LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da:
     1) Morrone Giuseppe nato il 3 gennaio 1968;
     2) Giannetti Giovanni nato il 28 marzo 1970;
     3) Cianciaruso Salvatore nato il 25 luglio 1959,
 avverso ordinanza dell'11 novembre 1996 del tribunale della  liberta'
 di Lecce;
   Sentita la relazione fatta dal consigliere Gironi Emilio;
   Sentite  le  conclusioni  del  p.m.  dr. Galgano per il rigetti dei
 ricorsi;
   Udito il difensore avv. Speziale.
                        Svolgimento del processo
   Con ordinanza in data 11 novembre 1996 il tribunale  di  Lecce,  in
 sede  di  riesame,  ex art. 309 c.p.p., ha confermato l'ordinanza del
 g.i.p. del medesimo tribunale  in  data  1  agosto  1996,  che  aveva
 applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti
 di Morrone Giuseppe, di Giannetti Giovanni e di Motolese Cosimo quali
 soggetti  gravemente  indiziati  di  concorso  in omicidio (tentato o
 consumato) e nei connessi reati di detenzione  e  porto  illegali  di
 arma da sparo.
   Avverso  l'ordinanza  del  tribunale  del  riesame  hanno  proposto
 ricorso per cassazione  tutti  gli  indagati,  a  mezzo  del  proprio
 difensore,   deducendo,   quale  primo  motivo  di  impugnazione,  la
 sopravvenuta  efficacia  dell'ordinanza  custodiale  per  il  mancato
 rispetto,   da  parte  del  presidente  del  collegio,  dell'obbligo,
 stabilito dall'art. 309, comma 5, c.p.p., di  dare  immediato  avviso
 all'autorita'   giudiziaria  procedente  dell'avvenuta  presentazione
 della richiesta di  riesame;  l'avviso  in  parola  sarebbe,  invero,
 stato,  secondo  i  ricorrenti, dato "a distanza di settimane", cosi'
 vanificandosi l'avvenuto rispetto del termine  massimo  di  giorni  5
 dalla  ricezione  dell'avviso  posto  dalla  medesima  norma  per  la
 trasmissione dei prescritti atti all'organo del riesame.
   Con ulteriori motivi i ricorrenti sindacavano, inoltre,  l'apparato
 argomentativo  del  provvedimento  impugnato  in punto di valutazione
 degli indizi ravvisati a carico di  ciascuno  di  essi,  denunziando,
 altresi',  l'illegittimita'  dell'ordinanza  applicativa della misura
 per asserito difetto di elementi prescritti a pena di nullita'.
   Con ordinanza in data 25 marzo 1997  la  prima  sezione  penale  di
 questa Corte, ritenute la pregiudizialita' e la natura potenzialmente
 assorbente   della   questione   relativa  alla  dedotta  inefficacia
 sopravvenuta dell'ordinanza custodiale  e  rilevata  la  possibilita'
 dell'insorgenza  di  un  contrasto  giurisprudenziale  in ordine alla
 rilevanza ed agli effetti dell'inosservanza, da parte del  presidente
 del   tribunale,   dell'obbligo  di  immediato  avviso  all'autorita'
 procedente dianzi  specificato,  rimetteva  i  ricorsi  alle  sezioni
 unite,  a norma dell'art.  618 c.p.p., contemplante, accanto a quella
 di un contrasto attuale, anche l'ipotesi di  un  contrasto  meramente
 eventuale,  a  prevenire  il  quale  appare finalizzata l'investitura
 delle sezioni unite medesime.
   Si  evidenziava,  infatti,  nella  predetta ordinanza di rimessione
 come gli unici precedenti di legittimita'  in  materia  (Cass.,  sez.
 II,  12  marzo  1996 - cam. cons. 22 febbraio 1996, Todisco, in Mass.
 Cass. pen., 1996, fasc. 5,  pag. 108, mass. 204.262 e Cass., sez.  I,
 9 luglio 1996 - cam. cons. 28 maggio 1996, Causo,  id.,  1996,  fasc.
 10,    pag.  39, mass, 205.421) fossero attestati nel senso della non
 perentorieta' della prescrizione di  immediatezza  dell'avviso  della
 presentazione  della  richiesta di riesame all'autorita' procedente e
 della conseguente inesistenza di sanzione processuale (in particolare
 della perdita di efficacia della  misura  custodiale,  ex  art.  309,
 comma  10, c.p.p.) in ipotesi di sua inosservanza e come, per contro,
 argomenti testuali e  sistematici  consentissero  anche  una  diversa
 lettura  della  disciplina normativa: osservava, in particolare, quel
 collegio, a sostegno della ravvisata ipotizzabilita'  dell'insorgenza
 di  un  contrasto  giurisprudenziale sul punto, che l'interpretazione
 sino ad allora data al combinato disposto dei commi 5, I parte, e 10,
 dell'art. 309 cit. non sembrava  l'unica  plausibile,  "potendosi  il
 riferimento alla mancata trasmissione degli atti ''nei termini di cui
 al  comma 5'', che leggesi nel comma 10 dell'art. 309, intendere come
 comprensivo  del  termine   sotteso   all'obbligo   di   immediatezza
 dell'avviso  all'autorita'  procedente  da  parte  del presidente del
 tribunale",  assegnando  anche  alla  prescrizione  dell'immediatezza
 dell'avviso  valenza  di  termine processuale e considerando l'ambito
 della sanzione della perdita di efficacia  dell'ordinanza  impositiva
 della  misura,  di cui al comma 10, "come estesa all'inosservanza del
 complessivo disposto dell'art. 309, comma 5 e di tutti i  termini  in
 esso   considerati,   ivi   incluso   quello  per  l'avviso  all'A.G.
 procedente,
  ..  ritenendo  il  termine  per  la  trasmissione  degli  atti  come
 necessariamente  connesso  e coordinato a quello per la comunicazione
 dell'avviso e da questo inscindibilmente  dipendente  ai  fini  della
 verifica della sua avvenuta osservanza".
   Nell'ordinanza  di  rimessione  alle S.U. si puntualizzava, infine,
 che la questione in esame doveva  ritenersi  legittimamente  proposta
 innanzi  alla  Corte  di  legittimita',  anziche' dinnanzi al g.i.p.,
 essendo contestualmente state prospettate anche questioni concernenti
 la legittimita' originaria del provvedimento custodiale e risultando,
 pertanto, rispettate le statuizioni al riguardo adottate dalle stesse
 sezioni unite penali di questa Corte con  sentenze  20  luglio  1995,
 Galletto,  Cass. pen., 1995, 2874 e 17 aprile 1996, Moni, Mass. Cass.
 pen., 1996, fasc. 9, 73, mass. 205.255).
   Con provvedimento in  data  29  aprile  1997  i  ricorsi  venivano,
 peraltro,  restituiti alla I sezione di questa Corte, rilevandosi che
 "la prospettazione in termini meramente  ipotetici  di  un  contrasto
 giurisprudenziale...    non costituisce di per se' ragione perche' la
 sezione possa rimettere la questione alle  s.u.,  il  cui  intervento
 rimane  eccezionale  rispetto  alla  normale  attivita' delle sezioni
 semplici".
   Nuovamente investita dell'esame dei  ricorsi,  questa  sezione,  in
 diversa  composizione  rispetto  a  quella che adotto' l'ordinanza di
 rimessione in data 25 marzo 1997, a cio' sollecitata dai  ricorrenti,
 che  hanno  sollevato la questione stessa subordinatamente al mancato
 accoglimento del loro ricorso, ritenutane la rilevanza  ai  fini  del
 decidere,  ha  giudicato  non manifestamente infondata la prospettata
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e 10,
 c.p.p.  in  relazione agli artt. 3, 13 e 24 Cost., nella parte in cui
 la  disciplina  codicistica  non  prevede  la  perdita  di  efficacia
 dell'ordinanza  impositiva di misura coercitiva in caso di violazione
 dell'obbligo imposto al presidente del tribunale  di  dare  immediato
 avviso all'autorita' giudiziaria procedente della presentazione della
 richiesta di riesame.
                         Motivi della decisione
   Premessa  della  presente  ordinanza  e' l'assunzione, da parte del
 collegio, della portata precettiva  della  disciplina  impugnata  nel
 senso   gia'   definito   da  diverse  sezioni  di  questa  Corte  di
 legittimita' con le menzionate sentenze 12 marzo 1996, Todisco, e  28
 maggio  1996,  Causo, in ragione del quale la violazione dell'obbligo
 di   immediato   avviso    all'autorita'    giudiziaria    procedente
 dell'avvenuta  presentazione  della  richiesta di riesame, imposto al
 presidente del tribunale dalla prima parte del comma 5 dell'art.  309
 c.p.p.,  non  potendosi nella disposizione ravvisare la fissazione di
 un  termine  perentorio,  risulta   priva   di   qualsiasi   sanzione
 processuale  ed,  in particolare, esente dalla sanzione della perdita
 di  efficacia  dell'ordinanza  custodiale  comminata  dal  comma   10
 dell'art.  309  per  il  caso di mancata trasmissione degli atti "nei
 termini di cui al comma 5".
   L'assunzione di tale accezione interpretativa della  disciplina  in
 esame  alla  stregua  di "diritto vivente" e, comunque, di necessaria
 premessa della ritenuta non manifesta  infondatezza  della  sollevata
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  oltreche' confortata da
 plurime pronunzie di diverse sezioni  di  questa  Corte,  appare,  in
 certa  misura,  legittimata  dalla  mancata  decisione  dei  presenti
 ricorsi da parte delle  sezioni  unite,  che,  quantomeno  sul  piano
 formale,    ha    contribuito   alla   cristallizzazione   dell'unico
 orientamento fin qui espresso dalla giurisprudenza  di  legittimita',
 ed,  altresi', avvalorata da un argomento esegetico, desumibile dalla
 formulazione dell'art. 172, comma 1, c.p.p., secondo cui  "i  termini
 processuali  sono  stabiliti  a ore, a giorni, a mesi o ad anni", con
 conseguente inconfigurabilita' di un vero e proprio termine in  senso
 tecnico-giuridico  laddove  la  norma si limiti, come nella specie, a
 prescrivere, genericamente, un obbligo di "immediato"  compimento  di
 un  dato  adempimento, per la verifica della cui osservanza non possa
 farsi riferimento a precise e convenzionali scansioni temporali quali
 quelle considerate dall'art.  172 cit.
   Deve, dunque, in  definitiva  convenirsi  sulla  valenza  meramente
 ordinatoria  dell'obbligo di immediato avviso di cui alla prima parte
 del comma 5 dell'art. 309 c.p.p. e sulla non  riconducibilita'  della
 sua   violazione,   allo  stato  sprovvista  di  qualsiasi  sanzione,
 all'ambito della previsione di cui  al  successivo  comma  10,  prima
 parte,  del  medesimo  articolo,  da ritenersi circoscritta alla sola
 inosservanza dei termini (quello minimo di un giorno e quello massimo
 di cinque giorni, decorrenti dalla ricezione  dell'avviso)  stabiliti
 per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame.
   Cosi'  univocamente  interpretata, la disciplina codicistica non si
 sottrae,   peraltro,   a   fondati   sospetti    di    illegittimita'
 costituzionale  per  violazione degli artt. 3, primo comma, 13, primo
 comma, e 24, secondo comma, della Carta fondamentale. Sotto il primo,
 piu' rilevante, profilo il combinato dei commi 5 e 10  dell'art.  309
 c.p.p.,  quale  risultante dalle modifiche introdotte con la legge n.
 332/1995, manifestamente finalizzate ad un'estensione delle  garanzie
 dell'indagato colpito da misura custodiale e dirette ad assicurare la
 piu'  rapida  definizione  del procedimento di riesame dell'ordinanza
 limitativa dello status libertatis  del  soggetto,  sembra,  infatti,
 consentire una irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni
 omologhe   e   meritevoli   di  eguale  tutela,  sanzionando  con  la
 caducazione dell'efficacia della misura ogni ritardo,  anche  minimo,
 nella  trasmissione  dei  necessari  atti  al  giudice  del riesame e
 lasciando, invece, priva di  sanzione  processuale  qualsiasi,  anche
 rilevante,    dilazione   nella   comunicazione   dell'avviso   della
 presentazione della richiesta di  riesame  all'autorita'  procedente,
 cosi'   sostanzialmente  vanificando  l'effettivita'  delle  garanzie
 introdotte dal legislatore e lasciando inopinatamente affidata ad una
 variabile  indipendente  dal  resto  della   sequela   procedimentale
 l'inizio  del  decorso  del  rigoroso  termine  stabilito,  a pena di
 inefficacia del provvedimento cercitivo, per  la  trasmissione  degli
 atti al tribunale.
   Tale   disciplina,  ingiustificatamente  discriminatoria  e  lesiva
 dell'interesse alla  cui  salvaguardia  tende  la  programmaticamente
 rigorosa    (ma,    di    fatto,   lacunosa)   procedimentalizzazione
 dell'incidente de libertate, appare gravemente  contrastante  con  il
 principio   di   ragionevolezza   sotteso   alla  prima  delle  norme
 costituzionali invocate, non rinvenendosi alcuna  plausibile  ragione
 che valga a spiegare i denunciati limiti di tutela del bene giuridico
 protetto    e   l'apparente   arbitrarieta'   delle   diversita'   di
 regolamentazione di situazioni sostanzialmente omologhe e postulanti,
 nel rispetto del principio di  eguaglianza,  identita'  di  soluzioni
 normative.
   La  denunziata  irragionevolezza  della disciplina positiva appare,
 inoltre,  in  via  derivata,  contrastante   con   le   altre   norme
 costituzionali   invocate,  dalla  sua  arbitrarieta'  ed  intrinseca
 incoerenza derivando pregiudizio  per  una  reale,  e  non  meramente
 formale  e  nominalistica,  tutela  della liberta' personale e per la
 effettivita' del diritto di difesa, non adeguatamente garantite da un
 meccanismo  processuale  che,  consentendo  la  persistenza   di   un
 passaggio  procedimentale  il  cui  rispetto  non  e'  presidiato  da
 sanzioni di sorta, risultando rimesso esclusivamente  alla  diligenza
 dell'organo  competente,  rischia  di  vanificare tutto il sistema di
 tutela approntato dal legislatore, a nulla, ovviamente, rilevando  la
 rigorosa osservanza dei termini di cui all'art. 309, comma 10, c.p.p.
 ove  la  procedura  di  riesame  non  possa,  in  concreto,  divenire
 operativa per l'ingiustificato ritardo del presidente  del  tribunale
 nella  comunicazione  del  prescritto avviso, di cui con disposizione
 solo ordinatoria viene prescritta l'immediatezza.
   La  risoluzione  della  prospettata   questione   di   legittimita'
 costituzionale    appare,    infine,    indubbiamente   rilevante   e
 pregiudiziale rispetto alla  definizione  dei  ricorsi  sottoposti  a
 questa  Corte, risultando, in punto di fatto, documentalmente provato
 (v. ff. 1 e 2) che il  deposito  della  richiesta  di  riesame  nella
 cancelleria  del tribunale avvenne in data 23 ottobre 1996 e che solo
 in data 2 novembre 1996 il  presidente  dispose  che  ne  fosse  dato
 avviso  all'autorita'  procedente, non opinabile, pertanto, apparendo
 l'inosservanza  dell'obbligo  di  immediatezza  di  cui  al  comma  5
 dell'art.   309   c.p.p.,   da   intendersi   come  equivalente  alla
 prescrizione  di  provvedere  non   appena   sia   configurabile   la
 possibilita'  materiale  e giuridica dell'adempimento: l'accoglimento
 della sollevata eccezione, sancendo, ai fini della comminata  perdita
 di  efficacia  dell'ordinanza custodiale, l'equiparazione del ritardo
 nell'avviso   al   ritardo   nella   trasmissione   degli   atti    o
 nell'intervento  della  decisione,  imporrebbe, invero, di dichiarare
 caducato il provvedimento  coercitivo,  cui  gli  indagati  risultano
 tuttora  sottoposti  in forza dell'ordinanza del g.i.p. del tribunale
 di Lecce in data 1 agosto 1996.