IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza riunito in camera di consiglio
 ex  art.  310  c.p.p. per deliberare sull'appello proposto in data 30
 settembre 1997 dal difensore di Catacchio Lorenzo e Catacchio  Nicola
 contro  l'ordinanza  in data 26 settembre 1997 con la quale il g.i.p.
 presso il tribunale di Bari rigettava l'istanza difensiva in data  12
 settembre  1997  volta ad ottenere la liberazione dei Catacchio; atti
 pervenuti in data 2 ottobre 1997;  udita  la  relazione  del  giudice
 delegato dott. Prencipe;
   Sentito il difensore degli indagati; letti gli atti; a scioglimento
 della riserva formulata all'udienza camerale del 24 ottobre 1997.
  Svolgimento del procedimento
   1.  -  Con separati decreti in data 6 luglio 1997 il p.m. presso il
 tribunale di Bari disponeva il fermo di Catacchio Nicola e  Catacchio
 Lorenzo,  indagati per i reati di associazione di tipo mafioso (nella
 veste di organizzatori dell'associazione di tipo mafioso-camorristico
 denominata  "clan   Laraspata"),   di   contrabbando   pluriaggravato
 continuato  di ingenti quantitativi di t.l.e. (quali associati per il
 delitto di contrabbando), di contrabbando pluriaggravato di  440  kg.
 di  t.l.e.   (sempre quali associati per il delitto di contrabbando),
 di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, di oltraggio a pubblico
 ufficiale, di danneggiamento aggravato; i primi due reati commessi in
 Bari dall'agosto del 1994 sino all'11 luglio 1997;  gli  altri  reati
 commessi in Bari, la notte tra il 12 ed il 13 giugno 1997.
   2. - In data 11 luglio 1997 veniva celebrata l'udienza di convalida
 del    fermo,   nel   corso   della   quale   il   g.i.p.   procedeva
 all'interrogatorio  di  Catacchio   Nicola   e   Catacchio   Lorenzo,
 contestando i fatti a ciascuno di essi attribuiti, informandoli degli
 elementi  di  prova  sussistenti  contro  di  loro e comunicandone le
 fonti; entrambi gli indagati si  avvalevano  della  facolta'  di  non
 rispondere.  All'esito  dell'udienza,  il g.i.p. convalidava il fermo
 nei confronti di entrambi gli indagati e, previa richiesta del  p.m.,
 emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei
 prevenuti in relazione ai predetti reati.
   3.  - Con ordinanza in data 4 agosto 1997 il tribunale del riesame,
 in parziale accoglimento della richiesta di  riesame  avanzata  dalla
 difesa  dei Catacchio, revocava la misura custodiale limitatamente al
 reato di oltraggio, atteso che il limite di pena  previsto  per  tale
 reato  impediva I'emissione del provvedimento cautelare, e confermava
 nel resto il provvedimento coercitivo.
   4. - Con istanza in data 12 settembre 1997 (successiva  ad  analoga
 istanza  in data 18 luglio 1997 rigettata dal g.i.p. con ordinanza in
 data  4  agosto  1997  confermata  dal  tribunale  dell'appello   con
 provvedimento in data 1 settembre 1997), la difesa chiedeva al g.i.p.
 che,  previa  declaratoria  di  nullita'  -  per  asserita violazione
 dell'art. 178, lett. c), c.p.p. - degli interrogatori resi in udienza
 di convalida del fermo  da  Catacchio  Nicola  e  Catacchio  Lorenzo,
 venisse  disposta la liberazione dei due prevenuti ai sensi dell'art.
 302 c.p.p., tenuto conto della circostanza che i due indagati,  entro
 5   giorni  dalla  esecuzione  del  provvedimento  applicativo  della
 custodia in carcere, non erano stati interrogati dal g.i.p. ai  sensi
 dell'art. 294 c.p.p.
   In  via  subordinata,  nell'eventualita' di un rigetto dell'istanza
 sul presupposto della mancanza della dedotta nullita' e quindi  della
 mancanza  dell'obbligo  di procedere ad interrogatorio degli indagati
 ai sensi dell'art. 294 c.p.p., la  difesa  eccepiva  l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  294  c.p.p. "nella parte in cui faculta il
 giudice a non procedere all'interrogatorio allorquando vi  sia  stata
 l'udienza di convalida del fermo".
   5.  -  Con  ordinanza  in  data  26 settembre 1997 il g.i.p. presso
 tribunale di Bari rigettava l'istanza,  evidenziando  (tra  l'altro):
 che  la piena validita' degli interrogatori resi dai due Catacchio in
 udienza di convalida del fermo era gia' stata affermata dal tribunale
 dell'appello con ordinanza in data 1 settembre 1997, nella  quale  il
 tribunale aveva rimarcato che gli interrogatori si erano perfezionati
 con  l'esercizio  da  parte  dei  due Catacchio della facolta' di non
 rispondere;  che  la  eccezione  di   illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  294  c.p.p.    (nella parte in cui prevede la facolta' del
 giudice  di  non  procedere  all'interrogatorio,  quando   vi   abbia
 proceduto in udienza di convalida del fermo) era gia' stata giudicata
 manifestamente infondata nel corso dell'udienza di convalida (come da
 ordinanza   trascritta  nel  verbale  d'udienza);  che  il  tribunale
 dell'appello, con la citata ordinanza in data 1 settembre 1997, aveva
 gia'  giudicato  non  rilevante  la   questione   di   illegittimita'
 costituzionale   dell'art.   294   c.p.p.,   stante  la  infondatezza
 dell'unico motivo di appello prospettato (il tribunale aveva  infatti
 ritenuto che il mancato deposito degli atti nell'ipotesi di convalida
 del  fermo  non  avesse  determinato  alcun vizio degli interrogatori
 compiuti in sede di udienza di convalida, non essendo  tale  deposito
 imposto  da  alcuna  norma,  sicche'  il  proposto appello ben poteva
 essere deciso come  infondato  -  stante  l'avvenuto  perfezionamento
 degli  interrogatori ex art. 391 c.p.p. - prescindendo dalla eccepita
 questione di illegittimita' costituzionale).
   6. - In data  30 settembre 1997 la difesa proponeva appello avverso
 l'ordinanza del g.i.p., deducendo: che i due  Catacchio  non  avevano
 avuto  modo  di  conoscere  gli  atti  prima  di  essere  interrogati
 nell'udienza   di   convalida   del   fermo;   che   l'interrogatorio
 dell'indagato  esauritosi in un legittimo esercizio della facolta' di
 non rispondere (a causa della mancata conoscenza degli  atti)  e'  da
 ritenersi  equivalente ad un mancato interrogatorio e, quindi, ad una
 violazione del diritto di difesa, con conseguente nullita' dell'atto;
 che i due Catacchio, dopo l'emissione del  provvedimento  coercitivo,
 non  erano  stati interrogati dal g.i.p.; che l'art. 294 c.p.p., dopo
 l'entrata in vigore della legge n. 332/1995 (che ha modificato l'art.
 293, comma 3, c.p.p., prevedendo  che  le  ordinanze  che  dispongono
 misure  cautelari  "sono depositate nella cancelleria del giudice che
 le ha emesse insieme alla richiesta del  pubblico  ministero  e  agli
 atti  presentati  con  la  stessa")  e dopo la sentenza n. 192 del 24
 giugno  1997  della   Corte   costituzionale   (che   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  293,  comma  3,  c.p.p.,
 "nella parte in cui non prevede  la  facolta'  per  il  difensore  di
 estrarre  copia,  insieme  all'ordinanza  che  ha  disposto la misura
 cautelare, della  richiesta  del  pubblico  ministero  e  degli  atti
 presentati  con  la  stessa"),  e'  da  ritenersi contrastante con il
 dettato  costituzionale,  nella  parte  in  cui  priva   il   fermato
 "dell'esercizio  del  diritto  di difesa che viene riservato, in sede
 d'interrogatorio   ed   entro   cinque   giorni  dall'esecuzione  del
 provvedimento custodiale, a colui il quale venga a trovarsi in  stato
 dl  custodia  cautelare".    Pertanto, la difesa chiedeva dichiararsi
 l'inefficacia del provvedimento cautelare per avere il g.i.p.  omesso
 l'interrogatorio  di  cui  all'art.   294 c.p.p. dopo l'emissione del
 provvedimento custodiale;  in  subordine,  chiedeva  dichiararsi  non
 manifestamente  infondata  l'eccezione  di  incostituzionalita' della
 stessa norma cosi' come proposta.
                        Motivi della decisione
   7. - Deve innanzitutto rilevarsi che la proposta  questione  appare
 rilevante ai fini del presente giudizio.
   Osserva il tribunale che gli interrogatori resi da Catacchio Nicola
 e Catacchio Lorenzo dinanzi al g.i.p. in sede di udienza di convalida
 del  fermo  non  sono  affetti da alcuna irregolarita', atteso che il
 g.i.p. non solo rigetto' l'istanza della difesa (volta ad ottenere il
 deposito degli atti prima dell'espletamento degli  interrogatori  dei
 Catacchio)  motivando  correttamente  che  nessuna norma prevedeva (e
 prevede) il deposito degli  atti  prima  dell'interrogatorio  di  cui
 all'art. 391, comma 3, c.p.p. e che l'istanza finalizzata ad ottenere
 il  rilascio  di  copia degli atti al limite doveva essere rivolta al
 p.m. (al  quale  peraltro  risulta  non  essere  stata  rivolta),  ma
 procedette nel pieno rispetto degli artt. 64 e ss. c.p.p.
   Sicche', una volta accertata la piena validita' degli interrogatori
 resi  dai  prevenuti  in  sede  di  udienza  di  convalida (validita'
 peraltro gia' affermata con ordinanza in data 1  settembre  1997  del
 tribunale   dell'appello,   non   impugnata   dalla  difesa,  con  la
 conseguenza che detta questione e' da ritenersi ormai "preclusa" 1  e
 percio' inammissibile), l'appello della difesa dovrebbe essere sic et
 simpliciter  rigettato  in applicazione del chiaro disposto di cui al
 comma 1 dell'art. 294 c.p.p.
   Che e' appunto il disposto della cui  costituzionalita'  la  difesa
 dubita,  nella  parte  in  cui  esonera  il  giudice  dall'obbligo di
 procedere all'interrogatorio (interrogatorio che deve essere compiuto
 "immediatamente  e  comunque  non  oltre  cinque  giorni  dall'inizio
 dell'esecuzione  della custodia") della persona che sia stata attinta
 da ordinanza di custodia cautelare dopo essere stata  interrogata  in
 udienza di convalida (dell'arresto o) del fermo.
   8.  -  Ritiene  il  tribunale  che  la  questione di illegittimita'
 costituzionale sollevata dalla difesa, cosi'  come  prospettata,  sia
 non    manifestamente   infondata.   A   tale   conclusione   conduce
 l'interpretazione sistematica delle disposizioni di  cui  agli  artt.
 391, 294, 302 e 293 c.p.p.:
     l'art.  391,  comma  3,  c.p.p. (come modificato dall'art. 25 del
 d.lg. 14 gennaio 1991, n.  12,  che  ha  trasformato  la  "audizione"
 dell'arrestato o del fermato, originariamente prevista dalla norma in
 esame, in un formale "interrogatorio" stabilisce che il giudice, dopo
 l'eventuale  audizione  del  p.m. (che, "se comparso, indica i motivi
 dell'arresto o del fermo e  illustra  le  richieste  in  ordine  alla
 liberta'  personale"), "procede ... all'interrogatorio dell'arrestato
 o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si  sia  rifiutato
 di comparire";
     l'art.  294,  comma  1,  c.p.p.  stabilisce  che "nel corso delle
 indagini preliminari 2, il giudice, se non vi ha proceduto nel  corso
 dell'udienza  di  convalida  dell'arresto o del fermo di indiziato di
 delitto,  procede  all'interrogatorio  della  persona  in  stato   di
 custodia  cautelare  in  carcere  immediatamente e comunque non oltre
 cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione  della  cutodia,  salvo  il
 caso in cui essa sia assolutamente impedita";
     l'art.  302,  periodo  primo,  c.p.p. stabilisce che "la custodia
 cautelare disposta nel  corso  delle  indagini  preliminari  3  perde
 immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio
 entro il termine previsto dall'art. 294";
     l'art.  293,  comma 3, c.p.p. (come modificato dall'art. 10 della
 legge 8  agosto  1995,  n.  332)  stabilisce  che  le  ordinanze  che
 dispongono  misure cautelari (personali), "dopo la loro notificazione
 o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha
 emesse insieme alla richiesta del  pubblico  ministero  e  agli  atti
 presentati con la stessa" (con facolta' per il difensore di "estrarne
 copia":   sentenza   17-24   giugno   1997,   n.   192,  della  Corte
 costituzionale).
   9. - Ed  allora,  alla  luce  delle  suesposte  disposizioni  (come
 modificate  sino  alla  attuale  formulazione sia dal legislatore sia
 dalla Corte costituzionale), il quadro normativo attualmente  vigente
 risulta essere il seguente: se una persona viene attinta da ordinanza
 di custodia cautelare in carcere 4, ha il diritto (per il tramite del
 proprio  difensore)  di  estrarre  copia  dell'ordinanza del giudice,
 della richiesta del p.m. e degli atti presentati con la stessa  (art.
 293,  comma 3, c.p.p.; sentenza n. 192/1997 Corte costituzionale), il
 che da un lato le  consente  di  rendere  l'interrogatorio  c.d.  "di
 garanzia"  di  cui  all'art.  294  c.p.p. (che, a pena di inefficacia
 della  misura,  deve  essere  compiuto  non   oltre   cinque   giorni
 dall'inizio  dell'esecuzione della custodia, ex artt. 294, comma 1, e
 302 c.p.p.)  dopo avere avuto la possibilita' di conoscere tutti  gli
 atti su cui il titolo custodiale si fonda e da altro lato consente al
 suo  difensore  di  apprestare  una piu' efficace linea di difesa; se
 invece una persona viene attinta da ordinanza di  custodia  cautelare
 in  carcere  dopo  essere  stata  arrestata o fermata ed essere stata
 interrogata in udienza di convalida (e dunque interrogata in una fase
 del procedimento in cui non  vanta  alcun  diritto  ne'  di  prendere
 visione  degli  atti  ne'  -  tanto  meno  - di estrarne copia), tale
 persona, non essendo il  giudice  tenuto  a  procedere  ad  un  nuovo
 interrogatorio  entro  il  termine  (perentorio)  di cui all'art. 294
 c.p.p., viene privata della possibilita' di  rendere  linterrogatorio
 di  garanzia proprio nella fase nella quale, avendo ormai maturato il
 diritto di ottenere (per il  tramite  del  proprio  difensore)  copia
 degli  atti su cui il titolo custodiale si fonda - ai sensi dell'art.
 293, comma 3, c.p.p., come "integrato" dalla  citata  sentenza  della
 Corte  costituzionale  -,  potrebbe  difendersi in modo evidentemente
 piu' adeguato ed efficace.
   10. -  Ed  allora,  se  questo  e'  (ed  e')  il  quadro  normativo
 attualmente   vigente,   ritiene  questo  tribunale  che  la  esposta
 disciplina finisca col  determinare  sia  un'evidente  disparita'  di
 trattamento   in   casi  sostanzialmente  analoghi,  con  conseguente
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sia una oggettiva  lesione
 del  diritto di difesa, con conseguente contrasto con l'art. 24 della
 Costituzione.
   E'  infatti chiaro che la equiparazione dell'interrogatorio reso ai
 sensi dell'art. 391 c.p.p. all'interrogatorio reso ai sensi dell'art.
 294 c.p.p. (con la conseguenza che, una  volta  effettuato  il  primo
 interrogatorio  nell'udienza  di  convalida dell'arresto o del fermo,
 non debba piu' procedersi al secondo interrogatorio quando, all'esito
 dell'udienza di  convalida,  sia  disposta  dal  giudice  una  misura
 cautelare)  non  creava  alcuna disparita' di trattamento e/o lesione
 del diritto di difesa prima dell'entrata in  vigore  della  legge  n.
 332/1995,  atteso  che,  prima  della riforma operata con la suddetta
 legge, tanto l'interrogato ex art. 391 c.p.p. quanto l'interrogato ex
 art. 294 c.p.p. rendevano l'interrogatorio non  conoscendo  gli  atti
 del   procedimento  (salvo,  naturalmente,  quanto  apprendevano  dal
 giudice ex art. 65 c.p.p.).
   Ma  il  quadro  normativo  attuale,  come  sopra  evidenziato,   e'
 profondamente  diverso,  visto che oggi l'indagato, dopo essere stato
 attinto da ordinanza che dispone una misura cautelare, ha il  diritto
 (da  esercitarsi  con  le modalita' sopra precisate) di conoscere non
 solo l'ordinanza cautelare, ma anche la richiesta del p.m. e gli atti
 su cui la stessa si fonda (con facolta' di estrarne  copia).  E'  del
 tutto  evidente,  dunque,  che chi venga attinto "direttamente" da un
 provvedimento cautelare ha possibilita' difensive piu' ampie  di  chi
 venga  attinto  da  un  provvedimento  cautelare  dopo  essere  stato
 arrestato o fermato, posto che il primo puo' rendere l'interrogatorio
 dopo avere avuto la possibilita' di avere a propria disposizione  gli
 atti  posti  a  base  della  misura  cautelare  mentre il secondo, se
 interrogato in udienza di convalida (fase in cui non conosce - e  non
 puo'  conoscere  - gli atti del procedimento), non ha piu' diritto di
 essere interrogato successivamente all'emissione del titolo cautelare
 entro il termine (perentorio) di cui all'art.  294  c.p.p.  (fase  in
 cui, come detto, ha invece ormai maturato il diritto di conoscere gli
 atti del procedimento posti a fondamento del titolo cautelare).
   11.  -  Cio'  precisato,  ritiene  il  collegio  che  la  suesposta
 disparita'  di  trattamento  non  possa  ritenersi  "compensata"  dal
 disposto  di  cui  all'art. 299, comma 3-ter, periodo secondo, c.p.p.
 (comma introdotto dall'art. 13 della  legge  n.  332/1995  cit.),  il
 quale stabilisce che "se l'istanza di revoca o di sostituzione (della
 misura  cautelare)  e'  basata su elementi nuovi o diversi rispetto a
 quelli gia'  valutati,  il  giudice  deve  assumere  l'interrogatorio
 dell'imputato che ne ha fatto richiesta".
   E'  vero,  infatti, che tale norma ben puo' essere interpretata nel
 senso di consentire a colui il quale sia stato  interrogato  ex  art.
 391  c.p.p.  di  prospettare  come  "elementi nuovi o diversi" quelli
 risultanti dalla conoscenza degli atti realizzata, ex art. 293, comma
 3, c.p.p., dopo l'interrogatorio reso  nell'udienza  di  convalida  e
 l'emissione del titolo cautelare all'esito dell'udienza di convalida,
 ma  e' altrettanto vero che: a) l'interrogatorio di cui all'art. 299,
 comma  3-ter,  c.p.p.  non  e'  sottoposto  ad  alcun  termine,   ne'
 perentorio  ne'  ordinatorio,  a  differenza  di  quello  ex art. 294
 c.p.p.; b) la obbligatorieta'  dell'interrogatorio  di  cui  all'art.
 299,  comma  3-ter,  c.p.p. e' comunque subordinata ad una preventiva
 delibazione del giudice (che giudica la "novita'" o  la  "diversita'"
 degli  elementi  prospettati dall'imputato/indagato rispetto a quelli
 gia' valutati), a differenza di quello di  cui  all'art.  294  c.p.p.
 (che  in  ogni  caso "deve" essere compiuto - a pena di inefficacia -
 entro i termini di legge). Ne consegue, dunque, che  l'interrogatorio
 di  cui all'art.  299, comma 3-ter, periodo secondo, c.p.p., non puo'
 essere ritenuto, in termini di  "garanzia"  per  l'imputato/indagato,
 equipollente a quello di cui all'art. 294 c.p.p.
   12.  -  Ne'  la  suesposta disparita' di trattamento puo' ritenersi
 "compensata" dalla facolta' per l'interessato di chiedere al  giudice
 e/o  al p.m., prima dell'interrogatorio di cui all'art. 391, comma 3,
 c .p.p., l'autorizzazione  a  prendere  visione  degli  atti  e/o  ad
 estrarne copia (come e' capitato nel caso di specie, avendo la difesa
 chiesto    al   g.i.p.   di   depositare   -   prima   di   procedere
 all'interrogatorio  dei  fermati  -  gli  atti  che  il  p.m.   aveva
 utilizzato ai fini dell'emissione dei decreti di fermo).
   Cio'  per  almeno  quattro  ragioni:  in  primo  luogo, perche', in
 assenza di un preciso obbligo in tal senso in capo al giudice e/o  al
 p.m.,  legittimamente  potrebbero  il  giudice  e/o il p.m. rigettare
 l'istanza (sicche' la conoscenza degli atti da parte dell'arrestato o
 del fermato finirebbe col risolversi in una mera  eventualita',  come
 tale  inidonea  a far ritenere adeguatamente salvaguardato il diritto
 di difesa); in secondo luogo, perche' i termini massimi,  previsti  a
 pena   di  inefficacia,  per  la  presentazione  della  richiesta  di
 convalida dell'arresto o del fermo (48 ore, ex art. 390 c.p.p.) e per
 la successiva emissione dell'ordinanza di convalida (48 ore, ex  art.
 391   c.p.p.)   sono  talmente  ristretti  da  rendere  difficilmente
 compatibile  il  deposito  degli  atti  (e  dunque  la  visione   e/o
 l'estrazione  di  copia  degli  stessi  da parte dell'arrestato o del
 fermato) prima dell'espletamento  dell'interrogatorio  ex  art.  391,
 comma  3,  c.p.p.  (che, non lo si dimentichi, e' solo uno degli atti
 che fanno parte  della  procedura  di  convalida,  caratterizzata  da
 quella particolare "speditezza" che lo stesso legislatore ha ritenuto
 di  imporre); in terzo luogo, perche', se si anticipasse la discovery
 degli atti alla fase dell'udienza di  convalida  dell'arresto  o  del
 fermo  (ed  in  particolare  alla fase precedente l'interrogatorio ex
 art. 391 comma 3, c.p.p.), si  finirebbe  col  portare  a  conoscenza
 dell'indagato,  prima ancora della eventuale sottoposizione di costui
 a misura cautelare (che il p.m. potrebbe anche non chiedere e che  il
 g.i.p.  potrebbe  comunque  non disporre), gli atti del procedimento,
 con evidente pregiudizio per l'interesse (di rilevanza pubblica) alla
 segretezza,  alla  efficacia  ed  alla  speditezza   delle   indagini
 preliminari  (e cio', si noti bene, accadrebbe in ogni caso, anche in
 assenza  di  un  contrapposto  "effettivo"  interesse  dell'indagato,
 allorquando  questi,  dopo  l'udienza  di convalida, fosse rimesso in
 liberta'); in quarto luogo, perche' la discovery degli atti  verrebbe
 ad  essere  anticipata  non solo nel caso del fermo, che e' un potere
 coercitivo che ex art. 384 c.p.p. appartiene al p.m. ed alla p.g.  (i
 quali, essendo cosapevoli delle conseguenze  dell'esercizio  di  tale
 potere sotto il profilo della discovery, potrebbero anche "scegliere"
 di  non  procedere  al  fermo  5),  ma anche nel caso dell'arresto in
 flagranza, che invece e' atto del tutto autonomo ed indipendente  (ed
 "obbligatorio"   nei   casi   di   cui  all'art.  380  c.p.p.)  dalle
 determinazioni degli organi d'indagine (i quali, pertanto, potrebbero
 essere costretti a "svelare" delicati atti d'indagine a causa  di  un
 evento  - di natura criminosa - da essi assolutamente non prevedibile
 e non controllabile).
   13.  -  In definitiva, se e' vero che la disciplina posta dall'art.
 391 c.p.p. (peraltro non attinta dalla  eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale sollevata dalla difesa) appare, sotto il profilo della
 ragionevolezza  e  dell'equo  contemperamento  di  opposti interessi,
 pienamente conforme al dettato costituzionale (alla luce, del  resto,
 del chiaro disposto dell'art. 13 della Costituzione), non altrettanto
 puo'  dirsi  (ovviamente  in termini di "non manifesta infondatezza",
 limite  al  di  la'  del  quale  il  tribunale  non  puo'   esprimere
 valutazione  alcuna)  per  l'art. 294 c.p.p., che, nella parte in cui
 esonera il giudice  dal  procedere  all'interrogatorio  ivi  previsto
 della  persona  che sia stata gia' interrogata nel corso dell'udienza
 di convalida dell'arresto o del fermo (che viene in tal modo  privata
 del  diritto  di  essere nuovamente interrogata dal giudice, entro il
 termine breve e perentorio di cui  all'art.  294  c.p.p.  dopo  avere
 avuto  la  possibilita' di conoscere gli atti sulla base dei quali la
 misura cautelare sia stata disposta dopo  il  primo  interrogatorio),
 appare  in  contrasto  con  gli  artt.  3,  comma  primo, e 24, comma
 secondo, della Costituzione (contrasto che, conseguentemente,  appare
 sussistere  anche per l'art.  302 c.p.p. in riferimento alle medesime
 disposizioni costituzionali,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la
 perdita  di  efficacia  della  custodia cautelare applicata a persona
 che,  dopo  essere  stata  interrogata  nel  corso  dell'udienza   di
 convalida  dell'arresto  o  del  fermo,  non  sia  stata  interrogata
 immediatamente  e  comunque  non  oltre  cinque  giorni   dall'inizio
 dell'esecuzione della custodia).
   E'  peraltro  opportuno evidenziare, da ultimo, che la questione di
 illegittimita' costituzionale, pur se prospettata in termini generali
 per ragioni di chiarezza espositiva, appare  rilevante  nel  presente
 giudizio  limitatamente  all'ipotesi  del  fermo,  atteso  che  i due
 indagati Catacchio Lorenzo  e  Catacchio  Nicola  furono  interrogati
 nell'udienza  di  convalida  nella  qualita'  di  "fermati"  e non di
 arrestati.
   14. - Pertanto, va disposta la immediata  trasmissione  degli  atti
 alla Corte costituzionale ed il procedimento in corso va sospeso, con
 espletamento  da  parte della cancelleria dei conseguenti adempimenti
 di legge.