IL PRETORE
   Ha  pronunziato  e  pubblicato  mediante lettura del dispositivo la
 seguente ordinanza nei confronti di: Sagliocca  Giovanni;  Provenzano
 Giuseppe;  Spinzi  Antonio;  De  Donno  Lilia; De Vittorio Cosimo; De
 Vittorio Luciano;  Perrone Emilio; Cortese Cosimo.
   Imputati, tutti, in concorso tra loro, del  reato  p.  e  p.  dagli
 artt.  110  c.p., 81 c.p., 18, 19 e 20, lett. c) legge n. 47/1985 per
 aver, nelle rispettive qualita' sopra indicate, concorso  all'abusiva
 lottizzazione dell'area sita in localita' Spiritosanto, posta per tre
 lati  al  confine del centro urbano, in zona qualificata agricola con
 vincolo cimiteriale, con obbligo di non  alterazione  e  con  divieto
 assoluto  di  edificazione:  area tutta originariarente in proprieta'
 altri coimputati e, mediante numerosi  e  ripetuti  frazionamenti  di
 lotti  di superficie variabile tra i 600 ed i 2000 mq; predisposti in
 modo tale da  consentire  la  viabilita'  interna  e  l'accesso  alle
 singole   particelle  attraverso  lotti  riservati  a  tale  scopo  e
 collegati con la viabilita' esterna;  lotti  che  oltre  che  per  la
 predetta  predisposizione di opere di urbanizzazione, mostravano, per
 numero,  dimensioni  e  posizionanenti,   la   univoca   destinazione
 edificatoria,  peraltro  evidenziata  anche  dal  prezzo  di  vendita
 (pressapoco corrispondente a quello delle aree edificabili e comunque
 sproporzionato per  la  dichiarata  destinazione  agricola)  e  dalla
 qualita'  degli acquirenti, con l'effettiva realizzazione delle opere
 edili a ciascuno  specificatamente  contestate  che  comportavano  la
 progressiva  illecita trasformazione urbanistico-edilizia dell'intera
 area.
   Il tutto con l'illecito e decisivo concorso di Ancora Francesco che
 disponeva,  quale  geometra  interessato,  i   frazionamenti   e   li
 depositava  presso  il comune di Gallipoli (condizione indispensabile
 per l'approvazione del frazionanento  da  parte  dell'UTE)  dove,  in
 particolare, per i frazionamenti depositati in data 28 novembre 1987,
 10  luglio  1989  e  9  febbraio  1990 contestualmente egli ricopriva
 incarichi di assessore a  consigliere  delegato  all'urbanistica.  In
 Gallipoli a tutto il 13 ottobre 1993.
   Perrone  Emilio,  inoltre, del delitto di cui all'art. 349 c.p. per
 aver violato i sigilli apposti a seguito del   decreto  di  sequestro
 emesso  il  2  dicembre  1991  e  notificatogli  il  4  dicembre 1991
 sull'area di sua proprieta'  ove,    proseguendo  le  opere  abusive,
 realizzava  un  nuovo corpo di fabbrica delle dimensioni di metri 4 X
 24 per una
  altezza di metri 2,75. In Gallipoli il 13 ottobre 1993.
   Gli stessi imputati: del reato p. e p. dall'art. 20, lett. c) legge
 n. 47/1985 per aver eseguito, nell'ambito della lottizzazione abusiva
 di cui al capo A di imputazione di cui sopra, le opere edili indicate
 di  seguito alle generalita' di ciascuno, sprovviste della necessaria
 concessione edilizia; il tutto accertato in Gallipoli,  l'11  gennaio
 1992 in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
                               F a t t o
   Con decreto in data 29 dicembre 1993 il sostituto procuratore della
 Repubblica  presso  la  pretura  circondariale  di Lecce disponeva la
 citazione a giudizio, davanti a questa sezione distaccata di pretura,
 degli imputati indicati in epigrafe per rispondere dei reati  di  cui
 in rubrica.
   Dopo  alcune  udienze,  in quella del 30 ottobre 1995, gli imputati
 Perrone Emilio, Provenzano Giuseppe, Sagliocca Giovanna, De  Vittorio
 Luciano  e  Cortese  Cosimo, tramite i propri difensori chiedevano di
 patteggiare la pena per i reati loro ascritti nella  misura  indicata
 in verbale ed il p.m. d'udienza prestava il proprio consenso anche in
 ordine alla sospensione della pena; ma, contestualmente, chiedeva che
 il   pretore   ordinasse  la  confisca  dei  lotti  con  le  relative
 costruzioni abusive realizzate, ex art.19 della legge n. 47/1985.
   In seguito all'opposizione dei difensori a quest'ultima  richiesta,
 gli  stessi  ed il p.m. argomentavano diffusamente in merito con ampi
 richiami  dottrinari  e  giurisprudenziali  di  cui  in  atti  e  con
 specifico riferimento al richiamato art. 19 della legge n. 47/1985 ed
 agli artt. 18 della stessa legge n. 240 c.p. e 445 c.p.p. All'udienza
 del   30  ottobre  1995  questo  pretore,  ritiratosi  in  camera  di
 consiglio, emetteva l'ordinanza con il dispositivo letto in udienza
                         Per i seguenti motivi
   Il p.m., nel prestare il suo  consenso  alla  pena  proposta  dagli
 imputati   per   i   reati   loro  ascritti,  -  compreso  quello  di
 lottizzazione abusiva ex art. 18 legge n. 47/1985 - ha chiesto,  come
 si  e'  gia'  detto nella narrativa, che questo pretore disponesse la
 confisca ex art. 19 della stessa legge, richiamando l'attenzione  del
 giudicante  su  alcune  sentenze della Corte di cassazione sul punto,
 che,  per  compiutezza  d'indagine  -  stante   la   loro   possibile
 pertinenza,  -  si  riportano  testualmente:  Cass.  n.  15478 del 21
 novembre 1990: "Dall'insieme dei poteri conferiti al  giudice  penale
 dalla  legge 28 febbraio 1985, n. 47 - nell'ambito dei quali assumono
 un  significato  emblematico  il  potere  di  confisca  dei   terreni
 lottizzati  abusivamente  e delle opere edilizie su di essi costruite
 nonche' l'ordine  di  demolizione  delle  opere  abusive  -,  risulta
 confermata  la  legittimita'  della  subordinazione della sospensione
 della pena  alla  condizione  della  demolizione  dell'opera  abusiva
 ordinata dal giudice penale.
   Tale  ordine  emesso  ex  art. 7 u.c. legge cit., si configura come
 sanzione di natura sostanzialmente amministrativa, di tipo oblatorio,
 funzionalmente assimilabile alla confisca e si riconnette, non ad una
 pretesa "supplenza" della autorita' amministrativa, ma  all'interesse
 statuale sotteso all'esercizio della potesta' penale; mentre la ratio
 dell'art. 165 c.p. attiene all'acclaramento di quel provvedimento del
 condannato  utile  ai  fini della concessione della sospensione della
 pena, da comprovarsi con l'eliminazione delle conseguenze dannose del
 reato, salvo che la legge abbia optato riguardo ad  esse  per  misure
 alternative";  Cass.  n.  06578  del  13  giugno 1991; n. 6380 del 10
 giugno 1991; n. 10272 dell'11 ottobre 1991; "L'ordine di  demolizione
 delle  opere  abusive previsto dall'ultimo comma dell'art. 7 legge 28
 febbraio  1985,  n.  47  e  dell'ultimo  comma  dell'art.  23 legge 2
 febbraio 1974, n. 64 ha natura di  sanzione  amministrativa  di  tipo
 ablatorio,  funzionalmente  assimilabile alla confisca, e non di pena
 accessoria.  Esso  quindi,  deve  essere  pronunciato  anche  con  la
 sentenza  che  applica  la  pena su richiesta"; Cass. n. 16483 del 18
 dicembre 1990: "La confisca dei  terreni  abusivamente  lottizzati  e
 delle   opere  abusivamente  costruite  deve  essereobbligatoriamente
 disposta ogni qual volta il giudice penale accerti che  vi  e'  stata
 lottizzazione  abusiva  e  quindi  anche quando non venga pronunciata
 sentenza di  condanna,  ma  sentenza  di  proscioglimento  per  causa
 diversa  dall'insussistenza  del  fatto-reo  (nel  caso di specie era
 stata pronunciata  sentenza  di  proscioglimento  per  prescrizione);
 Cass.  n.  05777  del  15 maggio 1992: "L'ordine di demolizione delle
 opere edilizie abusive previsto dall'art.  7,  comma  nono  legge  28
 febbraio  1985, n. 47 puo' essere impartito anche con la sentenza che
 applica  la  pena  su  richiesta  delle  parti,  atteso   che   detto
 provvedimento  giurisdizionale  e'  equiparato  ad  una  sentenza  di
 condanna a tutti gli effetti diversi da quelli espressamente previsti
 dall'art. 445, comma primo c.p.p. (conf. sez.  un.  n.  10  27  marzo
 1992)";  Cass. n. 00876 del 21 maggio 1993: "La lottizzazione abusiva
 si configura, ad un tempo, come illecito amministrativo e come  reato
 ed,   in   ordine   a   tale   ultima   qualificazione,  e'  prevista
 l'applicazione, non solo delle pene di cui all'art. 20, lett. c),  ma
 della  confisca  obbligatoria come lascia intendere l'art. 19 di tale
 legge; una confisca che ha per oggetto  tanto  i  terreni  lottizzati
 tanto  le  opere  su di essi costruite"; Cass. n. 04954 del 30 aprile
 1994: "In tema di lottizzazione abusiva, la formulazione  legislativa
 dell'art.  19  della  legge  28  febbraio 1985, n. 47 e la differente
 terminologia usata rispetto all'ipotesi di  cui  all'art.  7,  ultimo
 comma,  stessa  legge,  lasciano intendere che, mentre la demolizione
 presuppone la condanna, la confisca di cui al detto art.  19  prevede
 solo,  quale presupposto, la esistenza effettiva della lottizzazione,
 prescindendo da ogni altra considerazione e rilievo,  con  esclusione
 solo  della  ipotesi  di  insussistenza  del fatto"; Cass. 3 marzo-24
 aprile 1995, n. 4362: "La sentenza che dispone  l'applicazione  della
 pena  su  richiesta  delle  parti  e'  equiparata  a  una sentenza di
 condanna a tutti gli effetti, tranne  quelli  espressamente  previsti
 dall'art.  445,  primo  comma,  del c.p.p. In conseguenza, se a detto
 provvedimento giurisdizionale sono ricollegabili  gli  effetti  della
 sentenza  di  condanna, e' evidente che l'ordine di demolizione delle
 opere  abusivamente  realizzate  -  che   ha   natura   di   sanzione
 amministrativa  e non di pena accessoria - debba essere impartito dal
 giudice anche con la sentenza di cui all'art.  444  del  c.p.p.,  pur
 nell'ipotesi  che  non  sia stato compreso nell'accordo tra le parti,
 stante la natura obbligatoria di esso, sancita  dall'art.  7,  ultimo
 comma,  della  legge  n.  47/1985.  Da  cio'  deriva che la impugnata
 decisione deve essere  annullata  senza  rinvio  nel  punto  relativo
 all'omesso  ordine  di demolizione delle opere abusivamente eseguite;
 ordine  che  -   essendo   esterno   all'accordo   delle   parti   ed
 obbligatoriamente  previsto dalle legge come corollario a sentenza di
 condanna - puo' essere impartito in questa sede".
   A sua volta, il difensore degli imputati  Provenzano,  Sagliocca  e
 Perrone,  nella  memoria  autorizzata  del 10 ottobre 1995, osservava
 quanto  segue:  "Circa  la  confisca,  sollecitata  dal  p.m.,  siamo
 dell'avviso  che il problema non esiste, atteso che l'art. 445 c.p.p.
 dispone  che:  "La sentenza prevista dall'art. 444, secondo comma non
 comporta la condanna al pagamento delle spese  del  procedimento  ne'
 l'applicazione  di  pene  accessorie  e di misure di sicurezza, fatta
 eccezione della confisca nei casi  previsti  dall'art.  240,  secondo
 comma  c.p.  Nel  caso  di  specie,  la  confisca  per  il  reato  di
 lottizzazione (art.  19  legge  n.  47/1985)  trovasi  in  una  legge
 speciale,  che in quanto non richiamata dal suddetto art. 445 c.p.p.,
 non  e'  applicabile  in  definizione   del   giudizio   penale   per
 pattegiamento.
   E  quanto  e'  dato  apprendere  dall'orientamento  costante  della
 giurisprudenza di legittimita': "Nella ipotesi di applicazione  della
 pena  su  richiesta  delle  parti,  e' esclusa, a norma dell'art. 445
 c.p.p., la possibilita' di disporre la confisca ad eccezione dei casi
 previsti dall'art.  240, secondo comma c.p. e tale eccezione  non  si
 presta  ad  essere  interpretata  come  rinvio  a tutte le ipotesi di
 confisca obbligatoria prevista nelle leggi speciali" (cosi' Cass.  10
 febbraio 1994; Cass.  19 novembre 1993; Cass. 18 marzo 1993; Cass. 17
 marzo 1993).
   Il  tutto  trova  giustificazione  in  una  valutazione precisa del
 legislatore, desumibile dal regime  di  largo  favore  che  il  nuovo
 codice  di  procedura penale attribuisce ai riti alternativi; fino ad
 escludere l'applicabilita' delle  misure  di  sicurezza  personali  e
 delle  pene  accessorie,  il cui contenuto afflittivo e indubbiamente
 maggiore rispetto alla sanzione patrimoniale,  tale  favore  verrebbe
 illegittimamente  vulnerato e ristretto se si consentisse di disporre
 la confisca anche di cose esulanti dalla specifica ed unica eccezione
 imposta dalla legge.
   Ed in tal senso si sono espresse anche le sezioni unite della Corte
 di cassazione (15 dicembre 1992, n. 807), le quali hanno sottolineato
 che  l'art.  445  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  fissa   la   regola
 dell'inapplicabilita'  delle  misure di sicurezza nel patteggiamento,
 si inserisce in una serie di disposizioni  con  carattere  "premiale"
 (intese a favorire la diffusione del rito alternativo ed a bilanciare
 la  rinuncia  dell'imputato  al  dibattimento  ed  alla  facolta'  di
 contestare l'accusa)  e  la  previsione  della  applicabilita'  della
 confisca  nei  casi dell'art. 240 cpv c.p.  e' qualificabile come una
 eccezione alla regola suddetta;  eccezione  che,  proprio  in  quanto
 tale,  deve  essere  mantenuta  nei  limiti espressamente fissati dal
 legislatore e non puo' essere estesa ad ipotesi disciplinate da norme
 speciali". Le citate   sezioni unite hanno  trovato  un  conforto  di
 siffatte  conclusioni  nella  seguente  circostanza: "Il fatto che il
 legislatore, a breve distanza di tempo  dall'entrata  in  vigore  del
 nuovo  c.p.p.  -  e  percio' della innovatrice norma dell'art. 445 -,
 abbia ritenuto necessario disporre  che  la  confisca  delle  cose  -
 prevista,  obbligatoriamente,  dall'art.  301  decreto del Presidente
 della Repubblica n. 43 del 1973  sui  reati  di  contrabbando  -,  va
 ordinata  anche con la sentenza emessa a norma dell'art. 444, implica
 inequivocabilmente  che  la  previsione  normativa,  ed  eccezionale,
 dell'art. 445 si riferisce solo, testualmente, alle inotesi dell'art.
 240  cpv,  e  non a tutti i casi di confisca obbligatoria e, con una,
 sostanziale,  interpretazione  autentica,  il  legislatore  ha  cosi'
 ritenuto che senza la specifica, e speciale, norma della legge citata
 del   1991,   non   sarebbe  stato  possibile,  con  la  sentenza  di
 "patteggiamento",   disporre   la   confisca,   pur   prevista   come
 obbligatoria, dal decreto del Presidente della  Repubblica  del  1973
 sui reati di contrabbando.
   Il  tutto  a  conferma  dell'antico brocardo che il legislatore ubi
 voluit dixit  ubi  noluit  tacuit:  non  e'  del  resto  il  caso  di
 sottolineare che di occasioni per apportare modifiche in tal senso il
 legisltore  ne  ha avute non poche (la legge n. 47/1985 e' modificata
 quasi mensilmente).
   Occorre,  a  questo  punto,  evidenziare  come  la  fattispecie  in
 questione  non  sia assolutamente riconducibile a quanto previsto dal
 capoverso  dell'art.  240  c.p  in  merito  ad  ipotesi  di  confisca
 obbligatoria:  a) non rientra nel n. 1) che prevede la confisca delle
 cose che costituiscono il prezzo del reato, atteso che per prezzo del
 reato  si intende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o
 determinare un altro soggetto e commettere il reato (cosi' Cass. sez.
 un. cit.); b) non rientra neppure nel n. 2), atteso che,  secondo  la
 dottrina  dominante  (cosi',  per tutti, Manzini, Trattato di diritto
 penale italiano, Massa; Confisca, in Enc. dir.).
   L'obbligatorieta' della confisca di cui al n. 2 dell'art. 240  cpv,
 deriverebbe  dalla  pericolosita'  intrinseca  delle  cose,  la quale
 renderebbe superfluo qualsiasi accertamento  concreto  da  parte  del
 giudice:  "La  unanime  giurisprudenza  ha inteso meglio precisare il
 concetto della confisca obbligatoria delle sole cose  intrinsecamente
 criminose  in  quelle  che  non  possono  essere  destinate ad un uso
 consentito dalle legge (ad es. droga, apparecchi automatici da gioco,
 documenti falsi) (in tal senso Cass. 16 dicembre 1963, Cass. 8 giugno
 1961, Cass.  4 dicembre 1968, Cass. 11 ottobre 1971, Cass.  sez.  un.
 22  gennaio  1983; Cass. 15 aprile 1993): e' inutile sottolineare che
 un immobile non e' bene intrinsecamente criminoso".
   Il difensore degli imputati Cortese Cosimo, De Vittorio  Luciano  e
 De  Vittorio  Cosimo,  nella  memoria  difensiva  autorizzata  del 28
 settembre 1995, rilevava quanto segue: "In numerose  decisioni  della
 suprema Corte regolatrice del diritto si trova, infatti, affermato il
 principio secondo cui in tema di applicazione della pena su richiesta
 delle parti ex art. 444 c.p.p., il giudice non e' tenuto ad accertare
 in modo approfondito la concreta sussistenza dei reati contestati sia
 sotto il profilo materiale sia psicologico, essecondo sufficiente che
 sulla  base  degli atti appaia in modo evidente che non ricorrano gli
 estremi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai  sensi
 dell'art. 129 c.p.p. (Cass. 7 luglio 1994, n. 2228).
   Ma  vi  e'  di  piu'|  In altra decisione (Cass. 23 agosto 1994, n.
 2717) la Cassazione ha dichiarato  in  maniera  esplicita  l'assoluta
 estraneita'  al  contenuto  della  sentenza applicativa della pena su
 richiesta delle parti del concreto accertamento della responsabilita'
 e della sua declaratoria. Infatti, allorche' l'imputato  abbia  fatto
 richiesta  di  applicazione  della  pena,  con cio' rinunciando a far
 valere le proprie eccezioni e difese sia in ordine alle accuse che in
 ordine alle questioni processuali ed il p.m.  abbia  riconosciuto  il
 contributo  alla  sollecita definizione del caso e cosi' vi sia stata
 quella  convergenza  di  volonta'  costituente  il  presupposto   del
 contenuto della sentenza applcativa della pena, il patto e' l'oggetto
 primario  dell'esame  del  giudice,  diretto  in  senso positivo alla
 verifica  dell'esistenza  dell'accordo,   della   correttezza   della
 qualificazione   giuridica   del  fatto,  dell'applicazione  e  delle
 comparizioni di eventuali circostanze, della congruita' della pena ai
 fini   e   nei  limiti  dell'art.     27  della  Costituzione,  della
 concedibilita' del richiesto beneficio della sospensione condizionale
 della pena ed, in senso negativo,  all'accertamento  dell'inesistenza
 di  cause di non punibilita', di improcedibilita' o di estinzione del
 reato. Cio' e' sufficiente ad escludere che la sentenza con la  quale
 si  applica  la pena su richiesta delle parti possa essere equiparata
 ad una sentenza di accertamento di responsabilita'.
   Orbene, sono proprio le argomentazioni  fin  qui  svolte  circa  la
 natura della sentenza ex art. 444 c.p.p. che inducono necessariamente
 a  ritenere che con il suddetto provvedimento l'organo giudicante non
 possa disporre la confisca  dei  terreni  abusivamente  lottizzati  e
 delle  opere  abusivamente  costruite,  per  l'ovvia ragione che, non
 avendo  esso  il   carattere   di   sentenza   di   accertamento   di
 responsabilita',  non  possono applicarsi ne' le pene accessorie ne',
 si noti bene, le misure di sicurezza.
   Ora, per costante orientamento  giurisprudenziale  (vedi  Cass.  24
 febbraio 1994, n. 2330; Cass. 12 aprile 1994, n. 1166; Cass. 6 giugno
 1994,  n.  6624;  Cass.  12 maggio 1993, n. 705) la confisca dei beni
 rientra proprio nell'ambito delle misure di  sicurezza  patrimoniali,
 sia   pure   atipiche,   e   non   gia'   in  quello  delle  sanzioni
 amministrative.    Tra  l'altro  e'  d'uopo  notare  la  sottile   ma
 essenziale  differenza  che intercorre tra il citato art. 19 legge n.
 47/1985 e l'ultimo comma dell'art. 7 della medesima legge,  il  quale
 prevede  che  il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di
 cui all'art. 17, lett.  b), legge n. 10/1977, ordina  la  demolizione
 delle  opere  stesse  se  ancora  non  sia stata altrimenti eseguita:
 orbene e' persino superfluo sottolineare che proprio perche' in  tale
 disposizione  si  parla  di sentenza di condanna (e non gia', si noti
 bene, di sentenza di accertamento come fa l'art. 19)  alla  quale  la
 sentenza  che  dispone  l'applicazione  della pena su richiesta delle
 parti e' equiparata per  tutti  gli  effetti  che  non  siano  quelli
 espressamente  previsti  dall'art.  445,  comma  1  c.p.p., spiega il
 perche' l'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive - che, a
 differenza della confisca, ha natura  di  sanzione  amministrativa  -
 puo'  essere  impartito  anche  con la sentenza ex art.   444 c.p.p.,
 secondo  un  ormai  consolidato  orientamento  giurisprudenziale  (da
 ultimo  Cass.  9  marzo-24 aprile 1995, n. 4362). Per mero tuziorismo
 difensivo si evidenzia, ove mai ne fosse  bisogno,  che  in  tema  di
 patteggiamento   e'   consentita  soltanto  la  confisca  delle  cose
 costituenti il prezzo del reato o di quelle intrinsecamente criminose
 e non gia' di quelle costituenti il prodotto del  reato  medesimo;  a
 riguardo,  per  prezzo  del  reato  si deve intendere il compenso per
 commettere il reato ovverosia il denaro o  altra  utilita'  economica
 data  o  promessa per indurre un altro soggetto a compierlo (Cass. 21
 luglio 1993, n. 882): il che non  ricorre  nel  caso  di  specie.  In
 conclusione,  proprio  perche' la stessa struttura del patteggiamento
 impedisce l'approfondimento del materiale probatorio e di quant'altro
 sia indispensabile a che voglia e debba valutare l'opportunita' e  le
 conseguenze  del  provvedimento  in  questione  (cio'  in  quanto  al
 cospetto del giudice vi  sono  solo  il  capo  di  imputazione  e  la
 richiesta  delle  parti in ordine alla pena, mentre tutto il resto e'
 avulso dalla scelta pattizia),  ove  si  concedesse  la  confisca  si
 verificherebbe  una palese violazione dell'accordo processuale su cui
 si  incentra l'istituto del patteggiamento.  Violazione che finirebbe
 per frustrarne il carattere premiale e le finalita' applicative,  con
 rischio  di  "fuga" da tale strumento di deflazione del dibattimento.
 Per quanto esposto e nella convinzione che la legge n. 47/1985  abbia
 creato  una commistione di ruoli e funzioni tra potere amministrativo
 e penale che non si attaglia al rito speciale della pena su richiesta
 delle parti, si insiste nel sostenere l'assoluta incompatibilita'  ed
 estraneita'  della confisca alla sentenza ex art.  444 c.p.p. e della
 richiesta di applicazione della pena come richiesta dalle parti".
   Ritiene il giudicante, pure meritevoli di  considerazione  -  quali
 premesse  e presupposti delle questioni di costituzionalita' indicate
 nell'ordinanza di rimessione di cui si e' detto nella narrativa -  le
 seguenti  decisioni:  "Cass. 26 marzo 1993, n. 2996. In tema di reati
 edilizi, l'art. 7, ultimo comma, legge  28  febbralo  1985,  n.    47
 prevede  che  il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di
 cui all'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977,  n.  10,  come
 modificato  dall'art.  20 della detta legge n. 47 del 1985, ordini la
 demolizione delle opere stesse se non sia stata altrimenti  eseguita.
 Pertanto  il  giudice  penale,  al  quale la legge attribuisce in via
 eccezionale un potere di natura amministrativa, deve  limitarsi,  una
 volta  accertata  la  violazione  del  citato art. 20, ad ordinare la
 demolizione dell'edificio abusivo, secondo  una  interpretazione  non
 estensiva della norma, trattandosi di un potere normalmente riservato
 all'autorita'  amministrativa.  Ne  consegue che deve ritenersi quale
 provvedimento abnorme, e come tale sottratto al  potere  del  giudice
 penale   l'ordine  impartito  da  un  pretore,  con  la  sentenza  di
 applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di  cui
 al   succitato   art.  20  di  rimettere  gli  atti  al  sindaco  per
 l'abbattimento o la confisca dell'edificio. (Nella specie la confisca
 era stata dal pretore sottoposta  altresi'  alla  condizione  che  la
 stessa  fosse  confermata dal giudice amministrativo innanzi al quale
 pendeva il giudizio sulla adozione  delle  sanzioni  amministrative);
 Cass.  13 gennaio 1994, n.  190: "ai fini della ipotizzabilita' della
 confisca obbligatoria di cui all'art. 240, secondo comma, n. 2  c.p.,
 il  carattere  intrinsecamente  criminoso  della cosa da sottoporre a
 confisca non puo' rilevare ex se, occorrendo, invece  verificare  se,
 in  relazione  al  titolo di reato contestato, la confisca risulti in
 grado di prevenire ogni ulteriore, specifico comportamento penalmente
 rilevante, cosi' da corrispondere alla  funzione  assegnatagli  dalla
 legge.  Ne'  il fatto che il legislatore abbia disposto che e' sempre
 ordinata la confisca  confermerebbe  la  soluzione  che  l'intrinseca
 criminosita'  della  res assume una tale valenza da prescindere dalla
 tipologia di pronuncia adottata.
   L'espressione "sempre", infatti, va modulata proprio  in  relazione
 al  provvedimento  decisorio della res iudicanda, perche', in caso di
 proscioglimento,  i  criteri  di  verifica  della  sussistenza  delle
 condizioni   per   la   confisca   obbligatoria  restano  di  stretta
 interpretazione    corrispondentemente    all'esigenza     che     al
 proscioglimento  in  merito non conseguano effetti di ordine negativo
 nella sfera giuridica dell'interessato.
   Non cosi' pare debba dirsi in  caso  di  condanna  o  di  decisione
 "equiparata"  ad  una  sentenza  di  condanna  in  quanto fondata sul
 riconoscimento dell'addebito da parte dell'imputato.  In tal caso, la
 funzione della confisca finisce per interagire con  il  comportamento
 criminoso  che giustifica, insieme alla qualita' della res, l'effetto
 ablatorio previsto dalla legge.  (Fattispecie  in  cui  la  Corte  ha
 affermato  la legittimita' della decisione del giudice di merito che,
 nell'applicare  all'esito  del   dibattimento   la   pena   richiesta
 dall'imputato  relativamente  al  reato  di  abusivo  esercizio della
 professione  di  medico  dentista,   aveva   disposto   la   confisca
 dell'attrezzatura sanitaria utilizzata per l'esercizio dell'attivita'
 abusiva);  Cass.  sez. un. 20 aprile 1995, n. 2; "piu' in generale si
 e' ritenuto che ai fini della disposizione in questione il  carattere
 intrinsecamente  criminoso  della  cosa  non  puo'  rilevare  ex  se,
 occorrendo invece verificare se, in  relazione  al  titolo  di  reato
 constato,  la  confisca risulti in grado di prevenire ogni ulteriore,
 specifico comportamento penalmente rilevante, cosi' da  corrispondere
 alle  funzioni  assegnate  dalla legge (sez. VI, ud. 11 ottobre l993,
 Lattisi).  E questo l'orientamento che le sezioni unite ritengono  di
 dover  condividere.  Infatti,  il  carattere criminoso della cosa non
 puo' essere  rilevato  ex  se,  in  quanto  non  e'  concepibile  una
 situazione  di  pericolosita' indipendentemente da una azione e da un
 soggetto.   Non puo', infatti, concepirsi  una  "criminosita'"  della
 cosa  staccata  dalla  condotta  umana  perche'  altrimenti  essa non
 potrebbe mai costituire il substrato della misura di  sicurezza,  che
 per  sua natura e' diretta ad incidere su cose considerate pericolose
 perche' si riconnettono ad un fatto concreto  preveduto  dalla  legge
 come  reato.   Che la qualita' della cosa che ne comporta la confisca
 sia collegata al reato e al  suo  autore  e'  confermato  dall'ultimo
 comma  dell'art.   240 c.p., che rende inoperante la disposizione del
 secondo comma, n. 2 dello stesso articolo se  la  cosa  appartiene  a
 persona  estranea  al  reato  e la fabbricazione, l'uso, il porto, la
 detenzione  o  l'alienazione  possono  essere   consentiti   mediante
 autorizzazione  amministrativa.   La disposizione rende chiaro che la
 confisca puo' essere evitata se la cosa puo' uscire dalla  situazione
 di  illiceita'  in  cui  per  il  rapporto  con  l'agente e' venuta a
 trovarsi.  E  cio'  significa  che  la  criminosita',  o  meglio   la
 pericolosita',  non  costituisce  un  carattere della, cosa in se' ma
 deriva dalla relazione tra questa e l'agente"; Corte  costituzionlale
 22  luglio 1994, n. 334: "E' manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 445,  secondo  comma  c.p.p.  e
 dell'art.  240,  comma 2, c.p., sollevata, in riferimento all'art, 76
 della Costituzione, nella parte in  cui  l'art.    445,  primo  comma
 c.p.p.  consente  la  confisca  nei soli casi previsti dall'art. 240,
 secondo comma c.p. e di quest'ultima disposizione nella parte in  cui
 non   prevede  l'obbligatorieta'  delle  cose  che  costituiscono  il
 profitto del reato (la Corte ha osservato che la  direttiva  n.    45
 della  legge-delega  per  il  nuovo  codice  di  rito  ha lasciato al
 legislatore delegato ampio margine di  discrezionalita'  al  fine  di
 incentivare   il  ricorso  al  "patteggiamento").  E'  manifestamente
 inammissibile l'identica  questione  sollevata  in  riferimento  agli
 artt.  41, secondo comma, 27 secondo e terzo comma della Costituzione
 (nella motivazione, la Corte  ha  osservato  che  il  giudice  a  quo
 sollecita  un  intervento  additivo che rientra nella esclusiva sfera
 della discrezionalita' legislativa)".
   Non   a   caso  il  giudicante  ha  riportato  diffusamente  quanto
 evidenziato,  sia  dalle   parti   sia   dalla   giurisprudenza   (di
 legittimita'  e di merito e costituzionale) sulle complesse tematiche
 e problematiche sviluppatesi in relazione  agli  artt.  18,  settimo,
 ottavo  e nono comma e 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e suc.
 modif., 240, secondo comma del c.p. e 444, 445 del c.p.p. novellato.
   Invero, dall'accurato esame di  cio'  che  e'  stato  esposto,  non
 emergono,  a  parere dello stesso giudicante, problemi esclusivamente
 interpretativi di ciascuna norma  sopra  indicata  da  affrontarsi  e
 risolversi  ex  artt.    12  e  14  delle disposizioni della legge in
 generale; e, comunque, sulla base dei consueti metodi di ermeneutica,
 tenendo  conto  anche   dei   principi   generali   dell'ordinamento.
 Trattasi, invece, come si esplicitera', di possibili discrasie insite
 nelle  suddette  norme  con conseguente non manifesta infondatezza di
 questioni di costituzionalita' da sottoporre doverosamente  all'esame
 del  giudice    delle leggi con riferimento alle norme costituzionali
 che gia' sono state  indicate  nel  dispositivo  dell'ordinanza    di
 rimessione.   Cio' puo' dirsi, anzitutto, con riferimento ai rapporti
 tra i provvedi  menti amministrativi adottati dal sindaco  ex art. 18
 della legge n. 47/1985.    ("Nel  caso  in  cui  il  sindaco  accerti
 l'effettuazione  di  lottizzazioni  di  termini  a scopo edificatorio
 senza la prescritta autorizzazione
  ... ne dispone la sospenzione. Il provvedimento comporta l'immediata
 interruzione delle opere in corso ed il decreto di disporre dei suoli
 delle opere stesse con atto tra vivi e deve essere trascritto  a  tal
 fine  nei  registri  immobiliari.  Trascorsi  novanta giorni, ove non
 intervenga la revoca del  provvedimento  previsto  di  cui  al  comma
 precedente le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio
 del  comune  il  cui  sindaco  deve provvedere alla demolizione delle
 opere. In caso di inerzia del sindaco si  applicano  le  disposizioni
 concernenti  ipotesi  sostitutivi  di cui all'art. 7. Gli atti aventi
 per oggetto lotti di  terreno,  per  i  quali  sia  stato  emesso  il
 provvedimento  previsto  dal  settimo  comma sono nulli e non possono
 esser stipulati, ne' in forma pubblica ne' in forma privata  dopo  la
 trascrizione  di  cui  allo  stesso comma e prima della sua eventuale
 cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento  del
 sindaco");  e quello che e' previsto dall'art. 19 della stessa legge,
 secondo cui: "La sentenza defintiva del giudice  penale  che  accerta
 che vi e' stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni
 abusivamente  lottizzati  e  delle  opere abusivamente costruite. Per
 effetto  della  confisca  i  terreni  sono  acquisiti  di  diritto  e
 gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio e' avvenuta
 la  lottizzazione  abusiva.  La  sentenza  defintiva e' titolo per la
 immediata trascrizione nei registri immobiliari".
   Sul punto, e sulla precisa natura dei due provvedimenti (quello del
 sindaco e quello del giudice penale, di  cui  si  e'  detto)  non  si
 rinvengano  precedenti  giurisprudenziali.  Ma  si  e' pronunciata la
 dottrina (sia pure in  epoca  anteriore  all'entrata  in  vigore  del
 novellato codice di procedura penale; e cio' e' importante per quanto
 si dira') con argomentazioni che, per compiutezza di indagine, qui si
 riportano.  Secondo alcuni autori l'art. 19, teste' richiamato, nella
 parte    in    questione,    tende   ad   omogeneizzare   le   figure
 dell'acquisizione e della confisca e mira ad escludere la  successiva
 acquisizione  del  bene abusivo.  Esso ha una giustificazione pratica
 solo quando il sindaco o altra  autorita',  nell'esercizio  dei  suoi
 poteri  esecutivi di cui all'art.  4 della stessa legge, non provveda
 ad emettere il provvedimento di sospensione di cui  all'ottavo  comma
 dell'art. 18, cui consegue l'effetto acquisitivo.
   E' chiaro infatti che non puo' ritenersi operante nella fattispecie
 il  criterio  c.d.  di  prevenzione poiche' il carattere obbligatorio
 della  confisca  penale  non  esime  il  giudice   dall'adottare   il
 provvedimento  indipendentemente  dal  comportamento attivo od inerte
 del  sindaco;  anche  se  la  preventiva  acquisizione  del   terreno
 lottizzato  abusivamente  a  seguito  di provvedimento amministrativo
 rende inoperante di fatto  l'atto  del  giudice,  essendo  ovvio  che
 quest'ultimo non puo' conseguire l'effetto dell'acquisto da parte del
 comune, gia' realizzatosi in precedenza per titolo diverso.
   Secondo  altri  autori, di non facile soluzione, si e' detto, e' il
 problema  della   natura   del   provvedimento   ablatorio   previsto
 dall'articolo  in  commento.  Per  certi  aspetti  esso  si  potrebbe
 inquadrare nella confisca penale prevista dall'art. 240 c.p.,  mentre
 per  altri  aspetti se ne differenzia ed e' maggiormente assimilabile
 ad una sanzione amministrativa. Il dilemma ha  una  certa  rilevanza,
 poiche', in ordine alla apprensione del bene lottizzato abusivamente,
 concorrono  (necessariamente  interferendo  tra  loro)  sia  i poteri
 dell'amministrazione comunale (in forza dell'art. 18) sia quelli  del
 giudice penale (ai sensi del presente articolo di legge).
   E' infatti ovvio che, costituendo la lottizzazione abusiva un reato
 penalmente  perseguibile ai sensi dell'art. 20, lett. c), della legge
 in  esame,  il  sindaco,  il   quale   accerti   l'effettuazione   di
 lottizzazione  di  terreni  a  scopo edificatorio senza la prescritta
 autorizzazione non potra' limitarsi a dar corso agli  adempimenti  di
 sua  stretta  competenza,  ma,  in  forza dell'art. 2, secondo comma,
 c.p.p., dovra' obbligatoriamente trasmettere la notizia di  reato  al
 giudice  penale  competente, il quale iniziera' (qualora gia' non sia
 stato iniziato) il relativo procedimento.
   La concomitanza dei due procedimenti, penale ed amministrativo,  e'
 quindi pressoche' inevitabile.
   L'esplicita   previsione  di  legge  e  la  destinazione  del  bene
 confiscato per decisione del giudice penale al patrimonio del  comune
 territorialmente  interessato,  (pur facendo cadere le argomentazioni
 in forza delle quali la giurisprudenza della Corte  di  cassazione  e
 gran  parte  della  dottrina  negavano  in  precedenza tale potere al
 giudice ordinario) non comportano  necessariamente  l'inquadrabilita'
 di  tale  confisca  tra  le  misure di sicurezza. La confisca penale,
 infatti, tende a colpire  cose  che,  provenendo  da  fatti  illeciti
 penali   o   in  alcuna  guisa  collegandosi  alla  loro  esecuzione,
 mantengono viva l'idea e  l'attrattiva  del  reato;  Naturalmente  il
 riferimento  e'  all'ipotesi del primo comma dell'art. 240 c.p., dato
 che  il  terreno  su  cui  viene  operata  la  lottizzazione  abusiva
 palesemente  non rientra nelle due ipotesi del capoverso del predetto
 articolo. Se quindi la confisca di cui ci occupiamo,  per  la  natura
 del  bene  colpito, potrebbe, in ipotesi, rientrare nella fattispecie
 di cui al primo comma dell'art.  240 c.p. (e solo in  esso),  vediamo
 che altri ostacoli vi si oppongono.
   Alludiamo  non  tanto al fatto che l'art. 19 qualifichi la sanzione
 come obbligatoria (cio', infatti, non ne cambia la  natura),  ciuanto
 alla  sostanziale  osservazione  che  la  confisca  penale delle cose
 attinenti al reato (e non intrisecamente pericolose - art. 240, cpv.,
 c.p.    -)  puo'  conseguire  solo ad una sentenza di condanna mentre
 anche una decisione di proscioglimento, purche' accerti (sebbene  non
 includendo  l'accertamento  nel dispositivo costituendo esso solo uno
 dei presupposti della decisione) la sussistenza di una  lottizzazione
 abusiva,  puo'  -  anzi,  deve  -  comportare  la  confisca dell'area
 lottizzata, al sensi dell'articolo in commento.
   Cio' si puo' agevolmente spiegare, alla luce dei principi generali,
 se si ammette la natura amministrativa e non penale di  questa  sorta
 di confisca.
   Infatti  la  ratio  della confisca disposta ai sensi dell'art. 240,
 primo comma, c.p., e' proprio quella  della  misura    di  sicurezza,
 cioe'  quella  di evitare che la cosa, in se' non pericolosa, qualora
 sia lasciata nella disponibilita' del   reo, venga a  costituire  per
 lui  un  incentivo per commettere ulteriori illeciti; il che comporta
 che debba essere  individuato un reo (cioe' comporta una sentenza  di
 condanna),  oltre al fatto che il bene debba essere di proprieta' del
 condannato.
   Tutta la normativa sanzionatoria amministrativa e', invece,  intesa
 a  perseguire,  come  fine  primario,  quello  del  buon  governo del
 territorio e della tutela dell'ambiente; quindi la confisca, anche in
 ipotesi  di  sentenza  di  proscioglimento,  che  pero'  accerti   la
 sussistenza   di  una  lottizzazione  abusiva,  segue  la  logica  di
 soddisfare l'interesse prioritario alla tutela dell'ambiente.  Questo
 intento  del  legislatore  risulta palese anche dalla sovrapposizione
 tra i provvedimenti sindacali previsti dall'art. 18  e  l'obbligo  di
 provvedere  sulla  confisca  di cui all'art. 19. Ulteriore elemento a
 favore della tesi sulla  natura  sostanzialmente  amministrativa  del
 provvedimento  ablatorio in esame e' la destinazione del bene oggetto
 della confisca al patrimonio del comune e non, come per  la  confisca
 penale, al patrimonio dello Stato, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., per
 seguire la destinazione ivi prevista.
   Secondo  la  stessa dottrina rimangono da esaminare le interferenze
 tra procedimento ablatorio  amministrativo  (ivi  compresi  i  rimedi
 giurisdizionali) e confisca in esito al procedimento penale.
   Poiche'  la sentenza penale diviene definitiva - e quindi utile per
 la trascrizione nei registri  immobiliari  -  solamente  quando  sono
 stati  esperiti  tutti i gradi di giudizio (o quando sono inutilmente
 decorsi i termini di impugnazione  di  sentenze  non  definitive,  ma
 l'ipotesi  ha  minor  rilievo,  in  concreto, in quanto difficilmente
 l'imputato rinuncia alla possibilita' di gravame soprattuto se tra  i
 capi  della  decisione  vi  e'  una sanzione patrimoniale di notevole
 gravita'); mentre  gli  automatismi  fissati  dall'art.  18  sembrano
 introdurre  una  procedura  di  rara  efficacia  e  rapidita', in via
 normale dovrebbe giungere a compimento  prima  l'"espropriazione"  in
 via amministrativa di quella penale.
   In tal caso non vi sarabbe luogo a decidere in ordine alla confisca
 da parte del giudice penale, sia che la si consideri un provvedimento
 "amministrativo" - in quanto si e' gia' provveduto nella sede propria
 - sia che la si consideri una misura di sicurezza - in quanto ne sono
 venuti  meno  i  presupposti - Vero e' che l'acquisizione gratuita al
 patrimonio del comune del terreno abusivamente lottizzato puo' essere
 procrastinata   dalla   sospensione,    in    sede    giurisdizionale
 amministrativa,   della  ordinanza  adottata  dal  sindaco  ai  sensi
 dell'art. 18 settimo comma, ma poiche' a tale provvedimento cautelare
 dovra'  seguire  una  sentenza, il problema si sposta sul piano della
 interazione tra giudicati.
   Non pare che dalla normativa vigente si possa trarre la conclusione
 che, in ipotesi di abusi edilizi, il   giudizio amministrativo  debba
 necessariamente  essere sospeso in attesa della definizione di quello
 penale; in   realta' la sussistenza  di  un  responsabile  sul  piano
 penale  e'  del  tutto  ininfluente  in  relazione alla decisione del
 giudice  amministrativo  circa   la   legittimita'   o   meno   della
 lottizzazione;   o   meglio,  circa  la  legittimita'  dell'ordinanza
 sindacale impugnata.
   Tanto meno e' ipotizzabile una sospensione del procedimento penale,
 dato  che  la   competenza   per   decidere   sull'abusivita'   della
 lottizzazione  e'  attribuita al giudice penale proprio dall'articolo
 in commento e quindi siamo fuori dalle ipotesi previste dall'art.  20
 c.p.
   Il  problema  va,  conseguentemente, visto in concreto, dal momento
 che i  due  procedimenti,  quello  penale  e  quello  giurisdizionale
 amministrativo, si sviluppano su due piani assolutamente diversi, non
 intercomunicanti,  e che non e' nemmeno configurabile un contrasto di
 giudicati anche se, in ultima analisi,  entrambi  sono  destinati  ad
 incidere  sullo stesso bene (mutando una celebre espressione, si puo'
 parlare di una sorta di "convergenze parallele". La  sentenza  penale
 costituisce   giudicato   solo   in   ordine   alla   responsabilita'
 dell'imputato (e, in forza dell'articolo in commento, sulla  confisca
 del bene), mentre quella amministrativa statuisce solo in ordine alla
 legittimita'  degli  atti  impugnati, tra i quali non vi e' un vero e
 proprio provvedimento di confisca, conseguendo questa di diritto  dal
 decorso  di  novanta  giorni dalla ordinanza sindacale di sospensione
 dei lavori.
   Si tratta quindi  di  una  questione  di  prevenienza;  se  diventa
 definitiva  prima  la sentenza del giudice amministrativo che rigetta
 l'impugnazione dell'ordinanza  del  sindaco  prevista  dall'art.  18,
 settimo  comma,  e si   perfezionano i presupposti per l'acquisizione
 gratuita al patrimonio del comune del fondo lottizzato, la successiva
 sentenza  che  statuisca  la  confisca  diverra',  per  tale   scopo,
 ineseguibile  di  fatto. Se invece e' la sentenza penale  che precede
 quella  amministrativa,  sara'  essa  a  costituire  titolo  per   la
 trascrizione, ai sensi del terzo comma
  dell'articolo in commento.
   Conseguentemente,  riteniamo,  il  giudizio amministrativo in corso
 dovra' estinguersi per cessazione della materia del contendere.
   Orbene, ritiene il giudicante che quanto evidenziato dalla dottrina
 teste'  riportata,  affronti  ma   non   risolva   coerentemente   ed
 adeguatamente la problematica di cui si e' fatto cenno.
   Cio',  sia  per  quanto riguarda i rapporti tra i provvedimenti del
 sindaco di cui all'articolo 18 della legge   n. 47/1985 e  quello  di
 confisca  del  giudice  penale ex art. 19 della stessa legge, sia per
 cio' che concerne le caratteristiche dei suddetti provvedimenti
   Invero, anzitutto, sulla base della  formulazione  letterale  delle
 due  norme  (art.  18  e  19  della  legge  n.  47/1985)  e senza una
 previsione analoga a quella  dell'articolo  7  della  legge  medesima
 ("per  le  opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con
 la sentenza di condanna per il reato di cui all'arti 17,  lettera  b)
 della  legge n. 10 del 1977 e succ. mod., ordina la demolizione delle
 opere stesse se ancora non sia stata altrimenti  eseguita)  non  puo'
 escludersi   la   possibilita'   di   un   dualismo  suscettibile  di
 sovrapposizioni, commistioni, interferenze  o  addirittura  contrasti
 tra l'autorita' amministrativa e giurisdizionale e quella giudiziaria
 penale.
   Non   potendosi,   peraltro,   stabilire   preventivamente   l'iter
 cronologico (e conclusivo) dell'autorita' del sindaco,  quella  della
 giurisdizione  amministrativa  -  nell'ipotesi  di ricorso al t.a.r.,
 avverso i provvedimenti del sindaco ex art. 18, come e' avvenuto  nel
 caso di specie e quella del provvedimento che disponga la confisca da
 parte  del  giudice  penale, nel caso in cui con sentenza definitiva,
 accerti che vi e' stata lottizzazione abusiva.
   Detti  inconvenienti  possono  quindi  a  parere  del   giudicante,
 incidere   sulla   funzionalita'   dei   due   procedimenti,   quello
 amministrativo e quello penale, non escluso un contrasto di giudicati
 che puo' riflettersi negativamente, sia sulla finalita'  delle  norme
 fondamentalmente  dirette  alla  tutela  piu'  efficace  dell'assetto
 urbanistico ed ambientale (art. 18 e 19 legge n. 47/1985,  sia  sulla
 attivita'  difensiva,  per  l'evidente  grave  incertezza in cui puo'
 trovarsi l'imputato del reato di lottizzazione abusiva (ed  anche  il
 giudice  penale)  al  cospetto  di  una  prima acquisizione (ed altri
 effetti) operata dal sindaco del terreno  lottizzato  e  delle  opere
 sullo  stesso  eseguite  con  eventuale  gravame  dinanzi  al giudice
 amministrativo e di una successiva confisca ed altri analoghi effetti
 sullo stesso bene da parte del giudice penale, anche  nella  pendenza
 del  giudizio amministrativo; peraltro, a prescindere da una sentenza
 di condanna da parte dello stesso giudice penale.
   A tutto voler concedere, comunque, sembra palese la mancanza di  un
 adeguato  coordinamento  tra  le  due norme onde evitare la possibile
 conseguente  violazione  degli  artt.  9  e  24  della   Costituzione
 italiana.
   Cio', a parere del giudicante, influisce anche sul gia' evidenziato
 problema   della   precisa   natura   della   confisca   da  disporsi
 obbligatoriamente dal giudice penale; problema che, nella fattispecie
 in esame, assume notevole importanza ai fini  della  rilevanza  della
 questione che si sottopone al giudice delle leggi.
   All'uopo,  devesi  richiamare quanto e' emerso dalla giurisprudenza
 sopra indicata e, sopratutto, dalla dottrina.
   Orbene, come si e' visto, mentre la giurisprudenza, con riferimento
 all'ordine di demolizione di cui all'art. 7 della legge  n.  47/1985,
 si  limita  ad  affermare  che  lo  stesso "ha natura sostanzialmente
 amministrativa, di tipo ablatorio, funzionalmente  assimilabile  alla
 confisca  (Corte  di cass. cit.), parte della dottrina, con correlate
 argomentazioni, ritiene, tra l'altro, che l'esplicita  previsione  di
 legge  (art.  19) e la destinazione del bene confiscato per decisione
 del  giudice  penale  al  patrimonio  del   comune   territorialmente
 interessato  non comporterebbero necessariamente l'inquadrabilita' di
 tale confisca tra le misure di sicurezza; e  cio'  in  considerazione
 della precipua finalita' della confisca penale ex art. 240 cod. pen.,
 a  differenza  di  tutta  la  normativa sanzionatoria amministrativa,
 intesa a perseguire, come fine primario quello del buon  governo  del
 territorio e della tutela dell'ambiente".
   Pertanto,  secondo  la  stessa dottrina, la confisca penale ex art.
 19, anche in  ipotesi  di  sentenza  di  proscioglimento,  che  pero'
 accerti la lottizzazione abusiva, seguirebbe la logica della sanzione
 amministrativa;  e questo intento del legislatore risulterebbe palese
 anche dalla sovrapposizione tra i  provvedimenti  sindacali  previsti
 dall'art.    18  e  l'obbligo  di  provvedere  sulla  confisca di cui
 all'art. 19.
   Ulteriore elemento a favore della tesi sulla natura sostanzialmente
 amministrativa del provvedimento ablatorio  ex  art.  19  sarebbe  la
 destinazione del bene oggetto della confisca al patrimonio del comune
 e  non,  come per la confisca penale, per seguire la destinazione ivi
 prevista.
   Nonostante le notevoli perplessita' da parte della dottrina e della
 giurisprudenza, cosi' come teste' esposte, - meritevoli senza  dubbio
 di  adeguata  valutazione,  specie  per  la  loro  incidenza in campo
 penale, come nel caso di specie - rileva il giudicante che la lettera
 legis si esprime testualmente  nel  senso,  gia'  precisato,  di  una
 "confisca   dei   terreni   abusivamente  lottizzati  e  delle  opere
 abusivamente costruite" (art. 19 legge  n.  47/1985)  e  di  confisca
 parlano anche l'art. 240 del c.p. ed altre leggi speciali.
   Inoltre,  la stessa norma stabilisce, col primo comma, che, ai fini
 dell'applicazione di detta  confisca  da  parte  del  giudice  penale
 occorre   una  sentenza  definitiva  che  accerta  che  vi  e'  stata
 lottizzazione abusiva e, aggiunge, al terzo  comma  che  la  sentenza
 definitiva  e'  titolo  per  la  immediata  trascrizione nei registri
 immobiliari al  fini  della  acquisizione  di  diritto  dei  terreni,
 gratuitamente,  al  patrimonio  del comune competente per territorio.
 Orbene, non puo' sottacersi,  anzitutto,  che  notevole  perplessita'
 puo'  destare  il  preciso  significato  di  "sentenza definitiva del
 giudice penale", di condanna o di  proscioglimento;  se  cioe'  debba
 farsi  riferimento  alla  sentenza  irrevocabile  di cui all'art. 648
 c.p.p. correlato all'art.  676 dello stesso codice, oppure anche alla
 sentenza di primo grado -  come  nel  caso  di  specie  -  una  volta
 accertata la lottizzazione abusiva.
   Problema,  anche  questo  che,  a  parere  del giudicante, non puo'
 agevolmente superarsi ricorrendo alle  normali  regole  ermeneutiche,
 specie  in  sede  penale  in  quanto,  stante la lettera legis, cosi'
 esplicita testualmente sia nel primo che nel terzo comma dell'art. 19
 legge  n.  47/1985,  e'  oltremodo  opinabile  la   possibilita'   di
 rapportarla  esaustivamente  alla ratio (art. 12 disp. della legge in
 gen.).
   Trattasi piuttosto, di una fonte di  notevole  incertezza  che  non
 puo'   (pur   essa)   non  ripercuotersi  negativamente,  sul  punto,
 sull'intera funzionalita' del  procedimento  penale  sia  per  quanto
 concerne   i  diritti  delle  parti,  sia,  anche,  per  la  corretta
 operativita' del giudice; il quale non puo' certo, specie  in  questa
 sede, interpretare ed applicare le norme con possibilita' alternativa
 delle  soluzioni  desumibili  dalla fattispecie astratta (come sembra
 orientata, invece la dottrina sopra riportata in assenza di specifici
 precedenti giurisprudenziali).
   Ne' puo' conseguire, a parere di questo pretore, la  non  manifesta
 infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'  della norma in
 esame, anche sotto questo aspetto (art. 19 legge n. 47/1985  primo  e
 terzo  comma)  con  riferimento  agli  artt.  24,  101  e  102  della
 Costituzione.
   E'  necessario,  poi, tener presente che gli articoli 18 e 19 della
 legge n. 47/1985 di cui  si  e'  gia'  ampiamente  detto  sono  stati
 emanati in epoca anteriore alla riforma del c.p.p. del 1989.
   Orbene,  com'e'  noto,  con  tale  riforma, e' stato introdotto nel
 codice di rito l'istituto "dell'applicazione della pena su  richiesta
 delle parti" ex art. 444 e seg. del c.p.p.
   Secondo  quanto espressamente previsto, tra l'altro, da dette norme
 " .... se vi e' consenso anche della parte che non  ha  formulato  la
 richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a
 norma  dell'articolo  129,  il  giudice,  sulla  base  degli atti, se
 ritiene che la qualificazione giuridica del fatto e l'applicazione  e
 la  comparazione  delle  circostanze  prospettate  dalle  parti  sono
 corrette, dispone con sentenza l'applicazione  della  pena  indicata,
 enunciando nel dispositivo che vi e' stata la richiesta delle parti
  ...   (art.  444  comma  secondo);  "  .....  la  sentenza  prevista
 dall'articolo 444 comma secondo, non comporta la condanna delle spese
 del procedimento ne' l'applicazione delle pene accessorie e di misure
 di sicurezza,  fatta  eccezione  della  confisca  nei  casi  previsti
 dall'articolo 240 comma secondo del c.p. .....".
   Sulla base di tale normativa, per l'applicazione degli art. 18 e 19
 della  legge  n.  47/1985,  i difensori degli imputati, soffermandosi
 ampiamente sul punto, hanno evidenziato come si e' gia'  detto,  che,
 una  volta  prestato il consenso da parte del p.m. alla pena proposta
 dagli imputati, non puo' il giudice penale, con la  sentenza  di  cui
 all'art.  444 disporre la confisca ex art. 19 della legge n. 47/1985.
 Cio' per un duplice ordine di motivi.
   Anzitutto, la confisca di cui all'art. 19 della  legge  n.  47/1985
 deve considerarsi "misura di sicurezza", non applicabile ex art.  445
 c.p.p.  perche'  non  rientrante  nei casi previsti dall'articolo 240
 secondo comma del c.p.  Inoltre, la confisca di cui all'art. 19 legge
 n. 47/1985 non puo' applicarsi, secondo gli stessi difensori, poiche'
 questa norma  stabilisce  testualmente  che  detto  provvedimento  e'
 disposto  obbligatoriamente  dalla  sentenza  definitiva  del giudice
 penale che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva; mentre, nel
 caso del c.d. patteggiamento -  in  generale  -  e,  con  particolare
 riferimento al procedimento esame , non vi sarebbe alcun accertamento
 di   responsabilita'   degli   imputati  e,  comunque,  dell'avvenuta
 lottizzazione  abusiva  contestata.     Il  pubblico   ministero   ha
 sostenuto,  invece,  che  la  confisca  di  cui  all'art. 19 legge n.
 47/1985 non puo' considerarsi "misura di  sicurezza",  configurandosi
 come provvedimento ablatorio di natura amministrativa che deve essere
 adottato obbligatoriamente dal giudice penale nel caso in cui accerti
 la lottizzazione abusiva, anche quando non venga pronunciata sentenza
 di  condanna,  ma sentenza di proscioglimento per causa diversa dalla
 insussistenza del fatto reato (tra le altre Cass. 30 aprile  1994  n.
 4954  e  18  dicembre 1990 n. 16483).  Orbene, ritiene il giudicante,
 che anche questo problema non  puo'  risolversi  esclusivamente  alla
 stregua di normali criteri inerpretativi delle norme teste' indicate,
 in  quanto, a suo parere, tenuto conto di quano evidenziato sul punto
 da giurisprudenza e dottrina - non a caso riportate  integralmente  -
 le  stesse  norme  appaiono foriere di gravi incertezze con possibile
 non manifesta infondatezza di questioni di costituzionalita'  di  cui
 si dira' appresso.  Invero, anzitutto, considerando cio' che e' stato
 adeguatanente  affermato  dalla  dottrina  e  dalla giurisprudenza in
 merito,  l'espressione "confisca" usata dal legislatore del 1985, non
 puo' inquadrarsi con precisione, a livello interpretativo giudiziale,
 tenuto conto, in particolare, di  quanto  emerge  dalla  complessa  e
 persistente  elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria (ampiamente
 riportata) in tema di applicazione dell'art. 240 del  c.p.,  sia  per
 cio' che concerne il primo che il secondo comma dello stesso articolo
 "prodotto  o profitto del reato"; carattere intrinsecamente criminoso
 della cosa); in particolare si richiamano, su quest'ultimo punto,  la
 sentenza  della  Cassazione  13  gennaio  1994, n. 190 e quella delle
 sezioni unite della stessa  Corte  del  20  aprile  1995,  n.  2  con
 riferimento  a quelle della sez.  VI dell'11 ottobre 1993).  Inoltre,
 come si e' detto, la  medesima  norma  (art.  19  lett.  47/1985)  si
 riferisce  sicuramente a qualsiasi tipo di sentenza "definitiva", sia
 di  condanna  o  di  proscioglimento,  che,  comunque,   accerti   la
 lottizzazione abusiva, per disporsi obbligatoriamente la confisca dei
 terreni  e delle opere abusivamente realizzate; cio' per le finalita'
 del legislatore del 1985, gia'  evidenziate.    Questa  formulazione,
 pero',  a  parere  del  giudicante,  e  fonte  di  notevoli  dubbi ed
 incertezze - non soltanto interpretativi -, per il problema in  esame
 in  quanto,  rapportandola  a quanto previsto espressamente dall'art.
 240 del c.p. potrebbe integrare, non la ipotesi del  primo  comma  di
 quest'ultimo  articolo,  che  presuppone univocamente una sentenza di
 condanna; ma, sia pure nella  ricorrenza  delle  caratteristiche  ivi
 precisate,  quella  del  secondo comma del medesimo articolo, che non
 richiede certamente una sentenza di tal genere: "e'  sempre  ordinata
 la  confisca  ...). (Vedasi, in proposito quanto gia' precisato dalla
 Corte di cassazione anche a sezione unite: retro).
   Pertanto, la formulazione dell'art. 19,  della  legge  n.  47/1985,
 stante  le  peculiari  caratteristiche  ora evidenziate relativamente
 alla "natura della confisca" ivi prevista,  non  poteva  esser  priva
 dialcun   riferimento  specifico  alla  norma  generale  in  tema  di
 confisca, contenuta, con  particolari  dettagli,  dall'art.  240  del
 c.p.;   onde   evitare   le  notevoli  incertezze  interpretative  ed
 applicative di cui si e' detto ampiamente e la evidente  probabilita'
 di  incidere  negativamente su diritti costituzionalmente protetti di
 cui di e' gia' fatto cenno e si precisera' ulteriormente.
   Ma, a parere del giudicante,  la  situazione  si  e'  ulteriormente
 aggravata  ai  fini  di  questa  indagine con l'entrata in vigore del
 nuovo codice di procedura penale, tenendo presente,  in  particolare,
 l'istituto della "pena a richiesta delle parti" e dei suoi effetti di
 cui si e' gia' detto.
   All'uopo,  si puo' contrastare la persistenza della mancanza, nella
 norma in esame, di alcun ulteriore riferimento all'art. 240 del  c.p.
 con  le  pur  necessarie  precisazioni  legislative,  determinando, a
 parere del giudicante, le seguenti conseguenze.
   In considerazione di quanto stabilito dagli artt. 444 e 445  c.p.p.
 di   cui   si   e'   gia'  detto  non  puo'  respingersi,  anzitutto,
 apoditticamente la tesi secondo cui "la pena a richiesta delle parti"
 non implica l'accertamento  della  responsabilita'  dell'imputato  in
 ordine al reato ascrittogli, in quanto, come si e' gia' detto, l'art.
 444  dispone  che  se  vi  e'  consenso  delle parti e non deve esser
 pronunciata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p. il  giudice,
 sulla base degli atti, dispone l'applicazione della pena indicata.
   Pertanto,  si  e'  affermato,  tenendo  presente il disposto di cui
 all'art. 445 c.p.p., che  la  sentenza  ex  art.  444  c.p.p.,  salve
 diverse  disposizioni  di  legge  e'  equiparata  a  una pronuncia di
 condanna.
   Da cio' potrebbe conseguire che,  nell'ipotesi  prevista  dall'art.
 19  della  legge n. 47/1985, cosi' come sostenuto dai difensori degli
 imputati, allorquando la pena viene "patteggiata", non significa  che
 e'  stata accertata la "lottizzazione abusiva", cosi' come prescritto
 dalla  stessa  norma,  ai  fini  della  "obbligatoria"  confisca  ivi
 prevista; e gia' per questo tale "confisca" non dovrebbe applicarsi.
   Il  che  potrebbe  anche  far  ritenere  che il c.d. patteggiamento
 avrebbe gia' apportato una deroga al disposto dell'art. 19, nel senso
 che  l'imputato   di   lottizzazione   abusiva   che   raggiunga   il
 "patteggiamento"  sarebbe esonerato dalla "confisca"; mentre dovrebbe
 subirla, non solo in caso di vera e propria  condanna,  ma  anche  in
 caso   di  proscioglimento:    ad  es.  per  prescrizione  del  reato
 (all'uopo, si richiamano sul punto le  sentenze  della  s.c.  del  18
 dicembre  1990,  n. 16483 e 30 aprile 1994, n. 4954, sopra non a caso
 riportate).
   Deve, pero', aggiungersi l'atro aspetto della tesi difensiva di cui
 si e' fatto cenno, sul presupposto che la confisca ex art.  19  debba
 considerarsi  "misura di sicurezza" e non "provvedimento ablatorio di
 natura amministrativa o sanzione amministrativa, come  sostenuto  dal
 p.m.  e  da pare della dottrina richiamata" sulla base anche di varie
 pronuncie della Corte di cassazione, anche  a  sezioni  unite,  sopra
 riportate.
   Cioe'  che  "nella  ipotesi di applicazione della pena su richiesta
 delle parti e' esclusa, a norma dell'art. 445 c.p.p. la  possibilita'
 di disporre la confisca ad eccezione dei casi previsti dall'art.  240
 secondo  comma  del  c.p.  e  tale  eccezione  non si presta ad esser
 interpretata come rinvio a tutte le ipotesi di confisca  obbligatoria
 previste dalle leggi speciali.
   Il  tutto  trova  giustificazione  in  una  valutazione precisa del
 legislatore desumibile dal regime di largo favore e premiale  che  il
 nuovo codice di procedura penale attribuisce ai riti alternativi (che
 bilanciano la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed alla facolta'
 di  contestare  l'accusa)  fino  ad  escludere l'applicabilita' delle
 misure di  sicurezza  personali  e  delle  pene  accessorie,  il  cui
 contenuto afflittivo e' indubbiamente maggiore rispetto alla sanziome
 patrimoniale.
   Il  giudicante  non  pone  in  discussione, in linea generale, tale
 apsetto della tesi difensiva ora illustrato.
   Ritiene,  pero',  importante  evidenziare  alcune  osservazioni  in
 merito,  ricollegandosi  a  quanto  gia'  esposto e sviluppando altre
 considerazioni per gli effetti che possono conseguire.
   Invero, l'omesso richiamo dell'art. 240 del c.p. sia nell'art.   19
 della  legge  n.  47 del 1985, sia nell'art. 445 del c.p.p. stante la
 "particolare" confisca di cui allo stesso  art.  19,  di  cui  si  e'
 ampiamente  detto  puo'  determinare  incertezze, anche gravi - e non
 solo a livello interpretativo -  con  possibile  lesione  di  diritti
 costituzionalmente  protetti.  Vi  e',  in  sostanza,  il persistente
 dubbio  sulle  tesi  difensive  gia'   esposte   con   le   correlate
 argomentazioni,     senza,     peraltro,     poterle    disattenderle
 apoditticamente.
   Infatti,   per   quanto   concerne   il   primo   aspetto  relativo
 all'accertamento o meno della lottizzazione abusiva ex art. 19  legge
 n.  47/1985  e  445  del  c.p.p.  -  di cui si e' detto - l'eventuale
 "deroga" da parte di quest'ultima norma nei confronti della prima  in
 ordine   alla  obbligatorieta'  della  confisca,  stante  il  mancato
 accertamento della lottizzazione in  caso  di  "patteggiamento"  puo'
 comportare,  anzitutto,  una lesione del diritto di difesa ex art. 24
 della Cost. per l'imputato  che  puo'  usufruire  ab  initio  di  una
 sentenza  di  proscioglimento  -  esclusa quella di insustistenza del
 reato - ma cio' non faccia e chieda il  patteggiamento  con  sentenza
 comunque  equiparabile  ad  una  pronuncia  di  condanna  ex art. 445
 c.p.p.,  onde  evitare  (e  non  sembri  un  paradosso)  la  confisca
 obbligatoria, conseguente anche ad una sentenza di proscioglimento ex
 art. 19 legge n. 47/1985.
   Inoltre,  a  parere di questo pretore, puo' derivare una disparita'
 di trattamento tra chi abbia una pronuncia ex art. 129  del  c.p.  di
 una   causa   di   estinzione  del  reato  con  conseguente  confisca
 obbligatoria ex art. 19 della legge n. 47/1985, pur avendo chiesto il
 patteggiamento con consenso del p.m. - che gli avrebbe consentito  di
 non  subire la confisca obbligatoria - e chi, comunque usufruisca del
 patteggiamento con esclusione della  stessa  confisca.    Ancora,  il
 carattere  liberatorio  della  sentenza di patteggiamento ex art. 445
 c.p.p. in relazione alla confisca obbligatoria ex art.   19 legge  n.
 47/1985,  a  parere  del giudicante, potrebbe violare l'art.  9 della
 Costituzione  italiana,  essendo  ben  noto  che   il   provvedimento
 ablatorio  di  cui  si  e'  detto  -  comunque  voglia qualificarsi -
 evidenzia il precipuo intento del legislatore del 1985 di  sopportare
 il   reato   la  pena  prevista  dall'art.  20  lett.  C)  con  detto
 provvedimento  (anche  in  caso  di  proscioglimento)  al   fine   di
 un'adeguata  remora,  al grave fenomeno della lottizzazione abusiva -
 ben diversa dalle singole opere abusive - che tanto ha compromesso  e
 compromette   l'assetto   ordinato  del  territorio  e  della  tutela
 ambientale.  Qualora, poi, dovesse  ritenersi  esatta  l'impostazione
 difensiva  in  ordine  alla tassativita' di quanto disposto dall'art.
 445 c.p.p.  relativamente alla esclusione, in caso di  patteggiamento
 della  confisca, con l'unica eccezione dell'ipotesi di cui al secondo
 comma dell'art.  240 c.p., anzitutto, non verrebbero meno,  solo  per
 questo,  tutte  le  considerazioni  gia'  svolte  e, comunque, la non
 manifesta infondatezza delle questioni gia' prospettate.
   Inoltre, per quanto concerne le norme in esame, l'esclusione  della
 confisca  obbligatoria  prevista  dall'art.  19 legge n. 47/1985, non
 sarebbe giustificata dall'intento premiale del rito  alternativo  del
 patteggiamento;  poiche',  a  parere  del  giudicante,  il favore del
 legislatore  per  tale  rito  dovrebbe  ritenersi   riferibile   alla
 esclusione  della  confisca,  anche  se obbligatoriamente prevista da
 leggi speciali, connessa, comunque, ad una sentenza di condanna,  con
 possibilita'  per  l'imputato  di  evitare il provvedimento ablatorio
 ricorrendo al  patteggiamento.    Non  invece,  nell'ipotesi  di  una
 "confisca"  conseguente,  comunque,  a  qualsiasi  sentenza, anche di
 proscioglimento, - ad eccezione dell'assoluzione perche' il fatto non
 sussiste - non evitandosi, altrimenti, la non manifesta  infondatezza
 delle questioni di costituzionalita' gia' prospettate con particolare
 riferimento  alla  disparita'  ex  art.  3  della Cost. tra chi viene
 assolto con conseguente  confisca  obbligatoria  e  chi  ottenga  una
 pronuncia,  -  sia  pure  soltanto  equiparabile  ad  una sentenza di
 condanna  - con eslcusione della confisca e dei suoi efficaci intenti
 legislativi di cui si e' fatto cenno con riferimento  agli  artt.  19
 della  legge  n.  47/1985  e  9  della  Costituzione italiana.   Deve
 aggiungersi, infine, che - come puo' emergere dalla giurisprudenz   a
 e  dalla  dottrina  all'uopo  riportata anche sul punto - l'ordine di
 demolizione del giudice per quanto riguarda le opere abusive nel caso
 di sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 20 della  stessa
 legge,    anzitutto,    viene    considerato   sanzione   di   natura
 sostanzialmente  amministrativa,  di  tipo  ablatorio  funzionalmente
 assimilabile  alla  confisca,  con  l'obbligo,  comunque, del giudice
 stesso di adottarlo anche nel caso  di  sentenza  a  richiesta  delle
 parti - c.d. patteggiamento -, salvo che la demolizione non sia stata
 altrimenti  eseguita;  trattandosi,  secondo  alcune  sentenze, di un
 potere attribuito eccezionalmente dalla legge al giudice, pur  avendo
 natura  amministrativa.   Orbene, a parere del giudicante, anche tale
 impostazione per l'ipotesi  teste'  illustrata,  accentua,  le  gravi
 incertezze  su tutte le questioni ampiamente prospettate che non puo'
 ripercuotersi  sulla  non  manifesta   infondatezza   delle   stesse.
 Comunque,  questo  pretore,  nell'evidenziare  tanto  diffusamente le
 medesime questioni, le sottopone al giudice delle leggi  al  fine  di
 una  verifica dei gravi contrasti interpretativi, giurisprudenziali e
 dottrinali e  sulla  loro  incidenza  negativa  sulla  indispensabile
 certezza  della  normativa specifica richiamata piu' volte, oltre che
 sulla  ragionevolezza  della  stessa.  Non  certamente,  pero',   con
 l'intento  di  sollecitare  un'intervento  additivo  rientrante nella
 esclusiva   sfera   dlela   discrezionalita'    legislativa    (Corte
 costituzionale  22 luglio 1994 n. 334); e non escludendo, ovviamente,
 in ipotesi, una sentenza c.d.  interpretativa  di  rigetto  da  parte
 della stessa Corte.