Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 8486 del 7 agosto 1997 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 21 agosto 1997 (rep. n. 21025) rogata dall'ufficiale rogante facente funzioni dott. Claud Nanfito', dirigente del Servizio affari generali della provincia autonoma di Trento (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5; contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato ma alla provincia autonoma di Trento a termini dell'art. 20, comma 1, dello Statuto e delle relative norme di attuazione, di esercitare nella provincia i poteri previsti dall'art. 100 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza in materia di sospensione della licenza degli esercizi pubblici; nonche' per il conseguente annullamento della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 625 del 6 giugno 1997 (all. 3), con la quale si nega la competenza provinciale e si annulla un atto che ne costituisce esercizio, affermando invece la competenza statale; per violazione dell'art. 20, comma 1, dello Statuto e delle relative norme di attuazione, per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o Il presente conflitto e' rivolto a salvaguardare l'attribuzione statutaria alla provincia autonoma di Trento, e precisamente al presidente della Giunta provinciale, del potere di assumere, in veste di autorita' di pubblica sicurezza, i provvedimenti in materia di esercizi pubblici di cui all'art. 100 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza. Per vero, tale attribuzione dovrebbe dirsi pacifica, fondata come essa e' sulla stessa lettera dell'art. 20, comma 1, dello Statuto, in base alla quale "i presidenti delle Giunte provinciali esercitano le attribuzioni spettanti all'autorita' di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti", in materia di "esercizi pubblici" (oltre che, ai sensi dell'elencazione dello stesso art. 20, di industrie pericolose, mestieri rumorosi ed incomodi, agenzie, tipografie, mestieri girovaghi, operai e domestici, malati di mente, intossicati e mendicanti, minori di anni diciotto). Tra le attribuzioni "spettanti all'autorita' di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti", infatti, non si vede come potrebbero non includersi quelle previste dall'art. 100 del predetto testo unico, secondo il quale "il questore puo' sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralita' pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini". D'altronde, la titolarita' provinciale - in subentro ai precedenti poteri del questore - del potere di sospendere ed eventualmente revocare le licenze degli esercizi pubblici per i motivi di cui all'art. 100 t.u. e' sempre stata nel passato pacifica, e riconosciuta dalla stessa questura, che nel corso degli anni ha piu' volte sollecitato la provincia all'emanazione dei provvedimenti in questione, quando ritenesse ne ricorressero i presupposti (cfr., esemplificativamente, le note del 15 aprile 1994 e 13 febbraio 1991: allegati 4 e 5). Ugualmente significativa di un pacifico riconoscimento della competenza e' la circostanza che la provincia autonoma di Bolzano, titolare ovviamente delle medesime attribuzioni della ricorrente, abbia disciplinato la materia con la propria legge 14 dicembre 1988, n. 58 (Norme in materia di esercizi pubblici), attribuendo i poteri previsti dall'art. 100 t.u. al sindaco del comune interessato (art. 47, comma 3). E' ovvio che se non si trattasse di poteri compresi nella complessiva devoluzione statutaria alle province, la provincia autonoma di Bolzano non avrebbe potuto legittimamente disporre la competenza del sindaco. L'incontestata legislazione della provincia di Bolzano costituisce dunque conferma sul piano storico-positivo del diritto vivente del subentro delle province autonome allo Stato nella titolarita' dei corrispondenti poteri. Con provvedimento del 10 luglio 1986 il presidente della provincia autonoma di Trento ha, come in altri casi, esercitato quella che riteneva e ritiene essere la propria competenza ai sensi delle disposizioni sopra menzionate, disponendo la sospensione per 30 giorni dell'autorizzazione all'apertura del bar-trattoria "Carmen" di Trento, in quanto questo risultava essere abituale punto di incontro di pregiudicati e prostitute, che se ne servivano come base per i rispettivi traffici illeciti e attivita'. Tale provvedimento (il cui merito specifico ovviamente qui non rileva per nulla) veniva impugnato dai titolari dell'esercizio, i quali accampavano diversi motivi di illegittimita' (insufficienza di motivazione, sviamento ed eccesso di potere, violazione di legge), in primo luogo tuttavia affermando la "incompetenza assoluta" del presidente della provincia. Inopinatamente - dal punto di vista della ricorrente provincia - il TRGA di Trento con la decisione n. 55 del 1987 accoglieva il ricorso sulla base di tale asserita incompetenza assoluta, affermando in pratica il difetto di attribuzione della provincia in materia; ed ancor piu' inopinatamente il Consiglio di Stato - adito dalla provincia di Trento per ottenere il riconoscimento della propria attribuzione - con l'impugnata sentenza confermava tale decisione. In tale modo, tuttavia, il giudice amministrativo, negando la titolarita' provinciale dei poteri previsti dall'art. 100 t.u. p.s. (sulla base di una arbitraria riduzione delle attribuzioni provinciali alle sole questioni attinenti alla regolarita' dell'attivita' commerciale) e simmetricamente affermando la titolarita' statale ha compiuto una vindicatio allo Stato di una attribuzione spettante alla stessa provincia: una vindicatio che non perde il proprio carattere lesivo per il fatto di provenire non dall'organo amministrativo interessato ma da un organo deputato all'esercizio della funzione giurisdizionale. Al contrario, proprio in quanto proveniente non dall'organo amministrativo statale che si afferma titolare della funzione, ma da un organo giurisdizionale, la lesione si presenta anche piu' grave, in quanto non suscettibile di altra riparazione se non da parte di codesta ecc.ma Corte costituzionale, in quanto supremo organo di garanzia delle rispettive sfere di attribuzione tra lo Stato da una parte e delle regioni e province autonome dall'altra. In effetti, la titolarita' provinciale della funzione risulta fondata giuridicamente, e corrispondentemente l'impugnata sentenza risulta erronea, arbitraria ed illegittimamente invasiva, per le seguenti ragioni di D i r i t t o Come esposto in narrativa, l'art. 20, comma 1, dello Statuto, statuisce che "i presidenti delle Giunte provinciali esercitano le attribuzioni spettanti all'autorita' di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti", in materia di "esercizi pubblici" oltre che di industrie pericolose, mestieri rumorosi ed incomodi, agenzie, tipografie, mestieri girovaghi, operai e domestici, malati di mente, intossicati e mendicanti, minori di anni diciotto. Nel contesto proprio di questa disposizione, appare assolutamente impossibile intendere la competenza in materia di esercizi pubblici siccome limitata agli aspetti relativi alla "regolarita' commerciale" dell'esercizio, come negli esempi portati dall'impugnata sentenza della "irregolarita' di servizi igienici" o della "pericolosita' degli impianti": esempi che, rapportati alla definizione statutaria di autorita' di pubblica sicurezza, appaiono al limite della irrisorieta'. D'altronde, tale interpretazione limitatrice non solo e' arbitraria in relazione alla materia degli esercizi pubblici, ma e' addirittura impossibile in relazione ad altre materie pure elencate dall'art. 20, come sopra riportate. Essa e' priva di senso, ad esempio, in relazione ai "malati di ment", ed agli "intossicati e mendicanti". Va invece affermato che la normativa statutaria chiaramente individua il presidente della Giunta provinciale quale autorita' ordinaria di pubblica sicurezza - nel medesimo senso che il termine ha ed ha tradizionalmente avuto per le autorita' statali - per le materie di competenza provinciale, e segnatamente per quelle indicate dallo stesso art. 20. La competenza statutaria provinciale e' confermata da una corretta analisi delle altre disposizioni statutarie in materia, e dall'analisi della normativa di attuazione. Cosi' in primo luogo quanto ora illustrato e' suffragato dal comma 3 dello stesso art. 20, secondo il quale "le altre attribuzioni che le leggi di pubblica sicurezza vigenti devolvono al prefetto sono affidate ai questori". Le "altre attribuzioni" sono infatti le attribuzioni nelle altre materie, cioe' le attribuzioni di pubblica sicurezza che, non connettendosi alle materie prima elencate non sono assegnate al presidente della Giunta provinciale. Tali attribuzioni rimangono statali, e di esse si dispone, per evidenti ragioni organizzative, la competenza del questore. Ancora, la competenza provinciale e' confermata (e non, come erroneamente ritenuto nell'impugnata sentenza, contraddetta) dalla disposizione dell'art. 9, n. 7 Statuto, la' ove dispone che la salvezza dei "poteri di vigilanza dello Stato, ai fini della pubblica sicurezza" e della "facolta' del Ministero dell'interno di annullare d'ufficio, ai sensi della legislazione statale, i provvedimenti adottati nella materia, anche se definitivi". E' evidente infatti che il coordinamento con i poteri - in parte anche sovraordinati - del Ministero si spiega proprio in quanto i provvedimenti provinciali ineriscono alla materia della pubblica sicurezza in tutta la sua estensione, mentre non ve ne sarebbe ragione alcuna se il riparto delle competenze riservasse alla sola autorita' statale di provvedere in materia di sicurezza pubblica. Ugualmente, infine, la competenza provinciale in materia di pubblica sicurezza in relazione alle autorizzazioni commerciali non e' affatto contraddetta dai disposti dell'art. 21 Statuto, secondo cui "i provvedimenti dell'autorita' statale adottati per motivi di ordine pubblico, che incidono, sospendono o comunque limitano l'efficacia di autorizzazioni dei presidenti delle Giunte provinciali in materia di polizia o di altri provvedimenti di competenza della provincia, sono emanati sentito il presidente della Giunta provinciale competente". E' chiaro infatti che il senso di tale disposizione non e' affatto quello di stabilire una particolare nuova competenza statale, ma al contrario quello di stabilire una garanzia di partecipazione procedimentale per la provincia in relazione ai provvedimenti di competenza statale in materia di ordine pubblico, quando questi in qualunque modo vengano ad interferire con provvedimenti di competenza provinciale. Il quadro statutario cosi' delineato e' pienamente confermato dalle disposizioni di attuazione. In particolare, l'art. 3 del d.P.R. 1 novembre 1973, n. 686, dispone che "nelle materie di cui all'art. 20, primo comma, dello statuto, i provvedimenti che le leggi attribuiscono all'autorita' provinciale di pubblica sicurezza sono adottati, nell'ambito del rispettivo territorio, dal presidente della Giunta provinciale" (comma 1), e che tali provvedimenti "sono comunicati al questore della provincia". Inoltre, l'art. 4, nel confermare le attribuzioni provinciali dell'art. 3, elenca su un piano generale le autorita' di pubblica sicurezza operanti nella provincia, identificandole nei presidenti delle Giunte provinciali, nei questori, nei funzionari di pubblica sicurezza, nei sindaci. Ed in particolare la competenza dei questori e' stabilita "per tutte le materie non di competenza delle due province e diverse da quelle indicate nel primo comma dell'art. 20 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670", cioe' nello Statuto. Insomma, anche le norme di attuazione confermano che nella regione Trentino-Alto Adige il riparto di competenze tra residenti delle province e questori quali autorita' di pubblica sicurezza si opera per materia, e non in relazione a presunte differenze tra gli interessi perseguiti con i rispettivi provvedimenti o a presunti "tipi" di provvedimento. Di fronte alla chiara statuizione statutaria della attribuzione provinciale, la contraria affermazione e la radicale negazione della competenza provinciale contenute nell'impugnata sentenza non possono che rivelarsi il frutto di una serie di errori e travisamenti logici e giuridici. Cio' e' puntualmente confermato, ad avviso della ricorrente provincia autonoma di Trento, da una puntuale analisi della motivazione. A tale puntuale analisi della motivazione la provincia autonoma di Trento non intende sottrarsi, per ovvie esigenze di completezza difensiva. Va tuttavia sottolineato che in questa sede si censura la sentenza non in particolare per questo o quell'errore logico-giuridico, ma in sintesi per la negazione che essa contiene della attribuzione provinciale, e per la corrispondente affermazione della competenza statale. Sul piano logico-fattuale, arbitrariamente il Consiglio di Stato assume che il provvedimento sarebbe stato adottato "per motivi di ordine pubblico", e che rientrerebbe percio' in un presunta genus dei "provvedimenti per l'ordine pubblico". Per dimostrare tale assunto il giudice amministrativo si basa fondamentalmente sulla circostanza indiscussa che la provincia abbia inteso esercitare i poteri di cui all'art. 100 t.u.p.s. Ma che tali poteri diano luogo a speciali provvedimenti del tipo "per l'ordine pubblico", come distinti dalle misure proprie della pubblica sicurezza, e' una pura petizione di principio che il giudice non dimostra ne' potrebbe dimostrare. Di seguito, poi, il giudice argomenta che non puo' dubitarsi che le misure in questione attengano a fatti rilevanti "per l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza", identificando peraltro in realta' il tutto con il solo ordine pubblico concepito come comprensivo della pubblica sicurezza, e come integralmente di attribuzione statale, in contrapposizione ai soli profili di "irregolarita' commerciale" di competenza provinciale. Ma e' evidente che in questo modo si ignora e si riduce a zero la qualifica del presidente della provincia quale autorita' di pubblica sicurezza. La ragione per la quale il giudice tanto insiste su una presunta natura di provvedimenti "per l'ordine pubblico" di quelli previsti dall'art. 100 t.u.p.s. sta d'altronde in un ulteriore errore, consistente nell'intendere l'art. 21 dello Statuto di autonomia come fondante una speciale competenza statale, anziche' come fondante una garanzia di partecipazione della Provincia negli atti che - in relazione al riparto statutario gia' stabilito - siano di competenza statale. Ancora, il giudice arbitrariamente e paradossalmente intende la salvezza dei poteri ministeriali di annullamento d'ufficio dei provvedimenti provinciali come una prova dell'assenza di competenza provinciale in materia. Ed ancora, esso intende la disposizione del comma 3 dell'art. 20 non - secondo quanto sopra si e' illustrato - come la assegnazione alla competenza del questore dei provvedimenti in materia di pubblica sicurezza che - non attenendo alle materie elencate nel comma 1 - rimangono di competenza statale, bensi' - incomprensibilmente - come se si trattasse di una riserva allo Stato delle attribuzioni di pubblica sicurezza esattamente nelle materie elencate dal comma 1. Tra l'altro, nel caso specifico e' erroneo anche il riferimento alle "altre attribuzioni che le leggi di pubblica sicurezza devolvono al prefetto", essendo comunque quella dell'art. 100 t.u.p.s. sempre stata una competenza propria del questore. Ne' minimamente pertinente e' l'osservazione del giudice che i poteri dell'art. 100 citato "non rientrano tra i compiti di polizia amministrativa trasferiti alle regioni ai sensi del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616". A parte il fatto che la questione e' controversa (tanto che il TAR Lombardia, sez. III, 14 febbraio 1996, n. 161, ha deciso in senso diametralmente opposto, annullando per tale ragione un atto del questore), e non potrebbe costituire percio' elemento certo di una argomentazione, il punto decisivo e' che non si trattava nel caso di interpretare la normativa concernente le regioni ordinarie, ma di dare puntuale applicazione alle disposizioni statutarie di rango costituzionale.