ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 210,  comma  4,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15
 novembre 1996, dalla Corte d'appello  di  Palermo,  nel  procedimento
 penale  a  carico di Riina Salvatore ed altri, iscritta al n. 322 del
 registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  14  gennaio  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto  che  la  Corte  di  appello  di  Palermo, nel corso di un
 procedimento  per  l'applicazione  di  una  misura   di   prevenzione
 patrimoniale,   ha  sollevato  d'ufficio  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art.   210, comma  4,  del  codice  di  procedura
 penale,  in  riferimento  agli artt. 3, 24, comma secondo, e 97 della
 Costituzione, nella parte  in  cui  riconosce  agli  imputati  in  un
 procedimento connesso la facolta' di non rispondere anche quando tali
 soggetti  siano  stati condannati con sentenza passata in giudicato o
 ammessi  a  programma   di   protezione   "rispettivamente   per   la
 ricostruzione dei fatti in ordine ai quali la loro responsabilita' e'
 stata   accertata   con   sentenza  definitiva  o  e'  stata  ammessa
 nell'ambito  della  collaborazione  e  positivamente   valutata   con
 l'ammissione al programma";
     che   ad   avviso  del  giudice  rimettente  la  norma  censurata
 comprimerebbe irragionevolmente il diritto di  difesa  della  persona
 proposta  per  l'applicazione  della  misura  di prevenzione, essendo
 consentito, ai sensi dell'art. 513, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  nel
 testo  risultante dopo l'intervento della sentenza di questa Corte n.
 254 del 1992, di utilizzare ai fini della decisione le  dichiarazioni
 rese da chi si e' avvalso della facolta' di non rispondere;
     che il giudice a quo, in base al presupposto che nel procedimento
 di  prevenzione  possono essere assunti i mezzi di prova previsti dal
 libro III del codice di  procedura  penale,  rileva  che,  nelle  due
 specifiche situazioni da lui evocate, l'esigenza di bilanciamento del
 diritto  di  difesa degli imputati in un procedimento connesso (nella
 sua manifestazione del  diritto  al  silenzio)  con  il  diritto  del
 destinatario della misura di prevenzione alla verifica delle fonti di
 prova perderebbe "ogni sua concreta giustificazione per debordare nel
 campo dell'irrazionale privilegio": ad avviso del giudice rimettente,
 infatti,  la  responsabilita'  dei  soggetti  indicati dall'art. 210,
 comma 1, cod. proc. pen.  in ordine ai fatti oggetto di prova  in  un
 caso  e'  gia'  stata  accertata  con  sentenza passata in giudicato,
 nell'altro  e'  stata  ammessa  nell'ambito  della  collaborazione  e
 positivamente   accertata  con  il  provvedimento  di  ammissione  al
 programma di protezione, con la conseguenza che non potrebbe derivare
 al dichiarante  alcun  pregiudizio  dall'essere  chiamato  a  rendere
 dichiarazioni contra se;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso sostenendo l'infondatezza della questione;
   Considerato  che,  successivamente  all'ordinanza di rimessione, la
 legge 7 agosto 1997,  n.  267,  avente  ad  oggetto  "Modifica  delle
 disposizioni  del  codice  di procedura penale in tema di valutazione
 delle prove", ha tra l'altro  modificato  la  disciplina  complessiva
 dell'utilizzazione probatoria delle dichiarazioni rese da un imputato
 in un procedimento connesso;
     che in particolare, pur lasciando inalterato l'art. 210, comma 4,
 cod.  proc.  pen.,  oggetto  del  presente  giudizio  di legittimita'
 costituzionale, la legge n. 267 del 1997  ha  innovato  gli  articoli
 238,  e 513, comma 2, cod. proc. pen., ai quali il giudice rimettente
 di fatto si  richiama  nel  delineare  il  sistema  di  utilizzazione
 probatoria  delle dichiarazioni rese dall'imputato in un procedimento
 connesso; sistema che costituisce l'essenziale punto  di  riferimento
 della presente questione di legittimita' costituzionale;
     che  spetta  alla Corte di appello rimettente valutare se di tali
 nuove disposizioni possa farsi applicazione nel giudizio a quo;
     che pertanto deve disporsi la restituzione degli  atti  affinche'
 il  giudice  rimettente  possa  riesaminare, alla stregua delle nuove
 disposizioni, la rilevanza della questione sollevata.