ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 439 e 440 del
 codice di procedura penale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  13
 gennaio  1997  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari presso il
 tribunale di Cassino, nel procedimento penale a carico  di  Turchetta
 Antonio  ed  altri,  iscritta al n. 122 del registro ordinanze 1997 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  1  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto  che  il  giudice  per  le  indagini preliminari presso il
 tribunale di Cassino ha premesso in fatto che, essendo stato  ammesso
 il  giudizio  abbreviato  su consenso prestato dal locale procuratore
 della Repubblica, successivamente  posto  fuori  del  ruolo  organico
 della  magistratura,  nella  udienza fissata per la discussione altro
 magistrato, chiamato a svolgere le funzioni di pubblico ministero, ha
 dichiarato di voler revocare il  consenso  al  rito  non  essendo  il
 procedimento  a  suo  avviso  definibile  allo stato degli atti e, in
 subordine, ha eccepito questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 438 e seguenti  cod.  proc.    pen.  nella  parte  in  cui  non
 prevedono la possibilita' di revoca del consenso nella ipotesi in cui
 il   magistrato  che  lo  ha  prestato  non  possa  piu'  partecipare
 all'udienza;
     che a sostegno della proposta eccezione il pubblico ministero  ha
 invocato  la  sentenza  n.  484 del 1995, nella quale questa Corte ha
 affermato  il  principio  della  revocabilita'  della  ordinanza   di
 ammissibilita' del rito da parte del giudice diverso per un postulato
 di  identita' che, inespresso nel dato normativo, risulta chiaramente
 delineato nel sistema;
     che a proposito di tale eccezione, il rimettente - pur  rilevando
 che  "tale  postulato  di  identita'" non puo' essere invocato per il
 pubblico ministero, attesa la particolare composizione dell'ufficio e
 "per la natura di contratto di diritto pubblico che si riconosce alla
 richiesta di rito ed al consenso"  -  osserva  che  il  principio  di
 indipendenza  del  pubblico  ministero,  attuato  dall'art. 70, terzo
 comma, dell'ordinamento  giudiziario  e  ribadito  dall'art.  53  del
 codice  di  rito, risulterebbe in effetti compromesso nei casi in cui
 il magistrato che ha espresso il consenso  si  trovi  nella  assoluta
 impossibilita'  di  partecipare  al  giudizio  abbreviato  sostenendo
 personalmente l'accusa;
     che alla stregua di tali rilievi - conclude il giudice a quo - si
 appaleserebbe  dunque  fondato il dubbio che gli artt. 439 e 440 cod.
 proc. pen. si pongano in contrasto con l'art. 108 della Costituzione,
 nella parte in cui  non  prevedono  la  revocabilita'  da  parte  del
 pubblico  ministero  di udienza, anche dopo l'ordinanza di ammissione
 del rito abbreviato, del  consenso  prestato  da  diverso  magistrato
 della  procura  della  Repubblica  impossibilitato in modo assoluto a
 partecipare al giudizio abbreviato;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
 Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
 comunque infondata;
   Considerato   che,   a  prescindere  dalla  palese  erroneita'  del
 parametro invocato - venendo  qui  in  discorso  l'art.  107,  ultimo
 comma,  della Costituzione e non, come dedotto dal rimettente, l'art.
 108 della Carta fondamentale - il caso di specie posto  a  fondamento
 della  questione  non presenta alcuna interferenza con le garanzie di
 indipendenza che il  codice  di  rito  e  le  norme  sull'ordinamento
 giudiziario   assicurano   al   pubblico   ministero,   giacche'   la
 sostituzione del magistrato che esercita quelle funzioni  e'  in  se'
 una  eventualita'  che in nessun caso puo' incidere sulla validita' e
 l'efficacia degli atti  processuali  gia'  compiuti  o  valere  quale
 atipica  legittimazione  ad una sorta di restituzione nel termine per
 l'esercizio di facolta' precluse o  per  riesaminare  unilateralmente
 scelte che hanno ormai prodotto i loro effetti;
     che  il  principio  di  conservazione  degli  atti,  l'ordine del
 processo e la certezza dei relativi rapporti sono  tutti  valori  che
 impongono   la   riferibilita'  delle  singole  condotte  alla  parte
 unitariamente intesa, a prescindere da chi volta a volta sia chiamato
 a rappresentarla, sicche' in ipotesi di sostituzione  del  magistrato
 del  pubblico  ministero  - e non diversamente da cio' che accade nel
 caso di sostituzione del difensore - il nuovo rappresentante non puo'
 che intervenire nel processo nello stato in cui esso si trova,  senza
 per  questo  vedere  in  alcun modo compromessa la propria autonomia,
 posto  che  tale  garanzia  -  essendo  per   definizione   correlata
 all'esercizio concreto delle relative funzioni - puo' trovare risalto
 solo  nel  presente  e con riferimento a quelle attivita' processuali
 ancora da compiere;
     che, pertanto,  la  questione  proposta  deve  essere  dichiarata
 manifestamente infondata;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.