ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 59 e 60 della
 legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifica  al  sistema  penale),  in
 relazione   all'art.   30  del  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448
 (Approvazione delle disposizioni sul  processo  penale  a  carico  di
 imputati  minorenni),  promosso  con  ordinanza emessa il 13 febbraio
 1997 dal tribunale per  i  minorenni  di  Cagliari  nel  procedimento
 penale  a  carico di A.M.   ed altro, iscritta al n. 283 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 novembre 1997 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il tribunale per i minorenni di Cagliari, con sentenza del  23
 febbraio  1993,  condannava  due imputati minori di eta' alla pena di
 giorni quindici  di  reclusione  ciascuno,  pena  sostituita  con  la
 liberta' controllata per la durata di un mese.
   A  seguito  di  ricorso  per  saltum del procuratore generale - che
 aveva  dedotto  l'inapplicabilita'  della  sanzione  sostituiva   per
 l'ostacolo  derivante  dall'art.  59  della  legge  n.  689 del 1981,
 risultando gli imputati  piu'  volte  condannati  per  delitti  della
 stessa  indole  - la Corte di cassazione, con sentenza del 13 gennaio
 1995, annullava la decisione impugnata, con rinvio al tribunale per i
 minorenni di Cagliari in diversa composizione.
   Rilevava la Corte che erroneamente il  tribunale  per  i  minorenni
 aveva  ritenuto che la specifica regolamentazione contenuta nell'art.
 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, assuma un'assoluta autonomia
 rispetto al regime delle sanzioni sostitutive quale  delineato  dalla
 legge  n.  689  del  1981  e  che  tale  regolamentazione  sia  stata
 "depurata" dalle esclusioni soggettive ed  oggettive  previste  dagli
 artt.  59  e  60  di  detta legge. Con la conseguenza che, ancora una
 volta erroneamente, il tribunale aveva sostenuto la  tesi  della  non
 operativita' dei limiti soggettivi derivanti dal ricordato art. 59.
   2.  -  Con  ordinanza  del  13  febbraio  1997,  il tribunale per i
 minorenni di Cagliari, quale giudice del rinvio,  ha  denunciato,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  27,  terzo comma, 31 e 97, primo comma,
 della Costituzione, gli artt. 59 e 60 della legge 24  novembre  1981,
 n.  689  (Modifiche  al sistema penale), in relazione all'art. 30 del
 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nella parte in  cui  non  escludono
 che  si  applichino  anche  agli  imputati  minorenni  le "condizioni
 soggettive" e le "esclusioni oggettive" previste dalla legge  n.  689
 del 1981 per l'operativita' delle sanzioni sostitutive.
   3.  -  In  punto  di  rilevanza,  osserva  il giudice a quo come il
 vincolo derivante per il giudice del rinvio in forza della  decisione
 della  Corte  di cassazione, vincolo conseguente, nel caso di specie,
 al decisum concernente l'applicazione della sanzione sostitutiva,  in
 deroga  all'art.  59  della  legge  n. 689 del 1981, non impedisce al
 rimettente di sollevare la  questione  di  legittimita'  della  norma
 cosi'  come  interpretata  dalla Corte di cassazione. E cio' perche',
 avendo il procuratore generale proposto ricorso diretto,  si  sarebbe
 alterato il "corso ''fisiologico'' delle fasi processuali" e, dunque,
 anche  "la (comune) modalita' di formazione del ''giudicato''". Tanto
 che  in  caso  di  contrasto  interpretativo  fra   decisione   della
 cassazione  ed  interpretazione  della  norma ad opera del giudice di
 rinvio, non essendo la decisione del giudice di primo  grado  passata
 al  vaglio del giudice di appello, l'unico rimedio azionabile al fine
 di contestare l'interpretazione contra Constitutionem adottata  dalla
 Corte,   resta   la  proposizione  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale, non potuta sollevare in sede di merito per  l'assenza
 della fase di gravame.
   4.  -  In  punto  di  non  manifesta infondatezza, rileva, in primo
 luogo, il tribunale che il richiamo alle  "leggi  vigenti"  contenuto
 nell'art.    30, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica
 n. 448 del 1988 non vale ad escludere l'estensione  ai  minori  delle
 ricordate  disposizioni  della  legge  n.  689  del 1981; la norma in
 parola si riferisce, infatti, alla sola fase  dell'esecuzione,  cosi'
 da  specificare  il  precetto  dell'art.  75  della  detta legge e da
 "adattare le modalita' applicative della  sanzione  sostitutiva  alla
 peculiare  condizione  degli  imputati  minorenni",  per  i quali era
 previsto un trattamento differenziato in sede esecutiva.
   In secondo luogo, che dal raffronto tra il  primo  comma  dell'art.
 30  e  l'art.  58  della  legge  n.  689  del  1981 emerge l'assoluta
 autonomia della norma del decreto del  Presidente  della  Repubblica.
 L'uno,   infatti,  prescrive  che  il  giudice  (penale  minorile)  -
 nell'esercitare la facolta' di sostituire la pena detentiva  ritenuta
 irrogabile  in  concreto  all'imputato  minorenne  (purche' contenuta
 entro il limite di due anni) - deve considerare la "personalita'", le
 "esigenze di lavoro e studio" e le "condizioni familiari,  sociali  e
 ambientali"  dello  stesso  minore;  l'altro  individua  il parametro
 valutativo ai fini dell'applicazione delle sanzioni  sostitutive  nel
 "reinserimento sociale del condannato".
   In   terzo  luogo,  che,  con  la  fissazione  di  un  tetto  unico
 riguardante sia la liberta' controllata  sia  la  semidetenzione,  il
 legislatore  ha  dimostrato di voler creare una disciplina autonoma e
 differenziata concernente i minori; e cio' allo scopo di  evitare  il
 loro  ingresso  nel  circuito carcerario ed agevolarne la fuoriuscita
 dall'area penale.
   Il  tutto  secondo quanto risulterebbe univocamente dall'art. 2, n.
 45,  della  legge-delega  16  febbraio  1987,  n.  81,  che   prevede
 l'applicazione  delle sanzioni sostitutive "nei casi consentiti" solo
 con riguardo agli imputati maggiorenni; tale formula non e' stata, al
 contrario, adottata nell'art. 30 del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  n.  448  del 1988. Il giudice rimettente richiama inoltre
 l'art. 3, lett. f) della stessa  legge-delega,  che  sancisce  per  i
 minori  l'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive "anche in base
 alla pena irrogabile in concreto", ricorda che la dottrina  dominante
 e'  attestata  nel  senso  dell'autonomia  dell'art. 30 rispetto alla
 disciplina contenuta nella legge n. 689 del 1981 ed  evoca  il  forte
 contrasto  giurisprudenziale  esistente  in seno alla stessa Corte di
 cassazione a proposito dell'applicabilita' ai minori dell'art. 59  di
 detta legge.
   Dopo  aver  richiamato talune decisioni di questa Corte concernenti
 le peculiarita' del giudizio minorile,  il  rimettente  conclude  nel
 senso  che  l'estensione  agli imputati minorenni dei limiti previsti
 dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981, affermata  dalla  Corte  di
 cassazione  nella sentenza pronunciata nel giudizio a quo, "determina
 una irragionevole  disparita',  riservando  ai  minorenni  l'identico
 trattamento   sanzionatorio   riservato   agli  imputati  maggiorenni
 nonostante  la  profonda  diversita'  della  rispettiva  condizione";
 vulnera   pure  l'art.  31  della  Costituzione  ed  "i  principi  di
 eguaglianza sostanziale"  (art.  3  della  Costituzione  stessa),  la
 funzione   rieducativa   della   pena,   nonche'   l'art.   97  della
 Costituzione, perche' l'estensione agli imputati minorenni dei limiti
 generali in materia di sostituzione delle pene detentive, ostacolando
 la fuoriuscita dei medesimi dall'area penale,  comporta  una  lesione
 del   principio  del  buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa
 statuale, con il determinare un  maggiore  ed  irragionevole  impegno
 delle strutture preposte all'esecuzione delle pene detentive.
   5.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
 comunque non fondata. Sotto il primo profilo si assume che le censure
 sarebbero dirette a vulnerare (sotto il nomen della  proposizione  di
 una questione di legittimita' costituzionale) il principio di diritto
 stabilito dalla Corte di cassazione.
   In  ogni  caso,  la disciplina denunciata sfugge al sindacato della
 Corte, spettando al legislatore di delineare le  modalita'  attuative
 volte a realizzare la ratio di maggior favore per il rito minorile.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Il  giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3, 27,
 terzo comma, 31 e 97 della  Costituzione,  della  legittimita'  degli
 artt.  59  e  60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in
 cui non escludono che si applichino anche agli imputati minorenni  le
 condizioni  soggettive  e  le  esclusioni  oggettive  previste  dalle
 disposizioni denunciate per la sostituzione delle pene detentive.
   Piu' in particolare, all'esito del procedimento  a  carico  di  due
 imputati  minori  di eta', condannati alla pena di giorni quindici di
 reclusione ciascuno per il delitto  di  furto,  il  tribunale  per  i
 minorenni  aveva sostituito la reclusione con la sanzione sostitutiva
 della liberta' controllata nonostante entrambi gli imputati  avessero
 riportato plurime condanne per delitti della stessa indole. A seguito
 di  ricorso per saltum del pubblico ministero, la Corte di cassazione
 aveva annullato tale decisione perche' le  prescrizioni  degli  artt.
 59  e  60 della legge n. 689 del 1981 opererebbero pure nei confronti
 degli imputati minorenni.
   Il tribunale di Cagliari,  quale  giudice  del  rinvio,  ha  allora
 sollevato   la   questione   di   legittimita'  costituzionale  sopra
 ricordata, chiamando in causa anche l'art. 30 del d.P.R. 22 settembre
 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo  penale  a
 carico  di  imputati  minorenni),  che  per  gli  imputati  minorenni
 consente la sostituzione con la  semidetenzione  o  con  la  liberta'
 controllata  della  pena detentiva irrogata in misura non superiore a
 due anni, "tenuto conto della personalita' e delle esigenze di studio
 e di lavoro del minorenne nonche'  delle  sue  condizioni  familiari,
 sociali e ambientali".
   2.  - L'Avvocatura generale dello Stato, nel suo atto di intervento
 per  il  presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,   ha   contestato
 l'ammissibilita'  della  questione  per  essere il giudice del rinvio
 tenuto ad uniformarsi alla decisione sui punti  di  diritto  indicati
 dalla  Corte  di  cassazione,  cosi'  da prospettare l'ammissibilita'
 della proposizione di una quaestio de  legitimitate  in  quella  sede
 solo  in  quanto  diretta a sottoporre al vaglio della Corte la norma
 del codice di procedura penale che impone al giudice  del  rinvio  di
 sottostare  al  decisum  del giudice di legittimita' pure nei casi in
 cui ritenga costituzionalmente  illegittima  la  norma  che  dovrebbe
 trovare applicazione in forza della decisione della Cassazione.
   3. - L'eccezione dell'Avvocatura dello Stato deve essere disattesa,
 in  quanto si rivela in contrasto con la linea interpretativa seguita
 da questa Corte, costante nel senso che, poiche' la norma, cosi' come
 interpretata  dalla  Corte  di  cassazione,  deve   ancora   ricevere
 applicazione nella fase del rinvio, il giudizio circa la legittimita'
 costituzionale  della norma stessa "e' riservato a questa Corte e non
 puo' ritenersi assorbito dalla valutazione compiuta dal giudice della
 nomofilachia". Ne deriva che  il  precludere  che  sul  principio  di
 diritto  da  cui promana il precetto ritenuto applicabile dalla Corte
 di   cassazione   vengano   prospettati   dubbi    di    legittimita'
 costituzionale   comporterebbe   la  "violazione  delle  disposizioni
 regolanti la materia (artt. 1 della legge  costituzionale  n.  1  del
 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953), dato che queste non contengono
 al  riguardo  alcuna  specifica  limitazione" (v. sentenze n. 426 del
 1993, n. 138 del  1993,  n.  289  del  1992,  n.  30  del  1990);  la
 preclusione  derivante al giudizio di rinvio dal principio di diritto
 affermato  dalla  Corte  di  cassazione  non  impedisce,  quindi,  la
 proposizione  della  questione  di  legittimita' costituzionale della
 norma da cui e'  stato  tratto  il  principio  di  diritto  cui  deve
 uniformarsi il giudice di rinvio (sentenze n. 257 del 1994, n. 58 del
 1995, n. 224 del 1996).
   4.  - Ne' l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla norma
 denunciata puo' valere a sottrarre a scrutinio  di  costituzionalita'
 la  norma medesima. L'intervento della Corte si attua nel solo ambito
 di detto sindacato. Puo' ripetersi in proposito  che  tale  sindacato
 puo' operare anche "nel caso in cui il principio di diritto enunciato
 dalla  Corte  di  cassazione  costituisca la conseguenza di una linea
 ermeneutica  del  tutto  isolata"  (v.  sentenza  n.  130  del  1993,
 ordinanza  n.  314  del  1996).  Cio'  purche'  sotto  il nomen della
 quaestio   de   legitimitate   non   si   nasconda   un  mero  dubbio
 interpretativo.
   Senonche' il rimettente mostra di avere adeguatamente ponderato gli
 esatti   termini   della   proposta   questione    di    legittimita'
 costituzionale  quando  ha descritto le cadenze del procedimento e le
 ragioni che l'hanno determinato a non sollevarla nel corso del  primo
 giudizio.    E  cio' vale a contestare l'ulteriore (ma complementare)
 argomento contenuto nell'atto di intervento dell'Avvocatura  generale
 dello  Stato  secondo  cui,  non avendo il tribunale nel procedimento
 conclusosi con la  decisione  annullata  dalla  Corte  di  cassazione
 proposto  incidente  di  legittimita'  costituzionale con riferimento
 alle norme denunciate solo in una fase  successiva,  la  verifica  di
 legittimita'  dovrebbe restare affidata alla Corte di cassazione che,
 non  avendo,  a  sua  volta,  sollevato  "questione  di  legittimita'
 costituzionale delle norme in oggetto", ne ha tratto "una valutazione
 positiva   della   conformita'   di  esse  alla  Costituzione".  Tale
 conformita' non risulta infatti condivisa dal giudice a quo, il quale
 ha correttamente utilizzato l'unica  via  accessibile  per  rimuovere
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  che sarebbe tenuto ad
 applicare.
   Che  il  rimettente  abbia  piu'  volte  richiamato  il   contrasto
 giurisprudenziale in subiecta materia non vale certo a qualificare la
 questione  proposta  come una richiesta alla Corte di sovrapporsi con
 la sua interpretazione all'organo giurisdizionale cui  e'  attribuito
 il  compito  di  esercitare  la  funzione  nomofilattica. Pur dovendo
 rilevarsi come  gran  parte  delle  argomentazioni  siano  di  ordine
 interpretativo,    appare    evidente    che    esse    costituiscono
 l'indispensabile premessa per pervenire alla denuncia  del  vizio  di
 legittimita'  costituzionale,  per  giunta attraverso l'evocazione di
 plurimi parametri.
   A questa Corte non resta, pertanto,  che  procedere  alla  verifica
 delle  censure  sollevate  sulla  norma  scaturente  dal principio di
 diritto enunciato nel caso in esame dalla Corte di cassazione  e  che
 il  giudice  del  rinvio  dovrebbe  applicare in forza dell'art. 627,
 comma  3,  del  codice  di  procedura  penale,  senza   che   possano
 individuarsi   preclusioni   di   sorta  all'esito  del  giudizio  di
 legittimita', derivando la statuizione dal  raffronto  tra  la  norma
 sopra   ricordata   ed   i   parametri  costituzionali  indicati  dal
 rimettente.
   5. - La questione incentrata sull'art. 60 della legge 689 del  1981
 e'  inammissibile.  Il  principio  di diritto che il giudice a quo e'
 tenuto ad applicare riguarda esclusivamente le condizioni  soggettive
 richieste dall'art. 59 della stessa legge per l'accesso alle sanzioni
 sostitutive,  essendo  stata  irrogata  una  pena  per  un  reato non
 compreso tra le esclusioni oggettive di cui all'art. 60.
   6. - Fondata e', invece, la questione di legittimita' dell'art.  59
 della legge 689 del 1981.
   Se, infatti, del tutto  ininfluente  si  rivela  il  richiamo  alla
 lesione    del   principio   "del   buon   andamento   dell'attivita'
 amministrativa statuale", non essendo l'art.  97  della  Costituzione
 invocabile  a proposito dell'attivita' giurisdizionale oltre i limiti
 riguardanti  l'ordinamento  degli  uffici  giudiziari  ed   il   loro
 funzionamento  sotto  l'aspetto  amministrativo (cfr. sentenze n. 122
 del 1997,  n.  428  del  1993,  n.  376  del  1993),  risulta  invece
 compromessa l'osservanza degli altri parametri costituzionali evocati
 dal giudice a quo.
   In  primo luogo il contrasto riguarda l'art. 31 della Costituzione,
 nel suo collegamento con l'art. 27, terzo comma,  della  Costituzione
 stessa,   non   potendo  ritenersi  osservante  del  principio  della
 protezione della gioventu' un regime  che  collide  con  la  funzione
 rieducativa  della pena irrogata al minore facendo operare in sede di
 cognizione il rigido automatismo che e' insito nella previsione della
 norma  denunciata,  la  quale  preclude  ogni  valutazione  del  caso
 concreto,  tanto  da  impedire - malgrado "la preminente finalita' di
 reinserimento sociale del giovane condannato" (v. sentenza n. 107 del
 1997)  -  la  realizzazione  della  specifica  funzione   rieducativa
 perseguita   dalle   sanzioni  sostitutive,  desumibile  anche  dalle
 condizioni e dagli scopi che ne consentono l'accesso. Primi fra tutti
 la "personalita'" e le "esigenze di lavoro o di studio del  minorenne
 nonche'  le  sue  condizioni familiari, sociali e ambientali". Con la
 conseguenza che non solo l'automatismo  che  caratterizza  l'art.  59
 della legge n. 689 del 1981 ma la stessa finalita' posta dall'art. 58
 a  fondamento  delle sanzioni sostitutive applicabili agli adulti non
 sono in grado di realizzare un assetto di massima individualizzazione
 nel concreto atteggiarsi delle sanzioni. Lo comprova, tra  l'altro  -
 in un'ottica attenta al regime della sostituzione nel suo complesso -
 il  raffronto  con  l'ora citato art. 58 della legge n. 689 del 1981,
 che indica  quale  regola  base  per  l'applicazione  delle  sanzioni
 sostitutive  "i  criteri  indicati  nell'art.  133 del codice penale"
 limitandosi ad additare quale regula  iuris  alla  quale  il  giudice
 dovra'  conformare  la sua decisione quanto alla individuazione della
 sanzione da applicare, secondo  i  principi  enunciati  dall'art.  53
 della  stessa  legge  n.  689  del 1981, il generico potere di scelta
 nella  sostituzione  della   pena   sostitutiva   "piu'   idonea   al
 reinserimento sociale del condannato".
   Ad essere vulnerato e' infine, l'art. 3 della Costituzione sotto il
 profilo  della  irragionevolezza  di un sistema che, nonostante abbia
 elevato in modo  consistente  il  tetto  massimo  della  sostituzione
 riferendo comunque l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive "anche
 in  base  alla  pena irrogabile in concreto" (art. 3 lettera f) della
 legge-delega, che ha trovato attuazione nell'art. 30,  comma  1,  del
 d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448),  lascia  in  vita  un effetto
 preclusivo di per se' contraddittorio se riferito  ad  imputati  che,
 pure in forza degli ulteriori parametri chiamati in causa dal giudice
 a  quo,  devono  restare  assoggettati ad una disciplina improntata a
 criteri non segnati da assoluta rigidita'.   Dovendosi  qui  ribadire
 quanto  gia'  piu'  volte  statuito da questa Corte a proposito della
 contigua materia dell'esecuzione della pena, e cioe'  che  l'assoluta
 parificazione  tra  adulti  e  minori  rischia di "confliggere con le
 esigenze di  specifica  individualizzazione  e  di  flessibilita'  di
 trattamento"  che devono caratterizzare la disciplina minorile (cfr.,
 da ultimo, sentenza n. 403 del 1997).
   7.  -  Va,  dunque,  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.    59  della  legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non
 esclude  che  le  condizioni  soggettive  da   esso   prevedute   per
 l'applicazione  delle sanzioni sostitutive si estendano agli imputati
 minorenni.