IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza di rinvio degli atti alla Corte costituzionale; letti gli atti del procedimento n. 3797/97 r.g.g.i.p. nei confronti di Bizzaro Francesca, nata a Pontecagnano Faiano (SA) il 3 aprile 1958, residente a Udine V.le Palmanova n. 275/A; persona sottoposta ad indagini in ordine al reato p. e p. dall'art. 51 comma 2 decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997; Vista la richiesta del pubblico ministero pervenuta in data 5 maggio 1997 con la quale si chiede l'archiviazione del procedimento, ai sensi dell'art. 554 c.p.p., non essendo il fatto piu' previsto dalla legge come reato. Premesso in fatto che, a seguito di controllo effettuato in data 11 febbraio 1997 dagli ispettori dell'A.S.S. n. 4 "Medio Friuli" presso la ditta gestita dall'indagata, esercente attivita' di lavanderia, in possesso di autorizzazione allo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici nocivi costituiti da fanghi derivanti dalla distillazione macchina lavasecco per un quantitativo di kg. 50, rilasciata in data 9 agosto 1994 dall'assessore regionale all'ambiente, veniva accertato quanto segue: 1) l'inizio dello stoccaggio provvisorio - prima movimentazione di carico - riporta la data del 6 giugno 1994, mentre il decreto autorizzativo e' stato emanato in epoca successiva come anzi indicato, su istanza di data 1 marzo 1994; 2) dall'esame del registro di carico e scarico risultano due annotazioni relative a movimentazioni di scarico: la prima in data 24 marzo 1995 per kg. 87,5 e la seconda in data 14 novembre 1996 per kg. 108,5, a fronte di uno stoccaggio provvisorio autorizzato sino a kg. 50; un'altra operazione di scarico per kg. 70 di terre filtranti e' stata effettuata in data 26 marzo 1996. Tali rifiuti venivano smaltiti mediante il conferimento ad una ditta regolarmente autorizzata e, come si desume dai formulari di identificazione in atti, corrispondono al codice CER n. 140203 che, nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22/1997, e' ricompreso nel gruppo n. 1402 denominato "Rifiuti dalla pulizia di tessuti", sottogruppo "Fanghi o rifiuti solidi contenenti solventi alogenati". Il pubblico ministero rileva che, nel caso di specie, risultano rispettati i parametri di cui all'art. 6, lett. m), decreto legislativo n. 22/1997, in particolare, il n. 2 della lett. m) e, pertanto, non essendo piu' tale attivita' assoggettata ad autorizzazione ai sensi dell'art. 28, comma 5 dello stesso decreto, lo stoccaggio non assentito (per il periodo 6 giugno 1994-9 agosto 1994), gia' punito ai sensi dell'art. 26 d.P.R. n. 915/1982, non integra piu' fatti penalmente rilevanti ex art. 51 comma 2 decreto legislativo citato. Queste osservazioni possono condividersi in riferimento alla compatibilita' con i limiti quantitativi dei rifiuti stoccati che, secondo un criterio di comune esperienza, sono senza dubbio inferiori a 10 mc. e, tale circostanza, risulta da sola sufficiente a soddisfare il requisito di cui all'art. 6, lett. m) n. 2, stante la previsione alternativa dei due parametri: quantitativo, ovvero temporale; in relazione al tempo di sosta dei rifiuti, tenuto conto delle cadenze di asporto anzi indicate, risulta inosservato, nel caso di specie, il secondo parametro di cui all'art. 6, lett. m) n. 2. Considerata l'opportunita' di sottoporre d'ufficio al giudizio della Corte costituzionale la questione di legittimita' degli artt. 28, comma 5 e 6, lett. m) decreto legislativo n. 22/1997 in relazione alla disciplina sui rifiuti pericolosi ivi indicata, per violazione delle norme di cui agli artt. 3, 10, 11 e 76 della Costituzione: O s s e r v a La nuova normativa introdotta con il d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 esclude dalle operazioni di gestione e stoccaggio, il deposito temporaneo dei rifiuti pericolosi, inteso come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo di produzione a determinate condizioni. In particolare, tra gli altri requisiti di cui all'art. 6, lett. m), decreto legislativo n. 22/1997, al punto n. 2 viene stabilito il quantitativo di rifiuti pericolosi depositato non deve superare i 10 metri cubi, ovvero i rifiuti stessi devono essere asportati con cadenza almeno bimestrale. I requisiti del deposito temporaneo. Dalla lettura della norma, la previsione dei due criteri inerenti, rispettivamente, il primo il volume di 10 mc. ed il secondo il tempo di permanenza bimestrale, appare alternativa: il produttore di rifiuti pericolosi deve osservare, affinche' la sua attivita' si possa configurare come "deposito temporaneo", l'uno o l'altro parametro. Detta conclusione non pare ne' controversa in dottrina (v. G. Amendola, Foro It., 1997, V, p. 106; P. Giampietro, Ambiente, 1997, p. 319) ne' opinabile con soluzioni interpretative diverse atteso che il termine "ovvero", collocato dopo la virgola, e' una congiunzione avversativa delle due condizioni fra le quali e' posto, sopra indicate e non consente un'applicazione congiunta dei due parametri; la sostanziale diversita' di significato dei due criteri impedisce, sia dal punto di vista grammaticale che logico, di attribuire a tale congiunzione anche la valenza di "cioe'" o "e" che pure puo' assumere il termine "ovvero" nella lingua italiana. Pertanto, fino a quando il produttore di rifiuti pericolosi non raggiungera' la cubatura prevista non sara' obbligato a procedere all'asporto; nel caso invece osservi la cadenza bimestrale per il conferimento altrove dei rifiuti pericolosi potra' stoccare quantitativi superiori senza alcun limite, ai 10 m.c. L'art. 28, comma 5, esonera dall'autorizzazione regionale ivi prevista, il produttore di rifiuti che effettua il deposito temporaneo nel rispetto delle menzionate condizioni, assoggettandolo agli adempimenti dettati con riferimento al registro di carico e scarico (art. 12) ed al divieto di miscelazione (art. 9). Non puo' sfuggire che siffatta disciplina consente un ammasso permanente di rifiuti pericolosi nella misura di 10 m.c., ovvero un accumulo sconfinato di rifiuti con la sola condizione che ogni due mesi venga asportato in assenza, in fatto ed in diritto, di qualunque controllo preventivo; in proposito la semplice "notizia" da inviare alla provincia (art. 6, lett. m), n. 6), in alcun modo tutelata (l'art. 51 d.lgs. n. 22/1997 e' inerente alla comunicazione che, in ossequio al principio di legalita' e di tassativita', corrisponde a ipotesi ben diversa ex art. 33) non offre alcuna garanzia neppure per i controlli da effettuarsi successivamente. In proposito, come sottolinea un chiaro autore "si tratta, come e' evidente, di condizioni difficilissime da controllare; qualora ci fosse un controllo, l'azienda potrebbe, infatti, tranquillamente dire, se si trova una quantita' di rifiuti superiore, che ce li ha appena messi e li asportera' entro due mesi. Tanto, le annotazioni sul registro (che puo' anche, in alcuni casi essere tenuto da associazioni di categoria o sostituito da altri documenti) deve farle non immediatamente ma con cadenza settimanale (art. 12, comma 1) e, se anche le fa false, rischia, al massimo, solo una sanzione amministrativa (art. 52, comma 2)" (v. G. Amendola cit.). Nella sua realta' fenomenica, il deposito "temporaneo" della nuova disciplina corrisponde allo stoccaggio (art. 6, lett. l ), non potendosi ravvisare differenze sostanziali, stante l'omogeneita'/identita' delle situazioni a confronto e la sussistenza in entrambe le ipotesi di quella pericolosita' per l'ambiente che la legge vuole evitare, tra la prima attivita' ed il "deposito preliminare" (o messa in riserva) di rifiuti presso un terzo, che svolge operazioni di smaltimento (o recupero), il quale invece deve ottenere la prescritta autorizzazione anche per volumi inferiori ai 10 m.c. o per depositi con tempi di sosta minori di due mesi (art. 28, comma 1). Non solo, la nuova configurazione del deposito temporaneo appare del tutto incompatibile anche con i concetti elaborati dalla giurisprudenza in riferimento alla normativa pregressa, parametri che sono da ritenersi attuali ed operativi, atteso che il d.P.R. n. 915/1982 era stato emanato, come il decreto ora vigente, in applicazione della normativa comunitaria che, per i profili esaminati, non e' stata modificata. La Suprema Corte, piu' volte e' intervenuta affermando che: lo "stoccaggio provvisorio", diversamente dall'"accumulo temporaneo", costituente il risultato finale della "produzione" del rifiuto stesso, precariamente ammassato, sotto il diretto controllo del produttore, in attesa di smaltimento, si qualifica per il carattere non precario dell'ammasso, non piu' direttamente controllato dal produttore quale fase finale del ciclo e oggettivamente destinato alle ulteriori fasi di smaltimento contemplate nell'art. 16 del d.P.R. n. 915/1982 (cfr. Cass. sez. III, 12 febbraio 1996, ud. 7 novembre 1995, Ciriani); solo nell'ipotesi in cui i rifiuti siano trattenuti in attesa del loro ritiro da parte di ditte specializzate e tale ritiro sia frequente e, comunque, a scadenze molto ravvicinate, puo' escludersi che la detenzione dei rifiuti per brevissimi periodi integri lo stoccaggio provvisorio (cfr. Cass. sez. 3, 24 aprile 1992, Carobbi; Cass. sez. III, 19 dicembre 1990, Silla). La normativa comunitaria. Per effetto dei principi sanciti dagli artt. 9 e 10 della direttiva 91/156/CEE, gli stabilimenti od imprese che effettuano operazioni di smaltimento (v. All. II A dir. 91/156/CEE) e recupero (v. All. II B dir. 91/156/CEE) dei rifiuti sono soggetti ad autorizzazione, volta a valutare la compatibilita' degli interessi privati con le finalita' di tutela dell'ambiente e di pubblico interesse indicate nell'art. 4 della direttiva. Il regime in deroga all'obbligo dell'autorizzazione e' statuito dagli artt. 11 e 12 della dir. 91/156/CEE e dall'art. 3 della dir. 91/689/CEE per i rifiuti pericolosi, disposizioni espressamente richiamate dalla legge di delega al Governo per l'attuazione delle citate direttive (v. art. 38, comma 1, lett. d) legge 22 febbraio 1994 n. 146 - legge comunitaria 1993 - e art. 6 legge 6 febbraio 1996 n. 52). In particolare, per quel che qui interessa, possono essere dispensati dall'autorizzazione e assoggettati ad iscrizione, previa adozione di determinate norme generali da parte degli Stati membri, gli stabilimenti e imprese che smaltiscono i propri rifiuti nei luoghi di produzione e quelle che effettuano operazioni di recupero di rifiuti (v. art. 11 dir. 91/156/CEE). Per espressa disposizione dell'art. 3 della dir. 91/689/CEE, la deroga all'obbligo dell'autorizzazione non si applica agli stabilimenti e imprese che smaltiscono i propri rifiuti pericolosi nei luoghi di produzione. Per le attivita' di recupero che, in generale, purche' si realizzino definite condizioni di controllo sostitutivo, sono viste con favore dal legislatore comunitario, e' operativa la dispensa dall'autorizzazione nei limiti di cui all'art. 11, comma 1, lett. b) dir. 91/156/CEE (v. art. 3, comma 2, dir. 91/689/CEE). In definitiva, le attivita' di smaltimento di rifiuti pericolosi sono sempre assoggettate ad autorizzazione, sia che si svolgano all'esterno che all'interno degli insediamenti produttivi, mentre le operazioni di recupero possono essere, eccezionalmente e nei limiti anzi indicati, dispensate dall'obbligo predetto. In riferimento a quest'ultime operazioni le indicazioni di cui all'art. 6, lett. m), anzi esposte non sono rispondenti ai plurimi requisiti di controllo e sicurezza di cui all'art. 3 comma 2, ult. parte, dir. 91/689/CEE, comprensivi anche dei parametri relativi alle quantita', tipi, metodi di recupero e le altre condizioni imposte dall'art. 4 dir. 91/156/CEE. In proposito, va ricordato che codesta Eccellentissima Corte, in riferimento a leggi regionali che prevedevano l'esclusione dall'autorizzazione per l'"ammasso temporaneo" di rifiuti tossici e nocivi all'interno degli insediamenti produttivi (a certe condizioni, in funzione di un recupero immediato in un diverso ciclo produttivo o del conferimento ad impianti autorizzati), e' intervenuta in piu' occasioni per dichiarare l'illegittimita' costituzionale di dette disposizioni perche', ravvisando in tale attivita' una fase di smaltimento (cioe' il vecchio stoccaggio provvisorio), le stesse risultavano incompatibili con gli obblighi comunitari, come gia' rappresentati, nonche' con la norma statale di cui all'art. 16 d.P.R. n. 915/1982 (cfr. Corte costituzionale 18 giugno 1992, n. 307; Corte costituzionale 24 maggio 1991, n. 213; Corte costituzionale 6 luglio 1989, n. 370). Il deposito temporaneo dei rifiuti sanitari pericolosi. L'irragionevolezza delle disposizioni di cui si discute appare ancor piu' stridente qualora si confronti la disciplina in esame con la disciplina del deposito temporaneo dei rifiuti sanitari pericolosi (art. 45, comma 1) presso il luogo di produzione. Il legislatore, oltre a sancire espressamente che detto deposito "deve essere effettuato in condizioni tali da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute", requisiti assenti dalla norma di cui all'art. 6, lett. m), prevede chiaramente che il paramentro quantitativo (non superiore ai 200 litri che peraltro e' notevolmente inferiore a 10 m.c.) deve essere osservato contestualmente, e non in alternativa, a quello temporale (di 30 giorni anziche' di due mesi); per i quantitativi superiori ai 200 litri il deposito puo' avere una durata massima di 5 giorni. L'inosservanza di dette prescrizioni e' sanzionata penalmente da una norma ad hoc (art. 51, comma VI). Se puo' giustificarsi una regola particolare per i rifiuti che dovranno essere smaltiti, alla luce dei principi generali fissati dal decreto Ronchi che favoriscono il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero (artt. 4 e 5), appare irragionevole il diverso trattamento riservato al deposito temporaneo dei rifiuti sanitari rispetto a quello degli altri rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento ed elencati, senza distinzioni sotto questi profili, nell'allegato D del decreto. Concludendo, appaiono evidenti l'irrazionalita' e la conseguente incostituzionalita' ex art. 3 della Costituzione del trattamento irragionevolmente diseguale di situazioni del tutto omogenee, conseguente alla configurazione normativa, sopra enunciata, del deposito temporaneo di rifiuti pericolosi. La questione di legittimita' appare fondata anche in relazione ai parametri di cui agli artt. 10, 11 e 76 della Costituzione sotto il profilo della palese contrarieta' con norme dell'Unione europea e, conseguentemente con la legge di delega al Governo che espressamente art. 38, comma 1, lett. d), legge 22 febbraio 1994, n. 146 - legge comunitaria 1993 - e art. 6 legge 6 febbraio 1996, n. 52), atteso che la disciplina di cui agli artt. 28, comma 5 e 6, lett. m) decreto legislativo n. 22/1997 introduce un regime in deroga non consentito. Sotto il profilo rilevanza di fatto, la risoluzione del dubbio di costituzionalita' appare essenziale, in quanto la condotta accertata, come sopra specificato, consiste proprio nello stoccaggio (deposito preliminare di rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento), gia' penalmente sanzionata dall'art. 26 d.P.R. n. 915/1982 (ora dall'art. 51, comma 2, decreto legislativo n. 22/1997), sicche' dipendono dall'esito del giudizio di legittimita' l'accoglimento od il rigetto della richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero.