evidenziato dalla dottrina teste' riportata, affronti ma non risolva coerentemente ed adeguatamente la problematica di cui si e' fatto cenno. Cio', sia per quanto riguarda i rapporti tra i provvedimenti del sindaco di cui all'articolo 18 della legge n. 47/1985 e quello di confisca del giudice penale ex art. 19 della stessa legge, sia per cio' che concerne le caratteristiche dei suddetti provvedimenti Invero, anzitutto, sulla base della formulazione letterale delle due norme (art. 18 e 19 della legge n. 47/1985) e senza una previsione analoga a quella dell'articolo 7 della legge medesima ("per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'arti 17, lettera b) della legge n. 10 del 1977 e succ. mod., ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita) non puo' escludersi la possibilita' di un dualismo suscettibile di sovrapposizioni, commistioni, interferenze o addirittura contrasti tra l'autorita' amministrativa e giurisdizionale e quella giudiziaria penale. Non potendosi, peraltro, stabilire preventivamente l'iter cronologico (e conclusivo) dell'autorita' del sindaco, quella della giurisdizione amministrativa - nell'ipotesi di ricorso al t.a.r., avverso i provvedimenti del sindaco ex art. 18, come e' avvenuto nel caso di specie e quella del provvedimento che disponga la confisca da parte del giudice penale, nel caso in cui con sentenza definitiva, accerti che vi e' stata lottizzazione abusiva. Detti inconvenienti possono quindi a parere del giudicante, incidere sulla funzionalita' dei due procedimenti, quello amministrativo e quello penale, non escluso un contrasto di giudicati che puo' riflettersi negativamente, sia sulla finalita' delle norme fondamentalmente dirette alla tutela piu' efficace dell'assetto urbanistico ed ambientale (art. 18 e 19 legge n. 47/1985, sia sulla attivita' difensiva, per l'evidente grave incertezza in cui puo' trovarsi l'imputato del reato di lottizzazione abusiva (ed anche il giudice penale) al cospetto di una prima acquisizione (ed altri effetti) operata dal sindaco del terreno lottizzato e delle opere sullo stesso eseguite con eventuale gravame dinanzi al giudice amministrativo e di una successiva confisca ed altri analoghi effetti sullo stesso bene da parte del giudice penale, anche nella pendenza del giudizio amministrativo; peraltro, a prescindere da una sentenza di condanna da parte dello stesso giudice penale. A tutto voler concedere, comunque, sembra palese la mancanza di un adeguato coordinamento tra le due norme onde evitare la possibile conseguente violazione degli artt. 9 e 24 della Costituzione italiana. Cio', a parere del giudicante, influisce anche sul gia' evidenziato problema della precisa natura della confisca da disporsi obbligatoriamente dal giudice penale; problema che, nella fattispecie in esame, assume notevole importanza ai fini della rilevanza della questione che si sottopone al giudice delle leggi. All'uopo, devesi richiamare quanto e' emerso dalla giurisprudenza sopra indicata e, sopratutto, dalla dottrina. Orbene, come si e' visto, mentre la giurisprudenza, con riferimento all'ordine di demolizione di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985, si limita ad affermare che lo stesso "ha natura sostanzialmente amministrativa, di tipo ablatorio, funzionalmente assimilabile alla confisca (Corte di cass. cit.), parte della dottrina, con correlate argomentazioni, ritiene, tra l'altro, che l'esplicita previsione di legge (art. 19) e la destinazione del bene confiscato per decisione del giudice penale al patrimonio del comune territorialmente interessato non comporterebbero necessariamente l'inquadrabilita' di tale confisca tra le misure di sicurezza; e cio' in considerazione della precipua finalita' della confisca penale ex art. 240 cod. pen., a differenza di tutta la normativa sanzionatoria amministrativa, intesa a perseguire, come fine primario quello del buon governo del territorio e della tutela dell'ambiente". Pertanto, secondo la stessa dottrina, la confisca penale ex art. 19, anche in ipotesi di sentenza di proscioglimento, che pero' accerti la lottizzazione abusiva, seguirebbe la logica della sanzione amministrativa; e questo intento del legislatore risulterebbe palese anche dalla sovrapposizione tra i provvedimenti sindacali previsti dall'art. 18 e l'obbligo di provvedere sulla confisca di cui all'art. 19. Ulteriore elemento a favore della tesi sulla natura sostanzialmente amministrativa del provvedimento ablatorio ex art. 19 sarebbe la destinazione del bene oggetto della confisca al patrimonio del comune e non, come per la confisca penale, per seguire la destinazione ivi prevista. Nonostante le notevoli perplessita' da parte della dottrina e della giurisprudenza, cosi' come teste' esposte, - meritevoli senza dubbio di adeguata valutazione, specie per la loro incidenza in campo penale, come nel caso di specie - rileva il giudicante che la lettera legis si esprime testualmente nel senso, gia' precisato, di una "confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite" (art. 19 legge n. 47/1985) e di confisca parlano anche l'art. 240 del c.p. ed altre leggi speciali. Inoltre, la stessa norma stabilisce, col primo comma, che, ai fini dell'applicazione di detta confisca da parte del giudice penale occorre una sentenza definitiva che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva e, aggiunge, al terzo comma che la sentenza definitiva e' titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari al fini della acquisizione di diritto dei terreni, gratuitamente, al patrimonio del comune competente per territorio. Orbene, non puo' sottacersi, anzitutto, che notevole perplessita' puo' destare il preciso significato di "sentenza definitiva del giudice penale", di condanna o di proscioglimento; se cioe' debba farsi riferimento alla sentenza irrevocabile di cui all'art. 648 c.p.p. correlato all'art. 676 dello stesso codice, oppure anche alla sentenza di primo grado - come nel caso di specie - una volta accertata la lottizzazione abusiva. Problema, anche questo che, a parere del giudicante, non puo' agevolmente superarsi ricorrendo alle normali regole ermeneutiche, specie in sede penale in quanto, stante la lettera legis, cosi' esplicita testualmente sia nel primo che nel terzo comma dell'art. 19 legge n. 47/1985, e' oltremodo opinabile la possibilita' di rapportarla esaustivamente alla ratio (art. 12 disp. della legge in gen.). Trattasi piuttosto, di una fonte di notevole incertezza che non puo' (pur essa) non ripercuotersi negativamente, sul punto, sull'intera funzionalita' del procedimento penale sia per quanto concerne i diritti delle parti, sia, anche, per la corretta operativita' del giudice; il quale non puo' certo, specie in questa sede, interpretare ed applicare le norme con possibilita' alternativa delle soluzioni desumibili dalla fattispecie astratta (come sembra orientata, invece la dottrina sopra riportata in assenza di specifici precedenti giurisprudenziali). Ne' puo' conseguire, a parere di questo pretore, la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della norma in esame, anche sotto questo aspetto (art. 19 legge n. 47/1985 primo e terzo comma) con riferimento agli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione. E' necessario, poi, tener presente che gli articoli 18 e 19 della legge n. 47/1985 di cui si e' gia' ampiamente detto sono stati emanati in epoca anteriore alla riforma del c.p.p. del 1989. Orbene, com'e' noto, con tale riforma, e' stato introdotto nel codice di rito l'istituto "dell'applicazione della pena su richiesta delle parti" ex art. 444 e seg. del c.p.p. Secondo quanto espressamente previsto, tra l'altro, da dette norme " .... se vi e' consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene che la qualificazione giuridica del fatto e l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti sono corrette, dispone con sentenza l'applicazione della pena indicata, enunciando nel dispositivo che vi e' stata la richiesta delle parti ... (art. 444 comma secondo); " ..... la sentenza prevista dall'articolo 444 comma secondo, non comporta la condanna delle spese del procedimento ne' l'applicazione delle pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 comma secondo del c.p. .....". Sulla base di tale normativa, per l'applicazione degli art. 18 e 19 della legge n. 47/1985, i difensori degli imputati, soffermandosi ampiamente sul punto, hanno evidenziato come si e' gia' detto, che, una volta prestato il consenso da parte del p.m. alla pena proposta dagli imputati, non puo' il giudice penale, con la sentenza di cui all'art. 444 disporre la confisca ex art. 19 della legge n. 47/1985. Cio' per un duplice ordine di motivi. Anzitutto, la confisca di cui all'art. 19 della legge n. 47/1985 deve considerarsi "misura di sicurezza", non applicabile ex art. 445 c.p.p. perche' non rientrante nei casi previsti dall'articolo 240 secondo comma del c.p. Inoltre, la confisca di cui all'art. 19 legge n. 47/1985 non puo' applicarsi, secondo gli stessi difensori, poiche' questa norma stabilisce testualmente che detto provvedimento e' disposto obbligatoriamente dalla sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva; mentre, nel caso del c.d. patteggiamento - in generale - e, con particolare riferimento al procedimento esame , non vi sarebbe alcun accertamento di responsabilita' degli imputati e, comunque, dell'avvenuta lottizzazione abusiva contestata. Il pubblico ministero ha sostenuto, invece, che la confisca di cui all'art. 19 legge n. 47/1985 non puo' considerarsi "misura di sicurezza", configurandosi come provvedimento ablatorio di natura amministrativa che deve essere adottato obbligatoriamente dal giudice penale nel caso in cui accerti la lottizzazione abusiva, anche quando non venga pronunciata sentenza di condanna, ma sentenza di proscioglimento per causa diversa dalla insussistenza del fatto reato (tra le altre Cass. 30 aprile 1994 n. 4954 e 18 dicembre 1990 n. 16483). Orbene, ritiene il giudicante, che anche questo problema non puo' risolversi esclusivamente alla stregua di normali criteri inerpretativi delle norme teste' indicate, in quanto, a suo parere, tenuto conto di quano evidenziato sul punto da giurisprudenza e dottrina - non a caso riportate integralmente - le stesse norme appaiono foriere di gravi incertezze con possibile non manifesta infondatezza di questioni di costituzionalita' di cui si dira' appresso. Invero, anzitutto, considerando cio' che e' stato adeguatanente affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza in merito, l'espressione "confisca" usata dal legislatore del 1985, non puo' inquadrarsi con precisione, a livello interpretativo giudiziale, tenuto conto, in particolare, di quanto emerge dalla complessa e persistente elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria (ampiamente riportata) in tema di applicazione dell'art. 240 del c.p., sia per cio' che concerne il primo che il secondo comma dello stesso articolo "prodotto o profitto del reato"; carattere intrinsecamente criminoso della cosa); in particolare si richiamano, su quest'ultimo punto, la sentenza della Cassazione 13 gennaio 1994, n. 190 e quella delle sezioni unite della stessa Corte del 20 aprile 1995, n. 2 con riferimento a quelle della sez. VI dell'11 ottobre 1993). Inoltre, come si e' detto, la medesima norma (art. 19 lett. 47/1985) si riferisce sicuramente a qualsiasi tipo di sentenza "definitiva", sia di condanna o di proscioglimento, che, comunque, accerti la lottizzazione abusiva, per disporsi obbligatoriamente la confisca dei terreni e delle opere abusivamente realizzate; cio' per le finalita' del legislatore del 1985, gia' evidenziate. Questa formulazione, pero', a parere del giudicante, e fonte di notevoli dubbi ed incertezze - non soltanto interpretativi -, per il problema in esame in quanto, rapportandola a quanto previsto espressamente dall'art. 240 del c.p. potrebbe integrare, non la ipotesi del primo comma di quest'ultimo articolo, che presuppone univocamente una sentenza di condanna; ma, sia pure nella ricorrenza delle caratteristiche ivi precisate, quella del secondo comma del medesimo articolo, che non richiede certamente una sentenza di tal genere: "e' sempre ordinata la confisca ...). (Vedasi, in proposito quanto gia' precisato dalla Corte di cassazione anche a sezione unite: retro). Pertanto, la formulazione dell'art. 19, della legge n. 47/1985, stante le peculiari caratteristiche ora evidenziate relativamente alla "natura della confisca" ivi prevista, non poteva esser priva dialcun riferimento specifico alla norma generale in tema di confisca, contenuta, con particolari dettagli, dall'art. 240 del c.p.; onde evitare le notevoli incertezze interpretative ed applicative di cui si e' detto ampiamente e la evidente probabilita' di incidere negativamente su diritti costituzionalmente protetti di cui di e' gia' fatto cenno e si precisera' ulteriormente. Ma, a parere del giudicante, la situazione si e' ulteriormente aggravata ai fini di questa indagine con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, tenendo presente, in particolare, l'istituto della "pena a richiesta delle parti" e dei suoi effetti di cui si e' gia' detto. All'uopo, si puo' contrastare la persistenza della mancanza, nella norma in esame, di alcun ulteriore riferimento all'art. 240 del c.p. con le pur necessarie precisazioni legislative, determinando, a parere del giudicante, le seguenti conseguenze. In considerazione di quanto stabilito dagli artt. 444 e 445 c.p.p. di cui si e' gia' detto non puo' respingersi, anzitutto, apoditticamente la tesi secondo cui "la pena a richiesta delle parti" non implica l'accertamento della responsabilita' dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, in quanto, come si e' gia' detto, l'art. 444 dispone che se vi e' consenso delle parti e non deve esser pronunciata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p. il giudice, sulla base degli atti, dispone l'applicazione della pena indicata. Pertanto, si e' affermato, tenendo presente il disposto di cui all'art. 445 c.p.p., che la sentenza ex art. 444 c.p.p., salve diverse disposizioni di legge e' equiparata a una pronuncia di condanna. Da cio' potrebbe conseguire che, nell'ipotesi prevista dall'art. 19 della legge n. 47/1985, cosi' come sostenuto dai difensori degli imputati, allorquando la pena viene "patteggiata", non significa che e' stata accertata la "lottizzazione abusiva", cosi' come prescritto dalla stessa norma, ai fini della "obbligatoria" confisca ivi prevista; e gia' per questo tale "confisca" non dovrebbe applicarsi. Il che potrebbe anche far ritenere che il c.d. patteggiamento avrebbe gia' apportato una deroga al disposto dell'art. 19, nel senso che l'imputato di lottizzazione abusiva che raggiunga il "patteggiamento" sarebbe esonerato dalla "confisca"; mentre dovrebbe subirla, non solo in caso di vera e propria condanna, ma anche in caso di proscioglimento: ad es. per prescrizione del reato (all'uopo, si richiamano sul punto le sentenze della s.c. del 18 dicembre 1990, n. 16483 e 30 aprile 1994, n. 4954, sopra non a caso riportate). Deve, pero', aggiungersi l'atro aspetto della tesi difensiva di cui si e' fatto cenno, sul presupposto che la confisca ex art. 19 debba considerarsi "misura di sicurezza" e non "provvedimento ablatorio di natura amministrativa o sanzione amministrativa, come sostenuto dal p.m. e da pare della dottrina richiamata" sulla base anche di varie pronuncie della Corte di cassazione, anche a sezioni unite, sopra riportate. Cioe' che "nella ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti e' esclusa, a norma dell'art. 445 c.p.p. la possibilita' di disporre la confisca ad eccezione dei casi previsti dall'art. 240 secondo comma del c.p. e tale eccezione non si presta ad esser interpretata come rinvio a tutte le ipotesi di confisca obbligatoria previste dalle leggi speciali. Il tutto trova giustificazione in una valutazione precisa del legislatore desumibile dal regime di largo favore e premiale che il nuovo codice di procedura penale attribuisce ai riti alternativi (che bilanciano la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed alla facolta' di contestare l'accusa) fino ad escludere l'applicabilita' delle misure di sicurezza personali e delle pene accessorie, il cui contenuto afflittivo e' indubbiamente maggiore rispetto alla sanziome patrimoniale. Il giudicante non pone in discussione, in linea generale, tale apsetto della tesi difensiva ora illustrato. Ritiene, pero', importante evidenziare alcune osservazioni in merito, ricollegandosi a quanto gia' esposto e sviluppando altre considerazioni per gli effetti che possono conseguire. Invero, l'omesso richiamo dell'art. 240 del c.p. sia nell'art. 19 della legge n. 47 del 1985, sia nell'art. 445 del c.p.p. stante la "particolare" confisca di cui allo stesso art. 19, di cui si e' ampiamente detto puo' determinare incertezze, anche gravi - e non solo a livello interpretativo - con possibile lesione di diritti costituzionalmente protetti. Vi e', in sostanza, il persistente dubbio sulle tesi difensive gia' esposte con le correlate argomentazioni, senza, peraltro, poterle disattenderle apoditticamente. Infatti, per quanto concerne il primo aspetto relativo all'accertamento o meno della lottizzazione abusiva ex art. 19 legge n. 47/1985 e 445 del c.p.p. - di cui si e' detto - l'eventuale "deroga" da parte di quest'ultima norma nei confronti della prima in ordine alla obbligatorieta' della confisca, stante il mancato accertamento della lottizzazione in caso di "patteggiamento" puo' comportare, anzitutto, una lesione del diritto di difesa ex art. 24 della Cost. per l'imputato che puo' usufruire ab initio di una sentenza di proscioglimento - esclusa quella di insustistenza del reato - ma cio' non faccia e chieda il patteggiamento con sentenza comunque equiparabile ad una pronuncia di condanna ex art. 445 c.p.p., onde evitare (e non sembri un paradosso) la confisca obbligatoria, conseguente anche ad una sentenza di proscioglimento ex art. 19 legge n. 47/1985. Inoltre, a parere di questo pretore, puo' derivare una disparita' di trattamento tra chi abbia una pronuncia ex art. 129 del c.p. di una causa di estinzione del reato con conseguente confisca obbligatoria ex art. 19 della legge n. 47/1985, pur avendo chiesto il patteggiamento con consenso del p.m. - che gli avrebbe consentito di non subire la confisca obbligatoria - e chi, comunque usufruisca del patteggiamento con esclusione della stessa confisca. Ancora, il carattere liberatorio della sentenza di patteggiamento ex art. 445 c.p.p. in relazione alla confisca obbligatoria ex art. 19 legge n. 47/1985, a parere del giudicante, potrebbe violare l'art. 9 della Costituzione italiana, essendo ben noto che il provvedimento ablatorio di cui si e' detto - comunque voglia qualificarsi - evidenzia il precipuo intento del legislatore del 1985 di sopportare il reato la pena prevista dall'art. 20 lett. C) con detto provvedimento (anche in caso di proscioglimento) al fine di un'adeguata remora, al grave fenomeno della lottizzazione abusiva - ben diversa dalle singole opere abusive - che tanto ha compromesso e compromette l'assetto ordinato del territorio e della tutela ambientale. Qualora, poi, dovesse ritenersi esatta l'impostazione difensiva in ordine alla tassativita' di quanto disposto dall'art. 445 c.p.p. relativamente alla esclusione, in caso di patteggiamento della confisca, con l'unica eccezione dell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p., anzitutto, non verrebbero meno, solo per questo, tutte le considerazioni gia' svolte e, comunque, la non manifesta infondatezza delle questioni gia' prospettate. Inoltre, per quanto concerne le norme in esame, l'esclusione della confisca obbligatoria prevista dall'art. 19 legge n. 47/1985, non sarebbe giustificata dall'intento premiale del rito alternativo del patteggiamento; poiche', a parere del giudicante, il favore del legislatore per tale rito dovrebbe ritenersi riferibile alla esclusione della confisca, anche se obbligatoriamente prevista da leggi speciali, connessa, comunque, ad una sentenza di condanna, con possibilita' per l'imputato di evitare il provvedimento ablatorio ricorrendo al patteggiamento. Non invece, nell'ipotesi di una "confisca" conseguente, comunque, a qualsiasi sentenza, anche di proscioglimento, - ad eccezione dell'assoluzione perche' il fatto non sussiste - non evitandosi, altrimenti, la non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' gia' prospettate con particolare riferimento alla disparita' ex art. 3 della Cost. tra chi viene assolto con conseguente confisca obbligatoria e chi ottenga una pronuncia, - sia pure soltanto equiparabile ad una sentenza di condanna - con eslcusione della confisca e dei suoi efficaci intenti legislativi di cui si e' fatto cenno con riferimento agli artt. 19 della legge n. 47/1985 e 9 della Costituzione italiana. Deve aggiungersi, infine, che - come puo' emergere dalla giurisprudenz a e dalla dottrina all'uopo riportata anche sul punto - l'ordine di demolizione del giudice per quanto riguarda le opere abusive nel caso di sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 20 della stessa legge, anzitutto, viene considerato sanzione di natura sostanzialmente amministrativa, di tipo ablatorio funzionalmente assimilabile alla confisca, con l'obbligo, comunque, del giudice stesso di adottarlo anche nel caso di sentenza a richiesta delle parti - c.d. patteggiamento -, salvo che la demolizione non sia stata altrimenti eseguita; trattandosi, secondo alcune sentenze, di un potere attribuito eccezionalmente dalla legge al giudice, pur avendo natura amministrativa. Orbene, a parere del giudicante, anche tale impostazione per l'ipotesi teste' illustrata, accentua, le gravi incertezze su tutte le questioni ampiamente prospettate che non puo' ripercuotersi sulla non manifesta infondatezza delle stesse. Comunque, questo pretore, nell'evidenziare tanto diffusamente le medesime questioni, le sottopone al giudice delle leggi al fine di una verifica dei gravi contrasti interpretativi, giurisprudenziali e dottrinali e sulla loro incidenza negativa sulla indispensabile certezza della normativa specifica richiamata piu' volte, oltre che sulla ragionevolezza della stessa. Non certamente, pero', con l'intento di sollecitare un'intervento additivo rientrante nella esclusiva sfera dlela discrezionalita' legislativa (Corte costituzionale 22 luglio 1994 n. 334); e non escludendo, ovviamente, in ipotesi, una sentenza c.d. interpretativa di rigetto da parte della stessa Corte.