IL PRETORE
   Letti  gli atti, a scioglimento della riserva di cui al verbale che
 precede;
                                Osserva
   Il comune di Fiumefreddo opponente, invoca a sostegno  dell'istanza
 di  estinzione  dell'esecuzione,  l'applicazione degli artt. 81 e 113
 del d.-l. 25 febbraio 1995,  n.  77  anche  per  come  novellato  dal
 successivo   decreto-legge   del   31   maggio   1996   che   prevede
 l'impignorabilita' dei fondi degli enti  locali  territoriali  per  i
 quali sia stato dichiarato il dissesto finanziario nonche' per quelli
 specificatamente    destinati,   tramite   l'adozione   di   delibere
 semestrali,  all'espletamento  di  servizi   sociali   indispensabili
 individuati  comunque  con decreto del Ministero della sanita' del 15
 ottobre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 otobre 1995.
   In merito il creditore opposto ha inteso sollevare ed  eccepire  la
 questione  di  illegittimita'  costituzionale  in rapporto agli artt.
 24, 113 e 3 della Costituzione.
   Nel valutare i motivi  e  le  singole  censure  addotte  all'intera
 normativa di riferimento, ritiene questo giudicante che la questione,
 oltre  ad  essere  rilevante  per il giudizio de quo, non sia neanche
 manifestamente infondata.
   Gli artt. 81 e 113  del  decreto-legge  n.  77/1995  delineano  due
 diverse  strade  percorribili  dagli  enti  locali  territoriali che,
 sempre per  la  salvaguardia  degli  interessi  pubblici  preminenti,
 intendano  sottrarre  in tutto o in parte i propri fondi alle singole
 procedure espropriative.
   Nel primo caso la delibera dichiarativa del dissesto impone poi  la
 nomina,  da  parte  del  Ministero  dell'interno,  di  un commissario
 liquidatore il quale provvede ad inserire  i  singoli  crediti  nella
 massa  passiva  per essere poi liquidati a seguito dell'approvazione,
 sempre da parte del Ministero preposto, di una ipotesi di bilancio di
 previsione stabilmente riequilibrato.
   In  ogni  caso  spetta  all'organo  liquidatore estinguere i debiti
 della massa passiva secondo il  piano  di  estinzione  approvato  dal
 Ministero  degli  interni,  mentre  il  riscontro della liquidazione,
 tramite verifica della rispondenza  tra  il  piano  di  estinzione  e
 l'effettiva  liquidazione,  e'  attribuito  all'organo  di  revisione
 contabile dell'ente.
   L'intera procedura si svolge in ambito amministrativo  senza  alcun
 controllo  giurisdizionale se non quello eventuale della magistratura
 amministrativa con la conseguenza di una ingiustificata  degradazione
 di  un  diritto  soggettivo  perfetto, quale quello di credito, ad un
 mero interesse legittimo.
   Tanto  cio'  e'  vero  che  al  terzo  creditore,  di  fronte  alla
 dichiarazione  di  dissesto,  non  residua alcuno strumento di tutela
 giurisdizionale del proprio diritto soggettivo  che,  si  sottolinea,
 rimane  degradato  ad interesse legittimo, fuori da ogni procedimento
 di carattere ablatorio.
   Sostiene ancora il creditore opposto come la procedura di  dissesto
 consente  al commissario liquidatore di transigere vertenze in atto o
 pretese in corso secondo il proprio arbitrio e senza alcuna forma  di
 controllo  giurisdizionale  con  cio'  vanificando  anche  quella par
 condicio creditorum che il legislatore voleva creare a fronte  di  un
 unico soggetto pubblico, in realta' assimilabile al fallito.
   La  situazione  diversamente  delineata dall'art. 113 assume invece
 connotati diversi laddove il legislatore ha previsto:
     a) la possibilita' dell'ente con  un  proprio  atto  interno,  al
 confine  tra  l'atto politico e l'atto amministrativo, di vincolare i
 propri   fondi   all'espletamento   dei   servizi   essenziali    poi
 tassativamente elencati;
     b)  la  comunicazione  di  tali delibere al terzo-tesoriere a cui
 viene  attribuito  il  potere  dovere  di  non  vincolare  le   somme
 pignorate;
     c) l'impossibilita' conseguente per il creditore, a fronte di una
 dichiarazione  sicuramente negativa del terzo-tesoriere di difendersi
 o tutelare in qualche modo  il  proprio  credito  se  non  attraverso
 l'instaurazione  dell'accertamento  dell'obbligo del terzo, con esiti
 sicuramente non  soddisfacenti  considerato  che  comunque  le  somme
 rimangono nella piena disponibilita' dell'ente debitore.
   In  entrambe  le  ipotesi  ci  troviamo  di  fronte  ad  una deroga
 massiccia  del  principio  di  cui  all'art.  2740  in   materia   di
 responsabilita'   patrimoniale,  con  la  creazione  di  due  diverse
 categorie di creditori senza che il fatto sia assistito  dai  normali
 criteri costituzionali di adeguatezza e ragionevolezza.
   La   normativa   in  questione,  nella  sua  unica  interpretazione
 plausibile, viola  quindi  il  diritto  del  creditore  procedente  a
 resistere  in  giudizio,  sancito dall'art. 24 della Costituzione, in
 quanto attribuendo rilevanza, nei rapporti privatistici, ad  un  atto
 dell'organo    dell'ente    esecutato,    avente   natura   meramente
 previsionale, programmatica e  come  tale  inevitabilmente  generico,
 impedisce  di  fatto  al  creditore  di potersi in concreto difendere
 mediante la verifica e la contestazione  dell'effettiva  destinazione
 che,  sola, puo' giustifiare il trattamento rafforzato e privilegiato
 riservato   alla   pubblica  amministrazione  nel  perseguimento  del
 preminente  interesse  pubblico  e  la  conseguente  sottrazione  del
 patrimonio dell'ente all'esecuzione forzata.
   In realta' la stessa giurisprudenza di legittimita' aveva in questo
 senso gia' elaborato i principi cardine in materia di pignoramento di
 somme  di  pertinenza  di  enti  pubblici, secondo cui, anzitutto, le
 limitazioni della responsabilita' patrimoniale sono ammesse solo  nei
 casi  espressamente  previsti  dalla  legge e le somme di denaro ed i
 crediti dello Stato  e  degli  altri  enti  pubblici  possono  essere
 sottratte  all'azione  esecutiva  soltanto  se  una apposita norma di
 legge (o  un  provvediemnto  amministrativo  che  nella  legge  trovi
 fondamento)  disponga  in tal senso ed imprima a tali beni il vincolo
 di destinazione ad un pubblico servizio.
   E' stato inoltre precisato che tale atto, per poter imprimere  alle
 somme  di denaro quel vincolo di destinazione al pubblico servizio, e
 pertanto quella rilevanza esterna che le  rende  impignorabili,  deve
 necesariamente  esssere  univoco  e specifico, diretto in concreto al
 pagamento degli stipendi ed alla copertura  dei  servizi  essenziali,
 per   il   tramite   di  delibere  aventi  natura  precettiva  e  non
 programmatica  o  mediante  l'emissione  di  mandati  di   pagmaento,
 risolvendosi  altrimenti  in  un  atto  avente  rilevanza interna non
 opponibile al creditore.
   Tali  sono  inoltre  in  evidente  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione  sotto  il  profilo della ragionevolezza se si considera
 che  il   creditore   che   fornisce   una   prestazione   necessaria
 all'espletamento  di un servizio essenziale per il cui pagamento sono
 previsti  fondi  impignorabili,  puo'  vedersi  opposto  in  sede  di
 pignoramento,  a  seguito  del  mancato soddisfacimento della propria
 pretesa creditoria, l'impignorabilita'  dei  fondi  medesimi  perche'
 destinati allo stesso o ad altro servizio essenziale.
   Ne'  peraltro  il  giudice  dell'esecuzione,  nell'ambito  dei suoi
 strettissimi  poteri  ed  ambiti  applicativi,  puo'  effettuare  una
 valutazione   nel  merito  qualificando  un  credito  come  attinente
 all'attivita'  amministrativa  preminente   e   rendendo   di   fatto
 inefficace il vincolo di impignorabilita'.
   Considerato  pertanto  che  la  sollevata questione di legittimita'
 costituzionale,  nei   limiti   di   quanto   evidenziato,   non   e'
 manifestamente  infondata e che la procedura in esame non puo' essere
 definita senza la soluzione della questione medesima;