Ricorso  del  presidente  della regione siciliana pro-tempore on.le
 prof. Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con  deliberazione
 della  Giunta  regionale  n.  256 del 23 giugno 1997, rappresentato e
 difeso, sia congiuntamente che  disgiuntamente,  dall'avv.  Francesco
 Castaldi  e  dall'avv.  Francesco  Torre ed elettivamente domiciliato
 nell'Ufficio della Regione in Roma, via Marghera 36, giusta procura a
 margine del presente atto, contro il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  pro-tempore,  domiciliato  per la carica a Roma, presso gli
 Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Palazzo  Chigi  e
 difeso  per  legge  dall'Avvocatura dello Stato, per la dichiarazione
 incostituzionalita'  dell'articolo  14  in  relazione  ai  precedenti
 articoli  2; 9 comma 4; 9-bis commi 1, 2, 6, 12 e ss.; 11 comma 1 del
 d.l. 28 marzo 1997, n. 79 convertito con legge 28 maggio 1997, n. 140
 recante "Misure urgenti per il riequilibrio della finanza  pubblica",
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 1997.
   1.1.  -  L'art.  14  della  legge  impugnata riserva all'erario "le
 entrate tributarie derivanti dal presente decreto" per  finalita'  di
 risanamento del bilancio statale e demanda ad un decreto del Ministro
 delle  finanze,  di  concerto  col Ministro del tesoro, l'emanazione,
 entro 90 giorni, delle modalita' di attuazione del presente articolo.
   I capi I e II del decreto-legge n. 79/1997, come  modificato  dalla
 legge  n.  140/1997,  contengono diverse norme in materia tributaria,
 che, seguendo un sistema di interventi gia' adottato con la legge  23
 dicembre  1996,  n.  662  e  con  il  d.-l.  31 dicembre 1996, n. 669
 convertito con modificazioni nella legge 28  febbraio  1997,  n.  30,
 danno  luogo  ad  incrementi  di  entrata  non  conseguenti  ad  atti
 impositivi  nuovi  o  ad  aumenti  di  aliquota,  bensi'  a  semplici
 rimodulazioni   delle   basi   imponibili   di   tribuitiesistenti  e
 costituenti  proventi  della  finanza  regionale,  all'istituzione di
 imposte in sostituzione di altre di riconosciuta spettanza regionale,
 alla previsione di  nuove  modalita'  sia  di  accertamento  di  tipo
 presuntivo  e  forfettario  che  di  riscossione,  alla previsione di
 condoni fiscali comportanti il pagamento da parte del contribuente di
 somme che sono rappresentative di entrate di spettanza regionale.
   In particolare l'art. 2 del  testo  legislativo  impugnato  prevede
 l'anticipazione  a  carico  di  sostituti  di  imposta,  a  titolo di
 acconto, delle imposte dovute sui trattamenti di fine  rapporto  che,
 al   pari  della  ritenuta  sui  normali  trattamenti  economici  dei
 dipendenti,   costituiscono   cespite   di   riconosciuta   spettanza
 regionale.
   Per  quanto  concerne  il  successivo art. 9 della legge impugnata,
 giova premettere che il comma 138 dell'art. 3 della legge n. 662/1996
 prevede la soppressione di servizi autonomi  di  cassa  degli  uffici
 finanziari  (Uffici  del Registro ed Uffici IVA) con il contemporaneo
 trasferimento dei compiti di riscossione,  gia' svolti  dai  predetti
 uffici,  al concessionario della riscossione il quale verra' cosi' ad
 assumere, relativamente ai tributi indiretti, non solo la riscossione
 coattiva, gia' attribuitagli dal  d.P.R.  n.  43/1988,  ma  anche  la
 riscossione ordinaria di detti tributi.
   Ora  l'art.  9  della  legge  140/1997, per la massa di entrate che
 vengono  ad  essere  trasferite  dagli   Uffici   del   registro   al
 concessionario   della  riscossione,  introduce,  a  somiglianza  del
 sistema gia' previsto per  la  riscossione  a  mezzo  ruolo  affidata
 storicamente  al concessionario medesimo, un obbligo di anticipazione
 nei limiti del 20% del carico della  riscossione  delle  entrate  che
 andra'  a conseguire, in favore delle pubbliche casse, e cio' al fine
 di  perseguire  quello  che  e'   stato,   nella   disciplina   delle
 riscossioni,  lo scopo proprio della imposizione dell'obbligo del non
 riscosso come riscosso: consentire al bilancio pubblico di  acquisire
 comunque,  per  un  ammontare certo e predeterminato, entrate tali da
 permettere  agevolmente  e  sicuramente  la  gestione  del  conto  di
 tesoreria.
   In particolare l'art. 9 succitato prevede che i concessionari della
 riscossione  entro  il  15 dicembre di ogni anno versino il 20% delle
 somme riscosse  nell'anno  precedente,  a  titolo  di  acconto  sulle
 riscossioni,  a  decorrere  dal 1 gennaio  dell'anno successivo. Cio'
 naturalmente con riferimento circoscritto ai tributi  precedentemente
 gia' affidati alla riscossione diretta degli uffici del registro.
   Il  comma  4  dell'art.  9,  ignorando del tutto le spettanze della
 Regione siciliana circa i tributi in  parola,  dispone  testualmente:
 "Per   il   triennio  1997-1999  l'acconto  di  cui  al  comma  1  e'
 determinato...   in modo  che  complessivamente  garantisca  maggiori
 entrate  per  il  bilancio  dello  Stato pari a L. 3.000 miliardi per
 l'anno  1997  ed  ulteriori  1.500   miliardi   e   1.500   miliardi,
 rispettivamente, per gli anni 1998 e 1999".
   Non  v'e'  dubbio  che  la  summenzionata  disposizione della legge
 impugnata sottrae al bilancio della Regione siciliana  il  20%  delle
 somme  riscosse  nell'anno  precedente dal concessionario al quale di
 tal guisa rimarrebbe da versare alla  Regione  soltanto  l'80%  delle
 somme medesime.
   L'art. 9-bis, comma 1, prevede che i soggetti residenti nello Stato
 che  non  abbiano  dichiarato  redditi  di  pensione  di fonte estera
 possono versare le relative  imposte  nella  misura  del  25%,  senza
 l'applicazione di interessi e sanzioni.
   Si  e'  in presenza, nella fattispecie, di una ipotesi di sanatoria
 per effetto della quale la somma da versare non costituisce di  certo
 tributo  nuovo,  ma  soltanto  una frazione di quanto precedentemente
 dovuto  a  titolo  di  IRPEF,  che,  com'e'  noto,  e'  di  spettanza
 regionale.
   L'art.  9-bis,  comma  2, prevede per le societa' di fatto agricole
 che vengono modificate in imprese agricole individuali che i  tributi
 e  i  diritti  relativi  agli  atti  posti  in  essere  ai fini delle
 modificazioni suddette sono tutti sostituiti da  imposta  sostitutiva
 di L. 500.000.
   Non  v'e'  dubbio  che  il  gettito  di tributi che hanno carattere
 sostitutivo di altre di  spettanza  della  Regione  siciliana  e'  di
 pertinenza dell'erario di quest'ultima.
   L'art.  9-bis,  comma  6, prevede la definizione delle liti fiscali
 pendenti dinanzi alle commissioni tributarie alla data del  1  aprile
 1996 mediante il pagamento di somme rapportate al valore della lite.
   Circa  la  spettanza  regonale  di tali somme si fa rinvio a quanto
 prima affermato in temadi condono, con  l'aggiunta  che,  trattandosi
 nella  specie  di  definizione  di  controversie,  i relativi importi
 potrebbero gia' essere stati contabilizzati e risultare tra i residui
 attivi del bilancio regionale.
   Anche per l'art. 9-bis, commi 12 e ss., che prevedono la riapertura
 dei   termini   per   l'accertamento   con   adesione,   valgono   le
 considerazioni  gia'  formulate  per  i  precedenti  commi  1 e 6 del
 medesimo  articolo,   avendosi   riguardo,   anche   nella   presente
 fattispecie, ad una forma di condono.
   Si  e'  gia' detto della riforma della riscossione delle imposte di
 successione  e  di  quelle  connesse  (bollo,  imposte  ipotecarie  e
 catastali)  prevista  dal  conma  138  dell'art.  3  della  legge  n.
 662/1996.  L'art. 11 della legge impugnata  provvede  ad  attuare  la
 detta  riforma  con  riguardo  alle  imposte  ipotecarie e catastali,
 all'imposta  di  bollo,  alle  tasse  di   trascrizione,   rinviando,
 evidentemente,   ad  un  momento  successivo  l'adozione  di  analogo
 provvedimento per l'imposta sulle successioni.
   Orbene l'attuato diverso sistema di riscossione non puo' comportare
 l'appropriazione da parte dello Stato  del  gettito  dei  tributi  in
 parola che sono di spettanza della Regione siciliana.
   1.2. - Gli interventi disposti con le richiamate norme, pur essendo
 essenzialmente rivolti a procurare, in varie forme, maggiori entrate,
 non  costituiscono,  pero',  "nuove  entrate  tributarie",  che e' la
 condizione precisa che l'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965,  n.  1074,
 recante  norme  di  attuazione  dello  Statuto  siciliano  in materia
 finanziaria, pone alla facolta' dello Stato di riservarsi le  entrate
 spettanti alla regione.
   Invero,  com'e'  noto,  secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma
 Corte la "novita' dell'entrata", che costituisce, appunto, "requisito
 indefettibile" per la devoluzione allo Stato delle entrate tributarie
 riscosse nell'ambito territoriale regionale, caratterizza "le imposte
 di nuova istituzione" o "le  entrate  derivanti  da  un  increfriento
 dell'importo   delle   aliquote   di   imposte  preesistenti"  (sent.
 429/1996).
   Detto   principio   elaborato   dalla  Corte  costituzionale  trova
 esplicito recepimento nelle recenti norme di attuazione dello Statuto
 speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
 provinciale (d.lgs. 24 luglio 1996, n.  432),  il  cui  art.  4,  che
 sostituisce  l'art.  1,  comma  1,  del d.lgvo 16 marzo 1992, n. 268,
 stabilisce, appunto, che puo' essere riservato allo Stato "il gettito
 derivante da maggiorazioni di aliquote o  dall'istituzione  di  nuovi
 tributi
  ..  purche' risulti temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato
 distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile".
   Nel caso di  specie,  non  trattandosi  di  nuovo  tributo  ne'  di
 elevazione  di  aliquota  di  tributi  esistenti, la devoluzione allo
 Stato  dei  maggiori  proventi  disposta  dalle  norme  impugnate  si
 appalesa illegittima.
   Come  osserva  la Corte nella sentenza n. 61 del 1987 l'apposizione
 di "cautele" da parte dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074/1965 (in  specie
 la  "novita'  dell'entrata") alla citata facolta' di riserva, del cui
 esercizio costituisce condizione, e' volta "a  rendere  possibile  il
 controllo  politico  sull'esatto  e  corretto esercizio della deroga"
 contenuta nel richiamato art. 2 della normativa di attuazione.
   Detta  cautela  (novita'   del   provento)   costituisce   pertanto
 essenziale  garanzia  di  legittimita'  costituzionale  della riserva
 operata  dalle  norme  impugnate.  Ma  in  queste  ultime  non   v'e'
 indicazione alcuna dei criteri per la selezione del provento nuovo da
 quello  che  nuovo  non e', di guisa che e' impedito alla regione e a
 codesta Corte  in  questa  sede  il  controllo  sull'esercizio  della
 deroga.
   Le  norme  impugnate invero si limitano a rinviare ad un successivo
 decreto  interministeriale  la  indicazione  dei   predetti   criteri
 selettivi,  impedendo  quel  controllo  sul  corretto esercizio della
 deroga sul punto della novita' del provento che, come detto,  codesta
 Corte   ha  qualificato  siccome  statutaria  cautela  della  regione
 siciliana. Vien meno in tal guisa la prevedibilita'  delle  decisioni
 che    saranno    adottate   dagli   organi   ministeriali   preposti
 all'applicazione  delle  norme  impugnate  con   conseguente   palese
 violazione del principio della certezza del diritto.
   Il  grado  di  tutela  dell'autonomia  finanziaria di cui e' dotata
 statutariamente la regione  siciliana  risulta  infatti  direttamente
 proporzionale  al  grado  di  definizione  della  normativa. In altri
 termini, perche' si abbia effettivita' di tutela occorre che le norme
 che  afferiscono  alla  materia  finanziaria  siano  sufficientemente
 precise   e   dettagliate,  nonche'  ancorate  a  precisi  indicatori
 quantitativi.
   Per le suesposte ragioni le norme impugnate violano l'art. 36 dello
 statuto siciliano e l'art. 2 del d.P.R.  26  luglio  1965,  n.  1074,
 recante norme di attuazione in materia finanziaria.
   1.3.  - Non puo' infine non rilevarsi ancora una volta il vulnus al
 principio di leale cooperazione da parte delle  norme  impugnate  per
 non  avere  le  stesse  previsto  nessuna  forma  di partecipazione e
 consultazione  della  regione  siciliana  nella  determinazione   dei
 maggiori proventi derivanti dagli interventi in parola.
   A  tal  riguardo  va  osservato  come in una materia "vitale" quale
 quella finanziaria, che costituisce uno dei  cardini  della  speciale
 autonomia  di cui e' dotata statutariamente la regione, quest'ultima,
 e' totalmente  ignorata  sia  a  monte  che  a  valle  del  complesso
 procedimento,  legislativo e amministrativo, che, senza il correttivo
 intervento   di   codesta   Corte,   portera'   ancora   una    volta
 all'incameramento  in  favore  dell'erario  statale  di  qualsivoglia
 aumento delle entrate tributarie riscosse in Sicilia.  A  monte,  per
 non  avere  il  Presidente del Consiglio invitato il presidente della
 regione al Consiglio dei Ministri in cui veniva discussa ed approvata
 la normativa finanziaria de qua  facendo  venir  meno  il  necessario
 coordinamento  tra  lo  Stato  e  la regione cui e' mirato l'art. 21,
 terzo comma, dello Statuto; a valle, perche' il  Ministro  competente
 provvedera'  in  assoluta  autonomia  e  senza  alcuna interlocuzione
 regionale a determinare discrezionalmente  il  quantum  dei  maggiori
 proventi  che  affluiranno  allo  Stato con buona pace della speciale
 autonomia finanziaria della regione.