IL TRIBUNALE Visti gli atti del processo a carico di Ridori Sauro imputato del reato previsto e punito dall'art. 81 c.p.v., 110, 73.1 e 80.1 lettere b), c) e g) t.u. stupefacenti, commesso in concorso con Ridori Massimiliano e con Bresci Barbara; Rilevato che si procede separatamente nei confronti dei concorrenti; Rilevato che le prove a carico del Ridori consistono nel rinvenimento e sequestro di sostanze stupefacenti trovati sulla persona di Ridori Massimiliano (figlio dell'imputato) e nella abitazione di Pistoia dove conviveva con la Bresci, nella chiamata di correo del primo, esaminato al dibattimento, in alcune conversazioni avvenute dopo i fatti tra il padre ed il figlio e la convivente registrate dal secondo, quando gia' questi, arrestato e poi liberato si era determinato a collaborare nelle indagini per fornire elementi di prova ulteriore sul concorso del padre nel reato; Rilevato che, pur dovendo ancora il Collegio valutare la sufficienza del tenore di quelle conversazioni ai fini di quanto dispone l'art. 192.3 c.p.p., l'esame dell'altra coimputata puo' costituire un'ulteriore prova sulla responsabilita' dell'imputato e percio' il p.m. ne ha richiesto ed il tribunale ne ha ammesso l'esame ex art. 210 c.p.p.; Rilevato che la Bresci, all'udienza del 24 novembre 1997 ha dichiarato di volersi avvalere della facolta' di non sottoporsi all'esame delle parti e che ha chiesto la acquisizione per lettura delle sue dichiarazioni predibattimentali; che l'imputato non ha acconsentito, cosicche', ai sensi dell'art. 513.2 c.p.p. e' preclusa la acquisizione e la utilizzazione di quelle dichiarazioni; Ritenuto pertanto che, in questa situazione probatoria, e' rilevante ai fini del decidere valutare se il divieto posto dall'art. 513 c.p.p. sia o meno costituzionalmente illegittimo, per le evidenti conseguenze sul materiale probatorio da utilizzare per la decisione; Rilevato infine che le parti hanno cosi' concluso: il p.m. chiedendo che sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale e la difesa perche' la stessa questione venga ritenuta manifestamente infondata, osserva quanto segue. E' applicabile al caso di specie l'art. 513 c.p.p. e, non, la disciplina transitoria prevista dall'art. 6.2 della legge n. 267 del 7 agosto 1997 giacche' il decreto di rinvio a giudizio e' posteriore alla data di entrata in vigore della legge. Con riguardo alla disciplina definitiva il tribunale ritiene non sia manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' della norma e, cio', sotto diversi profili. Per valutare la questione occorre riferirsi ai principi applicati dalle sentenze della Corte costituzionale, n. 254/1992 e n. 255/1992. Con la prima sentenza la Corte dichiaro' la illegittimita' costituzionale dell'originario art. 513.2 c.p.p. rilevando una irrazionale diversita' di disciplina della prova in casi simili, a seconda che si fosse proceduto, nella stessa situazione di fatto, con processo cumulativo o con processi separati; infatti in questo secondo caso la disciplina della utilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali di chi, avendone la facolta', non si sottoponeva all'esame era, senza alcuna ragione, piu' restrittiva di quella prevista per il processo cumulativo. Nel modificare la disciplina il legislatore ha reso omogenee le due norme prevedendo, in sostanza, che nel processo cumulativo cosi' come in quelli separati la utilizzazione di quelle dichiarazioni e' consentita solo se vi e' il consenso della parte cui il contenuto delle dichiarazioni si riferisce: poiche', nel primo caso, la dichiarazione predibattimentale di ciascuno degli imputati, che si avvalga della facolta' di non sottoporsi all'esame, non puo' non essere letta si prevede un divieto di utilizzazione nei confronti degli altri senza il loro consenso; nel secondo caso, senza tale consenso, il verbale delle dichiarazioni predibattimentali non puo' nemmeno essere acquisito per lettura e non entra nemmeno a far parte del fascicolo del dibattimento. Si tratta di modalita' tecnicamente diverse, con uno stesso sostanziale risultato. In realta', ad un esame piu' attento, (lo si rileva solo in via incidentale giacche' il caso qui non ricorre) non sfugge una residua diversita' di disciplina giuridica, per i casi simili del coimputato divenuto irreperibile e dell'imputato in alto procedimento connesso o collegato che si trova nella stessa situazione sostanziale e che, quindi, non puo' essere esaminata per fatti imprevedibili al momento della dichiarazione, giacche', nel primo caso, per la utilizzazione delle sue dichiarazioni predibattimentali occorre comunque il consenso delle altre parti e, nel secondo caso, si puo' dare comunque lettura ex art. 512 c.p.p. Stante quindi, la attuale identita' di disciplina (salva la particolare eccezione or ora rilevata) la dichiarazione di incostituzionalita' dell'originario art. 513.2 c.p.p. non ha di per se' rilievo. Peraltro nella sentenza n. 254 del 1992 la Corte, pur dovendo esaminare la questione sotto il profilo della irrazionale diversita' di disciplina per casi identici, ha individuato nella esigenza di evitare la "perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede" un principio processuale penale di rango costituzionale, cui quindi il legislatore si deve attenere, pur dovendolo contemperare con l'altro principio-guida del processo, quello della oralita' e della formazione della prova la' dove si realizza pienamente il contraddittorio, nella sede dibattimentale. Questo principio, cosi' individuato, e' stato poi precisato dalla Corte nella coeva sentenza, relativa alla questione di costituzionalita' dell'art. 500.4 c.p.p., in materia di esame testinioniale. In quel caso e' stato il criterio fondamentale su cui si e' fondata la pronuncia di incostituzionalita', cosicche' e' utile ripercorrere il ragionamento della Corte. In primo luogo si afferma nella sentenza n. 255/1992 che "fine primario ed ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'" ("e' appena il caso di ricordarlo", soggiunge la Corte e l'inciso e' molto significativo dell'importanza di quel principio, della sua immanenza nel processo penale tanto che e' sufficiente solo accennarne), cosicche' "l'oralita', assunta a principio ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta, nella disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova nel dibattiniento", "di guisa che in taluni casi in cui la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente e' dato rilievo, nei limiti e alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima e al di fuori del dibattimento". In secondo luogo si evidenziano tutti gli istituti processuali che applicano il principio di non dispersione dei mezzi di prova e che derogano chiaramente al principio della oralita' e della immediatezza diattimentale, che (continua cosi' la Corte) non sono regole assolute bensi' criteri-guida del nuovo processo, e tendono a contemperare il rispetto del metodo orale con l'esigenza di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto, acquisito prima del dibattimento, sia divenuto non ripetibile. In terzo luogo tra gli istituti processuali anzidetti si richiama anche quello regolato nell'originario art. 513 c.p.p. A sostegno della incostituzionalita' dei limiti di utilizzabilita' delle dichiarazioni acquisite a seguito di contestazioni nel corso dell'esame testimoniale, la Corte in quella pronuncia trae argomento proprio dall'acquisibilita', tra gli altri atti, dei verbali delle dichiarazioni del compiutato o dell'imputato in procedimento connesso o collegato che, esaminato nella fase delle indagini, si e' avvalso della facolta' di non rispondere nel dibattimento. Cosi' si legge nella sentenza della Corte: "se... e' possibile dare lettura in dibattimento (e quindi utilizzare ai fini della decisione) di dichiarazioni rese precedentemente ... dal coimputato che si avvale della facolta' di non rispondere" e di dichiarazioni rese da altri (teste irreperibile, teste deceduto, teste che rifiuti di ripondere, dall'imputato che afferma cose diverse) non e' ragionevole non utilizzare le dichiarazioni predibattimentali del testimone, gia' entrate nel contraddittorio dibattimentale attraverso il veicolo delle contestazioni. Ora, con la nuova disciplina, proprio uno dei casi presi in considerazione dalla Corte nella sua sentenza come oggetto di comparazione risulta regolato in modo totalmente diverso. Cio' comporta, a giudizio di questo tribunale, dei profili di irrazionalita' della nuova disciplina. Il primo e' quello della violazione del principio di conservazione di quanto acquisito prima del dibattimento. Tale principio, come ha insegnato la Corte, e cosi', del resto, ogni bene o diritto costituzionale tutelato, va contemperato con altri confliggenti principi di pari grado: e principalmente con quello della garanzia difensiva nella formazione della prova. La nuova disciplina, pero', perseguendo soltanto quest'ultimo, non contempera i due valori costituzionali, ma esclude tout court dal materiale probatorio le imziali dichiarazioni del coimputato o degli altri soggetti indicati nell'art. 210 c.p.p. Nonostante che - ed ancora una volta il richiamo e' alla motivazione della sentenza Corte cost. n. 254/1992 - "le dichiarazioni in esame sono soggette ad un canone valutativo particolare ... (art. 192.3 e 4 c.p.p.), il quale, nel momento in cui circonda di cautela tali mezzi di prova, evidenzia allo stesso tempo ancor piu' la irragionevolezza di ipotesi... di assoluta inacquisibilita' dei medesimi ai fini della decisione". Ne' si puo' considerare come contemperamento tra i confliggenti principi la previsione dell'incidente probatorio senza preclusione di condizioni, giacche', se, da un lato, tale possibilita' consente di "fermare" la prova in un momento vicino alle iniziali dichiarazioni evitando i lunghi tempi necessari per l'esame dibattimentale, dall'altro lato nulla concede per evitare la perdita di quel materiale, quando, comunque la persona si avvalga, in quella sede, della facolta' di non rispondere. Senza considerare, poi, che tale sistema rende sempre meno centrale il dibattimento. In definitiva, sotto questo profilo, si deve dubitare che sia stato in qualche modo tutelato quel bene costituzionale individuato dalla Corte e che e' immanente al conone della personalita' della responsabilita' penale, che il giudice e' chiamato ad accertare (art. 27 Cost). Non solo, ma se "fine primario ed ineludibile del processo non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'" (finalita' cui e' stato peraltro attento il legislatore della riforma del 1988), non si puo' non dubitare che le nuove disposizioni di legge siano in contrasto anche con quel fine, se solo si considerano le loro possibili conseguenze. Intatti il nuovo art. 513 c.p.p. ha attuato una sorta di "relativizzazione soggettiva" della prova, introducendo un istituto alquanto singolare, quale quello della utilizzabilita' (primo comma) e della acquisibilita' (secondo comma) della prova per consenso della parte cui essa si riferisce. Cio' ha fatto conferendo all'imputato una sorta di potere di "veto": espressamente previsto dal primo comma per il caso di processo cumulativo, ed analogamente previsto, anche se espresso con formula letterale diversa, ma avente lo stesso significato, dal secondo comma per il caso di processi separati. Sul punto occorre un chiarimento perche' le parole usate non sono identiche: pero' una diversa interpretazione tra "senza il loro consenso", nel processo cumulativo, e "con l'accordo delle parti", nei processi separati, non pare ammissibile giacche', in questa seconda ipotesi il dissenso di uno solo e' sufficiente ad impedire l'accordo e, pero', non si puo' non limitare l'impedimento processuale alla sola parte che non consenta se non si vuole nuovamente introdurre una diversita' di disciplina tra i due casi, costituzionalmente illegittima; e, a prescindere da questo rilievo di coerenza interna della disposizione di legge, non si vede perche' dovrebbe essere negata la acquisibilita' e la utilizzabilita' relativa di dichiarazioni predibattimentali richieste dal p.m. quando l'imputato nei cui confronti si intendono utilizzare acconsenta, diversamente dagli altri coimputati. Questo potere processuale, sostanzialmente identico quindi nei due casi, e' conferito solo ad una delle parti, all'imputato cioe', con esclusione della parte pubblica: il p.m. non potra' mai considerarsi, pure nel caso di dichiarazioni favorevoli all'imputato, il soggetto processuale nei cui confronti quelle dichiarazioni possono essere utilizzate. E, gia' sotto questo profilo, si deve riconoscere che una perfetta parita' tra le parti nel processo non e' realizzata. Ma, a prescindere da questo rilievo marginale, sta il fatto che la utilizzabilita' relativa consente, anche nel caso piu' semplice, quello di piu' persone imputate dello stesso reato in concorso tra loro, ad accertamenti giurisdizionali diversi ed anche opposti pur in presenza dello stesso materiale di prova, a causa del concreto diverso esercizio da parte di ciascuno di quel potere. A seconda che gli imputati (uno od alcuni) consentano o meno la utilizzazione o la acquisibilita' nei loro confronti la valutazione del materiale probatorio portera' a opposte conseguenze: si puo' quindi ben ipotizzare che taluno venga condannato per avere commesso il reato in concorso con altre due persone e queste vengano assolte per non aver commesso il fatto o, addirittura, perche' il tatto non sussiste: pur in presenza dello stesso materiale probatorio. Ulteriore profilo di valutazione e' quello che pone a confronto le disposizioni anzidette (art. 513.1 e 2 c.p.p.) e le altre che, invece, consentono la utilizzazione ai fini del giudizio delle acquisizione predibattimentali. Il riferimento e' agli artt. 500.4, 511-bis, 512 e 512-bis: il sistema prevede ampi spazi per tale utilizzabilita'. In alcuni casi, quale quello del testimone che renda dichiarazioni testimoniali difformi da quelle predibattimentali, non vi e' dubbio che non si puo' ravvisare idenita' di situazioni con i casi regolati dall'art. 513 c.p.p. giacche' li' si realizza in modo pieno il contraddittorio dibattimentale delle parti nell'esame del dichiarante e, qui, invece la difesa non puo' sottoporre la persona citata e comparsa ad alcun esame. Ma, negli altri casi, non vi e' dubbio che la situazione sia identica ed anzi, sotto il profilo difensivo, talvolta deteriore: se il testimone e' reticente o rifiuta di rispondere alle domande le dichiarazioni predibattimentali possono essere utilizate, salvo il criterio prudenziale di valutazione probatoria, lo stesso di quello previsto dall'art. 192.3 c.p.p.; se il testimone risiede all'estero o se e' divenuto irreperibile, per fatti o circostanze imprevedibili, analogamente le dichiarazioni predibattimentali possono essere utilizzate, nel secondo caso, senza la necessita' di applicare alcun criterio prudenziale e, nel primo caso, alla sola condizione che si tenga conto degli altri elementi di prova acquisiti. In definitiva anche sotto questo profilo si deve rilevare una totale diversita' di disciplina, nonostante i criteri di valutazione probatoria rigorosi previsti per le dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. Un fondato dubbio di costituzionalita' sorge infine anche sotto altro profilo, quello della coerenza interna della disposizione prevista dal secondo comma dell'art. 513 c.p.p., tra i molteplici casi regolati. Si prevede la acquisizione per lettura ex art. 512 c.p.p. quando la impossibilita' di ottenere la presenza del dichiarante dipende da fatti o circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione: e' il caso dell'irreperibile. Il criterio di imprevedibilita' vuole sanzionare il p.m. negligente che, pur potendo prevedere la futura impossibilita' di ripetizione dell'atto, ugualmente non abbia chiesto immediatamente l'incidente probatorio, la ripetizione cioe' a tempi brevi nella forma garantita. Si presuppone l'esercizio dei poteri di coazione tesi ad ottenere la presenza del dichiarante al dibattimento. La acquisizione per lettura in questi casi e' incondizionata, diversamente da quanto prevede l'art. 512-bis, che pure regola un caso analogo di irripetibilita' dell'atto assunto durante la fase delle indagini preliminari. Non vi e' dubbio che si tratti di una irripetibilita' per mancanza fisica del dichiarante, una irripetibilita' di fatto. Invece nel caso della irripetibilita' giuridica, perche' la persona citata e comporsa si e' avvalsa della facolta' di non rispondere, e' preclusa la acquisizione. Si disciplinano quindi in modo totalmente diverso, pure in presenza di un bene costituzionalmente protetto, quale e' quello della non dispersione di quanto acquisito prima del dibattimento, due casi che sembrano a questo tribunale del tutto simli, quello della irripetibilita' per forza maggiore e quella della irripetibilita' per l'esercizio di un diritto. In entranibi si verifica una impossibilita' di ripetizione dell'atto, diverso e', pero', il regime di acquisibilita'. Questa volta il parametro costituzionale e' quello dell'art. 3, primo comma, della Costituzione perche' casi simili hanno una opposta disciplina normativa. Pertanto il tribunale deve sollevare d'ufficio la questione di illegittimita' costituzionale della disposizione da applicare al caso di specie - secondo comma dell'art. 513 c.p.p. con le necessarie eventuali conseguenze per l'altra - primo comma dell'art. 513 c.p.p. - che non puo' non avere lo stesso contenuto normativo della prima, per contrasto con gli artt. 3.1 e 27.1 della Costituzione.