L'assemblea  regionale siciliana, nella seduta dell'11 giugno 1997,
 ha approvato il disegno di legge n. 252 dal titolo  "Criteri  per  le
 nomine e designazioni di competenza regionale di cui all'art. 1 della
 legge   regionale     28  marzo  1995,  n.  22.  Funzionamento  della
 commissione paritetica  (art.  43  dello  Statuto  siciliano).  Prima
 applicazione  della  legge  23  ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in
 materia di indennita' e permessi negli enti  locali.  Modifiche  alla
 legge  regionale  20  marzo 1951, n. 29", successivamente pervenuto a
 questo  Commissariato  dello  Stato,  ai  sensi  e  per  gli  effetti
 dell'art. 28 dello statuto speciale, il 14 giugno 1997.
    Nel testo del provvedimento legislativo elaborato dalle competenti
 commissioni permanenti, ai sensi dell'art. 12 dello statuto speciale,
 nel  corso  del  lungo  dibattito  in aula, svoltosi durante numerose
 sedute  e' stato inserita, inopinatamente,  con  un  emendamento,  la
 norma  dell'art.  11,  non  attinente  alla  materia  originariamente
 oggetto di disciplina, relativa alla definizione di  criteri  per  la
 nomina  e  le designazioni di competenza regionale ed all'elencazione
 delle  cause  di  incompatibilita'  e  dei  limiti  di  durata  degli
 incarichi.
    Tale  prassi,  invero  non  molto ortodossa, ha consentito, cosi',
 l'approvazione del cennato art. 11, di seguito trascritto,  che,  con
 ogni  verosimiglianza,  non ha potuto ricevere la dovuta elaborazione
 in fase istruttoria da parte delle competenti commissioni di merito e
 che presenta di conseguenza  rimarchevoli  lacune  ed    incongruenze
 rispetto  alla vigente legislazione regionale e nazionale che rendono
 suscettibile   la   norma   in   esso   contenuta   di   censure   di
 costituzionalita'   per   violazione   degli   artt.  3  e  97  della
 Costituzione:
   "Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
   1.  -  L'Assessore  regionate  esercita  le  sue  funzioni  di capo
 dell'amministrazione  attraverso  l'emanazione  di   atti   generali.
 L'emanazione  ed  attuazione  degli  atti  aventi per oggetto singoli
 provvedimenti, ivi  inclusi  quelli  riguardanti  impegni  di  somme,
 compete ai dirigenti in relazione alle funzioni ad essi attribuite.
   2.   -   Ai  dirigenti  sono  attribuite  le  funzioni  di  studio,
 programmazione e controllo, o le funzioni dirigenziali.  Le  funzioni
 di cui sopra sono equiparate ed in ottemperanza ai principi contenuti
 nell'art.    2  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421, e' proibita la
 contemporanea assegnazione di piu' funzioni equiparate.
   3. - Nella rideterminazione delle piante organiche si terra'  conto
 del  principio di cui al comma 2. Ove in un gruppo di lavoro vi siano
 piu' dirigenti, all'interno dello stesso deve  essere  rispettato  il
 principio di separazione delle funzioni.
   4.  - Le funzioni di studio, programmazione e controllo sono quelle
 definite dal d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748; le funzioni  dirigenziali
 sono quelle definite dal decreto legislativo 3 febbraio I993, n.  29,
 e successive modifiche ed integrazioni.
   5. - I funzionigrammi dei rami delle amministrazioni  sono altresi'
 riformulati tenendo conto della separazione delle funzioni.
   6.  -  Nella  assegnazione  delle  funzioni si applicano i principi
 generali desumibili dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421,  nonche'  il
 criterio  di  rotazione.  Alla  assegnazione  delle funzioni provvede
 l'assessore con proprio decreto.
   7. - In mancanza della determinazione della pianta  organica  della
 Regione  siciliana e' proibito procedere a passaggi di qualifica.
   8. - Le funzioni di dirigente generale sono assegnabili a dirigenti
 con  almeno  quindici anni di effettiva anzianita' nella qualifica di
 dirigente ed in possesso della laurea  richiesta  in  relazione  alle
 funzioni  da  svolgere,  secondo  il criterio dell'accertamento delle
 specifiche ed obiettive capacita' professionali di cui alla lett.  f)
 dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421".
   Orbene, se da un canto puo' ritenersi meritorio l'intento di  dare,
 seppure   tardivamente   e  parzialmente,  attuazione  nella  regione
 siciliana ai principi contenuti nella legge n. 421/1992 in materia di
 riforma  della  pubblica  amministrazione  e  di  pubblico   impiego,
 dall'altro,  detto recepimento limitato alle sole figure dirigenziali
 e nei modi con cui e' stato disciplinato, per  la  parte  in  cui  si
 vorrebbe   dare  applicazione  alla  normativa  statale,  produrrebbe
 effetti paradossalmente distorsivi della stessa per le ragioni che di
 segeuito si espongono.
   Il legislatore nel porre le disposizioni per la prima  applicazione
 della  legge  n.  421/1992  omette, infatti, di considerare l'odierno
 assetto dell'amministrazione regionale, e non  tiene  quindi    conto
 degli  effetti  che su quest'ultimo produrrebbe la applicazione della
 norma de qua, con particolare riferimento allo  stato  giuridico  dei
 propri dipendenti.
   L'amministrazione regionale secondo i dettami della legge regionale
 n.  7/1971  e'  organizzata  in  27  direzioni  regionali  ed  uffici
 equiparati suddivisi per i vari assessorati, a loro volta strutturati
 in gruppi di lavoro, il cui numero e competenze sono determinati  con
 decreto  del  Presidente  della  regione  previa  deliberazione della
 Giunta in base alle esigenze di funzionalita' degli uffici.
   Con la cennata  legge  regionale  n.  7/1971,  invero,  la  Regione
 siciliana,  che  prima  si  era  attenuta  al modello statale sia per
 quanto riguarda l'assetto  organizzativo  dei  suoi  uffici  sia  per
 quanto attiene alla disciplina dello stato giuridico ed economico del
 proprio  personale, avvalendosi della competenza esclusiva in materia
 di ordinamento degli uffici ex art. 14 lett. p) dello Statuto, si  e'
 discostata profondamente e sostanzialmente dal modello nazionale.
   Come  codesta ecc.ma Corte ha, peraltro, avuto modo di rilevare con
 la setenza n. 12 del 1980, l'organizzazione amministrativa  regionale
 si  basa  su  organi completamente differenziati e non assimilabili a
 quelli propri  della  generalita'  delle  Amministrazioni  statali  e
 pubbliche, quali ad esempio i sopracennati gruppi di lavoro.
   Ed  in  coerenza  con  tale  assetto  il  legislatore  siciliano ha
 introdotto una disciplina altrettanto innovativa per quanto  concerne
 lo   stato   giuridico   ed  economico  del  personale  addetto  che,
 specificatamente nelle qualifiche apicali,  risulta  ripartito  nelle
 qualifiche di direttore regionale, dirigente superiore e dirigente.
   Ora,  da  un  esame comparato tra le cennate figure professionali e
 quelle   corrispondenti   dell'amministrazione   statale   e    della
 generalita'  degli  enti di cui al secondo comma dell'art. 1 d.leg.vo
 n. 29/1993 emerge  inequivocabilmente  che  le  funzioni  svolte  dai
 "dirigenti"  e  dai "dirigenti superiori", ai sensi, rispettivamente,
 degli artt.  13 legge regionale n. 7/1971  e  9  legge  regionale  n.
 41/1985,  non  possono  considerarsi  dirigenziali  essendo piuttosto
 riconducibili a quelle proprie dei funzionari amministrativi di  8  e
 di 9 livello dello Stato.
   Anche     le     attribuzioni    dei    funzionari    di    vertice
 dell'amministrazioni regionale, i  direttori  preposti  alle  singole
 direzioni  regionali  istituite presso ogni assessorato, com'e' stato
 rilevato da codesta ecc.ma Corte con la prima cennata sentenza n.  12
 del  1980,  sono  notevolmente diverse ed inferiori rispetto a quelle
 proprie dei dirigenti generali dell'amministrazione medesima".
   Il legislatore siciliano che, in virtu'  della  potesta'  esclusiva
 riconosciutagli  dallo Statuto, sinora ha mantenuto un ordinamento ed
 una struttura  amministrativa  nettamente  differenziata  rispetto  a
 quelli presenti nel restante territorio nazionale, ex abrupto,
  introduce  con  la  norma  oggetto  di  graveme,  una prima asserita
 applicazione dei principi della legge n. 421/1992  senza  considerare
 che non sono state ancora emanate le norme di raccordo necessarie per
 consentire un passaggio graduale dal vecchio al nuovo regime.
   Nell'art.  11, ottavo comma si fa menzione, infatti, delle funzioni
 di  "dirigente  generale"  assegnabili  ai  "dirigenti"  con   almeno
 quindici  anni  di effettiva anzianita' nella qualifica, tralasciando
 di valutare che in atto  nell'amministrazione  regionale  non  ne  e'
 prevista  la  figura  ne'  tantomeno  le  attribuzioni e/o le sedi di
 incarico.
   Non si fa cenno, altresi',  alla  esistente  figura  del  direttore
 regionale, che quindi rimane priva, nel nuovo sistema, di una propria
 collocazione  con  comprensibili effetti dirompenti sul funzionamento
 dell'apparato burocratico esistente, e,  non  si  tiene  conto  senza
 alcuna  plausibile ragione, della particolare situazione di un'intera
 categoria di  funzionari,  i  dirigenti  superiori,  fra  i  soggetti
 scrutinabili.
   Dalla disposizione sembrerebbe, inoltre, che il legislatore intenda
 effettuare ope legis e per relationem una generalizzata equiparazione
 dei  propri  dipendenti,  in atto con funzioni riconducibili a quelle
 della carriera  direttiva,  ai  dirigenti  previsti  dalla  normativa
 statale  in  assenza  della  prescritta  e  necessaria  selezione con
 criteri obiettivi di valutazione.
   Qualora dovesse darsi applicazione alla previsione dell'art. 11  il
 primo effetto immediato sarebbe quello di una proliferazione, seppure
 di  carattere  meramente nominalistico (in mancanza della contestuale
 definizione dei compiti),  dei  dirigenti,  il  cui  numero  potrebbe
 addirittura  ulteriormente aumentare in virtu' della disposizione del
 secondo comma.
   Il legislatore, infatti, in  evidente  dissonanza  con  i  principi
 della  normativa  statale  di  riferimento,  scinde nell'ambito delle
 funzioni dirigenziali, che per la loro natura non possono che  essere
 un  unicum composito, quelle di studio, programmazione e controllo da
 quelle  propriamente  dirigenziali  consistenti  "nell'emanazione  ed
 attuazione  degli  atti aventi per oggetto singoli provvedimenti, ivi
 inclusi quelli riguardanti impegni di somme" (primo comma).
   Siffatta artificiosa distinzione, erroneamente  basata  sul  rinvio
 alle  norme  del  d.P.R.  n.  748/1972, abrogate per la parte che qui
 interessa dal d.leg.vo n. 29/1993, inoltre, dovrebbe essere  posta  a
 fondamento  della  rideterminazione  delle  piante  organiche  (terzo
 comma) causando inevitabilmente un incremento, se non addirittura  il
 raddoppio,  del  numero  dei  dirigenti e cosi' vanificando uno degli
 obiettivi primari della legge n. 421/1992.
   L'attivita'  di  studio,  quale  configurata  dal  comma   secondo,
 inoltre,   non   puo'   essere  assimilabile  all'attivita'  di  alta
 consulenza giuridica o tecnica svolta dalla dirigenza statale (ed  in
 particolare  dai  consiglieri ministeriali appartenenti, peraltro, ad
 un  ruolo  distinto  e  ben  definito)  ma  puo'  essere,   piuttosto
 ricondotta  a quella svolta dai funzionari amministrativi per i quali
 non e' previsto un separato organico.
   L'art. 2, primo comma lett. g) punto 4 della piu' volte  menzionata
 legge  n.  421/1992 pone fra gli obiettivi della riforma la riduzione
 del numero dei dirigenti in  servizio,  in  relazione  alla  avvenuta
 individuazione  degli  organi  ed  uffici  dirigenziali  in base alla
 rilevanza e complessita'  delle  funzioni  e  della  quantita'  delle
 risorse  umane  assegnate,  nonche'  del  disposto accorpamento degli
 uffici esistenti.
   Orbene, il legislatore siciliano, sebbene non abbia ancora  dettato
 nuove   norme   sulla   procedura   per   la   razionalizzazione   ed
 ammodernamento dell'apparato burocratico  in  linea  con  i  principi
 ispiratori  contenuti nella legge n. 421/1992, si premura dare adesso
 una  settoriale,  lacunosa  e  fuorviante  applicazione   riguardante
 soltanto  l'accesso  alla  diregenza  generale, senza preoccuparsi di
 individuare  preventivamente  gli  uffici  di  livello   dirigenziale
 generale  e  di livello dirigenziale, nonche' le relative funzioni, i
 requisiti  richiesti  e  le  modalita'  per  il  conferimento   degli
 incarichi stessi.
   Ma  vi  e'  di  piu':  dal  tenore  del  primo  comma dell'articolo
 censurato non risulta conforme al dettato del punto  lett.  g)  comma
 primo  dell'art.    2 legge n. 421/1992 la disposta separazione fra i
 compiti di direzione politica, riservati all'Assessore, e  quelli  di
 direzione amministrativa di competenza dei burocrati.
   Inoltre  la  normativa regionale teste' approvata tralascia di dare
 attuazione ad altro principio innovativo introdotto  dalla  legge  n.
 412/1992, quello relativo alla separazione tra i compiti di direzione
 politica  e  quelli  di direzione amministrativa, non potendosi certo
 ritenere che la generica previsione dell'art. 11,  comma  primo,  sia
 tale  da consentire di distinguere con certezza le funzioni collegate
 alla individuazione degli obiettivi da raggiungere da quelle relative
 alla gestione finanziaria e tecnico-amministrativa.
   L'attribuzione della competenza ad emanare atti  generali  in  capo
 dell'assessore  e quella per gli atti aventi un contenuto particolare
 ai burocrati, non e' idonea inoltre a raggiungere le finalita' volute
 dal legislatore nazionale.
   Si possono, invero, enucleare attivita' connesse alla  funzione  di
 indirizzo  politico,  che non necessariamente richiedono l'emanazione
 di  un  atto  a  valenza  generale,  mentre  al  contrario  non  c'e'
 plausibile  ragione  di  negare  aprioristicamente  al  dirigente  la
 facolta' di emanare atti  a  carattere  generale,  dovendogli  essere
 riconosciuti  autonomi  poteri  di programmazione e di organizzazione
 delle  risorse  umane  e  strumentali  per  il  raggiungimento  degli
 obiettivi fissati dall'organo politico.
   L'ambiguita'  della formula legislativa adottata, nonche' l'assenza
 di  criteri  per  la  determinazione  delle  competenze  proprie  dei
 dirigenti   che,   si   ribadisce   hanno   sinora   svolto  funzioni
 riconducibili a quelle proprie del  personale  appartenente  alla  ex
 carriera   direttiva   dell'amministrazione  statale,  e  la  mancata
 contestuale indicazione delle  categorie  di  dipendenti  chiamati  a
 svolgere  i compiti in precedenza assegnate ai "dirigenti" stessi non
 potrebbe che provocare,  in  sede  di  applicazione,  quantomeno  una
 situazione  di  incertezza  con  le  facilmente  intuibili,  negative
 refluenze sul buon andamento degli uffici pubblici.
   L'attuale assetto dell'apparato  regionale,  quale  configurato  da
 un'ormai   consolidata   ventennale  legislazione  con  carattere  di
 assoluta peculiarita' rispetto a quello definito in ambito nazionale,
 richiederebbe, prima della definizione dei criteri per l'accesso alla
 dirigenza generale, una profonda e radicale rivisitazione, alla  luce
 dei  criteri  innovativi  posti  dalle  piu' recenti leggi statali in
 materia di razionalizzazione del pubblico impiego e ritenuti in  piu'
 occasioni  vincolanti  da codesta ecc.ma Corte anche per la regionale
 siciliana.
   Il  legislatore,  in  quanto  sovverte  l'ordine  logico  con   cui
 procedere  all'adeguamento  delle vigenti norme regionali ai principi
 contenuti nella cennata normativa nazionale,  adotta  una  disciplina
 intrinsecamente  contradditoria  ed  irragionevole  che, ponendosi in
 contrasto con gli  stessi  principi  ai  quali  dichiara  di  volersi
 uniformare,   arrecherebbe   grave   pregiudizio  al  buon  andamento
 dell'amministrazione regionale.