LA CORTE DI APPELLO
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza.  Maurizio  Di Dio e Alessandra
 Calamandrei  hanno  proposto  domanda  di  equo  indennizzo  per   la
 carcerazione   ingiustamente   patita  nell'ambito  del  procedimento
 1389/96 g.i.p. Firenze.
   I richiedenti espongono  essere  stati  entrambi  arrestati  il  26
 agosto   1996   perche'   sorpresi   da   ufficiali  di  p.g.  mentre
 passeggiavano con il loro amico Lorenzo Fornaciari, al  quale,  nella
 circostanza  veniva  sequestrata, sotto il seggiolino del ciclomotore
 eroina per circa 100 grammi.
   Dopo l'arresto Alessandra Calamandrei veniva il 27 agosto alle  ore
 17,40  liberata  dal  pubblico ministero per mancanza, allo stato, di
 gravi indizi circa  una  sua  corresponsabilita'  nella  codetenzione
 della  sostanza  sequestrata,  apparendo  insufficiente a tal fine la
 circostanza riferita nel verbale di arresto  relativa  all'agitazione
 da lei dimostrata nel corso del controllo di polizia.
   La  sua  posizione  processuale  veniva poi definita con decreto di
 archiviazione 19 dicembre 1996.
   L'arresto di Di Dio Maurizio veniva invece convalidato  dal  g.i.p.
 il  29  agosto che riteneva sufficiente ad integrare l'elemento della
 flagranza la momentanea detenzione del ciclomotore da parte del  Dio.
 Lo stesso g.i.p. pero' provvedeva alla immediata scarcerazione del Di
 Dio  perche', alla luce delle dichiarazioni rese in sede di convalida
 dal Fornaciari che aveva escluso la  complicita'  del  Di  Dio  nella
 detenzione  della droga, appariva ambigua la richiesta rivolta dal Di
 Dio alla p.g.  al  momento  del  controllo  di  allontanarsi  con  il
 ciclomotore del Fornaciari.
   Nei  confronti del Di Dio veniva poi emessa in data 6 dicembre 1996
 sentenza di non doversi procedere per non  aver  commesso  il  fatto,
 divenuta  irrevocabile  il  15  marzo  1997  (rectius  11 marzo 1997)
 ritenendo il g.i.p. non esservi prova,  per  le  ragioni  gia'  sopra
 indicate del concorso del Di Dio nel reato.
   Ritiene la Corte che non possa configurarsi a carico di nessuno dei
 due  richiedenti  dolo  o  colpa  grave  nell'aver  dato  causa  alla
 detenzione: in effetti nessun comportamento di tale tipo  e'  neppure
 ipotizzabile per quanto attiene la Calamandrei. Per quanto attiene al
 Di Dio, non essendovi elementi - come detto dal g.i.p. nella sentenza
 di  non  luogo  a  procedere  -  per  ritenere  con  tranquillante  e
 ragionevole  certezza  che  egli  fosse  al  corrente  dell'esistenza
 dell'eroina  nel ciclomotore del Fornaciari, deve del pari escludersi
 che  la richiesta, da lui rivolta alla p.g. intervenuta, di andare ad
 un bar con il mezzo del Fornaciari integri dolo o colpa grave ai fini
 previsti dall'art. 314, comma 1 richiamato dall'art. 314, comma 3.
   Rileva pero' la Corte che nel caso in esame ai sensi dell'art.  314
 c.p.p. non si configura il diritto ad un'equa  riparazione  da  parte
 dei  richiedenti  perche'  la  detenzione dei medesimi si e' esaurita
 nell'ambito  della  misura  precautelare  dell'arresto,  disciplinata
 autonomamente  rispetto  alle misure cautelari nel libro V del codice
 ed implicitamente esclusa  dal  testo  dell'art.  314  attraverso  il
 richiamo  agli  artt. 273 e 280 contenuto nel secondo comma dell'art.
 314.
   Dubita  peraltro  la  Corte   della   legittimita'   costituzionale
 dell'art.    314  c.p.p.  nella  parte  in cui non prevede il diritto
 all'equa riparazione anche per l'ingiusta detenzione patita  a  causa
 di arresto illegittimo (come nel caso della Calamandrei) o di arresto
 legittimo  che  si  sia  poi rivelato oggettivamente ingiusto. E cio'
 sotto piu' profili.
   In primo luogo per  contrasto  con  l'art.  76  della  Costituzione
 perche' nell'art. 2 n. 100 della legge delega n. 81/87 il Governo era
 stato  delegato  a  prevedere  riparazione  dell'ingiusta detenzione,
 senza alcuna distinzione tra misure cautelari  e  precautelari.  Tale
 distinzione   appare   poi,   quanto  all'illegittimo  arresto  della
 Calamandrei, in contrasto con l'art. 5, n. 5 della Convenzione per la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo (ratificata con legge  n.  848/55)
 la'  dove detta norma prevede che "ogni persona vittima di un arresto
 o di una detenzione  eseguiti  in  violazione  alle  disposizioni  di
 questo articolo, ha diritto ad un indennizzo" essendo l'arresto della
 donna  in  contrasto con quanto previsto dallo stesso art. 5, lettera
 c: anche sotto tale profilo  si  ha  violazione  dell'art.  76  della
 Costituzione   perche'   nell'art.   2   della  citata  legge  delega
 espressamente si prescrive al delegato di adeguarsi alle norme  delle
 convenzioni internazionali ratificate dall'Italia. In terzo luogo per
 irragionevole  disparita'  di trattamento rispetto alla situazione di
 diritto all'equo indennizzo in cui versa chi, raggiunto  da  custodia
 cautelare  dopo  l'arresto,  vedra' compreso nella custodia cautelare
 che da' luogo all'indennizzo anche il periodo compreso tra  l'arresto
 e l'emissione della ordinanza di custodia cautelare. In proposito non
 puo'  non  rilevarsi  che l'arresto operato dalla p.g. non offende la
 liberta' della persona in misura minore della detenzione  seguente  a
 ordinanza  del  giudice.  Si  profila pertanto violazione dell'art. 3
 della Costituzione.
   Si deve pertanto, essendo la questione di  costituzionalita'  sopra
 detta   rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  sospendere  il
 procedimento e rimettere gli atti alla Corte costituzionale.