LA CORTE DEI CONTI Ha pronunziato la seguente ordinanza n. 134/97/Ord/Resp. nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 5959 del registro di segreteria, promosso dal procuratore regionale, in favore del Ministero dell'interno, nei confronti di: Francesco Cardella, elettivamente domiciliato in Palermo via Serradifalco n. 95 presso lo studio dell'avv. Liborio Sabatino, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Giuseppe Bamonte del foro di Milano; Elisabetta Roveri, elettivamente domiciliata in Palermo via E. Amari n. 76 presso lo studio dell'avv. Nino Lo Presti che la rappresenta e difende; Associazione Saman, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Palermo, via E. Amari n. 8 presso lo studio dell'avv. Salvatore Grimaudo che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Elio Esposito del foro di Trapani e all'avv. Lucio Ambrosino del foro di Milano; Uditi alla pubblica udienza del 4 giugno 1997, il relatore, consigliere dott.ssa Luciana Savagnone, il pubblico ministero nella persona del vice procuratore regionale dott. Pino Zingale, l'avv. Salvatore Grimaudo, l'avv. Girolamo Calandra, in sostituzione dell'avv. Lo Presti, e l'avv. Liborio Sabatino; Esaminati gli atti ed i documenti della causa. F a t t o Con istanza depositata il 17 ottobre 1996, il procuratore regionale chiedeva il sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili di Cardella Francesco e Roveri Elisabetta, assumendo che gli stessi, rispettivamente nella qualita' di presidente e di amministratore unico della associazione non riconosciuta Saman, avevano percepito dal Ministero dell'interno somme per lo svolgimento di corsi di formazione che non si erano mai svolti o che avevano avuto una durata di gran lunga inferiore a quella rappresentata, sia per numero di ore che per giornate. Il danno erariale complessivo era quantificato dall'attore in lire 1.301.691.105, pari a tutta la somma erogata dal Ministero dell'interno, in quanto utilizzata per finalita' estranee a quelle pubbliche legislativamente tutelate, cio' sia sotto il profilo della omissione dell'attivita' finanziata, sia sotto quello della sua assoluta inconducenza al fine, atteso che laddove qualche attivita' era stata svolta, si era trattato di prestazioni disarticolate, insufficienti e difformi dal programma approvato. Con decreto n. 338/96 del 19-21 ottobre 1996 il presidente della sezione giurisdizionale per la regione siciliana autorizzava il sequestro conservativo sui beni di Francesco Cardella ed Elisabetta Roveri, fino alla concorrenza per ciascuno di lire 900.000.000, pari a circa i due terzi del credito erariale, tenuto pure conto della rivalutazione e degli interessi legali gia' maturati. Con memoria depositata il 27 novembre 1996, si costituiva in giudizio il sig. Cardella Francesco a mezzo degli avvocati Liborio Sabatino, G. Bamonte ed al proc. legale Luigi Galliano, che preliminarmente eccepivano il difetto di giurisdizione della Corte dei conti e, nel merito, chiedevano il rigetto della domanda, perche' inammissibile, pretestuosa, generica per i contenuti, indeterminata quanto al presunto danno erariale. Con memoria depositata il 29 novembre 1996, si costituiva la sig.ra Elisabetta Roveri, a mezzo dell'avv. Nino Lo Presti, che eccepiva preliminarmente l'incompetenza territoriale della sezione giurisdizionale siciliana della Corte dei conti e nel merito rilevava l'infondatezza della domanda. All'udienza fissata dinanzi al giudice unico per la conferma, revoca o modifica del sequestro, il p.m. modificava la domanda, chiedendo che il provvedimento cautelare fosse emesso per l'importo di lire 1.800.000.000, comprensivo dell'intero danno, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, nei confronti dei soli beni del sig. Cardella. Inoltre, chiedeva che il sequestro fosse esteso alle quote della Saman S.r.l. di proprieta' del suddetto, sottratte alla garanzia patrimoniale attraverso la vendita fittizia alla Oiasa Company Limited di Valletta, avvenuta in data 9 settembre 1996. Con ordinanza n. 469/96 del 29 novembre 1996, il giudice designato revocava il sequestro ritenendo insussistente la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di Cardella Francesco. Avverso tale ordinanza, il procuratore regionale, con atto depositato il 5 dicembre 1996, proponeva reclamo. Con ordinanza n. 1/97, la sezione giurisdizionale, esclusa la sussistenza di un rapporto di servizio tra il Ministero ed il Cardella, respingeva il reclamo. Nelle more del procedimento cautelare il procuratore regionale, con atto di citazione depositato il 17 ottobre 1996, conveniva in giudizio l'Associazione Saman, in persona del legale rappresentante pro-tempore, nonche' Roveri Elisabetta e Cardella Francesco. Con memoria depositata il 12 maggio 1997, si costituiva in giudizio Elisabetta Roveri a mezzo dell'avv. Nino Lo Presti, il quale chiedeva l'assoluzione della sua assistita. Con memoria depositata il 15 maggio 1997, si costituiva Francesco Cardella a mezzo degli avv.ti Liborio Sabatino e Giuseppe Bamonte, che riproponevano l'eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti. Con memoria depositata il 30 maggio 1997, si costituiva in giudizio l'Associazione Saman, in persona del presidente del consiglio di amministrazione, a mezzo degli avvocati Salvatore Grimaudo, Elio Esposito e Lucio Ambrosino che chiedevano il rigetto di tutte le domande proposte. All'udienza dibattimentale il p.m. preliminarmente ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge n. 19/1994, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui consente che magistrati che hanno fatto parte del collegio del reclamo formino successivamente il collegio del giudizio di merito. Nel merito ha chiesto la condanna solidale di tutti i convenuti applicando alla Associazione Saman il potere riduttivo. I difensori dei convenuti si sono rimessi alla decisione della Corte per quanto attiene alla questione di legittimita' costituzionale; nel merito hanno ribadito le proprie difese. D i r i t t o Il fine a cui tendono gli istituti dell'astensione e della ricusazione del giudice e' quello di evitare che a giudicare sia un magistrato il quale, per l'esistenza di particolari situazioni di fatto, espressamente previste dal legislatore, che lo legano ai soggetti o all'oggetto della lite, si ritiene privo della necessaria serenita' di giudizio e tale da poter emettere una decisione favorevole o sfavorevole per una delle parti per ragioni diverse da quelle proprie della giustizia. Per tale ragione, la ratio delle norme sull'astensione e sulla ricusazione e' comunemente vista nell'esigenza di tutelare l'imparzialita' del giudice, intesa come terziera' rispetto agli interessi concretamente fatti valere nel processo. L'art. 51 n. 4 c.p.c. prevede che il giudice ha l'obbligo di astenersi quando ha conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo. In proposito la giurisprudenza tradizionale ritiene che deve trattarsi di un diverso grado e non di una diversa fase, relativa allo stesso grado del procedimento e, conseguentemente, ha escluso l'obbligo di astensione, tra l'altro, per il giudice che ha emanato un provvedimento provvisorio, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. (cfr. trib. Milano ord. 9 novembre 1981, foro it. 1981, 1, 2997). Tale interprestazione appare indubbiamente corretta in quanto le ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c. comportano una deroga alle regole generali sulla competenza ed ai criteri di precostituzione dei giudici stabiliti dalle tabelle di composizione degli uffici giudiziari. Esse, quindi, sono tassative, non estensibili analogicamente, al di la' dei casi presi in considerazione, e non suscettibili di interpretazione estensiva. Cio' posto, questo giudice dubita della legittimita' costituzionale della norma, di cui all'art. 51 c.p.c., laddove limita il dovere di astensione del giudice alle ipotesi di previa conoscenza della causa in altro grado del processo e non anche nel caso in cui egli ne abbia conosciuto per aver adottato un provvedimento d'urgenza nella fase cautelare, come e' avvenuto nel caso in ispecie in cui alcuni componenti del collegio hanno fatto parte del collegio del reclamo. La Corte costituzionale, con riferimento al processo penale, ha ritenuto che il principio della terzieta' del giudice puo' essere minato anche dalla c.d. "forza della prevenzione", che consiste in quello naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento (vedi sentenza Corte cost. 15 settembre 1995, n. 432), qualora un magistrato, prima della sua investitura quale giudice del giudizio, abbia provveduto in ordine ad una misura cautelare esprimendo una valutazione contenutistica relativamente ai fatti che hanno rilevanza con il merito della questione. In questa sede di prospetta l'opinione che tale principio sia valido anche nel campo del processo civile, le cui norme sono direttamente applicabili al processo contabile, e cio' in quanto anche in tale settore il principio di imparzialita' del giudice potrebbe essere condizionato dalla forza della prevenzione, quando il giudice, prima della causa, sia stato chiamato a pronunciarsi su una istanza per la concessione di un provvedimento cautelare ovvero abbia conosciuto di esso in sede di reclamo. Infatti, nel processo civile la concessione del provvedimento cautelare, pur non necessitando della prova piena, non puo' prescindere dall'esistenza di una prova indiziaria; ed egualmente l'accertamento del fumus boni iuris attendendo a circostanze afferenti al merito della futura controversia, impone all'interprete di ritenere ugualmente contenutistica, secondo la nozione fornita dalla stessa Corte costituzionale, la valutazione che il giudice civile e' tenuto a compiere prima di provvedere in ordine alla concessione o meno del provvedimento cautelare. Pertanto, la mancata previsione del dovere di astensione del giudice che abbia gia' conosciuto dei fatti di causa in una fase precedente a quella di merito, emanando un provvedimento come quello cautelare, che presuppone una valutazione contenutistica del merito del giudizio, rischia di compromettere i principi del giusto processo e di imparzialita' del giudice. Tale imparzialita', connaturata all'essenza della giurisdizione, richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto terzo, non solo scevro di interessi propri ma anche sgombro di convinzioni precostituite in ordine alla materia del decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio, in occasione di fuzioni decisorie che egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza. Conseguentemente, mancando tale imparzialita', rischia immancabilmente di essere leso il diritto di difesa salvaguardato dall'art. 24, comma secondo, della Costituzione. Poiche' la presente causa non puo' essere definita indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale qui cennata.