ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 222 del  codice
 penale  militare  di  pace  in relazione all'art. 260, secondo comma,
 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 9  maggio  1996
 dal  tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di
 Policella Daniel, iscritta al n. 1356 del registro ordinanze  1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 3, prima
 serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  18 giugno 1997 il giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Ritenuto che nel corso  di  un  procedimento  penale  a  carico  di
 Policella  Daniel, imputato del reato di percosse nei confronti di un
 commilitone (costituitosi parte civile),  il  tribunale  militare  di
 Padova,  con  ordinanza  emessa  il  9 maggio 1996, ha sollevato - in
 riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma,  e  52,  ultimo  comma,
 della   Costituzione   -  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 222  del  codice  penale  militare  di  pace  in  relazione
 all'art. 260, secondo comma, dello stesso codice;
     che,  a  giudizio del rimettente, tale norma - nella parte in cui
 prevede che i reati per i quali la legge  stabilisce  la  pena  della
 reclusione  militare non superiore nel massimo a sei mesi sono puniti
 a richiesta del comandante di corpo - violerebbe: a) l'art.  2  della
 Costituzione, determinando una "confisca" della tutela in sede penale
 della  persona  militare  in  favore  di  un  non  meglio precisabile
 "interesse pubblico militare", anche nell'ipotesi in cui il fatto sia
 grave e non possa percio'  dirsi  prevalente  l'offesa  all'interesse
 militare, non essendo "sufficiente ad esaurire i diritti del singolo"
 il  riconoscimento a favore della persona offesa di un'azione civile;
 b)  l'art.  3  della  Costituzione,  poiche'  l'"espropriazione"  del
 diritto  di  tutela  del  cittadino  militare in sede penale porrebbe
 quest'ultimo in situazione di ingiustificata disparita'  rispetto  al
 cittadino  civile; c) l'art.  24, primo comma, della Costituzione, in
 quanto - pregiudicata la possibilita' di costituirsi parte civile nel
 processo militare - il militare offeso dovrebbe  subire  la  maggiore
 lungaggine  dell'esercizio  dell'azione  civile; d) l'art. 52, ultimo
 comma, della Costituzione, poiche' non e' da reputarsi  necessaria  -
 per   l'assolvimento   dei   compiti  propri  delle  Forze  Armate  -
 l'attribuzione al solo comandante di corpo della facolta' di decidere
 se richiedere o meno la perseguibilita' dei  fatti  in  sede  penale,
 potendosi configurare una identica facolta' concorrente del militare;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato,  concludendo  per
 l'inammissibilita' o comunque per l'infondatezza della questione;
   Considerato  che,  ripetutamente  sottoposta  al  vaglio  di questa
 Corte, la questione di costituzionalita' della disciplina di  cui  al
 secondo  comma  dell'art.  260  del codice penale militare di pace e'
 stata dichiarata non fondata o manifestamente infondata;
     che, da ultimo, identica questione -  riguardante  la  previsione
 della punibilita' a richiesta del comandante di corpo dei reati per i
 quali  la  legge  stabilisce  la  pena  della reclusione militare non
 superiore nel massimo a sei mesi -, sollevata dal medesimo  tribunale
 militare  di  Padova  in  riferimento agli stessi parametri in questa
 sede  evocati,  e'  stata  dichiarata  manifestamente  infondata  con
 ordinanza n. 396 del 1996;
     che  il  rimettente non offre ulteriori diversi motivi a sostegno
 della questione, la quale dunque risulta manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.