ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  del  giudice  per  le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Roma, notificato il 19 luglio 1997
 e  depositato  in  cancelleria  in  pari  data,  per   conflitto   di
 attribuzione  fra  poteri  dello  Stato sorto a seguito della nota n.
 4473/S dell'8 maggio 1997, con la  quale  il  Presidente  del  Senato
 della  Repubblica  ha  comunicato che l'Assemblea, nella seduta del 7
 maggio 1997, ha deliberato che quanto affermato dal senatore  Erminio
 Boso nei confronti di Giampiero Cioffredi si configura quale opinione
 espressa  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
 funzioni e ricade, pertanto, nella  previsione  dell'art.  68,  primo
 comma,  della  Costituzione;  ricorso  iscritto al n. 40 del registro
 conflitti 1997;
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica e  l'atto
 con il quale Giampiero Cioffredi chiede di intervenire in giudizio;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  settembre  1997  il giudice
 relatore Francesco Guizzi;
   Uditi l'avvocato Mario Salerni per Cioffredi Giampiero e l'avvocato
 Paolo Barile per il Senato della Repubblica.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Il giudice per le indagini preliminari presso  il  Tribunale
 di  Roma ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato
 con riferimento alla delibera con cui il Senato, il 7 maggio 1997, ha
 qualificato come  opinione  espressa  da  un  membro  del  Parlamento
 nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
 comma, della Costituzione, il fatto attribuito  al  senatore  Erminio
 Boso, secondo quanto comunicato dal Presidente del Senato con nota n.
 4473/S dell'8 maggio 1997.
   Il  senatore Boso aveva rilasciato nella sala stampa del Senato una
 dichiarazione, diffusa dall'agenzia AGI il 15 gennaio 1996, e ripresa
 dal quotidiano "La Nazione" il giorno successivo, nella  quale  erano
 contenuti  giudizi  assai  critici sulla persona e l'opera del signor
 Giampiero Cioffredi, coordinatore nazionale di  "Arci  solidarieta'".
 Il  parlamentare affermava che "promettendo l'Eldorado alla gente del
 terzo mondo" si finirebbe per "derubare i  lavoratori  italiani";  in
 tale  valutazione  negativa  il  senatore accomunava, con espressioni
 molto forti, "la Caritas, i comunisti ed  i  sindacati",  aggiungendo
 che per regolarizzare un extracomunitario occorrono "dai quattrocento
 ai  seicento  milioni"  e  che  "questi negrieri si vogliono spartire
 tremila miliardi dei contribuenti, fuori bilancio, messi  nelle  mani
 della    Caritas".    Il    signor    Cioffredi   presentava   quindi
 denuncia-querela nei confronti del senatore Boso per il reato di  cui
 agli artt. 595 del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n.
 47. Con ordinanza del 27 novembre 1996 e' stata trasmessa copia degli
 atti  al Senato della Repubblica circa l'applicabilita' dell'art. 68,
 primo comma, della Costituzione,  stante  il  disposto  dell'art.  2,
 comma  4,  del  d.-l. 23 ottobre 1996, n. 555, all'epoca vigente; sul
 punto, l'Assemblea del Senato ha affermato l'insindacabilita'.
   1.2. - Il giudice per le indagini preliminari  ha  quindi  promosso
 conflitto  di  attribuzione  fra  poteri  dello Stato, richiamando la
 giurisprudenza costituzionale che ha si' riconosciuto alla Camera  il
 potere  di  valutare  la condotta addebitata al suo componente, ma ha
 affermato  il  controllo  della  Corte  sul  suo  corretto  esercizio
 (sentenze nn. 1150 del 1988, 443 del 1993, 129 del 1996).
   La   condotta   del   parlamentare,   per  essere  assistita  dalla
 prerogativa  dell'irresponsabilita',   deve   esprimersi   attraverso
 opinioni  correlate  alla  funzione;  fuori  da  tale ambito, l'unica
 garanzia  invocabile  e'  quella  della  libera  manifestazione   del
 pensiero,  che  l'art. 21 della Costituzione assicura a tutti. Non e'
 il maggiore o minore tasso di "politicita'" a  ricondurre  l'opinione
 alla  funzione,  ma la strumentalita' rispetto all'ufficio ricoperto;
 l'equilibrio  fra  l'autonomia  parlamentare  e   il   principio   di
 legalita'-giurisdizione  richiede  che il sacrificio dell'onore della
 persona offesa sia indispensabile a soddisfare il valore antagonista:
 il libero svolgimento dell'attivita' parlamentare. Tale bilanciamento
 postula   non   soltanto   l'essenzialita'  della  condotta  ai  fini
 dell'esercizio della funzione, ma quella "contenutezza e misura"  che
 renda minima l'offesa del bene sacrificato.
   Secondo   il   ricorrente,  la  delibera  del  Senato  che  afferma
 l'insindacabilita' non sarebbe giustificata;  la  Giunta  competente,
 d'altra  parte,  aveva  escluso  la  sussistenza della prerogativa, e
 l'Assemblea  andava  in  diverso  avviso   per   considerazioni   che
 risulterebbero sfuggenti.
   2.  -  Il  conflitto  e'  stato  dichiarato  ammissibile,  ai sensi
 dell'art.  37 della legge 11 marzo 1953, n. 87,  con  l'ordinanza  n.
 251 del 1997.
   3.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio il Senato della Repubblica,
 ricordando come nel procedimento apertosi  in  seguito  alla  querela
 avanzata  dal  signor Giampiero Cioffredi, ai sensi dell'art. 595 del
 codice   penale,   il    pubblico    ministero    avesse    richiesto
 l'archiviazione, reputando le valutazioni formulate dal senatore Boso
 "strettamente    coniugabili    con    l'attivita'   conoscitiva   ed
 interpretativa della funzione  parlamentare".    Il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  non  ha  accolto  tale  richiesta  e ha quindi
 promosso  il  presente  conflitto,  che  ad  avviso  del  Senato   e'
 inammissibile,   e   in  subordine  infondato,  dal  momento  che  la
 dichiarazione  di   insindacabilita'   e'   stata   effettuata   dopo
 approfondito dibattito, sia con riguardo all'elaborazione dei criteri
 sulla  base  dei  quali va interpretato l'art. 68, primo comma, della
 Costituzione, sia con  riferimento  specifico  alle  modalita'  e  al
 contenuto delle affermazioni del senatore Boso, nella sala stampa del
 Senato,  mentre era in corso la discussione sul decreto-legge in tema
 di immigrazione: il che attesta il  collegamento  delle  espressioni,
 riferite  a  una  persona  estranea  alle  Camere,  con  la  funzione
 parlamentare. E non e' comunque ammissibile  la  contestazione  della
 valutazione  dell'Assemblea,  ponderata  e  corretta  sul  piano  del
 procedimento,   perche'   essa   si   risolverebbe   nel    sindacato
 sull'interpretazione data dall'organo parlamentare all'art. 68, primo
 comma, della Costituzione.
   In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, il Senato ha
 insistito sui limiti del controllo operato dalla Corte costituzionale
 quale  giudice dei conflitti di attribuzione: richiamando la sentenza
 n. 265 del 1997, ricorda che la Corte non puo' rivedere - "quasi come
 un giudice dell'impugnazione" - le sentenze che abbiano fatto erronea
 applicazione dell'art. 68, primo  comma,  della  Costituzione,  e  le
 deliberazioni  della Camera che affermano l'insindacabilita'.  I vizi
 che possono essere dedotti innanzi alla Corte sono, infatti, soltanto
 quelli  procedimentali  o  che  derivano  dalla  omessa   o   erronea
 valutazione  dei  presupposti  richiesti  per il valido esercizio del
 potere. Il giudizio sul conflitto di  attribuzione  non  puo'  dunque
 trasformarsi    nella    revisione,   in   chiave   di   legittimita'
 costituzionale, di atti degli organi costituzionali  e  dei  soggetti
 legittimati al conflitto.
   Nel  merito,  il Senato ha affermato la piena correttezza dell'iter
 procedurale seguito: in assemblea si e' discusso sull'interpretazione
 del principio introdotto dall'art. 68, primo comma, e  la  disparita'
 di  vedute  che  e' emersa ha portato a un voto meditato, che oggi si
 vuole   contestare.   Nella   memoria  si  rileva,  inoltre,  che  le
 espressioni usate  dal  senatore  Boso  sono  dirette  non  tanto  al
 singolo, bensi' alle associazioni alle quali appartiene il Cioffredi.
 Le  sue  parole  contengono  un  giudizio  su un gruppo politicamente
 attivo, con riguardo alla elaborazione della nuova disciplina in tema
 di immigrazione, e l'Assemblea ha valutato  il  collegamento  fra  le
 dichiarazioni e il dibattito parlamentare.
   Il  comportamento  del  senatore - conclude la memoria del Senato -
 rientrava d'altronde fra quelli soggetti alla  potesta'  disciplinare
 del  Presidente  del Senato, di cui all'art. 64 (recte: 67), comma 4,
 del regolamento; e cio' e' ulteriore indizio di ragionevolezza  della
 valutazione operata dall'organo parlamentare.
   4.  -  E'  pervenuta  alla  Corte  richiesta  del  signor Giampiero
 Cioffredi per costituirsi in giudizio,  motivata  dal  suo  interesse
 all'esito  della  vicenda  processuale del conflitto di attribuzione.
 Nell'udienza pubblica del 30 settembre 1997 la difesa di Cioffredi ha
 illustrato  le  ragioni  a  sostegno,  tali  da   consentire   almeno
 l'intervento.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma
 ha promosso conflitto di attribuzione  fra  poteri  dello  Stato  con
 riferimento  alla delibera del 7 maggio 1997 con la quale l'Assemblea
 del Senato, disattendendo la proposta della Giunta delle  elezioni  e
 delle  immunita',  ha qualificato come opinione espressa da un membro
 del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi  dell'art.
 68,  primo  comma,  della Costituzione, il fatto attribuito a Erminio
 Boso, senatore nella XII legislatura.
   Contestando la fondatezza del ricorso, si e' costituito in giudizio
 il Senato, osservando come il contesto in cui sono state  pronunciate
 le  parole  in  esame  permetta  di  ricondurle  all'esercizio  delle
 funzioni parlamentari.
   2. -  Va  dichiarata,  in  primo  luogo,  l'inammissibilita'  della
 richiesta  avanzata dal signor Giampiero Cioffredi - parte offesa nel
 procedimento penale menzionato - di  costituirsi  in  giudizio  o  di
 poter  spiegare  intervento.  Questa  Corte  ribadisce, in proposito,
 l'orientamento gia' manifestato con la  sentenza  n.  419  del  1995,
 spettando  la  legittimazione,  allo  stato della disciplina vigente,
 soltanto ai soggetti dai quali e nei cui confronti  e'  sollevato  il
 conflitto.
   3.  -  Passando  al  merito, occorre ricordare quanto gia' e' stato
 chiarito sull'ambito del giudizio, allorche' il conflitto fra  poteri
 verta su una delibera parlamentare affermativa dell'insindacabilita',
 ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   La  Corte  non  e'  giudice  dell'impugnazione:  lo ha precisato la
 sentenza n. 265 del 1997; ma gia' in precedenza le sentenze  n.  1150
 del  1988  e  n.  443  del  1993  ne  avevano circoscritto il vaglio,
 qualificandolo come controllo sulla "non arbitrarieta' della delibera
 parlamentare" (sentenza n. 1150 del 1988) e, dunque,  come  "verifica
 esterna"  (sentenza  n. 443 del 1993). A significare che la Corte non
 puo' rivalutare la ponderazione compiuta dalle  Camere,  ma  soltanto
 accertare  se  vi  sia  stato un uso distorto, arbitrario, del potere
 parlamentare, tale da vulnerare le attribuzioni  degli  organi  della
 giurisdizione  o da interferire sul loro esercizio.
   Questa verifica ha per oggetto la regolarita' dell'iter procedurale
 e,   nei  limiti  sopra  indicati,  la  sussistenza  dei  presupposti
 richiesti dal primo comma dell'art.  68,  e  cioe'  la  riferibilita'
 dell'atto   alle  funzioni  parlamentari:  e'  il  nesso  funzionale,
 infatti, il discrimine fra quell'insieme di dichiarazioni, giudizi  e
 critiche  -  che ricorrono cosi' di frequente nell'attivita' politica
 di deputati e senatori - e le opinioni che godono  della  particolare
 garanzia  introdotta  dall'art.  68, primo comma, della Costituzione.
 Nel sistema delineato dalla norma costituzionale, spetta alle  Camere
 valutare   la   sussistenza  delle  condizioni  dell'insindacabilita'
 (sentenza n. 443 del  1993,  Considerato  in  diritto  n.  4).  E  va
 altresi'  ricordato  che  la  prerogativa  riconosciuta ai membri del
 Parlamento e', sul piano  del  diritto  sostanziale,  una  causa  che
 esonera    dalla   responsabilita'   l'autore   delle   dichiarazioni
 contestate; e sul piano processuale vi e' l'obbligo  per  l'autorita'
 giudiziaria  di prendere atto della deliberazione parlamentare, fatta
 salva  la  possibilita'  di  provocare  il  controllo   della   Corte
 costituzionale  sulla  "correttezza"  di essa (v. le sentenze nn. 265
 del 1997 e 129 del 1996).
   4. - Esperendo il relativo controllo, questa Corte deve tener conto
 che la funzione parlamentare ha natura  generale  ed  e'  libera  nel
 fine;  cio'  che  la differenzia da altre funzioni costituzionalmente
 tutelate, ma "specializzate", con conseguenze significative in ordine
 alle garanzie accordate per le opinioni espresse e i  voti  dati  (v.
 la sentenza n. 148 del 1983, Considerato in diritto n. 4).
   La  funzione  parlamentare  ha  quindi una dimensione peculiare nel
 sistema. Se essa non si risolve  negli  atti  tipici,  e  ricomprende
 quelli  presupposti  e  conseguenziali,  non si puo' pero' ricondurvi
 l'intera attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore:  tale
 interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale
 posto  dall'art.  68,  primo  comma,  e  comporterebbe  il rischio di
 trasformare la prerogativa in un privilegio personale.
   5.  -  Spetta  alle  Camere,  sulla  base  di   questi   essenziali
 riferimenti,  il  compito  di  applicare la prerogativa, senza essere
 condizionate  dagli  orientamenti  della   giurisprudenza   ordinaria
 (sentenza  n.  443 del 1993; ma v. anche la sentenza n. 265 del 1997,
 Considerato in diritto n. 4,  ove  si  ricorda  che  l'esercizio,  in
 concreto, della potesta' da parte della Camera inibisce l'inizio o la
 prosecuzione  di  qualsiasi  giudizio  di  responsabilita',  penale o
 civile per il risarcimento dei danni).
   Nel corso delle  varie  legislature  si  e'  registrata  una  certa
 oscillazione  nell'interpretazione  della  norma costituzionale, e da
 ultimo sembra  prevalere  una  prassi  di  tipo  estensivo,  quasi  a
 compensare  l'avvenuta  soppressione dell'autorizzazione a procedere,
 di cui alla legge costituzionale  n.  3  del  1993,  soprattutto  per
 quanto  attiene  al  reato  di  diffamazione, per il quale poteva, in
 precedenza,   accadere   che   si   facesse   ricorso   al    diniego
 dell'autorizzazione  a procedere. Ma la Corte, in questa sede, non e'
 chiamata a giudicare sul merito della scelta parlamentare:  essa deve
 accertare se vi sia stato corretto esercizio del potere parlamentare,
 o se la valutazione dei presupposti per la sua  applicazione  risulti
 inconciliabile   con   la   previsione  costituzionale,  determinando
 invasione o interferenza con le  attribuzioni  giudiziarie  (sentenze
 nn. 265 del 1997, 129 del 1996, 1150 del 1988).
   6.  - Si puo' ora definire il conflitto promosso dal giudice per le
 indagini preliminari presso il tribunale di Roma.
   Il dibattito, prima in Giunta e poi in Assemblea,  si  e'  concluso
 con  la  deliberazione  di insindacabilita': le valutazioni contenute
 nella relazione della Giunta  sono  state  ampiamente  ponderate  nel
 corso  della  discussione  e  quindi  superate,  in  Assemblea, dalla
 considerazione che  le  dichiarazioni  erano  state  rese  mentre  si
 procedeva   alla   conversione   del  decreto-legge  sugli  immigrati
 extracomunitari (il n. 489 del 1995, poi decaduto).
   E' vero che dette espressioni  non  possono  ritenersi,  sul  piano
 strettamente formale, riproduttive degli interventi del senatore Boso
 in  commissione  affari  costituzionali,  ove si esaminavano numerosi
 emendamenti, fra i quali ve ne erano molti  presentati  dallo  stesso
 Boso  e da altri senatori del Gruppo della Lega Nord. Tuttavia non e'
 arbitraria la valutazione effettuata dall'organo  parlamentare:    il
 Senato,  investito  della  questione  nella  legislatura successiva a
 quella  in  cui  si  erano  svolti  i  fatti,   ha   qualificato   le
 dichiarazioni  come  "divulgative  di una scelta politica", che si e'
 tradotta in puntuali  atti  funzionali  (v.  gli  emendamenti  teste'
 menzionati   e   il   disegno   di   legge   sulla  "regolamentazione
 dell'ingresso e della permanenza degli extracomunitari nel territorio
 dello Stato", di iniziativa dei senatori Bedoni, Boso  e  altri,  XII
 legislatura,   n.      1780,   assegnato   alla   prima   commissione
 congiuntamente  al  disegno  di  legge  di  conversione  del   citato
 decreto-legge n. 489 del 1995).
   Con   riguardo  alla  ponderazione  compiuta  dal  Senato,  che  ha
 accentuato il rilievo politico-istituzionale di tale esternazione, va
 sottolineato che su questi temi il confronto  politico  era  talmente
 aspro,  nel  gennaio  del  1996,  da impedire l'utile conclusione dei
 lavori in commissione, impegnata - come si e' detto - dal 30 novembre
 1995 al 16  gennaio  1996:  il  giorno  successivo  il  decreto-legge
 decadde.
   Siffatte  circostanze  spiegano  perche' nel dibattito in Assemblea
 sia stata messa in luce da piu'  parti  l'esigenza  di  garantire  il
 libero   svolgimento   del   mandato  parlamentare,  cosi'  tutelando
 l'indipendenza delle Camere e gli essenziali spazi di liberta'  della
 rappresentanza  politica  (Senato,  7 maggio 1997, seduta pomeridiana
 dell'Assemblea).
   Va dunque escluso che la  deliberazione,  adottata  in  seguito  al
 dibattito  che si e' richiamato, configuri quell'esercizio arbitrario
 del potere parlamentare che risulterebbe invasivo delle  attribuzioni
 degli   organi  giurisdizionali,  recando  ingiustificato  vulnus  ai
 diritti fondamentali della persona.
   7. - Gli  effetti  della  dichiarazione  d'insindacabilita'  -  non
 limitata alla durata della legislatura - e i suoi innegabili riflessi
 sull'esercizio   della   giurisdizione   pongono,  al  tempo  stesso,
 l'esigenza che le Camere si attengano  a  canoni  il  piu'  possibile
 chiari  e  univoci nell'esplicazione di detto potere. Con riguardo ai
 profili procedurali, va segnalato che nel sistema attuale la proposta
 (argomentata) della Giunta puo' essere disattesa dall'Assemblea senza
 alcun dibattito, il che peraltro non e' accaduto in questo  caso.  In
 proposito   si   puo'  notare  che,  per  assicurare  il  massimo  di
 trasparenza  della  procedura,  si  era   gia'   discusso   in   sede
 parlamentare  sull'opportunita' di integrare il regolamento (si veda,
 infatti,  l'art.  18,  comma  2-bis, del regolamento della Camera dei
 deputati, come risulta modificato nella seduta del  20  maggio  1993,
 destinato a valere, pero', soltanto per l'autorizzazione a procedere,
 poi soppressa dalla legge costituzionale n. 3 del 1993).
   Va  infine  ricordato  quanto si e' osservato nella decisione su un
 altro conflitto fra organo giudiziario e Camere che pure si collocava
 in un contesto  parzialmente  diverso  (sentenza  n.  379  del  1996,
 Considerato  in  diritto,  n. 9); e va qui ribadito che la congruita'
 delle procedure parlamentari e la loro articolazione, e l'adeguatezza
 delle sanzioni regolamentari,  rappresentano  per  il  Parlamento  un
 problema,  se  non  di  legalita',  certamente di conservazione della
 legittimazione dei suoi istituti di autonomia.