IL TRIBUNALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  2420  del  ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 1993
 avente ad oggetto: disconoscimento  di  paternita',  e  vertente  tra
 Abate  Walter  elettivamente  domiciliato  in Napoli alla via Luca da
 Penne, 1, presso l'avv. Carlo Penta  dal  quale  e'  rappresentato  e
 difeso in virtu' di procura a margine dell'atto di citazione, attore;
 e  Abate Teresa elettivamente domiciliata in Napoli alla via S. Elia,
 18 presso la dr.ssa Marina  Miranda,  rappresentata  e  difesa  dagli
 avv.ti Vincenzo Miranda e Elena Coccia, in virtu' di procura in calce
 alla  citazione,  convenuta;  e  avv.  Campus  Bruno,  quale curatore
 speciale del minore A. M. domiciliato in Napoli,  convenuto;  nonche'
 il p.m.  presso il tribunale di Napoli interventore ex lege.
                              Conclusioni
   All'udienza  del  2  maggio  1996,  i procuratori delle parti hanno
 concluso riportandosi a  quanto  gia'  dedotto  nei  rispettivi  atti
 difensivi.      Il   p.m.   ha  chiesto  accogliersi  la  domanda  di
 disconoscimento della paternita' ex art. 235, n. 2, c.c.
                        Svolgimento del processo
   Con atto di citazione notificato il 28 gennaio 1993,  Abate  Walter
 esponeva  di  aver contratto matrimonio il 7 settembre 1986 con Abate
 Teresa la quale aveva partorito due figli: C. A. il 3 marzo 1990 e M.
 il 3 agosto  1992,  nati  a  seguito  di  inseminazione  artificiale,
 essendo  egli  impotente  alla  procreazione.  Assumeva  che,  per il
 secondo dei figli, essendo in grave crisi il rapprto matrimoniale, si
 era opposto a tale pratica e, una volta separato dalla moglie,  aveva
 invitato  quest'ultima a non dichiarare come suo il bambino che stava
 per nascere; poiche' pero' Abate Teresa aveva dichiarato il  predetto
 come figlio di entrambi, doveva allora provvedersi al disconoscimento
 del  bambino. Avendo poi ottenuto la nomina del curatore speciale del
 minore con decreto del  22  dicembre  1992,  conveniva  in  giudizio,
 davanti  al  tribunale  di Napoli, Abate Teresa e Campus Bruno, quale
 curatore speciale  del  minore  A.  M.  per  sentire  dichiarare  che
 quest'ultimo  non  e'  figlio di Walter Abate, con ogni provvedimento
 consequenziale.
   Si costituiva in giudizio il curatore speciale del minore chiedendo
 il rigetto della domanda,  con  vittoria  di  spese.  Resisteva  alla
 domanda  anche  Abate  Teresa  la quale assumeva che anche la seconda
 inseminazione eterologa, come la prima, era stata  decisa  di  comune
 accordo  e  che il bambino nato a seguito della stessa, non era stato
 quindi denunciato  come  figlio  adulterino,  come  richiesto  invece
 dall'istante,  il quale aveva depositato il 27 marzo 1992 ricorso per
 separazione personale.   Deduceva quindi  che  il  consenso  prestato
 dall'attore  alla procreazione non poteva essere revocato ed impediva
 l'applicabilita' dell'art.   235, n.  2),  c.c.  In  via  subordinata
 rilevata l'illegittimita' costituzionale della norma citata in quanto
 applicabile all'ipotesi in esame, per contrasto con gli artt. 3, 29 e
 31,  ed  ancora,  in  via  gradata,  nell'ipotesi di accoglimento del
 disconoscimento del minore, spiegava domanda riconvenzionale sia  per
 se  medesima  che  per  il minore M., diretta ad ottenere la condanna
 dell'attore al risarcimento dei danni causati dal  suo  comportamento
 illegittimo  consistito  nell'aver  disconosciuto  il figlio alla cui
 procreazione aveva dato il consenso.
   All'udienza del 31 gennaio 1995, il g.i.  disponeva  riunirsi  alla
 presente  causa  quella  avente  ad  oggetto  la    contestazione  di
 legittimita' proposta da A. C.  nei  confronti  del  nipote  omonimo.
 Veniva  quindi  disposta  la  comparizione  personale  delle parti ed
 espletata prova testimoniale; dopodiche', all'esito  dell'istruzione,
 sulle  conclusioni in epigrafe trascritte, la causa veniva rimessa al
 collegio che si riservava la decisione all'udienza  del  28  febbraio
 1997.   Con   sentenza   depositata   contestualmente  alla  presente
 ordinanza,  il  Tribunale  ha disposto la separazione delle due cause
 riunite  ed   ha   dichiarato   l'inammissibilita'   dell'azione   di
 contestazione della legittimita' sopra indicata.
                         Motivi della decisione
   1.  - Risulta innanzitutto univocamente dalla documentazione medica
 acquisita ad e' altresi' pacifico tra le parti, che il  ricorso  alla
 procreazione  artificiale  per  la  nascita  di  entrambi i figli dei
 coniugi Abate (C. nato il 3 marzo 1990 e M. nato il 3  agosto  1992),
 fu  determinato  dall'accertato stato di impotenza dell'Abate Walter.
 Controverso invece e' se  quest'ultimo  avesse  prestato  o  meno  il
 consenso  anche  alla  fecondazione  artificiale  per  la nascita del
 secondo  figlio,  per  il  quale  e'  stata  proposta   l'azione   di
 disconoscimento  in  esame.    Infatti,  nel corso della comparizione
 personale delle parti, da un lato l'istante ha dichiarato  di  essere
 stato  all'oscuro  di tale inseminazione e di averne avuto conoscenza
 solo all'esito di un litigio avuto con la moglie  nel  novembre  1991
 (ovvero  nel  dicembre  1991,  secondo  quanto  affermato  invece nel
 ricorso per  separazione  giudiziale);  dall'altro  Abate  Teresa  ha
 decisamente  contestato tale circostanza ed ha riferito che era stato
 invece il marito ad  averle  comunicato  telefonicamente  in  data  7
 dicembre  1991  l'esito  positivo  della  seconda  inseminazione, per
 averla appresa dal dr. Claudio Marotta, amico e collega del predetto.
   Una prima conferma della versione  dei  fatti  rappresentata  dalla
 Abate  si  ricava  dalla  deposizione  del  dr.  Marotta  il quale ha
 riferito di aver visionato casualmente - nel dicembre 1991 - il  test
 positivo  di  gravidanza  dell'Abate  e  di  avere  informato di cio'
 l'amico Walter, rimproverandolo  anzi  di  non  avergli  detto  nulla
 prima. Ha aggiunto poi che, essendosi incontrato con il predetto dopo
 qualche  ora,  avevano  telefonato  all'Abate Teresa comunicandole la
 notizia, e che, nell'occasione, l'atteggiamento dell'Abate Walter era
 "alquanto distaccato", senza particolare reazione emotiva. Anche tale
 atteggiamento, in realta', pur non essendo di per se' indicativo  del
 consenso  dell'Abate,  contrasta  decisamente  con  l'ipotesi  che lo
 stesso fosse stato all'oscuro di tutto, posto  che  in  tal  caso  la
 reazione  dell'Abate  sarebbe  stata  ben  diversa  e certamente piu'
 violenta del semplice contegno di "distacco".
   Di particolare rilievo e' poi la testimonianza di Sorrentino Maria,
 amica di famiglia, la quale aveva accompagnato l'Abate  in  occasione
 di  entrambe le inseminazioni effettuate da quest'ultima. La teste ha
 riferito che il desiderio dell'Abate Walter di avere anche  un  altro
 bambino  tramite  la  stessa pratica di inseminazione artificiale, le
 era stato confidato dall'Abate Teresa e che soprattutto "in occasioni
 di incontro se ne parlava ed egli apertamente dichiarava di  aspirare
 ad  avere  un  secondo bambino". Anche l'Oliva Anna ha riferito che i
 coniugi erano entrambi d'accordo a seguire l'iter  dell'inseminazione
 artificiale  per  avere  un  secondo  bambino ed ha precisato di aver
 appreso tale circostanza sia dalla  Abate  sia  nel  corso  di  varie
 discussioni  in cui era presente l'Abate Walter, aggiungendo anzi che
 era stato proprio quest'ultimo ad insistere per "dare una compagnia a
 C." ed a comunicarle poi -  "con  gioia"  -  l'esito  positivo  della
 seconda inseminazione. Dello stesso tenore e' anche la deposizione di
 Prisco  Antonietta  la  quale  ha  confermato  (come  del resto anche
 l'altro testo Abate Raffaele)  che  Abate  Walter  aveva  manifestato
 l'intenzione  di avere un secondo bambino per "dare una compagnia" al
 piccolo  primogenito,  incontrando  inizialmente  le resistenze della
 moglie, e che successivamente il predetto si era mostrato  felice  di
 questa nuova gravidanza.
   In definitiva, il comportamento tenuto dall'Abate Walter, sia prima
 che immediatamente dopo la gravidanza, e' stato oggetto di percezione
 diretta  da  parte dei testi suindicati, sulla cui attendibilita' non
 vi e' motivo di dubitare, e risulta  quindi  univocamente  indicativo
 della    piena    adesione    dell'Abate    all'idea   di   ricorrere
 all'inseminazione artificiale per la nascita di un altro bambino. Ne'
 sono  idonee  ad   inficiare   l'affidabilita'   di   tali   concordi
 desposizioni,  quelle  rese da Russo Antonio ed Abate Diego (fratello
 dell'istante) i quali sono stati solo in grado di riferire  generiche
 circostanze  contrarie  apprese dall'istante stesso dopo l'inizio del
 giudizio di separazione, ed in  particolare  la  sua  opposizione  ad
 avere  un  secondo bambino, stante la tensione esistente nei rapporti
 coniugali.
   D'altra parte, la ricostruzione dei fatti offerta  dalla  convenuta
 risulta  maggiormente  convincente  anche  sotto  il  profilo logico;
 infatti, mentre l'ipotesi  di  una  decisione  dell'Abate  Teresa  di
 intraprendere   una   gravidanza   in   costanza  di  matrimonio  con
 l'opposizione del marito appare priva di una ragionevole motivazione,
 viceversa la decisione dell'Abate di negare il consenso prestato  per
 la  nascita  del  secondogenito  si  inserisce  -  e  quindi  ben  si
 giustifica - nell'ambito del clima di esasperata conflittualita'  tra
 i  coniugi  che  e'  alla base del giudizio di separazione intrapreso
 dall'Abate Walter. E che  tale  clima  abbia  inciso  gravemente  nei
 rapporti con i figli e' dimostrato dal fatto che l'Abate, dall'inizio
 della  separazione, ha smesso di frequentare anche il primo figlio ed
 ha aderito alla iniziativa dell'A.   C. di  impugnare  lo  status  di
 legittimita'   del   figlio   stesso,   benche'   avesse   certamente
 acconsentito in tale occasione alla  fecondazione  artificiale  e  lo
 avesse  poi  amorevolmente  trattato  nei  primi  anni  di vita (cfr.
 dichiarazioni  rese  dall'Abate  Walter  in  sede   di   comparizione
 personale  nonche'  la  comparsa  di  costituzione  del  predetto nel
 giudizio di contestazione della legittimita').
   2. - Cio' posto, si  tratta  allora  di  verificare,  in  linea  di
 diritto,  l'incidenza  che  tale  consenso  assume sull'esperibilita'
 dell'azione di disconoscimento.
   In proposito, il collegio ritiene di condividere le conclusioni cui
 sono pervenuti gli unici precedenti  giurisprudenziali  rinvenuti  in
 materia  (tribunale  Cremona  17  febbraio 1994, in Foro it. 1994, p.
 1576, confermata dalla Corte di appello di Brescia 10 maggio 1995  in
 dir.  fam.  1996, 116, nonche' tribunale Roma 30 aprile 1956, in Foro
 it. 1956, p. 1612).
   Nel nostro ordinamento, infatti, il consenso  prestato  dal  marito
 all'inseminazione  eterologa  della moglie, non puo' ritenersi idoneo
 ad  escludere   l'azione   di   disconoscimento   della   paternita',
 legittimata  dall'impotentia  generandi ex art. 235, n. 2, c.c., vuoi
 per l'inensistenza di una specifica norma  che  attribuisca  a  detto
 consenso  l'efficacia  di escludere l'azione di disconoscimento, vuoi
 per  l'insussistenza  di  quel  rapporto  biologico  di  sangue   che
 costituisce l'imprenscindibile presupposto di ogni rapporto giuridico
 di filiazione (v. ad es. artt.  231, 263, 269 e 271 c.c.), per la cui
 sussistenza e' irrilevante ogni altro elemento di natura soggettiva o
 psicologica  (come  ad  esempio  lo stato di ubriachezza o di demenza
 all'atto della fecondazione).  Pertanto, anche per i  figli  nati  da
 fecondazione  artificiale  in  costanza  di  matrimonio, non puo' non
 operare  la  presunzione  di  legge  fissata  dall'art.   231   c.c.,
 presunzione  che  puo'  essere  rimossa  nei casi e nei modi previsti
 dall'art. 235 c.c.
   Ne' del resto potrebbe riconoscersi  nel  consenso  del  padre  una
 implicita  preventiva  rinuncia  all'azione di disconoscimento. Se e'
 vero infatti  che  la  rinuncia  ad  un  diritto  puo'  anche  essere
 implicita e ricavarsi da manifestazione tacite di volonta', non vi e'
 dubbio  pero' che essa deve desumersi da fatti concludenti ed univoci
 e deve essere altresi' incompatibile con la volonta' di conservare il
 diritto.  Nel caso concreto, invece, una simile intenzione  non  puo'
 certo  ricavarsi  dal  solo  consenso  alla  fecondazione  eterologa,
 poiche'   tale   manifestazione   di   volonta',   collocandosi   sia
 temporalmente  che  teleologicamente  su  di  un  piano completamente
 diverso dall'azione di disconoscimento poi  esercitata,  non  implica
 necessariamente  la rinuncia ad una futura ed eventuale contestazione
 del rapporto di filiazione.
   In  ogni   caso,   come   rilevato   esattamente   nei   precedenti
 giurisprudenziali  sopra  citati,  la  rinuncia  presuppone la libera
 disponibilita' dei diritti mentre nelle azioni di stato, come  quella
 in  esame,  si  verte  in  materia  sottratta alla disponibilita' dei
 privati, con la conseguenza che, anche a volerla ritenere sussistente
 nella fattispecie, la rinuncia all'azione di disconoscimento  sarebbe
 comunque inefficace.
   3.  -  Le  conclusioni  sopra esposte sono state criticate da parte
 della dottrina la quale ha proposto invece una  diversa  impostazione
 del problema, che puo' cosi' sintetizzarsi.
   Il  consenso  del  padre non viene in rilievo come atto dispositivo
 dello status di figlio o dell'azione di disconoscimento  bensi'  come
 un  "aspetto  di  un  comportamento  piu'  complesso  che muove dalla
 decisione di avere un  figlio  e  si  completa  nell'accoglienza  del
 figlio  nella propria famiglia, nel trattato come proprio ... insomma
 in   una   condotta   socialmente   rilevante   di   assunzione    di
 responsabilita'  verso  una  nuova  vita,  verso  la quale la propria
 condotta e' determinata sia per farla  nascere  sia  per  attribuirle
 diritti  di  status.  Se  e'  vero  che la riforma e' ispirata ad una
 tendenziale corrispondenza tra verita' naturale e verita' formale, e'
 vero anche che la ricerca della verita' biologica non e' un valore in
 se', assoluto e senza limiti, come si ricava ad es.  dai  termini  di
 decadenza   per   l'esercizio   dell'azione   di  disconoscimento  di
 paternita', dalla necessita' del  consenso  del  figlio  per  il  suo
 riconoscimento o dall'inammissibilita' della dichiarazione giudiziale
 di  paternita'  quando  contrasti  con  l'interesse  del  figlio.  Il
 concetto giuridico di paternita' viene ad essere cosi' collegato  non
 esclusivamente   al   dato   biologico,  ma  anche  al  principio  di
 responsabilita'  della  procreazione  e  di  conseguenza  all'aspetto
 sociale ed affettivo.
   L'art.  235 c.c. e' formulato sul presupposto che, nell'ipotesti di
 impotenza  del  marito,  la  nascita  del   figlio   dovesse   essere
 necessariamente  collegata,  ad  un  adulterio  della madre mentre la
 possibilita'  di  fecondazione  senza  la   partecipazione   all'atto
 generativo  spezza questo rigido automatismo. Il marito che ha invece
 scelto   consapevolmente   la   via  della  fecondazione  artificiale
 eterogenea  per  avere   un   figlio   dalla   moglie,   a   compiuto
 legittimamente  un  atto  responsabile  e decisivo per la nascita del
 figlio e non puo' quindi essere ammesso successivamente ad esercitare
 l'azione di disconoscimento.
   Le argomentazioni dottrinali fin qui esposte  non  risultano  pero'
 idonee,  ad  avviso  del  Collegio,  a pervenire de iure condito alla
 soluzione propugnata. E' certamente innegabile l'assoluta mancanza di
 una  idonea  regolamentazione  legislativa  in  materia,  posto   che
 l'attuale   ordinamento   giuridico  e'  basato,  in  effetti,  sulla
 procreazione con metodi naturali, senza alcuna previsione delle varie
 ipotesi di fecondazione assistita che hanno  comportato  una  vera  e
 propria rivoluzione degli schemi giuridici tradizionali di paternita'
 e  maternita'.    Ne'  ancora  puo' sottacersi che, come emerso anche
 nella vicenda giudiziaria in  esame,  l'attuale  vuoto  normativo  in
 materia  si  appalesa  alquanto  allarmante,  specie per l'assenza di
 qualsiasi disciplina dell'attivita' dei  centri  privati  presso  cui
 tali interventi vengono liberamente praticati, essendo tale attivita'
 rimessa alla sola autoregolamentazione dei centri stessi, senza alcun
 controllo  da  parte dello Stato (cfr.  le dichiarazioni rese dal dr.
 Schetter secondo cui, all'epoca dei fatti per cui e' causa, le uniche
 notizie richieste alla donna che, come  l'Abate  Teresa,  ricorrevano
 alla fecondazione artificiale riguardavano "il suo gruppo sanguigno e
 le   caratteristiche   fenotipiche   del  marito  in  modo  da  poter
 selezionare  il  seme  del  donatore  che   dia   anche   una   certa
 somiglianza").
   Occorre  pero'  verificare  se la normativa esistente consenta, sul
 piano interpretativo, la soluzione suggerita dalla dottrina.
   Al riguardo, occorre ricordare che, secondo il fondamentale  canone
 di   ermeneutica  sancito  dall'art.  12  delle  preleggi,  la  norma
 giuridica deve essere interpreta  innanzitutto  dal  punto  di  vista
 letterale,  non  potendosi  al  testo  "attribuire altro senso se non
 quello fatto palese dal significato proprio delle parole  secondo  la
 connessione di esse", di poi, solo se tale significato non sia chiaro
 ed  univoco,  si  deve  ricorrere  al  criterio  logico,  al  fine di
 individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento  della
 norma,  la precisa "intenzione del legislatore", avendo cura pero' di
 individuare quale  risulta  dal  singolo  testo  che  e'  oggetto  di
 specifico  esame  e  non  gia'  quale  puo' desumersi dalle finalita'
 ispiratrici del complesso normativo in cui si inserisce  quel  testo.
 Infine,  solo  "se  la  controversia  non  puo' essere decisa con una
 precisa disposizione si ha riguardo alle  disposizioni  che  regolano
 casi   simili   o  materie  analoghe".  Il  riferimento  ad  elementi
 extratestuali   e'   quindi   consentito   per   ricercare   elementi
 interpretativi   quando   la   norma   sia  oscura  o  si  presti  ad
 interpretazioni contrastanti, ma non per dare  un  senso  diverso  da
 quello  fatto  palese dal significato chiaro ed inequivoco desumubile
 dalla sua dizione letterale.
   Secondo l'insegnamento della suprema Corte,  quando  dalla  lettera
 della  legge  appare  chiara  la  volonta'  del  legislatore,  non e'
 consentito al giudice che interpreta la  norma  sostituire  a  quella
 volonta'  altra  contraria o diversa, "solo perche' la ritenga meglio
 rispondente alla finalita' della legge stessa, posto che  la  ricerca
 della  ratio  legis  costituisce  solo  un  criterio  sussidiario  di
 interpretazione  in presenza di norma di dubbio contenuto ma non puo'
 valere a disattendere la portata della  norma  stessa  anche  qualora
 questa,  sia  pure  contro  l'intenzione  del  legislatore,  abbia un
 inequivocabile  significato"  (Cass.  7  aprile  1983,  n.  2454;  23
 settembre  1983,  n. 4711; 6 agosto1984, n. 4631). In definitiva, non
 e'  consentito   all'interprete   far   prevalere   l'interpretazione
 teleologica  su  quella  letterale  e  correggere  cosi' la norma nel
 significato  tecnico  giuridico  proprio  delle  espressioni  che  la
 compongono,   neppure  nell'ipotesi  in  cui  ritenga  che  l'effetto
 giuridico che ne deriva sia inadatto alla finalita'  pratica  cui  la
 norma e' intesa (Cass. 96/3495).
   Applicando   tali   principi   alla  fattispecie,  deve  escludersi
 l'ammissibilita'  di  un'interpretazione  diversa  da  quella   sopra
 seguita.
   Nel  caso  in  esame  non  siamo  in presenza di una vera e propria
 lacuna legislativa da regolare sulla base dei  principi  espressi  in
 casi  simili  o  in materie analoghe, posto che l'ipotesi concreta in
 esame  integra  perfettamente   i   presupposti   della   fattispecie
 giustificativa  dell'azione  di  disconoscimento  della paternita' ex
 art. 235, n. 2, c.c. (status di  figlio  legittimo  e  impotenza  del
 marito).  Manca  quindi qualsiasi supporto normativo in base al quale
 fondare l'esclusione dell'azione di  disconoscimento  dell'azione  di
 paternita'  nel caso di consenso prestato dal padre, perche' cosi' si
 introdurrebbe  un  ulteriore  requisito  negativo   dell'azione   non
 previsto dalla legge.
   La   possibilita'   di  sostituire  alla  paternita'  biologica  il
 consenso, che e' un atto negoziale proveniente da un  terzo  rispetto
 al   rapporto  biologico,  non  trova  fondamento  nel  mero  diritto
 positivo. Ne' del resto potrebbe ritenersi del tutto scontato,  anche
 sulla   base   dei   principi  del  diritto  vigente,  l'esito  della
 comparazione che si verrebbe in tal modo a regolare, se si  considera
 ad esempio che l'azione di impugnazione per difetto di veridicita' e'
 concessa  sulla  base  della sola inesistenza del rapporto biologico,
 anche  all'autore  del  riconoscimento,  ossia  al  soggetto  che  ha
 acconsentito,  pure  formalmente,  all'iniziale rapporto giuridico di
 procreazione, in applicazione del principio  di  ordine  superiore  -
 espresso  nella  relazione  al  Re  n.  126  - secondo cui la realta'
 giuridica deve adeguarsi nella  maniera  piu'  larga  possibile  alla
 realta'  naturale,  indipendentemente  dal  comportamento  soggettivo
 dell'autore del riconoscimento.
   In tal senso peraltro e' la decisione della suprema Corte n.  12350
 del 18 novembre 1992 secondo cui nell'ipotesi di fecondazione natuale
 la   paternita'   va  attribuita  come  conseguenza  giuridica  della
 procreazione  e  non  rilevando  di  conseguenza  un  disvolere   del
 concepimento  da parte del presunto padre, ne' e' fondata l'eccezione
 di illegittimita' costituzionale dell'art. 269 c.c.  nella  parte  in
 cui attribuisce la paternita' naturale in base al mero dato biologico
 senza  alcun  riguardo  alla componente volitiva, costituita dal fine
 della procreazione che deve accompagnare l'atto  sessuale.  Dibattuta
 inoltre  e'  la  possibilita'  di  poter agire per il disconoscimento
 quando,  pur  mancando  il  rapporto  biologico,  sia  assente   ogni
 violazione  del  dovere  di  fedelta',  come nei casi di concepimento
 involontario o di violenza sessuale.
   Il   sistema  normativo  vigente,  quindi,  non  e'  nel  senso  di
 riconoscere - sempre ed in modo univoco - ai presupposti di  volonta'
 e  responsabilita'  che abbiano influito sul fatto della generazione,
 un  carattere  prevalente  rispetto  al  normale  presupposto   della
 derivazione  biologica.  E'  significativo  del resto che in numerosi
 ordinamenti stranieri, come quello tedesco ed anglosassone, oltre che
 nei disegni di legge presentati nel  nostro  Paese,  il  problema  e'
 stato risolto nel senso di impedire espressamente che il consenso del
 coniuge  all'inseminazione  artificiale  possa essere successivamente
 revocato,  ma  che,  prima  di  tali  innovazioni   legislative,   la
 giurisprudenza  francese,  ad  esempio,  era  pervenuta  alle  stesse
 conclusioni accolte da questo tribunale.
   In definitiva, deve pertanto  ritenersi  de  iure  condito  che  in
 mancanza  sia  di una normativa ambigua ed equivoca sul punto, sia di
 principi  generali  univoci  e  precisi  in  materia,  la   soluzione
 contraria  suggerita  dalla  dottrina  rappresenterebbe un'operazione
 ermeneutica di  tipo  creativo,  come  tale  vietata  all'interprete,
 specie in una materia cosi' delicata come quella in esame.
   4.  -  Ad avviso del Collegio, le istanze e le ragioni di carattere
 etico e sociale sottese alla posizione dottrinale  sopra  illustrata,
 possono  trovare  la  loro  esatta  collocazione,  oltre  che de iure
 condendo, soltanto sotto il  profilo  dell'incostituzionalita'  della
 normativa in esame.
   Infatti,  la  soluzione  del  caso concreto desumibile dall'attuale
 disciplina legislativa non  garantisce  una  effettiva  tutela  delle
 posizioni  contrastanti,  quella  cioe'  della madre e della famiglia
 legittima, e soprattutto quella del generato che e' senza  dubbio  il
 soggetto meno tutelato nei suoi diritti inviolabili di uomo in quella
 particolare  formazione sociale che e' la famiglia. L'art.  30 Cost.,
 nell'enunciare che e' dovere e diritto dei  genitori,  di  mantenere,
 istruire  ed  educare  i  figli,  individua  in  capo  ai genitori il
 principio  di  responsabilita'  per   la   procreazione,   escludendo
 qualsiasi possibilita' di esonero. Cio' significa che ogni bambino ha
 diritto ad essere mantenuto, istruito ed educato dai propri genitori,
 cioe'   di   essere   messo   nelle  condizioni  ottimali  per  poter
 sopravvivere e sviluppare la propria personalita', e che tale diritto
 puo' essere eliminato solo se il  padre  legittimo  dimostri  di  non
 essere  responsabile  della  nascita  del  figlio nato in costanza di
 matrimonio; ed anche  l'adozione  dei  minori  e'  un  esempio  della
 rilevanza di tale assunzione di responsabilita'.
    La potesta' dei genitori e' un potere attribuito non gia' nel loro
 interesse   personale   ne'   di   quello   della   famiglia   bensi'
 nell'interesse dei figli, che lo Stato promuove  e  garantisce  anche
 attraverso    molteplici   interventi   correttivi   o   sanzionatori
 sull'esercizio di detta potesta' (v. artt. 570 ss. c.p.  e  155,  330
 ss.,  c.c.). Il legislatore costituzionale ha elevato l'interesse del
 minore a rango di  interesse  preminente,  intorno  al  quale  essere
 aromonizzate  tutte  le altre componenti familiari; la famiglia cioe'
 rappresenta lo strumento per l'armonico sviluppo  della  personalita'
 dell'individuo e di conseguenza l'interesse familiare non deve essere
 inteso  come  interesse superindividuale in se' contrapposto a quello
 dei singoli che ne fanno parte  ma  come  complesso  degli  interessi
 degli  individui  che  vivono  nella  comunita'  familiare,  anche in
 posizione conflittuale che deve essere mediata con  riferimento  alle
 esigenze di ciascun membro.
   In   tale   contesto,   l'interesse  del  generato  assume  rilievo
 prevalente anche verso chi ha determinato la sua nascita dal punto di
 vista biologico e/o morale: del  resto,  se  si  e'  riconosciuta  la
 necessita'   di   tutelare  l'interesse  del  figlio  anche  ai  fini
 dell'ammissibilita'  dell'azione  dichiarativa  della  paternita'   o
 maternita'  naturale  (Corte  cost.  n. 341/1990), la valutazione del
 medesimo interesse non puo' non essere parimenti garantita anche  nel
 caso di disconoscimento della paternita' proposto dal padre legittimo
 dopo  aver  prestato  il proprio consenso all'inseminazione eterologa
 della  moglie.  Rafforza  tale  opinione  la  decisione  della  Corte
 costituzionale  del 27 novembre 1991, n. 429 secondo cui, nel caso di
 minore di eta' inferiore ai sedici anni, la ricerca della  paternita'
 "pur  quando  concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire
 giustificata ai sensi degli artt.  235 o 274 c.c., non e' ammessa ove
 risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato
 di figlio legittimo...;  l'interesse  dovra'  essere  apprezzato  dal
 giudice   soprattutto   in  funzione  dell'esigenza  di  evitare  che
 l'eventuale  mutamento  dello  status  familiare  del  minore   possa
 pregiudicarne gli equilibri affettivi".
   L'infondatezza della questione di costituzionalita' sottoposta alla
 Corte  e'  stata  affermata  sul presupposto che il provvedimento del
 tribunale di nomina di un  curatore  speciale  al  fine  di  proporre
 l'azione  di  disconoscimento  su istanza del p.m., deve giustificare
 congruamente la valutazione dell'interesse del minore ed  il  giudice
 deve  quindi  "allargare  il  campo delle acquisizioni delle sommarie
 informazioni, includendovi tutti gli elementi necessari o  utili  per
 valutare  la sussistenza dell'interesse del minore all'esperimento di
 un'azione che lo spoglierebbe dello stato di figlio  legittimo  senza
 garantirgli  l'acquisto  dello  stato di filiazione nei confronti del
 padre naturale".  Di  talche'  risulta  confermata  l'imprescindibile
 necessita'  di  valutare  l'interesse  del  minore come pregiudiziale
 all'accoglimento dell'azione di  disconoscimento;  tale  valutazione,
 nel   caso  sottoposto  alla  Corte,  e'  ricompresa  nel    giudizio
 preliminare di nomina del curatore speciale del minore da  parte  del
 tribunale,  ma  non  vi  e'  invece possibilita' di una sua rilevanza
 giuridica nel caso in cui l'azione stessa sia introdotta da  uno  dei
 soggetti privati a cio' legittimato.
   Inoltre,  va  considerato  che il semplice fatto dell'inseminazione
 artificiale non offre elementi sufficienti per la costituzione di  un
 rapporto  giuridico di paternita' nei confronti del donatore del seme
 per cui il figlio disconosciuto finirebbe per assumere una  posizione
 analoga  a  quella  dei figli nati ad opera di ignoti, determinandosi
 cosi' gravi disciminazioni tra le varie categorie  di  figli,  specie
 con  riguardo al fenomeno dell'azione in cui e' espressamente esclusa
 la possibilita' di revocare il consenso prestato e di far venir  meno
 quindi il rapporto di filiazione, sorto anch'esso a prescindere da un
 legame di tipo biologico.
   In  conclusione, l'accoglimento dell'imputazione da parte del padre
 legittimo  che  abbia  acconsentito   all'inseminazione   artificiale
 eterologa  della  moglie, si risolverebbe nella mera "certificazione"
 della corrispondenza tra il dato naturale e la situazione formale con
 conseguente privazione  giuridica  della  figura  paterna  e  lesione
 irreversibile  dei  diritti  del  minore alla propria identita' ed al
 proprio nome che  trovano  invece  un  solido  fondamento  a  livello
 costituzionale nei principi stabiliti dagli artt. 2, 3, 29, 30 e 31.
   Neppure    potrebbe   ovviarsi   a   cio',   assumendo   che   alla
 disconoscibilita' del figlio nato da fecondazione artificiale con  il
 consenso del marito della madre, consegua la risarcibilita' dei danni
 derivanti  da tale irresponsabile comportamento del soggetto divenuto
 padre legittimo.  Invero, pur a  prescindere  dall'ammissibilita'  di
 una simile domanda risarcitoria, non vi e' dubbio che la mancanza del
 rapporto  di  paternita'  che  si  verrebbe in tal modo a determinare
 comporterebbe per il figlio disconosciuto la perdita di diritti e  di
 valori  personali non suscettibili di completa restitutio in integrum
 attraverso la semplice monetarizzazione  degli  stessi,  peraltro  di
 ardua   quantificazione,  dovendosi  certamente  escludere  che  tale
 utilita' economica sia idonea a sostituire quelle  esigenze  di  vita
 irreversibilmente   compromesse   dall'accoglimento   dell'azione  di
 disconoscimento.
   Stante quindi la rilevanza e  la  non  manifesta  infondatezza  del
 dubbio   di   costituzionalita'   sopra   illustrato,  si  impone  la
 sospensione del presente processo e la trasmissione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale,  con  gli  adempimenti  di  rito  indicati  di
 dispositivo.